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Autore: crimsontriforce    29/07/2011    3 recensioni
Seymour reverse. C'erano una volta una mamma e il suo bambino e fra le grandi città machina di Zanarkand e Bevelle infuriava l'ultima guerra...
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Anima, Bahamut, Seymour
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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*mumble mumble* Dunque l'evocazione di un Eone è il risultato dell'unione fra il sogno dell'evocatore con quello della Fayth, un'anima strappata al suo corpo vivente per venire eternamente legata alla pietra. L'Evocazione Finale è la stessa cosa, ma necessita di un forte legame fra evocatore e la Fayth quand'era in vita. Nel gioco si dice che l'evocazione finale uccida l'evocatore, ma l'Ultimania specifica che non è l'atto stesso dell'evocazione a essere mortale, bensì Yu Yevon che trancia il legame psichico fra i due. Difatti Seymour evoca tranquillamente Anima, che è la sua evocazione finale: sua madre.
Ora, questa cosa che se sacrifichi un tuo caro e lo evochi l'Eone diventa fortissimo dev'essere per forza una conoscenza più antica dell'esistenza di Sin. Visto che è una cosa tremenda che nessuna persona sana di mente si metterebbe a ricercare in tempo di pace, io m'immagino che sia stata la prima soluzione drastica presa da Zanarkand in tempo di guerra, quando si iniziò a vedere che le stavano prendendo e che le normali evocazioni non bastavano.
Ma nemmeno quello bastò e presero botte comunque.
Si aggiunga a ciò una certa Fayth bambina più antica di Sin... e chi è il frescone che condanna un bambino a essere Fayth?  *mumble mumble*










Per la scienza e per la guerra





Non provava interesse per il bambino. Era un mortale, come tutti: un essere transitorio che chiedeva la sua forza, fisico e denso e incapace di mutare e poi subito nulla più di un ricordo, inghiottito dalle pieghe della Storia. C'era una curiosità empirica, al più, nell'osservare le luci fatue radunarsi attorno ai suoi sensi Guado, in sintonia con il mondo invisibile, e venir rozzamente modellate dalla razionalità umana con cui era stato cresciuto. Ma restava un evocatore in pellegrinaggio come tutti gli altri: avrebbe fallito e sarebbe svanito, o avrebbe interrotto Sin per un battito dei suoi occhi eterni e sarebbe svanito. Nulla di cui curarsi.
Nulla che potesse aspirare a competere con il richiamo gioioso e splendente della sua Zanarkand, fino a che proprio a Zanarkand (quella buia, ferma, noiosa, trattenuta dalla presa di una realtà greve, inutile) il mezzosangue non schiaffeggiò le sue memorie con l'intensità di un “No.”

“Non combatterò Sin, mamma”, aveva detto. “Non m'importa di Spira. Possono morire tutti”, aveva ripetuto fra le lacrime. “Posso morire anch'io, ma non così. Io voglio tenerti sempre dentro di me.”
E Anima la dolente, ultima fra le sue sorelle, aveva dovuto chinare il capo al suo volere. La scelta è dell'evocatore. La scelta e la veglia.
Si trovò a invidiarlo, mentre sprazzi d'individualità si affacciavano sulla superficie del suo sogno che era immortale e condiviso.





Mille anni prima, in quello stesso spiazzo, era stata una madre a piangere, una donna dagli occhi stanchi e dalla pelle scura che si era inginocchiata ad abbracciare il suo bambino mentre la folla sciamava fuori dai cancelli dello stadio.
“Mamma, perché piangi? I Duggles hanno vinto...”
“È la guerra.”
E lui che era l'ometto della sua mamma sapeva tutto di La Guerra e non le chiese altro mentre con le dita provava ad asciugarle le lacrime.
“Non devi preoccuparti. Con gli amici della mamma vinciamo di sicuro”, disse reggendola per mano. La guidò verso casa con lunghi passi sicuri. Poteva appoggiarsi a lui.
“Già... hanno scoperto come chiamare quello più forte di tutti”, fu tutta la risposta che ottenne, interrotta da un sospiro strascicato, ma non aveva bisogno d'altro perché sapeva di avere ragione. Nemmeno i vecchi saggi del consiglio potevano sperare di essere più bravi della sua mamma.

Quella sera il mondo girava alla rovescia. Si fece mettere a letto e rimboccare le coperte, ma lui era tranquillo e sveglio appoggiato al cuscino, troppo intento a ripassare con l'immaginazione la partita per farsi cogliere dal sonno, mentre lei sedeva sul bordo del materasso, con gli occhi ancora rossi e le labbra incollate all'ingiù, senza decidersi a iniziare una delle storie di mostri e di eroi (e di eroi che sognavano mostri, e di mostri che erano eroi: le storie dei suoi amici) con cui era solita salutarlo prima di dormire.
“Se tu potessi immaginare di essere qualcosa... qualunque cosa, cosa saresti, tesoro mio?”
“Un grande drago che protegga la mia mamma”, rispose senza pensarci.
“Ancora con i tuoi draghi?” Era riuscito a strapparle un sorriso. Gli augurò la buona notte con un bacio in fronte.
Niente storia. Quella sera il mondo girava alla rovescia.

