La
luna le illuminava la pelle olivastra che faceva contrasto con le da carcerata e i capelli arruffati. Lo sguardo perso nel
vuoto che fissava un punto indefinito in quel cielo stellato.
Si
alzò dalla panca cigolante, togliendo le schegge che si erano attaccate al
vestito e le fissò, come se queste avessero appena commesso chissà quale reato.
Eppure
erano delle semplici schegge di legno. Niente di più.
Si
adagiò sulla lettiga, disgustata dallo stato in cui si trovava il materassino
ormai consumato, e guardò fuori dalla finestra, tra le sbarre. Non si
avvicinava alla finestra ormai da tempo, non appena le
sbarre di ferro venivano sfiorate un’orda di Dissennatori.
Azkaban
era così. Ormai era la sua casa, nonostante il solo pensiero di quel posto le
facesse venire dei conati di vomito.
Odiava
letteralmente quel posto, ma sapeva che presto sarebbe stata di nuovo libera,
accanto al suo Signore, come sempre.
Sentiva
che lui stava per tornare, più forte di prima e il
solo pensiero la rendeva impaziente. Sentiva che il marchio, il tatuaggio che
si trovava sul suo braccio bruciava delle volte, segno che la rinascita era
vicina.
Doveva
solo pazientare e sarebbe stata ricompensata.
E
un anno dopo accadde. Il marchio bruciò come i vecchi tempi, l’Oscuro Signore
era davvero risorto. Dissennatori volavano impazziti
attorno alla prigione di massima sicurezza dei maghi. Evasioni, esplosioni.
Si,
lui era tornato. Tornato per prendersi ciò che era suo, tornato per distruggere
Potter e essere il più grande mago Oscuro di tutti i
tempi.
Si
affacciò alla finestra con le sbarre, senza più
timore. Sentiva che da li a poco sarebbe stata libera
e che quegli esseri che forse un po’ temeva presto sarebbero stati al suo
servizio.
Scoppiò
in una risata isterica, era felice. Terribilmente felice e pronta a incontrare
di nuovo il suo signore.
Sempre
un anno dopo un’esplosione la svegliò dal suo sonno. Aria gelida e gocce di
pioggia le caddero sul volto. Si voltò per guardare verso quella finestra che
in quegli anni di prigionia era diventata una nemesi, un’amica delle volte e
non la vide. Al suo posto vide un panorama diverso.
Una
schiera di Dissennatori che volavano in giro, senza rispondere al controllo
delle autorità. Macchie nere volavano in giro per il cielo scuro, coperto solo
da nuvole. E li riconobbe, i suoi compagni più fidati.
“Mangiamorte”
sussurrò esaltata, con un pizzico di eccitazione nella voce. Era libera, lui
era tornato e la voleva di nuovo al suo fianco, ecco la spiegazione che era
presente nella mente di Bellatrix.
Prese
la mano di uno di questi e venne subito
smaterializzata in una casa sontuosa, troppo grande per le persone che vi
vivevano al suo interno.
Si
guardò intorno, sfoggiando un sorriso beffardo e dimenticando per un momento
che indossava ancora le vesti da carcerata.
Si
bloccò in mezzo alla strada, sbarrando gli occhi.
“Non
posso presentarmi al signore Oscuro così, esigo che mi
vengano portate le mie vesti” urlò furiosa.
Si,
era furiosa. Non poteva sopportare che fosse vestita come..una
pezzente. Lei era Bellatrix Lestrange, fiera
purosangue con un odio senza confronti nei confronti dei Mezzosangue.
Predicava
la purezza del sangue, desiderava un mondo nel quale i maghi fossero con il
sangue puro e non contaminato da quei rifiuti che altri chiamavano
Babbani.
Ecco, questa era la sua filosofia, condizionata dal pensiero del Signore Oscuro.
Ma
lei avrebbe fatto di tutto per lui, per apparire brillante ai suoi occhi.
Per
alcuni era troppo servile, ma lei apprezzava il modo in cui il suo Signore
sussurrava il suo nome, il modo in cui la premiava.
Si,
per lei era tutto.
Aveva
rinunciato alla libertà per servirlo, senza rinunciare
alle sue idee.
Se
fosse stata libera avrebbe sicuramente portato avanti
il messaggio di Voldemort, senza tirarsi indietro come avevano fatto in molti,
tra cui il marito della sorella, Lucius.
Il
suo flusso di pensieri venne interrotto da un elfo che
le porse i suoi vestiti tutto tremolante. Aveva paura di lei e questo le
piaceva. Amava incutere terrore nelle altre persone, razze o quello che erano.
Prese le vesti strafottente e lanciò un’occhiata
all’elfo “Sparisci, sudicio servitore” sibilò, contornando il tutto con una
pedata che fece cadere la povera creatura. Rise nuovamente, fiera delle sue
azioni e cercò una stanza dove cambiarsi prima che il
signore Oscuro la ricevesse.
Era
impaziente, il cuore (o quello che più vi si avvicinava) le batteva impazzito,
in trepida eccitazione.
Lanciò
la divisa da carcerata per terra e dopo essersi rivestita con i suoi indumenti neri sfoderò la bacchetta “Incendio” sibilò e gioì nel vedere i vestiti prendere fuoco.
Cancellava
così quella parte del suo passato.
