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Autore: midorijpg    31/07/2011    7 recensioni
Eh, già, quelli erano proprio i giorni della nostra vita.
Di questi ultimi tempi, con i Queen stiamo registrando un sacco di cose dal carattere molto malinconico, Freddie è ridotto peggio del solito per via della sua malattia, le canzoni di Innuendo sembrano prendere le nostre sembianze, rappresentandoci a chi le ascolta, e questa malinconia, non so perché, mi fa investire da vagonate di ricordi, così ho deciso di metterli per iscritto, in modo da non potermeli più dimenticare.
Un ricordo in particolare mi è rimasto vivido in testa, quello del mio primo, vero amore.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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1. Childhood

È successo tanti anni fa, ma mi ricordo ogni situazione, ogni emozione, ogni sguardo, come se fosse accaduto soltanto ieri.
Avevo otto anni quando lei divenne la mia vicina di casa, trasferendosi nella fattoria a distanza di uno steccato da quella in cui abitavo io.
Quando arrivò, insieme alla sua famiglia, non avevo neanche voglia di conoscere questi “nuovi vicini”, ma mia madre era impassibile e mi costrinse a venir fuori e a fare il bambino educato, per una volta, cosa che assolutamente non era il mio forte.
Preferivo mille volte di più rimanere in garage a provare concerti azzardati con i miei amici o rimanere nella mia cameretta ad ascoltare gli ultimi 45 giri usciti.
Come arrivammo a casa sua, i nostri genitori si misero a parlare e ci mandarono a fare un giro per “conoscerci meglio”, come dicevano loro.
Quando la vidi per la prima volta, questa bambina non mi sembrava niente di che: si chiamava Melanie, Melanie Evans, e magari si poteva considerare carina, con quelle guance rosse e paffutelle che la facevano sembrare una bambola di porcellana e quei grandi occhi marroni da cucciolo, che avrebbero intenerito persino la più inflessibile delle persone.
Non era particolarmente loquace, ma se apriva la bocca, era per mormorarti due cosette con una flebile voce oppure per cantare, cosa che era solita fare, per esempio, di mattina quando apriva la finestra per cambiare l’aria. La mia casa era vicinissima alla sua, perciò la potevo sentire facilmente.
La sua voce era il segnale di sveglia per me, ma era talmente piacevole, dolce e melodica che al mattino restavo ancora per cinque minuti nel letto con gli occhi aperti per godermi quel risveglio così musicale.
Pensavo sempre che, prima o poi, l’avrei inserita nel mio gruppo per farle sfruttare al meglio quella sua voce così intonata.
Io ascoltavo le “novità del momento”: Elvis, Chuck Berry, Jerry Lee Lewis e Little Richard, mentre lei era un po’ più romantica ed era fan di star giovanissime e ancora poco conosciute come Bob Dylan e Joan Baez, che le trasmettevano quelle idee di pacifismo e libertà già dalle prime canzoni che facevano, contraddistinte da una semplice chitarra classica molto folk.
Grazie a questi fatti, la nostra amicizia era nata e si rafforzava ogni giorno di più.
Io sentivo che quello che provavo era più di una semplice amicizia, lo capivo ogni volta che discutevo di gruppi musicali con lei, ogni volta che improvvisavo qualche passo di rockabilly per farla ballare insieme a me, lo capivo ogni volta che lei mi metteva a posto la camicia (perché io, da buon ribelle quale ero già a dieci, undici anni, mi tenevo sempre la camicia fuori dai pantaloni), ogni volta che mi aiutava a sistemarmi la mia enorme frangia bionda raccolta in un ciuffo da un lato, lo capivo ogni volta che ridevamo insieme per una cazzata che era capitata ad uno dei due e io sentivo finalmente quella sua voce cristallina liberarsi nell’aria, producendo un suono allegro e squillante.
Una volta, a dieci anni, decisi di presentarla ai miei amici del gruppo.
“È la mia ragazza” dicevo fiero di me, probabilmente senza neanche sapere quello che stavo dicendo.
Ma Mel (così la chiamavo, affettuosamente) non si offendeva per niente, non era il tipo da arrabbiarsi per una cavolata del genere.
Un giorno le proposi di provare a cantare una canzone che conosceva accompagnata da noi ragazzi del mio nuovo gruppo, i Cousin Jacks, dove io suonavo la chitarra.
Lei acconsentì, dopo molti incitamenti, e alla fine provò un pezzo di Billie Holiday, Strange Fruits.
