“Jeffrey, non credo arriverà presto il giorno in cui qualcuno riuscirà a
fregare quel birbante di Ricki Lockwood.”
Da Let it slide.
Waiting for the moon.
You're not alone, together we
stand
I'll be by your side, you know I'll take your hand
When it gets cold and it feels like the end
There's no place to go, you know I won't give in
Keep holding on. Avril Lavigne
“Tyler?”
Il sole era ancora alto nel cielo quando Tyler Lockwood decise di
incamminarsi verso la cripta. Con un sospiro di rassegnazione, l’uomo baciò la
moglie sul capo, badando bene a non parlare troppo forte.
“Non voglio che Ricki mi senta” sussurrò, sfiorando l’orecchio della donna
con le labbra.
“Stai già andando?”
Un lieve alone di tristezza attraversò le iridi chiare della donna. Tyler
annuì.
“Fai attenzione” si raccomandò la moglie. Erano le stesse parole che gli
rivolgeva ogni mese, di pomeriggio, la vigilia della luna piena. Mentre il
silenzio vegliava il sonno dei suoi figli, la signora Lockwood sfiorava con
tenerezza il viso del marito e si lasciava stringere, consapevole del fatto che
quella notte avrebbe dovuto fare a meno del calore di quelle braccia attorno al
suo corpo. Consapevole del dolore che attendeva puntualmente l’uomo al sorgere
della luna nel cielo.
“Ti amo” aggiunse, sorridendogli con dolcezza. Quel sorriso era la
ragione per cui Tyler aveva perso la testa per lei sin da subito: era un
sorriso sincero e luminoso. Un sorriso che gli ricordava qualcuno, qualcosa. Un
dettaglio del suo passato sui cui amava soffermarsi spesso, specialmente in
quei pomeriggi solitari che precedevano l’arrivo della luna.
“Anch’io” rispose, per poi sfiorarle l’ultima volta una guancia. “Non
farli avvicinare alla cripta” si raccomandò infine, scoccando un’occhiata
furtiva alle scale che portavano alle camere dei suoi figli.“Tornerò
presto.”
***
L’erba scricchiolava in maniera più innaturale del solito. Tyler camminò una
decina di minuti, prima di scorgere una coppia di scarpe da ginnastica
avvicinarsi a piccoli passi silenziosi.
“Ti ho preso!” dichiarò con un sorriso furbo, allungando il braccio dietro
di sé. Riconobbe all’istante il corpicino esile del suo primogenito e se lo
caricò sulle spalle, ignorando i piccoli pugni di protesta del bambino.
“Lasciami, orco!” si lamentò Richard sgambettando con furia, tentando di
divincolarsi dalla presa del padre. “Lasciami!”
“Orco?”
Tyler inarcò un sopracciglio con aria divertita, afferrando il bambino per
i fianchi. “Mi hai chiamato orco? Sei tu quello puzzolente, non io. Quando è
stata l’ultima volta che la mamma ti ha fatto il bagno?” domandò, incominciando
a fargli il solletico e cercando di evitare i calci per nulla innocui del
figlioletto.
“Mille anni fa!” dichiarò Ricki, ridacchiando. Si allungò fra le braccia
del padre per riuscire ad afferrargli la testa. “Anzi, duecento!” si corresse
poi con aria soddisfatta, sfregando il piccolo pugno contro il capo del padre.
“No. Quello te lo posso fare solo io!” lo ammonì Tyler, incominciando a
strofinare la testa del bimbo.
“Dai, papà!”
Ricki scosse il capo in fretta cercando di difendersi dall’attacco
dell’uomo.
“Smettila!”
“Che ci fai qui, mascalzone? Sai benissimo che nei giorni speciali di papà tu non devi uscire
di casa” ricordò l’uomo, depositando il figlio a terra. Lo squadrò con aria
seria: Ricki ricambiò lo sguardo con altrettanta intensità e diede una
scrollata di spalle.
“Voglio venire con te, papà” ammise infine, afferrandogli la mano e
tirandola con forza. “Voglio aspettare la luna con te.”
Nell’udire quelle parole, Tyler si irrigidì immediatamente. La sua
espressione si fece nervosa, mentre i rumori che li circondavano assumevano
d’un tratto una cadenza più sinistra, preoccupante, alle sue orecchie.
“Ehi, campione” mormorò, inginocchiandosi in maniera da poter avere gli
occhi di Ricki alla stessa altezza dei propri “Chi ti ha parlato di questa
storia della luna?”
Ricki sorrise con aria da birbante e arretrò velocemente, come faceva
sempre quando voleva prendersi gioco di qualcuno.