Uscì
dalla stanza che aveva scelto e il rumore dei suoi tacchi, che tanto le era mancato, tornò nelle sue orecchie. Il suono
rimbombava nella stanza vuota.
Poi,
lo vide.
Di
spalle. Indossava una veste scura, che risaltava con il colore della sua pelle.
Era rinato, era davvero davanti ai suoi occhi.
Sentì
le gambe cederle e il suolo trovò contatto con il suo corpo “Mio..mio Signore” sussurrò con voce tremante.
Non
si aspettava di reagire così, non si aspettava di
sentire le lacrime scorrerle lungo il volto segnato dal tempo.
Il
più Oscuro di tutti i maghi, il suo Signore si voltò a guardarla. La fissò
negli occhi neri e ghignò. O almeno, tentò quello che tutti avrebbero
interpretato come un sorriso.
Che
fosse felice di vederla?
Non
era possibile. O forse si.
“Bellatrix”
disse solamente, porgendole il braccio ossuto per farla alzare. Per un momento
pensò che volesse abbracciarla, ma le alzò la manica del lungo vestito per
scoprirle il braccio con il marchio.
“Sei
una buona alleata Bellatrix, una degna servitrice” continuò puntando la
bacchetta sul Marchio Nero, sibilò qualcosa e si levò una risata generale.
Una
risata che forse simboleggiava vittoria, si, tutti i
vecchi compagni sarebbero tornati insieme.
I
giorni passarono così. Lei lo seguiva in tutto e per tutto, con il suo solito
tono servile, come se si prendesse cura..del suo
innamorato.
Oh
si, lei lo amava, lo amava più della sua stessa vita.
Si
sarebbe anche sacrificata per lui e questo il Signore
Oscuro lo sapeva, sfruttava quell’amore, sfruttava quella che era
un’ossessione.
E
gli piaceva, provava piacere nel sentire che qualcuno
lo venerava così.
Ma
non provava nient’altro.
Non
provava amore.
Non
poteva provare amore.
Lui, nato grazie ad un filtro d’amore e abbandonato
dallo stesso padre. No, ovvio
che non poteva provare un sentimento così grande, quel sentimento che non gli aveva permesso di toccare nemmeno la sua più grande nemesi.
Se
avesse provato amore sarebbe stato debole e dividere
la sua anima non avrebbe avuto alcun significato. Era immune a tutto, tranne
che a quello.
Nessuno
conosceva questa sua debolezza, o meglio nessuno dei suoi seguaci. Lo credevano
invincibile, immortale.
E
a lui piaceva.
Fissò
la donna, che come ogni giorno camminava al suo fiancò “Bellatrix, desidero che
tu mi faccia..un favore” sussurrò accarezzando Nagini,
il suo fidato serpente “troverai degli oggetti nelle segrete di questo
edificio, oggetti che per me valgono più della mia stessa esistenza” disse
facendo una pausa e fissando la servitrice negli occhi, sentiva il suo cuore
palpitare dall’emozione, si era disposta a tutto per lui “e vorrei che tu li
riponessi alla Gringott, nella tua camera si
sicurezza.”
“Oh
mio Signore, sarebbe un tale onore per me poterla servire nuovamente” rispose
lei, fiera di essere stata scelta.
Questo
doveva sicuramente significare qualcosa. Lui si fidava di lei, lui la amava, si
doveva essere per forza così.
Non
c’erano altre spiegazioni logiche.
Ma
Bellatrix non poteva sapere che quell’uomo, quello che lei serviva fedelmente
da anni, quello a cui dedicava la sua intera
esistenza, non amava. Non poteva amare, non conosceva l’amore e non l’avrebbe
mai conosciuto.
Anni dopo..
La
battaglia di Hogwarts.
Finalmente
avevano conquistato il potere, finalmente potevano regnare.
Potter
stava per cedere, ne era certa.
Nella
scuola di Magia e Stregoneria, che per lei era paragonabile a
Azkaban, i morti erano stati disposti in quella che
era la sala grande.
Si
era divertita a lanciare maledizioni su studenti innocenti, sui memebri dell’Ordine della Fenice, quelli rimasti.
“Avada..” stava per
urlare, mirando Ginny Weasley, la sporca traditrice del suo sangue.
Era
purosangue, era uno spreco per la razza pura.
“Non mia figlia! Tu cagna!” urlò una voce
femminile, profonda.
La
madre di quella stirpe di traditori, tutti con i capelli rossi, l’aveva
sfidata.
Aveva..aveva osato. Oh, se ne sarebbe pentita.
Lanciò
degli Schiantesimi che vennero
evitati.
Poi
una luce verde.
L’unica
luce verde che aveva conosciuto nel mondo della magia.
Non
sentì nulla, si guardò il petto, dove vide la bruciatura.
Fece
in tempo a ridere ancora, sguaiatamente. Per poi sparire, come una nuvola di
fumo.
Bellatrix
Lestrange sparì nel nulla, finita. Morta.
Lontano,
un urlo disumano squarciò l’atmosfera che si era creata.
In
Signore Oscuro sapeva, aveva sentito ciò che era successo e s’infuriò.
Ma
la sua furia, come tutti sanno, durò poco.
Venne
anche la sua fine.
E
nessuno, dopo anni, gridò più Morsmordre.