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Autore: Hero98    26/07/2011    2 recensioni
Mi hanno detto che per chiarirsi le idee e superare situazioni difficili bisogna scrivere un diario. Ecco perché ora sto scrivendo. Non ho mai tenuto un diario prima d’ora perciò non so bene come comportarmi… Magari inizio dicendo chi sono. Mi chiamo Ilaria e sono la player di Alfred F. Jones. Cos’è una player vi starete chiedendo… è una persona che decide di stringere un legame con un personaggio di un anime, manga, videogioco… e vive praticamente ventiquattr’ore su ventiquattro con lui. Ormai sono 10 anni che sono la player di Al. Non ho mai voluto così bene a una persona e mi sono così affezionata a lui che non posso immaginare la mia vita senza. Ed è questo il problema. Siamo cresciuti e lui ormai è un uomo e come tale si è innamorato e fidanzato, trascurandomi come non aveva mai fatto prima d’ora. E sento che il nostro legame per quanto sia forte si stia iniziando a sfilacciare. E ho paura. Ho paura di perderlo. Ho paura di perdere il mio unico grande amico. La mia vita. Pensando a ciò mi è venuta voglia di ripercorrere il nostro rapporto dall’inizio. Da quando ci siamo conosciuti.
Genere: Commedia, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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E’ stato un’incontro strano ed ero anche molto piccola… Avevo soltanto tre anni e lui ne aveva nove, il triplo.
Era inverno, ero in strada a giocare con la neve con alcuni amichetti dell’asilo, giocavamo a fare pupazzi di neve ed io ero molto entusiasta di quell’idea. Adoravo usare la fantasia e inventarmi cose che gli altri non si sarebbero mai aspettati di vedere o immaginare. Ero lì che modellavo la neve prima in una grande palla poi in una più piccola e alla fine la modellavo nei minimi dettagli. Ecco una bella bocca sorridente, un nasino all’insù e due grandi occhi dolci e rassicuranti. Aveva anche fatto una sciarpa con le foglie degli alberi e usato dei rami per le braccia. Mancavano solo i capelli. Come potevo farli?
Nel frattempo i bambini che giocavano con me si incuriosirono e mi chiesero: “E questo qui, chi sarebbe?” Aspettavo da molto quel momento, spiegare agli altri le mie creazioni era l’obiettivo che mi ponevo ogni giorno. Sorrisi e risposi: “Lui non è un semplice pupazzo di neve. Lui è il MIO pupazzo di neve! Non so ancora come si chiama ma so che con lui ci divertiremo un mondo! E’ un golosone e gli piace scherzare, non vi sta simpatico?” Ah, la fantasia… adoravo quella parola. Fantasia. Senza quella come potevo vivere? Peccato che i bambini non conoscevano il significato di quella parola come molti dopotutto. Vorrei spiegarvelo per evitare incomprensioni. La fantasia è ciò che si ha nel cuore. Ora penserete: “Ah che noia, è arrivata la filosofa che ci vuole dare le dritte su come vivere e spiegarci la cose anche se non è nessuno in realtà!” e condivido pienamente questa reazione. Io non sono nessuno. Ed è per questo che uso la fantasia. La fantasia può permettere anche a un pupazzo di neve di essere qualcuno. E’ così nella mia fantasia posso anche volare, essere imperatrice del mondo, andare alla scoperta dell’universo… insomma posso fare tutto ciò che non si può fare nella realtà. Ma mai la fantasia deve invadere la realtà. Se questo accadesse noi non sapremmo più chi siamo realmente. Io allora non sapevo esattamente chi ero. Sapevo solo di chiamarmi Ilaria e di essere una bambina di tre anni che adora giocare. E basta.
Fu così che fui canzonata da dei bambini: “Ilaria si inventa le cose! Ilaria non sa essere seria! Ilaria non fa ridere!” E mi lasciarono sola fra le lacrime vicino a quello stupido pupazzo di neve senza capelli. Non avevo più amici e la cosa mi rendeva tremendamente triste. Ed ero sola. E come se non bastasse iniziò a nevicare. Avevo freddo quindi mi accoccolai su una panchina lì affianco e mi strinsi le ginocchia tenendo la sciarpa sopra la bocca. I miei occhi erano gonfi e rossi e le guance, rosse anch’esse ma per il freddo, erano rigate dalle lacrime. Ed è così che mi trovò Alfred. In quello stato pietoso da lui definito tenero e coccoloso.
Arrivò sorridendo con un hamburger in mano e si sedette affianco a me sulla panchina gustandoselo. Io mi ero accorta che era arrivato qualcuno perciò alzai la testa e lo osservai. Era veramente buffo. Aveva la faccia paffuta e due grandi occhi azzurri che occupavano la maggior parte del suo viso. I capelli poi… biondi con due ciuffi che facevano da contorno alla faccia e sulla riga spostata leggermente a destra spuntava un ciuffo a forma di virgola. Non so perché ma rimasi molto colpita da quei capelli. Avevo voglia di tirargli quel ciuffetto per sapere com’era fatto, mi incuriosiva molto.
Lui si accorse che lo stavo guardando e mi sorrise. Che bel sorriso, dolce e sereno, proprio come quello del MIO pupazzo di neve. Io non avevo voglia di sorridere, stavo ancora piangendo e avevo freddo. Dopotutto stava nevicando. Ma cosa ci faceva lì un ragazzino di nove anni da solo a mangiare hamburger? Continua a sorridermi e non capivo il perché.
