Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: daddadda    27/07/2011    2 recensioni
Ero un ragazzino disadattato, non per il fatto che non volessi socializzare. Semplicemente perché non andavo bene alla gente per come mi vestivo; un ragazzo tutto rose e fiori, peccato che questi fossero solo sempre neri o rosso sangue, scarpe nere, maglie strappate, pantaloni attillati, giudicati ‘troppo’ femminili per un maschio, borchie, collane assolutamente fantastiche, ma troppo strane per essere accettate da chiunque mi incontrasse, occhi neri e profondi, capelli che dal loro bruno naturale ne avevano passate ‘di tutti i colori’. Rosso, nero, viola, blu oceano. Colori troppo strani per la mentalità troppo chiusa di chi mi viveva attorno.
Troppi ‘troppo’ nella mia vita.

La voglia di crescere, di andare avanti, di passare un'estate da favola nel vero senso della parola. Una one shot sulla voglia di rinascere di un ragazzino che, ormai, ha perso tutto ciò che era a lui caro.
[Questa storia partecipa al concorso "One shot dell'estate!"]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Una one shot. Un desiderio strappato di una normale estate in famiglia. La voglia di Pete di una nuova vita. Questa storia partecipa al concorso “One shot dell'estate!”

Spero vi piaccia, l’ho scritta con il cuore e ci tengo molto.

Buona lettura, e grazie a chi mi voterà^^

 

La nascita di una nuova vita.

 

“Era solo l’inizio di Giugno quando arrivai a Neverland.

Non fui mai felice di trasferirmi lì.

Fui obbligato a cambiare città.

Mio padre, un uomo sulla sessantina all’epoca, volle trasferirsi in una città di mare per inseguire il suo sogno di viaggiare per mare.

Non  chiese nulla a me e a mio fratello, ci portò lì. Era un giorno come un altro quando lui ci portò  via da casa nostra. Pensavamo fosse per una breve vacanza e invece ci ritrovammo a vivere in un luogo del tutto sconosciuto.

La mamma era morta da poco, non avevamo ancora superato lo shock della sua scomparsa. Andavo ogni giorno a trovarla in cimitero, mi sedevo ore a fissare la sua foto e a raccontarle come stavano andando le cose. Un giorno pensai perfino che era una fortuna che lei non subisse più quella tortura chiamata vita. Lui mi portò via da lì, non mi lasciò nemmeno salutarla.

Mio fratello, Louis, non perdonò mai mio padre per questo.

Io frequentavo la prima superiore e avevo appena costruito delle meravigliose amicizie, amicizie durate assai poco con  persone che fui costretta ad abbandonare senza poter loro dire neanche un ‘addio’.

Ero un ragazzino disadattato, non per il fatto che non volessi socializzare. Semplicemente perché non andavo bene alla gente per come mi vestivo; un ragazzo tutto rose e fiori, peccato che questi fossero solo sempre neri o rosso sangue, scarpe nere, maglie strappate, pantaloni attillati, giudicati ‘troppo’ femminili per un maschio, borchie, collane assolutamente fantastiche, ma troppo strane per essere accettate da chiunque mi incontrasse, occhi neri e profondi, capelli che dal loro bruno naturale ne avevano passate ‘di tutti i colori’. Rosso, nero, viola, blu oceano. Colori troppo strani per la mentalità troppo chiusa di chi mi viveva attorno.

Troppi troppo’ nella mia vita.

Mio fratello, l’unico che non mi tradì mai e mi stette sempre vicino fu l’unico che ‘incontrai’ che non mi giudicasse per come ero fuori, forse semplicemente per il fatto che era l’unico che mi conosceva per come ero dentro. Lo adoravo, e lui adorava me. Eravamo inseparabili.

Quell’estate mio padre partì, un giorno dopo averci portati in quel luogo sperduto e abbandonato da Dio, lasciandoci soli, accuditi solamente da 100 dollari che ci aveva lasciato guardandoci con aria schifata per avergli dato un problema così grande, chiedergli come avremmo fatto a vivere noi due soli.

 

lo raggiungo e lo tiro per una manica. Fisso dal basso il metro e settanta che mi sta vicino.

