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Autore: GreedFan    31/07/2011    4 recensioni
Paese di Doruath-henn, nel mezzo delle Grandi Montagne.
Colin Farrell è un venticinquenne privo di scopi e prospettive, indifferente alla corte delle donne, ma soprattutto senza un drago. E sì, perché, da secoli ormai, tutti gli uomini di Doruath-henn ne possiedono uno.
Tutto cambia quando, una notte in cui la Luna splende di rosso, decide di seguire il consiglio dell'indovina del villaggio e recarsi sul picco più alto. Lì, farà un incontro che stravolgerà completamente la sua vita.
Il "senzadrago" non sarà più tale, e la sua storia si intreccerà con quella, ben più antica e tormentata, di una creatura sorprendentemente umana.
Jared.
[Primo, psicotico tentativo sul fandom]
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash, Slash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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1. The Master...

Il villaggio di Doruath-henn sorgeva in seno alle Grandi Montagne, in una valle appena discosta dall’ultima cresta prima delle Terre Vuote. La roccia delle Montagne era dorata, dura più dell’acciaio temprato, e brillava al sole in tutta la sua magnificenza d’inclusioni di gemme e vene d’argento; la conca della valle di Doruath-henn, a differenza dei paesaggi limitrofi, digradava dolcemente verso un fondo piano e relativamente vasto, foderato di una vegetazione arbustiva bassa e scura, sempreverde. Qua e là spuntava qualche boschetto di conifere, ma niente che potesse avvicinarsi anche solo lontanamente alla sconfinata foresta che avviluppava i fianchi delle montagne su entrambi i versanti, chiamata Storgronn dagli abitanti del villaggio e Mørktsted dalle altre genti che la conoscevano. Essa era immensa, antichissima e quasi completamente inesplorata; non v’erano sentieri che da Doruath-henn conducessero alle terre dell’est o viceversa, e pertanto essa fungeva anche da barriera naturale per tutti i predoni che, udendo favoleggiare delle incommensurabili ricchezze ammucchiate nel villaggio dell’oro, tentavano di attraversarla per appropriarsene. Coloro che tentavano di compiere simili prodezze tornavano di rado a casa, e altrettanto di rado conservavano il senno necessario per raccontare le proprie avventure.

In realtà, come qualsiasi abitante di Doruath-henn avrebbe potuto confermare, non c’era nulla di prezioso nel villaggio: è vero, le montagne circostanti erano gravide d’oro e gemme, ma gli uomini che ivi vivevano non conoscevano l’arte della metallurgia a livelli tali da poterne usufruire. Le loro esistenze si svolgevano in una tranquillità relativa, divise tra la pastorizia e qualche modesta attività di coltivazione e artigianato.

Eccetto un particolare, ovviamente.

Se c’era qualcosa per cui Doruath-henn, a buon titolo, era famoso nel mondo, era il fatto che, nel corso dei secoli, gli uomini avevano imparato a convivere pacificamente con gli altri abitanti delle alte montagne, ben più antichi e potenti di loro.

I draghi.

Essi venivano allevati come cavalcature in altre regioni delle terre orientali, ma, forse per l’influsso degli esemplari giunti da tempi immemori dalle Terre Vuote, forse per il loro antico potere che scorreva ancora nelle linee di sangue viventi sulle montagne, i draghi di Doruath-henn non avevano eguali nel mondo, né per bellezza, né per potenza. Tutti gli uomini del villaggio, al compiere dei vent’anni, sceglievano un drago che li avrebbe accompagnati per l’intera vita, a stregua di fedele cavalcatura e aiuto domestico; quando morivano, poiché la vita dei loro compagni era lunga quanto diverse generazioni umane (si narrava, addirittura, che alcune linee di sangue fossero immortali), i draghi volavano oltre le montagne per perdersi nelle nebbie delle Terre Vuote, da dove non tornavano più.

Anche a questa consuetudine c’era, però, un’eccezione.

Colin Farrell, venticinque anni, figlio del fabbro del villaggio. Ancora privo di un drago.

