Sometimes love, feels like pain,
and sometimes I
wonder if it's all the
same, sometimes life, feels just like rain,
cause you never know,
when it's gonna fall
down on you
Kokuyo
era inaspettatamente
silenziosa e buia, più di quanto ricordasse.
Il
portone principale era
ricoperto di ruggine e scricchiolò leggermente quando lo
aprì, ma nonostante
tutto sembrava stare ancora perfettamente in piedi, anche se a dire il
vero era
un mistero come l’intero edificio stesso fosse ancora in
piedi.
Tsuna
prima di entrare
lanciò un’occhiata all’interno, e
ciò che incontrò fu solo oscurità,
minacciata
dalla tenue luce che proveniva dall’esterno, attraverso il
portone da lui
stesso socchiuso. Silenziosamente se lo chiuse alle spalle, sforzando
la vista
per vedere al di là di quell’oscurità;
il silenzio regnava sovrano.
In
un angolo, proprio a
destra dell’entrata, vi erano cartacce di snack e lattine di
birra gettate a
terra, mentre a sinistra erano presenti scatole vuote di una pizzeria
take-
away che Tsuna conosceva piuttosto bene.
Procedendo
di alcuni passi
si trovò di fronte a un enorme spiazzo completamente vuoto,
finché non notò con
lo sguardo un divano, che come il resto del magazzino abbandonato non
era
granché messo beno. Si avvicinò stringendo tra le
mani una borsa di plastica,
al suo interno c’erano un po’ di vestiti di
ricambio, del cibo preparato da sua
madre e alcuni fumetti.
Girò
attorno al divano,
scorgendo la figura addormentata di Mukuro; il Guardiano della Nebbia
era stato
liberato nemmeno cinque giorni fa dalla Prigione dei Vindice, tornando
a vivere
una vita normale dopo tutti gli anni passati senza poter vedere
direttamente la
luce del sole, a meno che non possedesse il corpo di qualcuno, come ad
esempio
Chrome.
Il
giovane Boss dei Vongola
sorrise in maniera appena impercettibile, posò senza far
rumore la borsa sopra
il tavolo di fronte al divano, chinandosi in avanti con
l’intento di coprire
l’altro ragazzo con la propria giacca; nemmeno il tempo di
sfilarsela che si
ritrovò a pochissima distanza dalla gola la punta del
tridente di Mukuro.
Deglutì e con una certa circospezione fissò gli
occhi bicromi dell’altro, che
lo fissò sorpreso e spaventato.
«Sawada
Tsunayoshi?»
Nella
voce di Mukuro era
evidente la sorpresa, ma allo stesso tempo un leggero distacco che
l’aveva sempre
contraddistinto le rare volte in cui gli aveva rivolto la parola.
Istintivamente Tsuna indietreggiò, un po’ per
sfuggire alle pericolosissime
punte del tridente, un po’ per riprende fiato, visto che in
quella frangente di
tempo l’aveva trattenuto.
«Non volevo spaventarti…» Ma
non riuscì a terminare la frase, Mukuro poggiò i
piedi a terra pur rimanendo
seduto e si passò una mano sul viso, con
l’espressione corrucciata di chi stava
dormendo decisamente molto bene ed era stato disturbato.
«Non mi sono spaventato.»
Ribatté posando lo sguardo sul castano, per poi rivolgerlo
verso la borsa
posata sul tavolo di fronte a lui; Tsuna intercettò
immediatamente il suo
sguardo e si spostò a lato.
«Ho pensato di portarti dei
vestiti di ricambio, qualcosa cucinato in casa, sai mamma è
un’ottima cuoca e -
»
«Hai pensato male.» Lo zittì
improvvisamente Mukuro, alzandosi in piedi, in direzione di un vecchio
lavandino posizionato più a sinistra rispetto al divano,
subito vicino c’era
una tenda semi-distrutta e Tsuna immaginò che quello doveva
essere lo spazio
adibito a bagno.
Non si arrese alla risposta
fredda e diretta del Guardiano della Nebbia e dopo alcuni attimi di
silenzio,
durante i quali Mukuro si sciacquò il viso, si rivolse
nuovamente a lui.
«Se avete bisogno di un
bagno potete usare il mio… Capisco che forse è un
po’ lontano, ma è piuttosto -
»
«Non voglio usare il tuo
bagno. E non voglio nemmeno i tuoi vestiti, tanto meno del cibo. E in
fine, non
voglio che tu sia qui. Sparisci.»