Io non immaginavo che lei conoscesse le parole, io conoscevo a malapena gli accordi (il jazz non mi appassiona più di tanto, ma quella canzone è veramente stupenda, così decisi di impararla), e forse neanche lei sapeva che io e i ragazzi la conoscevamo, così da quel momento diventammo ufficialmente inseparabili.
Ci prendevamo in giro a vicenda, ridevamo, correvamo insieme a piedi nudi nella verde brughiera della Cornovaglia, sentendoci liberi da ogni preoccupazione, ci rivelavamo i nostri segreti più oscuri e profondi e, per fortuna, andavamo a scuola insieme.
Non riuscivo a fare a meno di lei, non riuscivo a stare un giorno senza vedere il suo sorriso, senza sentire la sua voce intonare qualche pezzo lento e romantico.
Mel mi considerava come un buon amico, ma io sentivo di provare qualcosa in più nei suoi confronti, anche se eravamo solo dei ragazzini. La sua presenza mi trasmetteva allegria e spensieratezza, e, nonostante i suoi numerosi tentativi di farmi diventare un bravo ragazzo, non riusciva mai a farmi mettere la testa a posto.
Un giorno, però, accadde un fatto che mi rimarrà nella mente per sempre, da quanto è triste.
Mancava una settimana all’inizio della scuola media e, in pratica, io e Mel avremmo dovuto essere in classe insieme, come d’abitudine.
Io ero felicissimo, non desideravo altro che mettermi in mostra e poi farmi rimproverare dalla mia Mel, ma ogni volta che parlavamo, i suoi occhi marroni, un tempo così felici, sembravano riempirsi di lacrime, che poi venivano ricacciate in dentro con un gesto confuso.
Decisi di approfondire il motivo di tutta quella tristezza, così la trascinai sotto l’albero che consideravamo un po’ nostro, per via delle tante volte in cui ci raccontavamo le nostre cose in quel punto, e le chiesi, sollevandole il mento con due dita in modo che lei potesse guardarmi negli occhi:
“Ehi, Mel, che c’è?”
“Niente.” mi rispose lei, mentendo palesemente.
“Sei emozionata per la nuova scuola? Hai problemi con i tuoi genitori? A me puoi dirlo, lo sai.”
Lei tirò su con il naso e mormorò:
“Beh, sai che mio papà fa il manager, no?”
“Sì, e allora?”
“Ha ricevuto una promozione, e questo gli permetterà di trasferirsi con la sua famiglia in un luogo migliore.”
Mi sentii cadere il mondo addosso.
“Ma...con la sua famiglia...e quindi...” balbettai.
“Con me.”
Dette queste due semplici parole, il suo viso così grazioso si inondò di lacrime e lei si abbandonò ad un pianto sommesso e silenzioso, con il volto appoggiato alle ginocchia.
Io rimasi di sasso.
La mia migliore amica, colei che mi aveva fatto battere il cuore per la prima volta, l’unica persona in grado di capirmi e accettarmi per quello che ero, se ne stava andando via da me per colpa del fottutissimo lavoro del padre.
“Non è possibile...” continuavo a ripetere.
Allora Mel, vedendomi così, mi buttò le braccia al collo, piangendo sulla mia spalla.
Io la strinsi forte, tristissimo per la notizia e un po’ emozionato per quel contatto fisico che desideravo da tanto tempo.
Non riuscivo a proferire parola, il mio morale era sceso nelle viscere della Terra.
“Non voglio andare via, non voglio!” mi ripeteva lei, singhiozzando. “Io voglio restare qui con te, questa è casa mia!”
“E dove dovreste andare?” le chiesi senza guardarla negli occhi.
Non era colpa sua, ma mi sentivo tradito.
Ci eravamo ripromessi a vicenda di restare amici per l’eternità e adesso, i suoi genitori la stavano costringendo a rompere il nostro patto.
“A Plymouth, a due ore da Truro. Frequenterò una scuola locale, anche se so già che mi troverò malissimo.”
Plymouth.
Non sapevo più cosa pensare.
“E per quanto tempo ci starete?”
“Non lo so ancora, è questa la cosa peggiore! Ci posso stare sei mesi come ci posso stare sei anni!”
“Oh, cavolo.”
Furono le uniche parole che mi vennero in mente in quel momento per esprimere tutta la tristezza, la rabbia e l’indignazione che provavo in quel momento.
Me ne tornai a casa con un enorme vuoto nel cuore.
