Una
one
shot. Un desiderio strappato di una normale estate in
famiglia. La
voglia di Pete di una nuova vita. Questa storia partecipa al concorso
“One shot
dell'estate!”
Spero
vi piaccia, l’ho scritta
con il cuore e ci tengo molto.
Buona lettura, e grazie a chi mi voterà^^
La nascita
di
una nuova vita.
“Era
solo l’inizio di Giugno quando arrivai a Neverland.
Non
fui mai felice di trasferirmi lì.
Fui
obbligato a cambiare città.
Mio
padre, un uomo sulla sessantina all’epoca, volle
trasferirsi in una città di mare per inseguire il suo sogno
di viaggiare per
mare.
Non chiese nulla
a me e a mio fratello, ci portò lì. Era un giorno
come un altro quando lui ci
portò via
da casa nostra. Pensavamo
fosse per una breve vacanza e invece ci ritrovammo a vivere in un luogo
del
tutto sconosciuto.
La
mamma era morta da poco, non avevamo ancora superato
lo shock della sua scomparsa. Andavo ogni giorno a trovarla in
cimitero, mi
sedevo ore a fissare la sua foto e a raccontarle come stavano andando
le cose.
Un giorno pensai perfino che era una fortuna che lei non subisse
più quella
tortura chiamata vita. Lui mi portò via da lì,
non mi lasciò nemmeno salutarla.
Mio
fratello, Louis, non perdonò mai mio padre per
questo.
Io frequentavo la prima superiore e avevo appena costruito delle meravigliose amicizie, amicizie durate assai poco con persone che fui costretta ad abbandonare senza poter loro dire neanche un ‘addio’.
Ero
un ragazzino disadattato, non per il fatto che non
volessi socializzare. Semplicemente perché non andavo bene
alla gente per come
mi vestivo; un ragazzo tutto rose e fiori, peccato che questi fossero
solo
sempre neri o rosso sangue, scarpe nere, maglie strappate, pantaloni
attillati,
giudicati ‘troppo’ femminili per
un maschio, borchie, collane
assolutamente fantastiche, ma troppo strane
per essere accettate
da chiunque mi incontrasse, occhi neri e profondi, capelli che dal loro
bruno
naturale ne avevano passate ‘di tutti i colori’.
Rosso, nero, viola, blu
oceano. Colori troppo strani per la
mentalità troppo chiusa di
chi mi viveva attorno.
Troppi
‘troppo’ nella mia
vita.
Mio fratello, l’unico che non mi tradì mai e mi stette sempre vicino fu l’unico che ‘incontrai’ che non mi giudicasse per come ero fuori, forse semplicemente per il fatto che era l’unico che mi conosceva per come ero dentro. Lo adoravo, e lui adorava me. Eravamo inseparabili.
Quell’estate
mio padre partì, un giorno dopo averci
portati in quel luogo sperduto e abbandonato da Dio, lasciandoci soli,
accuditi
solamente da 100 dollari che ci aveva lasciato guardandoci con aria
schifata
per avergli dato un problema così grande, chiedergli come
avremmo fatto a
vivere noi due soli.
lo
raggiungo e lo
tiro per una manica. Fisso dal basso il metro e settanta che mi sta
vicino.
Dio solo sa quanto lo odiai in quel momento.
Il
suo sguardo di ghiaccio mi ferì come un coltello affilato,
fui un ingenuo a
pensare che ci portasse con lui.
Mi guardò con aria schifata e infastidita e mentre mi disse quelle parole mi porse 100 dollari e salì in barca.
Corsi verso di lui, non mi salutò nemmeno quel giorno. Mi aspettavo almeno un bacio, un abbraccio. Sapevo com’era fatto, ma pensavo che almeno mi salutasse.
Ma non fu così, no. Lui partì, e noi rimanemmo lì, da soli, tre mesi e mezzo e solo 100 dollari per sopravvivere.
Questo fu l’inizio della mia storia.
Lo
trovai seduto
in terrazza che fumava una sigaretta.