Il castano trasalì, fissando
incredulo la schiena che Mukuro gli aveva rivolto nuovamente dopo
averlo
liquidato con quelle parole. Forse aveva osato troppo e aveva sempre
saputo di
non andare particolarmente a genio a Mukuro, ma dall’altro
punto di vista più
volte il ragazzo gli aveva affidato compiti importanti, come proteggere
Chrome.
Tsuna si sentiva un po’ confuso e demoralizzato, ma
sicuramente non voleva
farsi trattare da Mukuro.
«Com’è essere di nuovo nel
proprio corpo?» Tentò
di iniziare una
conversazione, seppur l’altro lo avesse liquidato in quattro
e quattr’otto.
Mukuro gli rivolse l’ennesima occhiata glaciale, con tanto di
espressione
carica di disappunto.
«Se continui così potrei
decidere di prendere il tuo corpo senza farmi alcun
problema.» Lo minacciò,
quelle parole non sorbirono particolari effetti su Tsuna, a parte dei
lievi
brividi che gli percorsero la schiena. Mukuro non aveva agito quando ne
aveva
avuto l’opportunità, figurarsi ora che aveva
nuovamente il proprio corpo, che
senso poteva avere?
«Sai Mukuro, sono felice che
sia tornato tutto come prima… Che tu sia tornato nel tuo
corpo e poi devo
ringraziarti per l’aiuto che ci concesso contro Daemon Spade,
se non fosse
stato per te Chrome e Enma - »
«Basta, stai zitto.»
Tsuna sussultò per
l’ennesima volta, in particolare quando avvertì
Mukuro afferrarlo per la
collottola della maglietta e spingerlo contro la parete più
vicina con ben poca
gentilezza. Quel ragazzo gli dava terribilmente sui nervi, o almeno
è questa
l’impressione che voleva darsi di lui, in realtà
non era esattamente così.
Tsunayoshi Sawada era stato
il suo nemico per diverso tempo, la stessa persona che gli aveva fatto
comprendere la vera importanza verso i compagni, cosa che aveva
compreso già
tempo fa, ma che ora aveva assunto un significato ben più
importante. Lui aveva
sempre vissuto nel buio, non conosceva nemmeno il significato della
parola
“luce”, mentre a differenza sua Tsuna era sempre
stato più fortunato,
circondato da tantissimi amici, possedeva una stanza tutta sua, viveva
come
qualsiasi adolescente della sua età. Mukuro da un lato lo
invidiava, avrebbe
voluto essere così, ma dall’altro sentiva che la
propria adolescenza era
passata da troppo tempo e non avrebbe mai avuto il tempo necessario per
riaverla indietro o perché no, riviverla.
«Mu…Mukuro. Non volevo essere
invadente, mi dispiace.»
«Sai Vongola, quando ti
metti, sai essere dannatamente irritante.» Asserì
mordendosi il labbro
inferiore, intravedendo il timore sul volto del più basso.
Tsuna deviò lo
sguardo, tenendolo fisso verso un punto indefinito del petto di Mukuro.
«Ero un po’… Preoccupato per
te. Reborn ha detto che Hibari-san era venuto a Kokuyo per cercarti,
per
combattere. E’ un po’ che non vedo nessuno dei due
nelle circolazioni… Volevo
sapere se stavate bene.»
«Non ho visto Hibari Kyoya,
ma sicuramente sarebbe una compagnia più gradita della
tua… Almeno lui non
trema come un cane bastonato quando gli parlo.» Solo in quel
momento Tsuna si
rese conto che stava davvero tremando e sollevò lo sguardo
imbarazzato verso
Mukuro, lui a differenza sua sorrideva con fare intimidatorio.
«Non sei obbligato a
fingerti gentile nei miei confronti, Vongola. Solo perché ci
siamo trovati
sullo stesso campo di battaglia non dobbiamo per forza essere amici.
Non
m’interessa quel genere di legame con te, io non sono come
Gokudera Hayato e il
resto del tuo gruppetto, ma non sono nemmeno come Hibari
Kyoya… Considerami
come qualcuno che è rimasto impressionato a tal punto dalla
tua forza da
decidere di aiutarti, una volta, due… Ma non desidero che tu
ti sforzi di essere
gentile con me, sappi che il mio odio verso la Mafia non è
diminuito.»
