Una risata, priva di gioia e di vita. Una risata fredda, folle.
La risata di un’anima consumata. Consumata dall’ossessione.
I ricci capelli neri, resi crespi dalla sporcizia, sembrano aver dimenticato la loro antica bellezza, come anche il viso, un tempo nobile e fine, ma ora reso scarno e pallido da quel desiderio maniacale che rincorre l’anima ormai sfinita.
E ride, ride ancora, ride della sua ennesima vittima: un bambino, punito perché privo di alcun potere magico.
Punito perché inferiore.
<< Tesoruccio della mamma, adesso, finalmente, fai la nanna… >> Canticchia, la voce stridula e gelida, gli occhi sgranati, privi di qualsiasi traccia di umanità.
E un’altra risata, acuta, giunge a trascinare via anche l’ultima traccia dell’essere umano che fu.