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Autore: rrrossi    26/07/2011    4 recensioni
Questa One-shot partecipa al concorso "One-shot dell'estate"
Un mondo fatto di frivolezze, superficiale, pronto a giudicarla e criticarla: E' qui che vive Bella. Sotto il cielo stellato di Maui però, forse non è la sola stanca di portare avanti la sua sceneggiata e di tenere sempre ben fermo il suo falso sorriso sulle labbra.
Un Edward dolce, un Edward ferito dai suoi stessi genitori, un Edward schiacciato dalle assurde pretese del padre che per staccare un po' la spina, si precipita alle Hawaii. In vacanza? No, come bagnino. E salvasse il fratellino di Bella? E se lei sapesse chi è Edward? Cosa succederebbe sotto la pallida luce lunare del cielo di Maui?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Parlami, sono qui per ascoltarti

Questa one-shot partecipa al concorso “One-shot dell’estate”

                                              ***

14 Agosto 2011

Erano le 14.00 del pomeriggio, il sole s’ergeva fiero tra i tenui colori azzurri del cielo di Maui: Era una giornata perfetta, come tutte lì alle Hawaii. In quello che poteva certamente essere scambiato per un paradiso terrestre, era sempre tutto perfetto. Lidi infiniti, hotel a cinque stelle, suite che accanto al prezzo avevano talmente tanti zeri, che per decifrarne il numero avevi bisogno di un ragioniere o di un matematico. Era lì che mi trovavo. Al contrario della miriade di ricconi e spendaccioni che si trovavano lì però, io non ero a Maui per divertirmi, non c’ero venuto di nascosto con lo yacht di papà insieme ad i miei amici per trascorrere le vacanze tra un festino e l’altro. No, io ero li per salvaguardare la salute dei bagnanti, per assicurarmi che i bambini non annegassero nel mare plumbeo e cristallino mentre le madri prendevano la famosa “tintarella” o i padri giocavano a Cricket sul campetto vicino. Io ero il bagnino. La spiaggia che dovevo salvaguardare era la stessa dell’Hotel al quale alloggiavo insieme agli altri dipendenti, uno dei più famosi dell’isola: il “Polo Beach Club” . Questo lavoretto estivo mi era stato trovato da mio zio, Carlisle. Carlisle era il fratello di mio padre. Sapeva che le cose a casa non andavano gran ché bene ultimamente, aveva sentito il mio bisogno di staccare un po’ la spina e grazie alle sue conoscenze, in quanto famoso neuro-chirurgo, mi aveva trovato questo “piccolo” impiego estivo. Me ne stavo seduto alla mia postazione, gli occhiali da sole poggiati sul naso, lo sguardo vigile e attento, i miei colleghi sparsi per la spiaggia. Benché fosse soltanto un’occupazione momentanea, mi piaceva fare il bagnino: era un impiego di rilievo, anche se così non veniva considerato. A pensarci bene, eravamo noi i responsabili di almeno un centinaio e passa di vite umane, toccava a noi il compito di rischiare la vita a volte in acque profondissime per salvare un povero disgraziato che per una scommessa, si era allontanato almeno di 20 km dalla costa. E parlavo per esperienza personale. In ogni caso, nessuno sembrava far caso a me, a parte le solite ragazzine sciocche che quotavano alla grande il detto: “Stai a mare e non puoi farti il bagno? No, problem! Fatti il bagnino!” Era una stupidaggine che avevo sentito qualche giorno prima dalla figlia del rettore Stephen che comunicava all’amica le sue allegre intenzioni. Purtroppo per lei però, io non ero quel tipo di ragazzo e sicuramente, non avrei rischiato il posto solo per soddisfare i vizi di una sedicenne con gli ormoni a palla.

