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Autore: Inquisidora    28/07/2011    2 recensioni
Angoscia, ansia, terrore. Questi i sentimenti che l'inquisitore scorgeva sui volti di quei disgraziati la cui morte sarebbe giunta per mano sua, Antonio Fernandez Carriedo.
Fan fiction ambientata durante l'inquisizione spagnola. Perché, insomma, non dobbiamo dimenticarci che Antonio ha anche un lato sanguinario e violento, dico bene?
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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“Sì, padre”.
Un ultimo inchino al suo sovrano, prima di voltarsi a compiere il suo dovere. Angoscia, ansia, terrore. Questi i sentimenti che l'inquisitore scorgeva sui volti di quei disgraziati la cui morte sarebbe giunta per mano sua, Antonio Fernandez Carriedo, figlio della Spagna, schiavo di un fato da cui non poteva fuggire, fragile burattino di un re al quale non sapeva disobbedire, uomo spietato e senza cuore, la cui unica vocazione era uccidere. Accennò un passo verso uno dei malcapitati, deliziandosi del flebile gemito di puro terrore che uscì dalle sue labbra. Gli si avvicinò, squadrandolo dall'alto della sua posizione, cosa che contribuiva ad aumentare quella piacevole sensazione di piacere che provava in quelle circostanze. Si abbassò leggermente, fino a far incrociare le sue scure e spettrali iridi con quelle chiare e cristalline del giovane, tremanti dalla paura. Le labbra dell'iberico s'incresparono in un sorriso, accrescendo ulteriormente il terrore dell'eretico.
“Tu...”, sussurrò Antonio al suo orecchio, “tu vuoi vivere?”.
Il giovane tremò appena, chiedendosi se la risposta gli avrebbe salvato o meno la vita. Dischiuse appena le labbra, deciso a dare una risposta positiva, ma Antonio lo interruppe.
“Allora, giovane schiavo, sai darmi una risposta? O vuoi che sia io a decidere per te?”.
“M-mio signore”, cominciò infine il ragazzo, la voce flebile e appena udibile, “io tengo alla vita più che a qualsiasi altra cosa”.
Il sorriso dello spagnolo divenne, se possibile, ancor più spaventoso, trasformandosi in un vero e proprio ghigno.
“Mi dispiace”, mormorò ironico, allontanandosi leggermente per potersi beare ancora di quello sguardo pietrificato dal terrore, “risposta sbagliata”.
Un ultimo gemito uscì dalle labbra del giovane, mentre una fredda lama di ferro penetrava nella sua debole carne, lasciandone affiorare il sangue. Antonio sorrise estasiato alla vista di quel denso e scuro liquido rosso: ne voleva ancora, di più, sempre di più. Estrasse la spada dal corpo agonizzante del ragazzo e, desideroso di rimirare ancora la bramata sostanza, si alzò da terra guardandosi attorno per scegliere la prossima vittima. A lato della strada intravide una giovane fanciulla, nascosta da un lungo mantello. Sangue di donna, puro e innocente sangue di donna. Antonio rabbrividì al pensiero del caldo e rosso e sangue in contrasto con quella pelle nivea e candida. Lei, lei era perfetta. A grandi passi raggiunse la ragazza, che alzò debolmente il triste sguardo verso l'inquisitore. Antonio le allungò la mano, divertito dall'idea di poter giocare con quella fragile vita. La giovane, mossa dall'inconsapevolezza e dalla rassegnazione, appoggiò delicatamente le dita pallide e scheletriche nel palmo grande e forte dell'uomo. Subito lui le strinse con le sue e tirò su la ragazza con forza da terra. Questa si lasciò scappare un gemito sorpreso, e cercò immediatamente di sfuggire alla presa dello spagnolo, inutilmente.
“L-la prego”, ebbe la forza di dire, improvvisamente animata dal desiderio di vivere, “mi lasci andare!”.
Antonio rise, chiedendosi dove la giovane avesse trovato il coraggio di ribellarsi. Le tirò il braccio con più forza, sollevandola leggermente dal suolo sottostante.
“Dammi una buona ragione per la quale dovrei risparmiarti, eretica”.
La ragazza esitò a quelle parole, terrorizzata da quel forte uomo che la sovrastava. Sapeva che, qualunque scusa avesse usato, non sarebbe valsa a salvarle la vita. Così chiuse dolcemente gli occhi, lasciandovi sgorgare una tiepida lacrima, rassegnata all'infame sorte cui era destinata. D'altronde per lei, come per tutta la gente raccolta nella plaza de Santiago, la vita era stata aspra e faticosa: era la vita di una schiava, dopotutto. Forse la morte poteva essere piacevole, se messa a confronto con quella tortura. Con un movimento rapido e disinvolto, la ragazza afferrò saldamente la lama della spada di Antonio, incurante del sangue che le insozzava la pelle bianca e candida della mano. L'inquisitore alzò lo sguardo, colto di sorpresa, e volse gli occhi verso quelli della giovane, velati dalla tristezza. Non si sarebbe fatta uccidere, non avrebbe accettato un tale disonore. Bastò un solo, semplice gesto, un bocciolo colto alla sprovvista dal freddo glaciale dell'inverno, un fiore sfortunato che non è mai riuscito a vedere la bellezza e il calore della primavera, dei petali leggeri e delicati che non hanno mai potuto provare l'ebbrezza di lasciarsi ondeggiare dolcemente dal cullare materno del vento. L'ennesima fragile vita che viene presto spezzata dallo scorrere crudele, imprevedibile e inesorabile del tempo. Presto, troppo presto. La giovane abbassò lo sguardo, volgendolo al sangue che le scendeva copiosamente dal petto. Sorrise, soddisfatta: aveva privato quel bastardo del piacere di poterla uccidere con le sue mani, e questo in qualche modo la rassicurava. Avrebbe abbandonato la vita con serenità e onore. Antonio lasciò la presa sul suo braccio, sbigottito, e quel fragile fiore cadde a terra, ormai prossimo a spirare. L'ispanico osservò quel magro e debole corpicino, deluso e arrabbiato allo stesso tempo. Un gemito di disprezzo e si volse dall'altra parte, dando le spalle alla giovane fanciulla la cui vita era stata portata via prima del tempo. Ma, quando Antonio si voltò, la rabbia e la delusione svanirono, lasciando spazio solo all'inquietudine e alla paura, una terribile e angosciante sensazione di paura, mista a una leggera punta di desiderio, dovuta a colui che aveva di fronte.
“Sua santità!”, annunciò con tono sorpreso e al contempo estasiato da quella visione celestiale, lasciandosi cadere in ginocchio dinnanzi a lui, il piedistallo della religione cristiana, la massima autorità della Chiesa, la ragione che lo spingeva a compiere cotante atrocità.
“Quale motivo vi porta in Spagna, mio signore?”, continuò Antonio, le labbra a pochi centimetri da terra.
L'illustre non si degnò di dargli una risposta, si limitò solo a far scorrere lo sguardo severo tra i peccatori, disposti scompostamente lungo la strada.
“Tutto qui?”, disse poi una volta abbassato lo sguardo sul suo servitore, un accenno di autorità nella voce, in contrasto con quel tono da bambino.
Antonio inspirò profondamente, conscio ormai del pretenzioso carattere del suo signore.
“Ci sto lavorando, sua eminenza. Presto la Spagna verrà ripulita da quegli stolti eretici che hanno osato infangare il nome di Dio nostro Signore, è solo questione di tempo”.
In una frazione di secondo lo spagnolo si trovò col viso dell'illustre vicinissimo al suo, mettendo così in netta difficoltà il suo già precario autocontrollo.
“Dio non può aspettare, Antonio”.
L'uomo deglutì, sperando che con la saliva scendesse anche quell'irrefrenabile desiderio che provava in presenza di quel bambino angelicato dai tratti morbidi e delicati.
Predisporrò un autodafé¹, sua santità”, asserì con noncuranza l'interpellato, lo sguardo perso nel vuoto.
Dapprima Lovino si distaccò leggermente, stupito da quell'affermazione, poi si riavvicinò, unendo le labbra sottili e voluttuose a quelle dell'iberico, dando così forma a quello che lui stesso avrebbe descritto come il più terribile dei peccati. Antonio, incapace di reagire a quella situazione (la quale, tuttavia, non gli dispiaceva affatto), lasciò che fosse il più piccolo a condurlo, certo che questo non fosse consapevole di quello che stava facendo. Ma quel gioco peccaminoso durò poco, perché il sommo se ne stancò dopo pochi istanti, lasciando l'inquisitore ansante e carico di aspettativa.
“Non mi deludere, Antonio”.
Il moro si tastò le labbra, incerto.
“Non lo farò, mio signore”.