“Cosa fai qui?” mi decisi a chiedere infine, con una voce un po’ rauca e nasale che era smorzata leggermente dai singhiozzi. Dopotutto non avevo ancora smesso di piangere. Lui continuando a sorridere prese un fazzoletto e me lo porse. Poi, dopo che mi asciugai le lacrime e mi soffiai il naso, finalmente mi rispose sempre sorridendo: “Mangio hamburger!” Lo guardai perplessa. Questo l’avevo capito. E credevo lo sapesse anche lui così pensai volesse prendermi in giro.  Sbuffai. Non ero dell’umore giusto per scherzare ma lui continuava a guardarmi sorridendo così decisi di stendere un velo pietoso su ciò che mi aveva detto prima e di riformulare la domanda in modo diverso: “No, intendevo dire come mai sei qui a mangiare hamburger da solo mentre nevica?” Lui mise il dito indice sul mento e restò così per un minuto. Stava pensando. Possibile che non sapesse neanche lui cosa ci faceva lì?
Finalmente parlò: “Uhm… diciamo che mi piace stare all’aria aperta anche con la neve. E poi avevo bisogno di tranquillità!” poi indicò il mio pupazzo di neve. “Quello l’hai fatto tu?” sorrideva e aveva gli occhi che brillavano. Doveva piacergli molto. “Si” risposi “ma non mi piace… è la causa di tutti i miei problemi.” Non sapevo perché ma avevo voglia di confidarmi con quel ragazzino. Mi ispirava fiducia. E poi mi avrebbe fatto bene sfogarmi. Lui sorridendo mi porse un hamburger. Non chiedetemi da dove lo tirò fuori perché non saprei rispondervi. Presi l’hamburger e lo morsi. Era così caldo. E buono. “Sai, mi piace usare la fantasia, avevo inventato quel pupazzo di neve per dargli un’anima e una personalità e per far divertire così i miei amichetti… Ma a quanto pare non hanno apprezzato. E’ un inutile ammasso di neve!” mi accorsi di aver ricominciato a piangere. Lui mi guardò e sorrise. Cosa c’era di divertente? Una persona che piange non mi sembra divertente.
“Sei molto tenera e coccolosa e mi viene voglia di abbracciarti!” questo è tutto ciò che disse un attimo prima di stringermi fra le sue braccia. Ero sorpresa. Perché aveva fatto una cosa del genere? Non ci conoscevamo e di solito non si abbracciano le persone con cui non si ha confidenza. Eppure mi sembrava di conoscerlo da tanto tempo. Quel suo abbraccio era così caldo e confortante. Mi sentivo come dire… protetta. “Perché stai facendo questo?” non riuscii a trattenermi, dovevo chiederglielo. “Te l’ho già detto, perché sei tenera e coccolosa!” sciolse l’abbraccio e andò davanti al MIO pupazzo. “Certo che è davvero bello… peccato solo che non ha i capelli!”
Ero ancora immobilizzata. Dovevo riprendermi da ciò che era appena accaduto.
Ricapitolando ero stata abbandonata ma un ragazzino misterioso era arrivato e si era preso confidenza. Per giunta mi sembrava di conoscerlo da sempre.
Andai anche io vicino al pupazzo e gli diedi un calcio “Non avrei mai dovuto costruirlo!” E stavo per dargliene un altro ma il ragazzino mi fermò. “Non distruggere una cosa che hai creato solo perché non ti ha soddisfatta. Dagli un’altra possibilità, prima di tutto completandolo. Fagli i capelli!” E sorrise per l’ennesima volta. Guardai il MIO pupazzo di neve. Era molto bello per essere stato fatto da una bambina di tre anni. “Non so che taglio di capelli fargli” dissi. Non riuscivo davvero a capire come coprire quella testa bianca. “Pensaci bene e lo capirai! Dopotutto è una tua creazione!” Ci pensai molto. Alla fine mi decisi e iniziai a modellare la neve sopra la testa del MIO pupazzo. Terminato si vedeva un caschetto che gli dava l’aria molto seria. Ma non mi piaceva. Il MIO pupazzo doveva essere allegro non una persona noiosa con un banale caschetto. E fu allora che mi venne un lampo di genio.
Guardai il ragazzino al mio fianco che continuava a sorridere, poi presi un po’ di neve e la modellai sopra il caschetto del pupazzo. Ed ecco qui che si materializzò un ciuffetto a forma di virgola sulla sua testa. Ora si che aveva l’aria simpatica. Sorrisi. Metteva allegria solo a guardarlo. Allora chiesi al ragazzino sorridente: “Come ti chiami?” E lui rispose: “Alfred F. Jones e sono l’eroe!” Lo guardai sbigottita. Lui era un eroe?
“Cos’è un eroe esattamente?” ero molto curiosa della risposta che mi avrebbe rifilato. “Be’, un eroe è una persona che aiuta le persone in difficoltà e cerca di proteggere le persone care.” Quella risposta mi piacque tantissimo. Lo guardai con ammirazione. Era solo un ragazzino di nove anni.
“Io sono Ilaria.” Affermai con sicurezza. Finalmente avevo capito chi ero veramente. Ero, e sono tutt’ora, Ilaria, non una ragazza qualunque, non un’Ilaria qualunque. Sono Ilaria, la player di Al.
 
A proposito lo sapete che fine ha fatto il pupazzo di neve? Ha vinto un concorso per il più bel pupazzo di neve della città ed è stato esposto in un museo cittadino. Ebbene si, quello è il MIO, e ripeto MIO, pupazzo di neve. MIO e di nessun altro.
   
 
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