- Aiuto! Il mio bambino, il mio bambino! – Fu un attimo, il tempo di sentire l’urlo di quella donna che sembrava davvero disperata che già ero in piedi, la maglietta gettata a riva, il giubbotto di salvataggio stretto tra le mani mentre correvo verso il mare. Mi tuffai, e il più veloce possibile raggiunsi il punto in cui era sparito un bambino che, a giudicare dal buffo salvagente a forma di dinosauro verde che alleggiava solo in acqua, non avrà avuto più di quattro anni. Mi immersi rapidamente, setacciando con lo sguardo il fondale immacolato e pieno di piccoli pesciolini. Non era molto profonda come zona, ma decisamente troppo alta per un bambino. Ci impiegai meno di un minuto a scorgere una sagoma ben distinta a qualche metro da me che galleggiava inerme. Portai immediatamente a galla il piccolo, nuotai fino a tornare di nuovo a riva dove una folla di curiosi, per non dire impiccioni, si era raggruppata e aveva preso ad urlare.

- Largo, largo! – Strillai preoccupato, facendo indietreggiare  tutti, così da poggiare a terra il bambino. La madre del bambino, una donna sui trent’anni dai capelli rossi, piena di bracciali, collane ed un paio di orecchini in brillanti, piangeva quasi urlando. Si vedeva lontano un miglio che fingeva. A dimostrazione di ciò, il trucco perfettamente in ordine sul viso rifatto. Certo, poteva essere davvero preoccupata, ma sicuramente la sceneggiata che stava mettendo in atto era totalmente falsa e fuori luogo. Cominciai la respirazione bocca a bocca, il bimbo aveva smesso di respirare. Provai col massaggio cardiaco, alternandolo alla tecnica di respirazione; dopo un paio di minuti, finalmente, il piccolo si alzò di poco, cominciando a tossire acqua. Tirai un sospiro di sollievo sorridendo, mentre un forte applauso scoppiò intorno a noi. Per un attimo avevo pensato di essere arrivato tardi.

- Oh, bambino mio! Oh, Marc! – La madre di Marc lo abbraccio forte, quasi facendogli perdere quel po’ d’aria che era riuscito a riacquistare.

- Signora … credo sia meglio che lo lasci adesso, non.. – Non ebbi modo di finire la frase che “la rossa” si gettò su di me abbracciandomi forte e “singhiozzando” rumorosamente.

- Oh, lei ha salvato mio figlio! Oh, la ringrazio tanto! –

Delicatamente, cercando di non essere brusco, allontanai la donna, sorridendo imbarazzato.

- E’ il mio lavoro signora. – La mia voce era calma, infondo, era così.

Sollevai il bambino da terra, aveva smesso di tossire e adesso spaventato si guardava intorno. Qualcuno mi passò un asciugamano, lo avvolsi all’interno e strofinai le mani sulle sue braccia coperte, tentando di dargli calore; aveva le labbra quasi viola.

- Va tutto bene piccolo, è tutto passato. – Mormorai guardando negli occhi quel piccolo angioletto dagli occhi blu. Era davvero un bel bambino, i capelli scuri, la carnagione abbronzata per il troppo tempo al sole e gli occhioni color cielo. Immediatamente pensai che non assomigliasse per niente alla madre.

 