Tsuna sospirò più forte di
quanto avesse pensato, e prima di rendersene veramente conto
afferrò la mano di
Mukuro, portandola verso il proprio petto. Mukuro non riuscì
a capacitarsi di
quel gesto, forse per quello che non assunse un’espressione
riluttante, ma si
stupì quando Tsuna lo tirò verso di
sé, obbligandolo a far combaciare la sua
fronte con la propria.
Improvvisamente quell’angolo
del magazzino si riempì di una luce fortissima, calda ma che
non bruciava,
sembrava quasi di vedere una luce artificiale, ma in realtà
si trattava della
fiamma che ardeva sul capo del castano durante ogni battaglia. Mukuro
aveva già
avuto l’occasione di vederla ogni volta, ma mai da
così vicino.
La fiamma bruciava, si
dimenava come in preda a convulsioni, i colori caldi che la
rappresentavano si
mischiavano l’uno nell’altro… Ma lui non
sentiva dolore, semplicemente un
calore piacere e rassicurante; poi ricordò, quella luce era
la stessa che più
volte aveva sognato quando ancora risiedeva nella prigione Vindice.
In quel luogo, dallo scontro
con Tsuna, più volte aveva sognato quella fiamma che
sembrava donar speranza,
vita e magari anche la morte, seppur al momento non riuscisse a vederci
nient’altro che qualcosa di positivo.
Aprì gli occhi, rendendosi
conto di averli chiusi, ed incontrò il viso di Tsuna,
illuminato da quella
luce. La sua pelle già normalmente chiara era evidenziata da
giochi di luci e
ombre create dai contrasti della frangia che gli ricadeva sul volto e
dalla
fiamma che continuava a muoversi in quel vorticare di colori.
«Sei così dannatamente
testardo…»
Sussurrò il Guardiano con
un’espressione imbronciata, accogliendo le labbra di Tsuna
sulle proprie e
impercettibilmente sorrise.
La fiamma di Tsuna sparì,
rigettando nel buio il magazzino, e in
quell’oscurità Mukuro afferrò il
ragazzo
tra le sue braccia, trascinandolo fino al divano dove a contatto
così diretto
con il suo corpo intuì che forse c’era qualcosa
che aveva sempre voluto… Il suo
corpo, ma in nel senso che aveva inteso fino ad allora, troppo accecato
dall’odio e dai risentimenti, bensì qualcosa in
più.
Era alla ricerca di qualcuno
che lo rendesse una persona migliore, non buone azioni parlando;
qualcuno che
lo rendesse capace di esprimere i propri sentimenti e quella persona
non poteva
essere nessun altro che Tsunayoshi.
Ma quello sarebbe dovuto
rimanere segreto; un segreto che nemmeno Tsuna stesso poteva conoscere.
Un
brivido, caldo e freddo
allo stesso tempo, lo riempì, solleticandogli la spina
dorsale, gremendolo di
quel calore che trasmetteva un misto di sensazioni piacevoli e dolorose
assieme.
Scandì lentamente il suo
nome, Mukuro leccò le sue labbra, ne succhiò
lentamente il labbro inferiore,
già gonfio per i troppi baci, assaporandolo lentamente.
Tsuna ridacchiò quando
all’improvviso una mano di Mukuro raggiunse il suo fianco,
accarezzandolo con
un misto di desiderio e possessione. L’altra mano scorreva
nell’incavo della
gamba, appena sotto il ginocchio, andava ad accarezzare
d’intanto in tanto il
suo interno coscia fino a giungere al suo sesso già eretto
tra le gambe,
turgido e già bagnato dalle prime gocce pre orgasmiche.
Tsuna restò a bocca aperta
quando le prime spinte iniziarono a riempirlo totalmente; gli occhi
spalancati
in un’espressione sorpresa, confusa allo stesso tempo, mentre
dalle labbra gli
sfuggirono gemiti decisamente troppo spinti per la sua bocca
normalmente così
pudica.
Lo sentì scivolare più di
una volta al suo interno delle pareti del suo corpo – ormai
bollente –
sospirava in modo lascivo, talvolta sentiva le mani fredde di Mukuro
esplorare il
suo corpo con quelle carezze lente ed esperte.
Tutto ad un tratto si sentì
sollevare per la schiena, trovandosi nuovamente vuoto, con entrambe le
mani di
Mukuro sui fianchi. A stento riuscì a trattenere un sorriso
quando incontrò
quello sul volto dell’altro, misto di malizia e una ben poco
celata emozione.
Si domandò il perché del
silenzio di Mukuro, non aveva mai aperto bocca, nemmeno una volta,
soffermandosi ogni tanto per guardarlo in viso, nulla di più.