“No, ehi! Ricki, guardami: non sto scherzando. Chi ti ha detto queste
cose?”
Le due paia di occhi scuri si scrutarono con diffidenza. Ricki chinò il
capo e si arrese al tono autoritario del padre.
“Ho sentito la mamma che lo diceva l’altro giorno. Diceva se poteva venire
ad aspettare la luna con te, e tu hai detto di no. Allora ho pensato che ci
potevo venire io” spiegò con aria, incominciando a giocare con de dita
dell’uomo. “Io sono più forte della mamma!”
Tyler lo osservò a lungo, non sapendo che cosa rispondere. Esaminò con
attenzione le piccole mani di Ricki, che si intrecciavano alla sua. Contemplò
quegli occhi scuri e molto spesso schivi che il bambino aveva ereditato da lui
e il sorrisetto scaltro, da birbante, che Richard Jr. non perdeva mai occasione
di esibire. Era un bimbetto allegro, un gran chiacchierone. Era piuttosto
diverso rispetto a come era stato lui alla sua età.
“Senti, Rick” incominciò in tono di voce più tranquillo, avvertendo con un
certo disagio le prime avvisaglie della luna incombente minacciare il suo
auto-controllo. “Il posto in cui sto andando non è adatto a dei bambini. Non lo è nemmeno per
i ragazzini in gamba come te.”
“È pericoloso papà?” domandò Ricki, con un
pizzico di curiosità nello sguardo. “Aspettare la luna fa paura?”
“Fa paura, sì” ammise Tyler con un sorrisetto amaro, contemplando
l’ingenuità del bambino. “Ma passa in fretta. Vedrai che domani arriverà in un
baleno. Nel frattempo, però, chi si prenderà cura della mamma, di Care e di
Mase? Ho bisogno di qualcuno abbastanza sveglio.”
“Posso chiedere a Jeff, papà!” propose Ricki con aria pratica,
agganciandosi alla mano del padre. “Può aiutare lui Care con i compiti, mentre
io e te aspettiamo la luna. E può giocare con Mase: a Mason piace Jeff.”
“A Mason piacciono praticamente tutti” commentò Tyler con un guizzo
divertito nello sguardo, prima di scoccare un’ultima occhiata indecisa al suo
primogenito. Tirò fuori il cellulare per controllare l’ora: le quattro. Erano
solo le quattro.
“E va bene” si arrese infine, ridendo della scintilla di trionfo che andò a
intrufolarsi nello sguardo del figlio. “Accompagnami per un po’. Ma quando
arriverà il momento di tornare a casa voglio vederti correre veloce come un
fulmine, hai capito? Te ne torni a casa e non ne esci fino a domani mattina.
Sono stato chiaro?”
“Sì, papà!” dichiarò Ricki con decisione, incominciando a saltellare,
ancora saldamente aggrappato alla mano dell’uomo. “Tu hai paura papà?” domandò
improvvisamente, mentre padre e figlio riprendevano a camminare. Tyler valutò
la sua domanda per un attimo.
“Molta” ammise infine, stringendo con più forza la mano del figlioletto. “Te
lo aspettavi? Tuo padre è un gran fifone” si prese in giro da solo, ben sapendo
che la cosa avrebbe fatto divertire il figlio.
“Per questo vengo con te!” dichiarò invece Ricki, facendo oscillare il
braccio cui mano era allacciata a quella del padre. “Così aspettiamo assieme.
Se ci sono io hai un po’ meno paura, vero? Vero, papà?”
Ricki aveva l’abitudine di ripetere più volte alcune parole, in
particolare, i termini ‘mamma’ e ‘papà’. Era un dettaglio che a Tyler faceva
sempre sorridere: lo incantava il linguaggio infantile dei suoi figli. Amava
ascoltare la risata contagiosa della piccola Caroline e ridere intenerito con
la moglie del balbettare cronico di Mason Jr. Li amava: sin dal primo giorno in
cui aveva stretto fra le braccia il corpicino di Richard, il suo primo figlio,
Tyler si era reso conto di non aver mai provato un amore così grande in vita
sua. Non si sarebbe mai privato di quella gioia, di quello spiraglio di sole in
mezzo ai pallidi raggi lunari. Sapeva che la sua seconda natura era una
minaccia per loro, per la moglie e i tre bambini. Suo padre probabilmente non
avrebbe mai approvato la scelta di farsi una famiglia in quelle condizioni, ma
lui non era suo padre. Di errori ne aveva fatti molti in passato e la decisione
di avere dei figli non era sorta con facilità. Il pensiero di poter fare del
male a sua moglie e ai suoi figli lo terrorizzava più della maledizione stessa.