Passato l’allarme del piccolo Marc, la calma tornò a regnare sovrana. Fortunatamente,non ci fu nessun’altra emergenza per il resto della giornata, al di fuori di un paio di falsi allarmi dovuti a qualche bambina che di tanto in tanto si allontanava un po’troppo dalle boe di sicurezza. Il tempo passava lento, il sole era cocente e la balneazione aveva ripreso un ritmo normale, tutto filava liscio per tutti, tranne che per me. Continuavo a pensare al piccolo Marc e a quanto fosse stato vicino a rimetterci la pelle solo per l’incompetenza di un genitore incapace, o forse, per meglio dire, strafottente. Mi sentivo fiero di me, orgoglioso per ciò che avevo fatto e proprio a quel pensiero, mi tornò in mente la figura di mio padre. Già, mio padre. Lo stesso uomo che mi aveva concepito e che da allora mi odiava. Diceva che ero un buono a nulla, dicevo che non ero degno di portare il suo stesso cognome. Onore, rispetto, forza. Erano queste le caratteristiche dei veri Cullen. Diceva che io non ero degno, diceva che avrei dovuto imparare da lui, continuava a rinfacciarmi di non essere abbastanza per il capo della Cullen Corporation, l’azienda di famiglia che costruiva software per computer e allarmi da installare in mega ville di gente come quella che si trovava qui a Maui. Sin da quando ero bambino aveva cominciato a disprezzarmi. Un bambino che a cinque anni doveva praticare almeno tre tipi di sport differenti, quando a stento sapeva camminare, un bambino di 7 anni costretto ad imparare tre lingue tra cui l’Arabo per cercare di compiacere il padre che, nell’alta società, doveva poter vantare un figlio perfetto dalla cultura infinita già in tenera età. Un bambino che ogni sera doveva restare a casa con la badante, cercando da lei quel surrogato d’amore materno che sua madre non poteva dargli, troppo impegnata a star dietro al marito, troppo impegnata col circolo del golf e col club del libro per pensare di fare almeno una carezza al proprio figlio, al sangue del suo sangue. Pregai soltanto affinché non succedesse lo stesso a Marc. A volte i genitori che frequentavano “i piani alti”, tendevano a scordare le cose che dovrebbero essere ritenute davvero importanti. Pizzicai il naso con le dita, portando la mano alle labbra, cercando di scappare da quei pensieri che mi facevano soltanto del male.

- Ehi, Edward! – Mi voltai verso Nathan, il mio primo amico li alle Hawaii.

- Che ci fai ancora qui? Il tuo turno è finito almeno mezz’ora fa! – Esclamò stupito.

Perso tra le mie mille elucubrazioni mentali, non mi ero accorto dell’ora. Controllai l’orologio, segnava le 15.30 e, considerando che ero su quella sedia dalle 10.00 della mattina, il mio turno era più che finito.

- Hai ragione Nat, non me ne ero reso conto, vado. – Dissi alzandomi.

- Ehi, ti ho visto prima! Sei stato tu a recuperare Marc Swan! – Mi diede una pacca sulla spalla, sorridendo amichevolmente.

- Si – Confermai.

- Di un po’ … ma lo sapevi che quella non è la vera madre di Marc? – Mi confidò parlando a bassa voce. Sembravamo due comari.

- In che senso?- ero confuso.

- Conosci Charlie Swan? Il ricco ereditiere? Beh, si dice che dopo aver scoperto che la moglie lo tradiva, abbia chiesto il divorzio e l’affidamento dei figli trasferendosi da Londra a Chicago, dove conobbe Helen, la rossa di poco prima. Quella che ti è saltata addosso prima tipo polpo, è Elen Ston! La figlia dell’ammiraglio Ston! A quanto ne so Charlie perse la testa per lei, e da allora sono fidanzati. L’ex moglie vive con quello che le passa il marito, di lei non si sa molto. Ah! E sono arrivati qui soltanto due giorni fa!  – Fece spallucce e poi sorrise, fiero del suo monologo. Allora ci avevo visto giusto prima.

- Aspetta … cioè, fammi capire bene: uno, tu come le sai tutte queste cose? E due, Marc ha un fratello o una sorella? –

- Oh beh, essere il fratello della ragazza più pettegola di tutta l’isola ha i suoi vantaggi! – rise, - comunque, si, Marc ha una sorella. Isabella. – Pronunciò quel nome con aria sognante.

- Ah! Isabella Marie Swan. Diciotto anni da far sognare. Il bocconcino più ambito dell’intera costa! Davvero non la conosci? Cavolo Ed! devi vedere che davanzale! E che gam..-

- Ok, ok! Ho capito!– lo stoppai, avevo sentito abbastanza.

- Oh, no! Tu non hai capito! Peccato che non venga mai in spiaggia- La sua aria da sconsolato mi fece ridere.