Mi chiusi in camera mia e formulai le ipotesi più assurde che mi balenarono nella zucca in quella situazione così confusa.
E se a Plymouth Mel avesse trovato un amico migliore di me?
E se fosse diventato più di un amico?
E se Mel mi avesse dimenticato per sempre?
Io in quel momento non avrei potuto immaginare una vita senza Mel.
Ci tenevo a lei, era la mia migliore amica e, a volte, speravo potesse diventare qualcosa di più, ma non riuscivo a sopportare l’idea di non poterla più vedere per un tempo maledettamente indeterminato, di non ballare più con lei, di non sentire al mattino il suo canto paragonabile a quello di un usignolo in primavera.
Ero letteralmente depresso.
Fortuna che ero ancora troppo piccolo e non conoscevo gli effetti (non proprio) anestetici dell’alcool, perché se no mi sarei bevuto almeno quattro bottiglie di vodka per reprimere a fatica la depressione.
La sera prima della partenza, presi Mel e la portai nella brughiera, così che lei potesse assaporare per l’ultima volta una delle cose che rendono così speciale la nostra Truro.
Il cielo era sereno e pieno di stelle.
L’avevo portata lì anche perché volevo finalmente rivelarle tutto ciò che avevo provato e che provavo quando ero insieme a lei, quando la sentivo cantare, quando me la ritrovavo incredibilmente vicina mentre lei mi rimetteva a posto la camicia nei pantaloni.
Ero abbastanza nervoso, non avevo mai fatto una dichiarazione d’amore prima di allora.
Perciò continuavo sempre a toccarmi il ciuffo, spettinandolo di conseguenza.
“Aspetta,” mi disse lei ad un certo punto. “stai fermo un secondo...”
Poi mi rimise a posto il ciuffo.
Non ero mai stato così emozionato come quando sentii le sue dita sulla mia fronte; le avevo sentite tante volte, ma in quel momento avevano un tocco diverso, più aggraziato, come se fosse stato realizzato apposta per mettere più suspense a quella semplice scenetta.
“Ecco, adesso sei carino.” mi disse dopo una manciata di minuti che mi erano parsi interminabili.
Io deglutii. Le parole non mi venivano in bocca, non riuscivo a spiegarmene il perché.
“Ehm...senti, Mel...”
“Dimmi, Rog.”
Ma perché, perché, perché non riuscivo semplicemente a dire: “Tu mi piaci più di ogni cosa al mondo e non voglio lasciarti mai perché tu per me sei speciale”?!
“Ehm...ti ricorderai di me quando sarai a Plymouth?” le chiesi invece.
“Certo, come potrei dimenticarti? E tu ti ricorderai di me?”
“Naturalmente, tu sei indimenticabile.” sussurrai senza neanche accorgermi di quello che le mie labbra avevano appena pronunciato.
Mel mi guardò negli occhi, poi mi disse:
“Abbracciami, ti prego. Ne ho tanto bisogno.”
Io obbedii e la strinsi forte.
Il profumo che emanavano i suoi capelli mi penetrava nelle narici.
“Ti voglio bene, Roger.” mi mormorò all’orecchio.
“Anch’io, Mel. Tanto.” risposi finalmente io.
Quando la riaccompagnai a casa, indugiammo due minuti sull’entrata, per darci i saluti finali.
Come la vidi lì, sulla soglia, illuminata solo dalla luce di una lanterna vicino alla porta, che la faceva apparire come un angelo appena atterrato sulla Terra, mi venne voglia di darle un bacio.
Ma Mel, stranamente, mi precedette e, quando sentii le sue labbra posarsi sulla mia guancia, delle scosse elettriche mi attraversarono la schiena e mi si rizzarono i capelli in testa.
“Grazie di tutto.” mi sussurrò prima di sparire alla mia vista dietro quella porta che, io speravo, non rimanesse chiusa per sempre.


Hello everybody!
Son ritornata con una piccola long...
Spero vi piaccia, è la prima che scrivo sui Queen!
Quest'idea di Rog bambino mi ronzava da un po' in testa, ho visto una sua foto da piccolo e sono rimasta folgorata xD *sospira ripensando sognante alla foto di Roger*
...Ah, eccomi, scusate!!!
Desclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di Roger Meddows-Taylor e soci, né intendo offenderli in alcun modo.
I personaggi realmente esistiti non mi appartengono, e Melanie è solo un frutto della mia immaginazione.
Beh che dire...
Leggete e, se ce la fate, recensite!
See you,
Midori
ccccccc

   
 
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