         

 

Dio solo sa quanto lo odiai in quel momento.

 

 

Il suo sguardo di ghiaccio mi ferì come un coltello affilato, fui un ingenuo a pensare che ci portasse con lui.

 

 

Mi guardò con aria schifata e infastidita e mentre mi disse quelle parole mi porse 100 dollari e salì in barca.

 

 

Corsi verso di lui, non mi salutò nemmeno quel giorno. Mi aspettavo almeno un bacio, un abbraccio. Sapevo com’era fatto, ma pensavo che almeno mi salutasse.

Ma non fu così, no. Lui partì, e noi rimanemmo lì, da soli, tre mesi e mezzo e solo 100 dollari per sopravvivere.

Questo fu l’inizio della mia storia.

 

Lo trovai seduto in terrazza che fumava una sigaretta.

Corsi verso di lui. Lui mi fulminò con lo sguardo.

Abbassai lo sguardo. Aveva ragione. Sapevamo tutti e due che papà non sarebbe tornato e che avremmo dovuto arrangiarci da soli.

Lo abbracciai da dietro.

Sorrise.

Buttò la sigaretta ormai ridotta a un mozzicone a terra spegnendola.

Si girò, mi prese la testa e me la grattò.

Dissi così, ma a dire la verità avrei voluto restare tra le sue braccia per sempre, mi sentivo sicuro, per una volta.

Rideva, ed io ero felice a vederlo finalmente ridere e scherzare di nuovo insieme a me come non facevamo da tempo.

Forse quell’estate non sarebbe andata poi così male come mi aspettavo.

 

Andò molto diversamente da come me l’aspettavo. Andò peggio.

Louis trovò presto un lavoro ma tornava a casa tardi ogni sera. Diceva di lavorare fino a tardi ma io lo aspettavo alzato ogni giorno senza che lui se ne accorgesse. Era sempre ubriaco, ed era questo il motivo per cui a casa nostra non arrivavano mai più di cinquecento dollari al mese.

Era una miseria vivere in quel modo. Andai a cercare lavoro anch’io, ma non ero abbastanza grande e come volevasi dimostrare, o con la scusa dell’età o con la scusa del ‘sei troppo strano’, alla fine nessuno aveva risposto alla mia richiesta. Più che una richiesta di lavoro era una richiesta di aiuto, ma sembrò non capirlo nessuno.

Pensavo di non avere più scelta e mi ero rassegnato all’idea di non potermi nemmeno comprare dei vestiti decenti.

 

 

sentii una voce alle mie spalle e mi voltai ma non vidi nessuno. Continuai a camminare.

Mi girai per la seconda volta e vidi finalmente un ragazzo che correva verso di me. Era molto alto, e altrettanto bello. Era vestito in modo stano quasi quanto me. Mi arrivò vicino e si appoggiò sulle sue stesse ginocchia per prendere fiato. Aveva dei tratti orientali e i suoi capelli… aveva i capelli di un rosso-porpora meraviglioso.

Il fiatone gli impediva di continuare a parlarmi.

Dopo che si fu seduto un attimo a riprendersi continuò.

“Oh, no” pensai. Di nuovo.

Risposi freddo e seccato.

Rimasi basito da quanto mi aveva chiesto, pensavo mi avrebbe criticato, come facevano tutti.

Urlai quasi dalla felicità e lo abbracciai. Ero felice.

Mi staccai realizzando che avevo appena abbracciato il mio capo. Lui sorrise e mi disse che non dovevo preoccuparmi. Finalmente qualcuno che non giudicava il mio modo di vestire ‘strano’, anzi, stavolta mi aveva anche portato lavoro!

Risposi un po’ imbarazzato.

Mi indicò sorridendo. Avvampai, non seppi il motivo. Però ero felice, infinitamente felice.

 

Quel giorno fu perfetto. Andammo prendere da bere insieme e parlammo del più e del meno. Mi trovai molto bene con Christoph, così si chiamava quel ragazzo dal fascino accattivante.