- Andiamo! Chi è che viene alle Hawaii e non va in spiaggia? E poi secondo me ti stai facendo un po’ troppi film su questa ragazza. Insomma, sicuramente non sarà diversa dalla miriade di ragazzine che ci sono qui. Sai, le solite tipe che non entrano in acqua per non rovinare l’acconciatura fatta dal nuovo parrucchiere francese della mamma – Imitai la voce di quelle sciocche ragazzine. Non sopportavo la gente così. Nathan rise.

- Se,se.. vedremo chi ha ragione! Io vado, devo dare il cambio a Stacy! A dopo amico! –

- Ciao Prat! – Lo salutai, chiamandolo per cognome. Sapevo che lo detestava, infatti si voltò verso di me facendomi una linguaccia, poi si rigirò e andò a sbattere contro la cameriera che teneva in mano un vassoio pieno di bibite. Per poco non combinava un disastro! Fu il mio turno di ridere.

Quella sera toccava a me chiudere gli ombrelloni e risistemare le sedie e i tavoli del bar. Doveva aiutarmi Max, ma visto che aveva un appuntamento con Amber lo lasciai andare. Mi piaceva stare da solo la sera sulla spiaggia, adoravo la sensazione della sabbia fredda tra le dita, sentirne la sua consistenza impalpabile sulla pelle. Una volta finito il lavoro potevo restarmene indisturbato disteso tra i granelli finissimi e morbidissimi a scrutare il cielo blu scuro illuminato da tantissimi piccoli puntini lucenti, era praticamente il mio rito personale rito di ogni sera. Amavo le stelle. L’astronomia era la mia passione. Stavo chiudendo gli ultimi ombrelloni, quando un rumore leggero mi distrasse. Erano dei passi. Mi voltai, scorgendo dall’altro lato della spiaggia un’ombra snella e longilinea percorrere il bagnasciuga in legno. Mi nascosi dietro uno dei grandi ombrelloni chiusi rosso scuro del lido. L’ombra si avvicinava piano, aggraziata. Era sicuramente una ragazza; i capelli lunghi e da quel che riuscivo a distinguere ricci si muovevano leggiadri in aria, mossi dal tenue venticello caldo che mi sferzava il viso. Era abbastanza distante da me, abbastanza perché io la guardassi senza essere scoperto; sarebbe stato alquanto imbarazzante essere sorpreso nascosto come un ladro a spiare una giovane donna. Se la mia vista non m’ingannava, aveva allacciato al collo un grande pareo che le faceva da vestitino, i piedi erano nudi. Purtroppo, riuscivo soltanto a distinguere la sua sagoma e se ci avevo visto giusto, era abbastanza alta, forse sul metro e settanta, snella ma al contempo formosa, potevo vedere la curva sottile dei fianchi e quelle pronunciate dei suoi seni. Continuava a camminare piano, indisturbata, il capo rivolto verso l’alto, probabilmente affascinata dalle più costellazioni che si potevano vedere quella notte, il nasino all’insù e tra le mani un paio di sandali. La zona in cui si trovava non era illuminata dalla luce lunare, per cui mi toccava aspettare che entrasse nel mio raggio. Non ci volle molto. Sembrava incuriosita da quello che c’era intorno a lei, girava la testa a destra e a sinistra. Non appena fu lontana da me solo un paio di file, riuscii a vedere benissimo la sua schiena candida, levigata, il pareo dalla fantasia floreale legato attorno un collo da cigno e coperto da una folta chioma di capelli color mogano, lunghi e a boccoli alle punte. Le braccia esili d’un tratto si sollevarono, spostarono piano i capelli, e con una lentezza estenuante sciolsero il fiocco che teneva fermo quel vestitino improvvisato che le copriva soltanto il davanti e a stento il sedere alto e sodo, le gambe erano lunghe e affusolate, non un’imperfezione macchiava quella pelle nivea che sembrava quasi traslucida sotto il pallido candore che le donava la luna piena, riflessa nelle acque cristalline del mare. Arrivò a riva, lasciò che ciò che la copriva cadesse ai suoi piedi e si avvicinò piano all’acqua, bagnandosi i piedini piccoli che affondavano graziosi nella sabbia più scura. Per un momento pensai ad un’allucinazione, pensai ad un’apparizione, pensai che un angelo fosse caduto dal proprio paradiso per giungere in quest’altro, e per un momento, per uno stupido momento, pensai che quello fosse un angelo arrivato per salvare me. Rimase a scrutare il cielo non so quanto tempo mentre io, guardavo lei, incantato dalle sue movenze, dal suo magnifico corpo coperto soltanto da qualche filo di stoffa. Avevo sempre pensato che non ci fosse nulla di paragonabile alla bellezza delle stelle, al loro fascino … ma evidentemente, mi sbagliavo. Si voltò finalmente nella mia direzione, lasciando che i miei occhi si deliziassero con la vista del suo dolcissimo viso. Mi mancò il respiro. Una bocca carnosa e perfetta, un nasino piccolo e dritto, gli zigomi alti ed un paio di occhi scuri, grandi e profondi come non ne avevo mai visti. Era un capolavoro quella ragazza. Lentamente il mio sguardo scese sul suo corpo coperto soltanto da un bikini ancora più piccolo di quello che pensavo, i suoi seni sodi e perfetti per le mie mani, il ventre piatto, l’ombelico un po’ sporgente su cui faceva capolino un piercing che la rendeva soltanto più bella di quel che non fosse già. Chi era quella sconosciuta? Possibile che non l’avessi mai vista? Prese da terra il suo pareo, lo distese sulla sabbia e si sdraiò, i suoi occhi dolcissimi intenti ancora a cercare qualcosa lassù che noi poveri umani non avremmo mai potuto vedere, sembrava cercasse un segno, un qualcosa di mistico come l’aura misteriosa che pareva circondarla. Feci un passo indietro, muovendo il piede nudo. Non l’avessi mai fatto: senza volerlo calpestai un legnetto li vicino, facendola scattare. Sobbalzò e si voltò nella mia direzione, non potevo fare nulla per coprirmi, ormai mi aveva visto. Chinai il capo ed indietreggiai pronto a fuggire, da vero codardo qual’ero. Forse, non mi aveva ancora visto in viso, forse non mi avrebbe riconosciuto alla luce del sole.