¹. autodafé: L'autodafé, o sermo generalis, era una cerimonia pubblica, facente parte in particolare della tradizione dell'Inquisizione spagnola, in cui veniva eseguita la penitenza o condanna decretata dall'Inquisizione. Il nome deriva dallo spagnolo Auto de Fe, cioè atto di fede, e fu il cerimoniale giuridico più impressionante messo a punto e usato dall'Inquisizione.
(Si ringrazia il buon vecchio Wikipedia.)







"Che diavolo è 'sta roba?". Questa è la domanda che, probabilmente, ti stai ponendo.
Una risposta? Ah, boh, non lo so neanch'io. (?)
Avevo intenzione di scrivere una fan fiction dove Antonio tirasse fuori il suo lato peggiore, ovvero il suo lato 'yandere', se così vogliamo definirlo (e diamine, è stato un pirata, un conquistatore e un inquisitore, mica possiamo pretendere che sia sempre gentile e gioviale!) e questo è il risultato. Inoltre devo ammettere che amo la Spamano vista come accoppiata Inquisitore/Papa (è una cosa malsana, lo so), quindi non sono riuscita a trattenermi dall'inserire pope!Lovino, nonostante il suo carattere qui sia decisamente OOC.
La scena del bacio (ah, perché, c'è stato un bacio?) fa abbastanza pena, ne sono consapevole, ma d'altronde non sono mai stata brava a descrivere certe scene, dato che di solito sguazzo allegramente nel rating verde. :I
Insomma, diciamo che l'ho scritta solo per soddisfare il mio ego, ma, ehi, se dovesse piacere non credo che mi lamenterei. :D

 

   
 
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