Se gli si chiedeva il motivo di questa situazione, era solito asserire che a lui i draghi non interessavano, che la prospettiva di cavalcare una lucertola alata non risvegliava in lui un briciolo d’esaltazione. In realtà, la scelta di un drago era un po’ più complessa di quanto non ci si possa aspettare: erano i rettili a scegliere i loro padroni, e non viceversa, attraverso un rituale complesso che imponeva ai ragazzi di Doruath-henn un ritiro spirituale di una settimana a Piccobuio, dove pareva si trovassero molti nidi. Lì, erano le cavalcature ad accostarsi ai prescelti, permettendo loro di condurle giù dalla montagna, fino al villaggio.

Colin era stato a Piccobuio sette volte, ma mai nessun drago aveva accettato la sua compagnia.

Un evento che, in cinquecento anni da quando Doruath-henn era stato fondato, non si era mai verificato.

Farrell junior non sembrava particolarmente impressionato dalla situazione, e trascorreva le proprie giornate all’osteria del paese – Stella della Valle, questo era il nome del piccolissimo locale – a sollazzarsi con i suoi amici e Scarlett, la bella figlia dell’oste.

Il giorno in cui tutto cambiò, era lì con i suoi amici Val e Randy, seduto ad uno dei tavolacci di legno grezzo con un grosso boccale trasparente di fronte, pieno a metà dell’ottimo sidro di pino che si preparava solo nella valle.

Si discuteva, come al solito, del più e del meno.

«Hai sentito l’ultima?» Val Kilmer, coetaneo di Colin, era un ragazzo alto e grosso con i capelli di un biondo scuro che stemperava a tratti nel rame e occhi chiari come biglie di vetro verdognolo; era bello e simpatico, già sposato con una compaesana che gli era cugina di terzo grado - ma non per questo meno spigliato nei complimenti alle belle cameriere della Stella.

«Hm, sarebbe?» Colin, al contrario, aveva occhi e capelli scuri e nessuna fidanzata. Un po’ per quello strano fatto di non avere un drago – cosa che, a lungo andare, aveva dato adito a dicerie poco rassicuranti – un po’ per il suo carattere scontroso e dissoluto. L’unica donna che gli dedicava attenzioni, poi, tendeva a non guardarla nemmeno.

«Stanotte ci sarà la luna di sangue...» sussurrò Val, con fare cospiratorio «... e pare che accadrà qualcosa di davvero tremendo al villaggio!»

«E tu com’è che lo sai, scusa?» Randy Harrison, un diciannovenne biondo come la luce dell’alba e acido più del succo di limone su una ferita fresca, diede un nuovo sorso al bicchiere di spremuta che stringeva tra le mani. Sotto i vent’anni, a Doruath-henn non era permesso bere alcunché di alcolico.

«Me l’ha detto la signora Jodie...»

«Uh, quella! Ma se è completamente pazza...» ridacchiò Colin, già piuttosto brillo nonostante non fosse ancora giunta l’ora del tramonto.

«Pazza non direi proprio, visto che è riuscita a prevedere il mio matrimonio con Lindsay».

«A prevedere quello non ci voleva niente, Kilmer! Tuo padre ne aveva parlato almeno dieci volte ad ogni abitante del villaggio ancor prima che tu proponessi il fidanzamento!» La battuta di Colin fece scoppiare un’allegra risata sia al suo tavolo che tra le altre compagnie presenti, evidentemente composte da individui poco discreti. Persino Val sghignazzò, afferrando Farrell per un braccio e scuotendolo con studiata delicatezza.

«E tu, senzadrago? Tu non saresti ansioso di sapere con quale donna dividerai la casa?»

«Già, Colin! Sei sempre per fatti tuoi, sempre scontroso, ma deve pur esserci qualcuna che ti piace!» Esclamò Randy, lanciandogli uno sguardo malizioso con i suoi limpidi occhi azzurri.

«Puah, donne... mi auguro che il matrimonio giunga tardi, e che lei non sia una di quelle insopportabili ragazzine tutte scarpe, cucina e vestiti. Mi chiedo se al mondo vi sia una donna con cui si possa conversare, o discutere di caccia, di...»