Ogni notte di luna piena, Tyler si piegava al suo volere, servendola, ma
pregando in silenzio di riuscire a controllarsi almeno in parte. Sperando di
essere abbastanza forte, da riuscire a proibirsi di abbandonare quella cripta.
“Papà? Papà?”
Tyler scacciò via i pensieri ingombranti e si voltò in direzione del figlio:
Ricki lo stava osservando con espressione indispettita. Il padre rimase a lungo a contemplare quegli occhi
cerchiati d’innocenza, domandandosi se un giorno anche suo figlio avrebbe
dovuto affrontare lo stesso destino che aveva condannato lui.
“Tu non hai proprio paura di niente, vero Ricki?” chiese, arruffandogli i
capelli. Richard scosse il capo, riprendendo
a saltellare.
“Già! Non ho paura dei serpenti e dei mostri. E degli orchi. Non ho
paura neanche di te!” aggiunse, pur sorridendo a mo’ di scusa subito dopo. Ricki
rispettava suo padre, ma non ne aveva paura e le sue parole ingenue sollevarono
istintivamente il morale di Tyler mentre la mano del ragazzino tornava ad a
stringere la sua. “Però, se vuoi, posso avere anche io paura della luna”
aggiunse improvvisamente, aggrottando le sopracciglia con fare pensieroso.
“No. Non averne” rispose il padre, continuando a camminare con il bimbo a
fianco. “Non averne mai, Ricki.”
“Allora non ce la devi avere neanche tu: neanche tu, papà” lo ammonì il
figlio con aria seria, scuotendo il braccio del padre. “Se ci sto io con te non
hai paura. Vero?” ripeté ancora una volta, non avendo ottenuto risposta.
Tyler sorrise; si accorse che c’era qualcosa di diverso nel modo in cui
Ricki gli stringeva la mano quel pomeriggio. Era un tocco più deciso, più
vigoroso. Era come se il figlio stesse tentando di prendere le sue veci,
incoraggiandolo a non avere paura. Quel bambino così piccolo si sforzava di
fargli sentire la sua presenza, sottolineando le parole con i gesti. Con la
manina del figli stretta alla sua, Tyler accolse dentro di sé la sensazione di
non essere solo, di avere degli alleati nella sua battaglia contro la luna.
“Non ho più paura Ricki” lo rassicurò, rivolgendogli un sorriso sincero. “Grazie.”
Ricki fece spallucce come a voler minimizzare, seppur sorridendo
orgoglioso; era fiero del fatto che la sua presenza potesse essere in qualche
modo d’aiuto al padre.
“Papà” incominciò dopo qualche minuto, chinando poi il capo con aria
imbarazzata. “Papà, se vuoi posso aspettare di nuovo la luna con te, quando
succede di nuovo. Penso che mi viene bene, sai? Prima avevi la faccia triste e
ora invece sorridi.”
Tyler si fermò, colpito dalle parole del figlioletto.
“Davvero?” domandò, inginocchiandosi di fronte al bambino.
Richard chinò ulteriormente il capo, come a volersi nascondere dallo sguardo
del padre.
“Forse non hai paura con me…” incominciò, sorridendo con la timidezza
genuina di un bambino piccolo.“… Perché mi vuoi bene.”
Tyler gli rivolse un’occhiata sorpresa: Ricki non era il genere di
ragazzino che amava fare quel genere di confessioni. In quello aveva preso da
Tyler.
Eppure eccolo lì, la testa china e le mani a giocherellare con i laccetti
della maglia del padre.
“Certo che ti voglio bene” ammise il padre, attirandolo a sé in un
abbraccio. Ricki si aggrappò a lui affondando il visetto sorridente nella sua felpa.“E hai ragione quando dici che quando sto con te mi
passa la paura. Chissà perché non ci ho pensato prima!”
“Vuoi dire che posso venire ad aspettare la luna con te anche le
altre volte?” domandò Ricki rivolgendogli un’occhiata speranzosa. “Anche
se è pericolosa? Anche se Care e Mase crescono e diventano grandi come me,
posso venirci lo stesso io?”
“Perché no?” acconsentì infine Tyler, cingendo le spalle del bambino con un
braccio. “Sarai il mio accompagnatore ufficiale per il primo tratto di strada.
Adesso devi andare, però” concluse, scoccando un’occhiata inquieta alle fronde
degli alberi. Notò che, poco più in alto, il turchese del cielo stava
incominciando ad annerirsi.
“Di già?”
Ricki guardò su con aria imbronciata, analizzando attentamente le nuvole. “Ma
la luna non c’è ancora!” osservò poi, indirizzando al padre un’occhiata
furbetta.