- Chi sei? – Sussurrò. Non sembrava spaventata, nonostante fosse sola su una spiaggia deserta al buio, le luci completamente spente e un maniaco che la fissava da chissà quanto. No, lei non aveva paura. sembrava più che altro.. incuriosita, affascinata.

- Nessuno – risposi senza neanche pensare, facendola ridacchiare. Che risposta stupida! “Nessuno”! ma da dove mi era uscita? Ero così convinto di essere un fallito che mi presentavo col nome di “Nessuno”? Ero già a questo punto? Non pensai molto a questo però, troppo impegnato a perdermi nel melodioso suono della sua voce.

- Bene, signor nessuno. Può gentilmente spiegarmi che ci fa qui, alle 2.00 di notte su una spiaggia deserta? – Domandò divertita, per nulla a disagio. Erano già le 2.00 di notte?

- P-potrei farle la stessa domanda, signorina. – Replicai, balbettando un po’.

Rise, alzandosi in piedi e passandosi le mani sulle cosce in modo da eliminare una sabbia inesistente.

- Touché, straniero – Sorrise. E Dio, era una visione. Purtroppo non lo pensavo solo io … qualcuno nei piani bassi era fin troppo sveglio …

- Guarda che non ti mangio, puoi uscire dal tuo nascondiglio – Era divertita. Ed io, totalmente ammaliato. Come se la sua voce fosse un canto di sirena ed io un povero mal capitato, avanzai verso di lei.