Scoprii di avere molte cose in comune con lui e poi ero felice di aiutarlo al negozio, mi sentivo a mio agio in quel posto. Era pieno di vestiti come quelli che indossavamo io e Chris, catene, collane, cinture, magliette e un sacco di vestiti strani, sia da uomo che da donna. Non pensavo saremmo riusciti a vendere così tanto, non conoscevo molta gente con quei gusti, eppure mi sbagliavo. Il negozio andò a gonfie vele e Chris mi diceva sempre che era tutto merito mio e che da quando ero accorso in suo aiuto le cose erano migliorate a vista d’occhio.

Insomma, il lavoro andava bene, era anche un modo per distrarmi e darmi qualcosa da fare oltre al fatto che mi guadagnavo dei soldi autonomamente.

Mio fratello ormai non ragionava più, voleva solo ubriacarsi e non lo riconoscevo più da come si era ridotto.

Avevo preso le distanze da lui, non gli prestavo soldi se me li chiedeva, perché sapevo che li avrebbe buttati in droga e alcool; non passavo più tutta la giornata in casa e mi sentivo finalmente felice. Il mio capo era una brava persona, infatti non per altro era il mio migliore amico. Mi aveva fatto conoscere anche altre persone e la mia vita stava prendendo la giusta via. Insomma, andava tutto a meraviglia. Era la fine di Luglio e finalmente avevo trovato un periodo felice della mia vita, un periodo da ricordare finalmente, dopo tutta la sofferenza che avevo passato.

Ed era naturale il fatto che doveva per forza accadere qualcosa di orribile.

 

non ricevetti risposta. Strano, doveva essere ancora al ‘lavoro’, strano a pensare che avrebbe dovuto finire da più di tre ore il suo turno.

Urlai il suo nome togliendo la chiave di casa dalla toppa dopo aver dato un giro per chiudere la porta.

Girai un po’ per casa cercando mio fratello e non ci misi neanche molto a trovarlo; d’altra parte la nostra casa era alquanto piccola, aveva poche stanze.

 Lo spettacolo che vidi quando lo trovai in bagno mi fece accapponare la pelle.

Lui era disteso a terra, il volto stanco accasciato a terra, una scatola di pastiglie in mano; morfina.

Gliele tolsi di mano e mi accasciai a terra, il mio animo disperato non poteva che pensare al peggio.

Gli alzai il volto, lo chiamai, gli bagnai la bocca con dell’acqua.

Non rispondeva.

Chiamai un’ambulanza e nell’incapacità di riuscire a formulare frasi di senso compiuto comunicai con voce flebile il mio indirizzo pregando che arrivassero il prima possibile.

Mi trovarono seduto accanto al suo corpo, le sue mani nelle mie, gliele stringevo nel tentativo di infondergli calore e con esso anche vita.

Ormai non speravo più di rivederlo, di risentire le sue parole, di sentire le sue braccia che mi infondevano sicurezza.

L’ambulanza lo portò via e io la seguii salendo a bordo, fino all’ospedale.

 

Rimasi solo. Quattordici anni e tutta la vita davanti, ed ero solo. Quella fu l’estate peggiore di tutta la mia vita.”

 

Dai muoviti scansafatiche che non sei altro o perderemo l’aereo!>

Due braccia forti mi cingono le braccia e due labbra dolci lasciano un segno invisibile del loro passaggio sul mio collo.

Posai le mie labbra sopra le sue dolcemente, mi sentivo al settimo cielo.

Sorrisi fissando la faccia imbronciata del mio amante. Si, lui. Christoph. Non potrei amare una persona più di così. Alla fine avevamo scoperto di avere troppe cose in comune, e troppa voglia l’uno dell’altro.

 

“Sai, Louis, sei stato la persona che mi ha capito più di tutti, che mi ha accompagnato lungo questo difficile viaggio chiamato ‘vita’. Sei riuscito ad infondermi la voglia di vivere che papà mi aveva tolto da tempo. Mi dispiace sia andata a finire così, non lo avrei mai voluto. Ma sei stato tu stesso a scegliere che via percorrere, e io non sono riuscito a fermarti in tempo. Sai, mi dispiace, davvero.