Tyler rise.
“Dai, adesso vai” esclamò, “Hai l’occasione di dimostrarmi che sei il
bambino più veloce del mondo.”
“Non del mondo, dell’universo!” precisò Ricki, allargando le braccia in
orizzontale. “Mase non riuscirà mai a correre veloce come me!”
“Mase non ha nemmeno tre anni” gli ricordò Tyler, placcando i movimenti del
bimbetto che gli era appena saltato in braccio. “Prima o poi crescerà: non ti
conviene cantar vittoria troppo presto.”
“Quando crescerà, io sarò ancora più veloce!” annunciò Ricki soddisfatto,
schiacciando le guance del padre con le mani. “Allora adesso vado” aggiunse
poi, allentando finalmente la presa e osservando con un sorriso soddisfatto il
padre che si massaggiava la mandibola. Tyler lo ascoltò ridere, avvertendo poi
con nervosismo la luna farsi sempre più vicina.Avrebbe
voluto restare con Ricki un po’ più a lungo. I gesti d’affetto spontanei del bambino
avevano tenuto lontana la sensazione di inquietudine che conciliava con
l’attesa della luna piena.
Tuttavia, era giunto il momento di lasciare andare quella manina.
“Adesso vai.”
Tyler ripeté le parole del figlio, depositandolo a terra.
“Sorprendimi!” dichiarò a quel punto
Tyler con un sorriso, scompigliando i capelli del figlioletto.
Ricki, che si era chinato preparandosi a una partenza ad effetto, gli
rivolse un’occhiata confusa.
“Che vuol dire, papà?”
“Voglio vedere le foglie che si alzano da quanto corri veloce. Puoi farlo?”
Ricki annuì in fretta, tirando poi fuori la lingua con aria furbetta.
“Posso farlo, papà!”
“Allora vai. Parti!”
Con un ultimo sorriso in direzione del padre il bimbo si diede la spinta e
incominciò a correre, attraversando a ritroso il bosco che non distava poi così
tanto dalla tenuta dei Lockwood. Tyler lo osservò allontanarsi in silenzio, le
mani in tasca e un lieve alone di riconoscenza a illuminare i lineamenti del
suo viso. Il cielo si era leggermente oscurato e, se prestava particolare
attenzione ai rumori del bosco, poteva riconoscere l’innaturale silenzio che lo
avvolgeva ogni pomeriggio antecedente alla luna piena.
Ma quel giorno in particolare il silenzio era stato spazzato via dalla
risata genuina di Ricki. Dalle sue osservazioni affettuose prive di logica, ma
terse di premure e attenzioni nei confronti dello stesso Tyler.
E nonostante il cuore incominciasse ad accelerare i propri battiti mentre i
suoi piedi tastavano la superficie polverosa della cripta, l’uomo non
riuscì a non sorridere, nonostante tutto.
La risata di Ricki gli risuonava ancora nelle orecchie.
E a Tyler questo bastava.
Nota dell’autrice.
Da
quando Ricki Lockwood ha fatto
breve comparsa per la prima
volta in “Let it slide” ho sempre saputo
che prima o poi avrebbe fatto nuovamente capolino fra le mie storie con un ruolo da vero protagonista.
Così come ho dato in un certo
“lieto fine” a Matt, avevo bisogno di fare lo stesso anche con Tyler. Tyler che sarà costretto a convivere con la sua condizione di licantropo anche in un eventuale futuro. Lo immagino come un papà un po’ mattacchione.
Un papà “orso” come dice Lizzie_siddal, che ringrazio per gli incoraggiamenti e il chilly-stendice sempre all’erta (sei bella xD).
E ringrazio anche Lady Aika che ha minacciato più volte di rubarmi i Lockwood durante la stesura.
Ricki
è il solito birbantello come avevamo già potuto intuire
in Let it slide. In realtà, il piccolo non ha idea di
che cosa possa significare quell’ ‘aspettare la luna’. Probabilmente nella sua testolina, il papà è una
specie di supereroe che sconfigge i cattivi
durante le notti di luna piena. Ciò
che importa è che avevo bisogno
di qualcuno che continuasse a rincuorare Tyler in
quei momenti anche da adulto e l’innocenza di un bambino mi sembrava
perfetta.
Per
chi non ha letto Let
it slide, o non segue History Repeating
– The Next Generation of The Vampire Diaries, Jeff (che
nomina Ricki da qualche
parte) è il migliore amico di Ricki, nonché primogenito di Matt e di Elena.
Non
mi dilungo molto e scappo al lavoro.
Un
abbraccio
Laura