Corsi
verso di
lui. Lui mi fulminò con lo sguardo.
Abbassai
lo
sguardo. Aveva ragione. Sapevamo tutti e due che papà non
sarebbe tornato e che
avremmo dovuto arrangiarci da soli.
Lo
abbracciai da
dietro.
Sorrise.
Buttò
la sigaretta
ormai ridotta a un mozzicone a terra spegnendola.
Si
girò, mi prese
la testa e me la grattò.
Dissi
così, ma a
dire la verità avrei voluto restare tra le sue braccia per
sempre, mi sentivo
sicuro, per una volta.
Rideva,
ed io ero
felice a vederlo finalmente ridere e scherzare di nuovo insieme a me
come non
facevamo da tempo.
Forse
quell’estate
non sarebbe andata poi così male come mi aspettavo.
Andò molto diversamente da come me l’aspettavo. Andò peggio.
Louis trovò presto un lavoro ma tornava a casa tardi ogni sera. Diceva di lavorare fino a tardi ma io lo aspettavo alzato ogni giorno senza che lui se ne accorgesse. Era sempre ubriaco, ed era questo il motivo per cui a casa nostra non arrivavano mai più di cinquecento dollari al mese.
Era una miseria vivere in quel modo. Andai a cercare lavoro anch’io, ma non ero abbastanza grande e come volevasi dimostrare, o con la scusa dell’età o con la scusa del ‘sei troppo strano’, alla fine nessuno aveva risposto alla mia richiesta. Più che una richiesta di lavoro era una richiesta di aiuto, ma sembrò non capirlo nessuno.
Pensavo di non avere più scelta e mi ero rassegnato all’idea di non potermi nemmeno comprare dei vestiti decenti.
sentii
una voce
alle mie spalle e mi voltai ma non vidi nessuno. Continuai a camminare.
Mi
girai per la
seconda volta e vidi finalmente un ragazzo che correva verso di me. Era
molto
alto, e altrettanto bello. Era vestito in modo stano quasi quanto me.
Mi arrivò
vicino e si appoggiò sulle sue stesse ginocchia per prendere
fiato. Aveva dei
tratti orientali e i suoi capelli… aveva i capelli di un
rosso-porpora
meraviglioso.
Il
fiatone gli
impediva di continuare a parlarmi.
Dopo
che si fu
seduto un attimo a riprendersi continuò.
“Oh,
no” pensai.
Di nuovo.
Risposi
freddo e
seccato.
Rimasi
basito da
quanto mi aveva chiesto, pensavo mi avrebbe criticato, come facevano
tutti.
Urlai
quasi dalla
felicità e lo abbracciai. Ero felice.
Mi
staccai
realizzando che avevo appena abbracciato il mio capo. Lui sorrise e mi
disse
che non dovevo preoccuparmi. Finalmente qualcuno che non giudicava il
mio modo
di vestire ‘strano’, anzi, stavolta mi aveva anche
portato lavoro!
Risposi
un po’
imbarazzato.
Mi
indicò
sorridendo. Avvampai, non seppi il motivo. Però ero felice,
infinitamente
felice.
Quel giorno fu perfetto. Andammo prendere da bere insieme e parlammo del più e del meno. Mi trovai molto bene con Christoph, così si chiamava quel ragazzo dal fascino accattivante.
Scoprii di avere molte cose in comune con lui e poi ero felice di aiutarlo al negozio, mi sentivo a mio agio in quel posto. Era pieno di vestiti come quelli che indossavamo io e Chris, catene, collane, cinture, magliette e un sacco di vestiti strani, sia da uomo che da donna. Non pensavo saremmo riusciti a vendere così tanto, non conoscevo molta gente con quei gusti, eppure mi sbagliavo. Il negozio andò a gonfie vele e Chris mi diceva sempre che era tutto merito mio e che da quando ero accorso in suo aiuto le cose erano migliorate a vista d’occhio.