Dopo brevi attimi di
esitazione, Tsuna reagì di propria iniziativa, facendosi
leva sul divano in
pelle all’interno del magazzino abbandonato, per poi
immolarsi sulla carne
testa e pulsante di Mukuro. La penetrazione da quella posizione fu
lenta e
dolorosa, ma allo stesso tempo più lo sentiva farsi strada
in sé, più quel
dolore si trasformava in quel calore quasi ustionante di cui portava
ancora le
tracce addosso e dentro di sé.
Ondeggiò appena i fianchi,
cercando di abituarsi a quella sensazione non così diversa
da quella
precedente, ma comunque nuova per lui. Pensare di essere un
tutt’uno con lui,
Mukuro, gli faceva provare un misto di sensazioni confuse; piacere, ma
comunque
quel leggero velo di terrore al pensiero di esser posseduto
dall’uomo che
desiderava il suo corpo – e
in un certo
senso lo stava prendendo davvero, prosciugandolo a ogni spinta.
La sua mente si alleggerì
poco alla volta, lasciando spazio al desiderio,spiazzato allo stesso
tempo
quando una spinta lo colpì in un punto preciso del suo
corpo, provocandogli dei
piacevoli brividi, seguiti da alcuni giramenti di testa.
«Mu-Mukuro…»
Lo chiamò con voce spezzata,
nascondendo il viso nell’incavo del suo collo. Mukuro gli si
rivolse con
un’occhiata interrogativa, accarezzandogli con lentezza la
fronte costellata di
gocce di sudore, mordendosi il labbro inferiore quando la sensazione di
completezza lo accolse, segno che stava per raggiungere il culmine del
piacere.
«Mh, niente… »
In realtà qualcosa c’era, ma
non sapeva nemmeno lui cosa; forse era la sensazione che tutto fosse
così
dannatamente sbagliato, a partire dai propri sentimenti, ma non
riuscì a
pensarci ulteriormente visto l’orgasmo che lo sorprese
all’improvviso, seguito
pochi minuti dopo da quello di Mukuro.
Domandò subito dopo Mukuro,
Tsuna arrossì, piuttosto disturbato da quella domanda fuori
luogo, o almeno,
non considerava normale sentirsi chiedere quanto fosse rimasto appagato
dopo
quel rapporto.
«Hai trovato la consolazione
che cercavi? Perché dubito che sia stato per
altro.»
Il castano spalancò le iridi
scure, intercettando un sorriso piuttosto cinico sul volto ancora
sudato del
moro. Mukuro d’altro canto provò un dolore fuori
da ogni misura quanto
pronunciò quelle parole, con la netta intenzione di
allontanare l’altro.
Alla fine era sempre così: per
quanto cercasse un sentimento, era sempre in procinto di distruggerlo.
In quel
momento pensò ai sentimenti di Tsuna come a una fiammella
tenue, mentre ai
propri come una campana di vetro, che poggiata su quella fiammella, ne
consumò
l’ossigeno, estinguendola.
Tsuna fissò per attimo
interminabili l’altro, con una rabbia crescente mista a
paura, sperava di non
aver capito ciò che Mukuro gli aveva lasciato intuire.
«Vai a casa Tsunayoshi… Sono
stanco e da un momento all’altro potrei ricevere visite da
Hibari Kyoya, non
voglio che ti veda qui. Puoi riprenderti le cose che hai portato, me la
caverò
da solo, come ho sempre fatto. Inoltre. devo partire per
l’Estero, quindi non
ho tempo da perdere con te.»
Tsuna sentì qualcosa
spezzarsi, non riuscì a capire se si trattava del suo cuore,
o semplicemente di
qualcosa di immaginario, ma faceva troppo male per essere
così. Osservò Mukuro
rivestirsi senza far piega e quasi automaticamente fece lo stesso,
trattenendo
l’irrefrenabile desiderio di versare le proprie lacrime.
«Puoi tenerle, io vado
allora. A presto.»
Tsuna uscì in fretta e furia
dal magazzino, si era persino messo al contrario la maglietta senza
rendersene
conto, tanto era sconvolto.
Mukuro fissò la piccola,
fragile – così diversa da quando l’aveva
visto combattere contro Daemon Spade –
figura del castano abbandonare l’edificio e quasi come
guidato da un rifletto
incondizionato, sollevò il braccio nella sua direzione.