- Da quanto sei qui? – Il suo adesso era un roco sussurro, un altro duro colpo per la mia eccitazione alle stelle.

Deglutii a vuoto, la gola secca, arida, la saliva azzerata. Avanzò piano verso di me, i suoi occhi che avevo scoperto castani a perforare i miei. Piano, con calma, posò la sua mano piccola e delicata tra i miei capelli bronzei, facendola scorrere lentamente, come se avesse tutto il tempo del mondo a sua disposizione. Quel gesto così calmo, privo di malizia, accese non so cosa dentro di me. Era una sensazione strana, come di pace. Era tutto giusto. Era lì che dovevo essere. E senza volerlo, senza accorgermene, chiusi gli occhi abbandonandomi completamente a lei. Avrebbe potuto anche uccidermi ora. Ero nelle sue mani, completamente succube di lei, suo schiavo. Era una dolce sirena dalla quale mi sarei fatto ammaliare volentieri, se ciò non fosse già successo.

- Come ti chiami? – Sussurrò.

- Edward – Non aprii gli occhi, le sue dita ancora ad accarezzarmi.

- Sei stato tu a salvare mio fratello questa mattina, vero? – Nella voce un sorriso.

Spalancai gli occhi.

- T- tu sei … -

- La sorella di Marc – Abbozzò un sorriso.

- Isabella Swan – Esclamai stupito.

Tolse la sua mano dai miei capelli, come scottata. Si voltò dandomi le spalle, le braccia strette al petto, come se si fosse chiusa a riccio, come se fosse nel suo guscio.

- Già, Isabella Swan – L’amarezza trapelava da quella vocina sottile e melodiosa, il suo sguardo perso nel mare reso scuro dalla notte. Un piccolo riflesso sulla sua guancia, uno scintillio, mi fece riprendere dal mio stato di trance facendomi avvicinare a lei, spinto da chissà cosa. Era una lacrima quella. E capii che la stessa ragazza che quella mattina stessa avevo criticato senza neanche conoscerla, non era affatto come l’avevo disegnata io nella mia mente.

- E’ inutile chiederti come fai a conoscere il mio nome. Tutti di me sanno tutto. Tutti credono di sapere chi io sia soltanto conoscendo il mio nome! Tutti pensano che io abbia una vita perfetta, una sorta di favola quotidiana; soldi, fama, popolarità, un brillante futuro ad aspettarmi ed una villa a tre piani in cui dare feste scabrose in modo da uscire in prima pagina sui giornali. Quei maledetti pezzi di carta che si credono in diritto di giudicare! Tutti sono bravi a giudicarmi, a giudicare le mie scelte, a criticarmi. Tutti vogliono conoscermi, farsi vedere insieme alla figlia dello stramilionario ereditiere che adesso se la fa con una donna avida e senza scrupoli o senza alcun interesse per i figli del compagno che è almeno 20’anni più giovane di lui. Tutti sono bravi a parlare, tutti sanno dire di essere miei amici e poi pugnalarmi alle spalle e parlar male si me non appena mi volto. Tutti. Ma nessuno mi conosce. – Le lacrime copiose le bagnavano il viso sempre rivolto verso l’orizzonte, i singhiozzi a scuoterle il petto. Perché il suo discorso ingarbugliato aveva lasciato trapelare tutta la sua sofferenza, tutto il dolore che le recava una vita dall’apparenza perfetta, una campana di vetro costruita ad arte dai commenti e dalle opinioni della gente che in realtà sapeva soltanto sparlare ed inventare mille scene su chi nemmeno si conosceva. Era tutta invidia la loro, un’invidia per qualcosa che credevano magnifico, per una vita che tutti sognavano: soltanto chi c’era davvero dentro poteva capire, e magari apparire anche un ingrato perché non contento di tutto quello che possedeva. Ma a volte le cose futili non erano le più importanti, i soldi non compravano l’affetto … molte volte la superficialità era soltanto una buona maschera che nascondeva tante lacrime mai versate. Ed ora lei, le stava liberando. Si stava aprendo, stava parlando, si stava sfogando con me.