Insomma, il lavoro andava bene, era anche un modo per distrarmi e darmi qualcosa da fare oltre al fatto che mi guadagnavo dei soldi autonomamente.
Mio fratello ormai non ragionava più, voleva solo ubriacarsi e non lo riconoscevo più da come si era ridotto.
Avevo preso le distanze da lui, non gli prestavo soldi se me li chiedeva, perché sapevo che li avrebbe buttati in droga e alcool; non passavo più tutta la giornata in casa e mi sentivo finalmente felice. Il mio capo era una brava persona, infatti non per altro era il mio migliore amico. Mi aveva fatto conoscere anche altre persone e la mia vita stava prendendo la giusta via. Insomma, andava tutto a meraviglia. Era la fine di Luglio e finalmente avevo trovato un periodo felice della mia vita, un periodo da ricordare finalmente, dopo tutta la sofferenza che avevo passato.
Ed era naturale il fatto che doveva per forza accadere qualcosa di orribile.
non
ricevetti
risposta. Strano, doveva essere ancora al ‘lavoro’,
strano a pensare che
avrebbe dovuto finire da più di tre ore il suo turno.
Urlai
il suo nome togliendo
la chiave di casa dalla toppa dopo aver dato un giro per chiudere la
porta.
Girai
un po’ per
casa cercando mio fratello e non ci misi neanche
molto a
trovarlo; d’altra parte la nostra casa era alquanto piccola,
aveva poche
stanze.
Lo spettacolo che vidi
quando lo trovai in
bagno mi fece accapponare la pelle.
Lui
era disteso a
terra, il volto stanco accasciato a terra, una scatola di pastiglie in
mano;
morfina.
Gliele
tolsi di
mano e mi accasciai a terra, il mio animo disperato non poteva che
pensare al
peggio.
Gli
alzai il
volto, lo chiamai, gli bagnai la bocca con dell’acqua.
Non
rispondeva.
Chiamai
un’ambulanza e nell’incapacità di
riuscire a formulare frasi di senso compiuto
comunicai con voce flebile il mio indirizzo pregando che arrivassero il
prima
possibile.
Mi
trovarono
seduto accanto al suo corpo, le sue mani nelle mie, gliele stringevo
nel
tentativo di infondergli calore e con esso anche vita.
Ormai
non speravo
più di rivederlo, di risentire le sue parole, di sentire le
sue braccia che mi
infondevano sicurezza.
L’ambulanza
lo
portò via e io la seguii salendo a bordo, fino
all’ospedale.
Rimasi solo. Quattordici anni e tutta la vita davanti, ed ero solo. Quella fu l’estate peggiore di tutta la mia vita.”
Due
braccia forti mi
cingono le braccia e due labbra dolci lasciano un segno invisibile del
loro
passaggio sul mio collo.
Posai
le mie labbra sopra
le sue dolcemente, mi sentivo al settimo cielo.
Sorrisi
fissando la faccia
imbronciata del mio amante. Si, lui. Christoph. Non potrei amare una
persona
più di così. Alla fine avevamo scoperto di avere
troppe cose in comune, e
troppa voglia l’uno dell’altro.
“Sai, Louis, sei stato la persona che mi ha capito più di tutti, che mi ha accompagnato lungo questo difficile viaggio chiamato ‘vita’. Sei riuscito ad infondermi la voglia di vivere che papà mi aveva tolto da tempo. Mi dispiace sia andata a finire così, non lo avrei mai voluto. Ma sei stato tu stesso a scegliere che via percorrere, e io non sono riuscito a fermarti in tempo. Sai, mi dispiace, davvero.
Avrei voluto vedere il tuo matrimonio, avrei voluto giocare con i tuoi figli, andare a fare una vera vacanza con te. Non come quella che nostro padre ci riservò cinque anni fa. Quella ‘vacanza’ ci ha rovinato la vita.