Avrei voluto vedere il tuo matrimonio, avrei voluto giocare con i tuoi figli, andare a fare una vera vacanza con te. Non come quella che nostro padre ci riservò cinque anni fa. Quella ‘vacanza’ ci ha rovinato la vita.

Ora sono maggiorenne, ho finito la scuola e finalmente so cosa vuol dire amare, però mi manchi comunque. Vorrei tanto che tu potessi ancora abbracciarmi, goderti la vita insieme a me, peccato che tu non lo abbia voluto quanto lo volevo io. Avrei voluto che riuscissi a finire il liceo, avrei voluto festeggiare con te i tuoi diciott’anni. Ora ne hai ventuno, sei grande.

Ti chiederai perché ti ho scritto tutto ciò. Beh, semplicemente per ricordarti quanto abbiamo passato insieme. Non ho la forza di dirtele a voce queste cose, mi metterei sicuramente a piangere come un bambinetto, come quando avevo quattordici anni e sedevo per ore davanti alla lapide della mamma, ricordi? Oh, no. Non voglio più mostrarmi così debole davanti a te, ora sono un adulto. Questa è l’ultima cosa che posso fare oltre a pregare ogni giorno perché tu ti risvegli.

Mi manchi Louis.

Ti voglio bene.

Tuo fratello Pete.”

 

Sorride, ed è il regalo più bello che possa farmi in questo momento.

 

Percorriamo la strada che porta al St. Mary, la stessa che percorsi cinque anni fa dentro quell’ambulanza che portò via Louis da me.

A pensarci bene, lo aveva portato via da me già quella maledetta droga e l’alcool.

Entro a passi veloci in ospedale, Christoph mi aspetta in macchina.

Parlo con la solita infermiera, percorro il solito corridoio e apro la solita porta. E vedo la solita scena che mi strazia il cuore.

Louis è lì, come ogni giorno da cinque anni. Disteso su quel letto, collegato a tubi su tubi che si intrecciano tra di loro. Ce ne sono così tanti che è perfino difficile distinguere il volto di mio fratello sotto di essi.

Poggio la lettera sul tavolino affianco a enormi vasi pieni di fiori. Nostro papà non si è fatto vivo nemmeno una volta, neanche per passare a fare un saluto. Non so nemmeno se è ancora vivo.

Mi avvicino a lui e gli accarezzo la fronte.

Sospiro.

Silenzio. D’altronde, cosa mi aspettavo? Un nuovo sospiro.

Gli bacio la fronte e sorrido. Un sorriso malinconico.

Silenzio. L’unico rumore che accompagna le mie parole è il suono degli apparecchi che tengono in vita Louis da cinque anni a questa parte. Che hanno assistito ai suoi compleanni.

Coma. La droga lo aveva portato al coma, e io ho sperato con tutto il mio cuore che si riprendesse. Anche se le probabilità sono pochissime io non ho mai smesso di sperare.

Gli bacio una seconda volta la testa, apro la porta e torno in macchina da Christoph.

Mi domanda. Ho la faccia un po’ triste e lui ha capito che c’è qualcosa che non va.

Arriviamo all’aeroporto, presto partiremo. Andremo in vacanza. Cinque anni ho aspettato un’estate da ricordare e da passare in completo relax, e dopo anni finalmente ho trovato la persona con cui passare questa stupenda esperienza. Anche se, a dire la verità, da piccolo speravo di passarla in famiglia, con i miei genitori e Louis. Con mio padre che smetteva di ubriacarsi e tornava tra le braccia di mia madre.

Guardo fuori dal finestrino dell’aereo la bellezza delle nuvole che ci attorniano con il loro splendore. Sposto lo sguardo su quello del mio amante seduto accanto a me. La vita che ho sempre sognato è cominciata ora. Quest’estate sarà la mia estate.

Mio padre se n’è andato, mia madre è morta, mio fratello è in coma, e io sono innamorato. Sarà anche da egoisti parlare in questo modo, ma ora sono felice. Mi mancheranno i miei parenti, si, ma non posso smettere di pensare che questo è ciò che ho sempre desiderato.

Ormai non ha più senso vivere di rimpianti e sperare in un miracolo, ora voglio solo vivere la mia vita.

  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: daddadda