Ero dietro di lei, le mie mani sulle sue braccia, una scossa a pervadermi tutto non appena entrai in contatto con la sua pelle.

- Scusami – Mormorò asciugandosi gli occhi da quelle piccole perle d’acqua salata che non volevano smetterla di rigarle il viso d’angelo.

- Me la sono presa con te, non avrei dovuto tu non c’entri niente, è solo che.. – Non finì la frase, i singulti a scuoterla forte.

- E’ solo che a volte hai così tante cose da dire che il silenzio ti sembra l’unica opzione possibile. Un silenzio che grida, che ti spacca i timpani ma che nessuno sembra ascoltare. E’ solo che il mondo che conosci giudica l’apparenza ed ogni tua scelta soltanto per capriccio, sentendosi in diritto di sparlare e spettegolare sulla tua vita come se fosse di dominio pubblico. E’ solo che a volte l’ unica cosa che vorresti fare è gridare a tutto il mondo di andarsene a fan culo, di lasciarti in pace, rinfacciargli che lui non sa nulla di te, che non conosce chi si nasconde dietro un finto sorriso fatto alla stampa o un discorso ben tenuto al solo fine di far sentire agli altri solo ciò che loro vogliono. Perché non c’è mai stato nessuno per ascoltare quelle parole che troppe volte sono state sul punto di abbandonare le nostre labbra, ma che non hanno mai avuto la forza di lasciare. – Quelle parole le avevo sussurrate, ma era stato come un urlo a squarciare il silenzio e la quiete della notte. La sentii trattenere il fiato, si voltò verso di me, gli occhi gonfi e rossi, le gote bagnate, le sue dita affusolate a stringere forte la mia maglia, la sua fronte sulla mia.

- Parlami. Sono qui per ascoltarti. –

**

Angolo dell’autrice

Si, finisce così. Ho deciso di lasciare il finale aperto, lasciate pure correre la vostra fervida fantasia! XD Non so onestamente da dove viene fuori questa one-shot, avevo ogni singola scena impressa a fuoco nella mente, ho dovuto scriverla per forza! *_*
A riguardo, sinceramente non ho da dire nulla, credo che questa storia parli da sé … certo, se se ne capisce il senso! XD Non so se sono riuscita ad esprimermi come volevo durante lo svolgimento e il corso della fic, ma … ormai è fatta e a dirla tuta non ne cambierei una sola riga! Forse per alcuni di voi la rezione di Bella potrebbe risultare alquanto esagerata, ma vi assicuro che essere  criticati da persone che di voi non sanno nulla, se non il nome e cognome, è davvero una sensazione orribile. Certo, io non sono la figlia di uno stramilionario ereditiere, ma so cosa significa l'essere giudicati da genete invidiosa e cattiva. L'unica alternativa che resta quindi, mandare tutto e tutti al diavolo: loro parlano, ma io mi continuo la mia vita! Per Bella non è così. Ogni minima cosa che fa i giornalisti la riportano nei loro articoli ingigantendola e facendola diventare quallo che non è, magari facendo passare lei per chissà cosa. Mandare al diavolo anche loro? E come potrebbe? Rischierebbe di rovinare la sua bella maschera di cera, quella perfetta col finto sorriso stampato su e che non può togliere perchè rischierebbe di gettar fango al sul padre, deve difenendere e occuparsi di un fratellino e accettare in silenzio di convivere con una donna sconosciuta che sta con suo padre e che è molto più giovane di lui, con una madre finita  poi chissà dove. Okay, mi sono lasciata un po' trascinare dalle parole! xD Scusate! Beh, spero che qualche anima pia sia arrivata fin qui e lasci una piccola recensione, mi farebbe davvero piacere! ^_^

Un bacione! <3

rrrossi

**

L'albergo esiste davvero!  :

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