Ora sono maggiorenne, ho finito la scuola e finalmente so cosa vuol dire amare, però mi manchi comunque. Vorrei tanto che tu potessi ancora abbracciarmi, goderti la vita insieme a me, peccato che tu non lo abbia voluto quanto lo volevo io. Avrei voluto che riuscissi a finire il liceo, avrei voluto festeggiare con te i tuoi diciott’anni. Ora ne hai ventuno, sei grande.
Ti chiederai perché ti ho scritto tutto ciò. Beh, semplicemente per ricordarti quanto abbiamo passato insieme. Non ho la forza di dirtele a voce queste cose, mi metterei sicuramente a piangere come un bambinetto, come quando avevo quattordici anni e sedevo per ore davanti alla lapide della mamma, ricordi? Oh, no. Non voglio più mostrarmi così debole davanti a te, ora sono un adulto. Questa è l’ultima cosa che posso fare oltre a pregare ogni giorno perché tu ti risvegli.
Mi manchi Louis.
Ti voglio bene.
Tuo fratello Pete.”
Sorride,
ed è il regalo
più bello che possa farmi in questo momento.
Percorriamo
la strada che
porta al St. Mary, la stessa che percorsi cinque anni fa dentro
quell’ambulanza
che portò via Louis da me.
A
pensarci bene, lo aveva
portato via da me già quella maledetta droga e
l’alcool.
Entro
a passi veloci in
ospedale, Christoph mi aspetta in macchina.
Parlo
con la solita
infermiera, percorro il solito corridoio e apro
la solita porta.
E vedo la solita scena che mi strazia il cuore.
Louis
è lì, come ogni
giorno da cinque anni. Disteso su quel letto, collegato a tubi su tubi
che si
intrecciano tra di loro. Ce ne sono così tanti che
è perfino difficile
distinguere il volto di mio fratello sotto di essi.
Poggio
la lettera sul
tavolino affianco a enormi vasi pieni di fiori. Nostro papà
non si è fatto vivo
nemmeno una volta, neanche per passare a fare un saluto. Non so nemmeno
se è
ancora vivo.
Mi
avvicino a lui e gli
accarezzo la fronte.
Sospiro.
Silenzio.
D’altronde, cosa
mi aspettavo? Un nuovo sospiro.
Gli
bacio la fronte e
sorrido. Un sorriso malinconico.
Silenzio.
L’unico rumore
che accompagna le mie parole è il suono degli apparecchi che
tengono in vita
Louis da cinque anni a questa parte. Che hanno assistito ai suoi
compleanni.
Coma.
La droga lo aveva
portato al coma, e io ho sperato con tutto il mio cuore che si
riprendesse.
Anche se le probabilità sono pochissime io non ho mai smesso
di sperare.
Gli
bacio una seconda
volta la testa, apro la porta e torno in macchina da Christoph.
Mi
domanda. Ho la faccia
un po’ triste e lui ha capito che c’è
qualcosa che non va.
Arriviamo
all’aeroporto,
presto partiremo. Andremo in vacanza. Cinque anni ho aspettato
un’estate da
ricordare e da passare in completo relax, e dopo anni finalmente ho
trovato la
persona con cui passare questa stupenda esperienza. Anche se, a dire la
verità,
da piccolo speravo di passarla in famiglia, con i miei genitori e
Louis. Con
mio padre che smetteva di ubriacarsi e tornava tra le braccia di mia
madre.
Guardo
fuori dal
finestrino dell’aereo la bellezza delle nuvole che ci
attorniano con il loro
splendore. Sposto lo sguardo su quello del mio amante seduto accanto a
me. La
vita che ho sempre sognato è cominciata ora.
Quest’estate sarà la mia estate.
Mio
padre se n’è andato,
mia madre è morta, mio fratello è in coma, e io
sono innamorato. Sarà anche da
egoisti parlare in questo modo, ma ora sono felice. Mi mancheranno i
miei
parenti, si, ma non posso smettere di pensare che questo è
ciò che ho sempre
desiderato.
Ormai
non ha più senso
vivere di rimpianti e sperare in un miracolo, ora voglio solo vivere la
mia
vita.