Portò lo sguardo impassibile
sulla borsa che il ragazzo gli aveva lasciato e la svuotò
sul tavolo. Ne
uscirono un paio di magliette, dei
pantaloni , delle riviste e due fumetti, e infine delle torte fatte in
casa in
confezioni di alluminio, erano ancora calde.
Poi un foglio nascosto tra
le magliette richiamò la sua attenzione, un normalissimo
foglio strappato da un
quaderno a righe, con sopra scritte delle frasi. Mukuro titubante lo
aprì,
lasciando scorrere lo sguardo sulla calligrafia piccola e confusa che
sembrava
appartenere a Tsuna.
“Ciao
Mukuro!
Spero che la tua nuova
vita sia iniziata alla grande, perché immagino che sia stato
così per te,
proprio come iniziare una nuova vita, vero?
Ti scrivo questa specie
di lettera per ringraziarti. Di cosa ti starai chiedendo? E’
semplice: di
tutto.
Tu non ha mai voluto
far parte di questo mondo, quasi quanto me, ma tu ovviamente hai
motivazioni
molto più personali che comprendo a pieno eppure, nonostante
tutto, hai sempre
fatto così tanto per noi. All’inizio pensavo che
lo facevi solo per Chrome, ma poi
ho capito che non è esattamente così.
Inizialmente avevo
tantissima paura di te, ma poi quando ho capito quanto avevi da
proteggere ho
intuito quanto fosse stata grande la tua sofferenza, non è
un modo per
compatirti, ma sforzandomi posso capirle anch’io queste cose.
In fine, volevo ancora
chiedere scusa per i danni che ti ho provocato durante lo scontro con
Daemon.
Probabilmente se non ci fossi stato tu a incoraggiarmi, non avrei mai
contrattaccato e chissà che sarebbe successo…
Ma è inutile pensarci ora,
no? Sei sempre stato un osso duro, sono certo che ti riprenderai in
fretta!
Spero di incontrarti
ancora, magari non su un campo di battaglia, ma in un modo in cui
potrebbero
incontrarsi due amici. E’ questo che siamo, no?
A presto!,
Tsuna.”
Posò
il foglio sul tavolino, passandosi una mano sul viso. Ebbene
sì, si sentiva in colpa.
Si ritrovò a riflettere per i secondi necessari a prendere
una
decisione, o almeno così sembrò.
Afferrò la giacca e uscì dal magazzino. Tsuna
non poteva essere andato lontano, erano passati pochissimo minuti da
quando si
erano separati.
Di fatti lo trovò sulla strada che portava nei dintorni di
casa
sua, non c’era mai stato di persona, ma i ricordi di Chrome
erano ancora
impressi nella sua testa.
«Vongol
– Tsunayoshi!»
L’espressione sorpresa di
Tsuna portò un sorriso soddisfatto sulle labbra di Mukuro,
il castano
s’imbambolò in mezzo alla strada, aspettando che
Mukuro lo raggiungesse.
Con un leggero fiatone
Mukuro finalmente si trovò faccia a faccia con il ragazzo, dopo attimi di esitazione
attorniò le braccia
le sue spalle, stringendolo a sé.
«Mi dispiace. E tienilo bene
a mente, sarà la prima e ultima volta che mi sentirai
parlare così. Non volevo
ferirti e non so se considerarlo un errore o meno, ma non volevo
nemmeno usarti
in quel modo. Alla fine ero io quello che cercava consolazione, non
tu.»
Quell’ammissione gli costò
parecchio orgoglio messo da parte e Tsuna lo capì
immediatamente, seppur in
quel momento si trovasse nella confusione più totale.
«Io… Non so se provo
veramente qualcosa per te, ma la luce che emani è qualcosa
che non scorderò
mai. E’ dal nostro primo incontro che non ho potuto farne a
meno, forse è per
questo che tutte le volte sentivo il bisogno di proteggere qualcuno,
qualcosa…
proteggere te.»
«No, Mukuro. Non ho bisogno
di essere protetto, volevo solo essere tuo amico.»
La risposta arrivò dopo
alcuni minuti di intenso silenzio, Mukuro spostò lo sguardo,
apatico.
«Sai che è impossibile.»
«Lo so, per questo non
voglio essere insistente… Arrivederci Mukuro, a
presto.»
E ancora una volta osservò
il castano porgergli le spalle. Non erano in grado di essere amici, ma
nemmeno
nemici… Che cos’erano loro due?
Aveva sempre cercato la sua
luce, ma nonostante tutto, pur essendo libero, preferiva rimanere nelle
tenebre.