E poi il mondo smise di girare. Non seppe dire quando, come o perché, o il ricordo sbiadì fino a scomparire, indesiderato, sotto ad altri più gradevoli.
Ricordava la mamma, splendida e scura e luminosa sotto le volute di stoffa bianca ricamata di simboli, che si avvicinò e gli disse: “Facciamo un gioco.” Era sicuro che si trovassero nella sua cameretta, ma le pareti sfumavano ai margini del suo sguardo rivelando ora un'onda sugli scogli, ora il cielo luminoso da cui spuntavano le stelle più brillanti, ora lo stadio vuoto, ora la tomba dove riposava papà. Ma non era solo e non aveva paura.
“Che gioco, mamma?”
“Giochiamo al drago che protegge la sua principessa.”
“Un drago!”
Lo abbracciò e gli chiuse gli occhi stringendo forte la mano sulla sua fronte. Sentì che tremava e la abbracciò a sua volta, raccontandole di squame viola lucente e ali che si aprivano come lunghe penne lucide, dei cuori dorati che erano spuntati perché voleva bene alla principessa che proteggeva, di artigli dell'oricalco più puro e di un soffio di energia che spazzava tutti i nemici. Proprio tutti. Così. Wham!
“E sulla schiena risplenderà la ruota dell'equilibrio”, completò lei. “Perché di noi due, piccolo mio, il più saggio da sempre sei tu... cerca di perdonare questa guerra e, se è chiedere troppo, almeno la tua mamma.”

Le immagini che si erano formate dietro ai suoi occhi chiusi si animarono, vivide come nei suoi sogni, guidate dalla voce calma che ogni sera lo faceva addormentare. Tutto era possibile in quello stato sospeso: se si pensava drago, diventava drago, sentendo i quattro elementi bruciargli nelle vene e donare forza a muscoli nuovi, metallici, scattanti. Immaginava una coda e sentiva una coda. Dispiegò le ali. Sentì l'aria accarezzargli le squame mentre a terra, sotto di lui, un reggimento attaccava gli amici della mamma. Vide il grande serpente d'acqua accasciarsi sotto i proiettili incessanti e la magia curativa della guerriera dai tre volti giungere un istante troppo tardi per salvarlo. Il vecchio dei fulmini scagliava stancamente i suoi ultimi strali, chinando il capo di fronte alla sconfitta.
Non poteva permetterlo.
Atterrò al fianco della sua mamma. “Aiutaci”, sussurrò e lui la vide così fiera del suo bambino. Si accucciò per farsi dare una carezza in fronte e pensò a come i buoni avrebbero potuto vincere. Non aveva dubbio che avrebbero vinto: in ogni buona storia i protagonisti arrivano a un passo dalla sconfitta prima di ribaltare la situazione e non avrebbe permesso che la principessa cadesse nelle mani del regno nemico. Avrebbe annientato i nemici con un unico colpo, come un eroe.
“Mi raccontavi di un soffio”, disse lei.
Soffiò una vampata brillante come il sole.

Quando si riprese, l'altopiano era deserto.
“Sei stato un drago fortissimo. La tua principessa ti ringrazia per aver respinto i nemici...” Si fece triste. “Ma torneranno domani. Sarai pronto a proteggerla?”
Annuì. Sempre. Era un bel gioco.
“Ora riposa. Veglierò sui tuoi sogni, tesoro, saremo sempre insieme. Se un frammento di bene è uscito da tutto questo è che saremo sempre insieme. Sempre, piccolo mio.”

Un giorno la mamma non lo salutò. Stava infuriando una battaglia campale: erano rimasti soli contro mille e mille soldati che sparavano con i loro fucili e nell'arco di un respiro, con una fitta che lo piegò fino a farlo urlare e gli riempì la vista di tutti i colori delle luci fatue, si trovò fuori da quella fantasia. Era tornato nella sua cameretta che dava sul cielo, sul mare e sul blitzball senza finestre né porte. Non poteva piangere, anche se era rimasto da solo, perché doveva dare il buon esempio alla sua mamma quando fosse tornata per immaginare insieme un'altra storia. Si addormentò, in attesa.





“Mio Lord Bahamut, disturbo il vostro riposo nell'ora più buia. Potete concedere a quest'umile servitore una frazione del sogno eterno, per la salvezza della nostra amata patria?”
“Chi sei tu? Voglio la mamma.”
Si rese conto di avere gli occhi ancora chiusi. Provò a svegliarsi, ma intorno a sé trovò solo pietra.

























Altra noticina finale: per la caratterizzazione di lui mi sono basata sul contrasto fra l'età che mostra e la sua statua. La statua pare essere una via di mezzo fra Fayth ed Eone – la parte mostruosa riprende fedelmente quello che sarà l'Eone, mentre la parte umana mi sembra il modo in cui la Fayth si vede (principalmente perché sono sempre più fighe e palestrate del loro aspetto umano XP Quindi quello umano sarà quello vero e quello della statua quello immaginato, non il contrario). E Bahamut che in realtà è un bambino si vede come un omaccione forte, ma non armato o aggressivo come Ifrit o Ixion. Mi ha dato l'idea di un sostegno, di un protettore, di un bambino che si vede come più grande dei suoi anni, perché gli è stato detto da una madre fragile e perché lo è, anche se è ancora troppo piccolo per capire certe cose.

S-se ci sono passaggi che non si capiscono provo a espanderli in qualche modo...
   
 
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