«Amico, tu chiedi troppo! Le donne sono a stento buone per il letto e il focolare, figuriamoci per... discutere di caccia! Mi spieghi che te ne faresti, poi, di una moglie che, piuttosto che cucinare, ti parla di come catturare cervi e conigli? Te lo dico io: nulla! Piuttosto...» abbassò la voce, tirandosi contro Colin per potergli parlare più agevolmente «... Scarlett proprio non ti piace? È forse la ragazza più bella del villaggio, e non ha occhi che per te».

«Ecco, a proposito...» gli fece eco Randy, agitando davanti al suo naso il bicchiere di coccio, vuoto «... credo sia proprio il caso di chiamarla. Ehi, Scarlett! Portami un altro po’ di questa spremuta, l’ho finita!»

E l’interpellata arrivò, qualche secondo dopo, stringendo una brocca di terracotta sbreccata.

Era, Scarlett Johansson, la bellezza più eclatante che si fosse mai vista a Doruath-henn da almeno vent’anni a quella parte. Aveva un viso bello e delicato, ovale, una pelle chiara e pura come i petali vellutati di certi fiori rosa che crescevano sulle alture in primavera e gli occhi grandi, dello stesso colore del cielo; labbra carnose e capelli biondi aggiungevano un tocco di innocente sensualità al suo aspetto, e lei non faceva assolutamente nulla per nascondere tanta avvenenza. Non era una persona particolarmente esibizionista e non esagerava mai, ma non disprezzava i vestiti che mettevano in mostra il suo corpo tornito e le acconciature che sottolineavano la bellezza della chioma.

Nel complesso, una ragazza che chiunque avrebbe volentieri sposato.

Chiunque, appunto, tranne Colin.

Pur riconoscendone le doti culinarie e la gentilezza, e considerandola comunque al di sopra di quella creatura acida e giallognola che era sua sorella Claudine, il ragazzo la trovava maledettamente noiosa e insipida. Poteva avere delle tette da urlo, un sorriso bianchissimo e una voce ammaliante (che poi, queste caratteristiche lui nemmeno le notava) ma rimaneva comunque una femmina, incapace di partecipare decentemente ad una conversazione e terribilmente goffa quando si trattavano argomenti che non fossero i bambini o il cibo. E lui non voleva trovarsi una cosa del genere appiccicata addosso per tutta la vita, nossignore.

Nemmeno la bellezza, poi, sarebbe rimasta in eterno.

«Colin, vuoi che ti porti qualcosa?» La voce della ragazza, come sempre più carezzevole del dovuto quando si rivolgeva a lui, lo riscosse dai propri pensieri. Le dedicò un sorriso tiepido, sbattendo le ciglia, poi deviò volutamente lo sguardo dalla sua persona e lo puntò sul piano sudicio del tavolo.

«No, sono a posto. Comunque grazie».

Lei sembrò delusa da quella freddezza, e se ne andò ticchettando sui suoi zoccoli di legno con il portamento di una principessa offesa. Randy, il bicchiere nuovamente pieno stretto tra le mani callose, guardò Colin come se d’improvviso gli fosse spuntato un fungo sulla fronte.

«Ma sei matto? Tu non ti rendi conto della tua fortuna, amico!»

«Forse no. Ma mi rendo perfettamente conto di quella che potrebbe essere la mia maledizione, e cerco di evitarla ad ogni costo».


***


Quando i suoi amici se ne furono tornati a casa, dalle rispettive famiglie, Colin uscì per le strade del villaggio. Bighellonò, come ogni sera, tra le alte baite di legno scuro ornate di fiori e pitture, senza rivolgere nemmeno un pensiero ad una casa che, per lui, non era più tale dall’età di undici anni.

Da quando, cioè, i suoi genitori erano morti in una valanga.

D’inverno la valle di Doruath-henn si riempiva di neve, e non era raro che si verificassero piccole slavine e frane. Gli abitanti erano abituati a quell’ambiente ed erano esperti conoscitori dei sentieri sicuri da percorrere, ma quattordici anni prima quell’abilità non era valsa a nulla; c’era stato un terremoto, forte e tremendo come mai prima d’allora, e i genitori di Colin, che si trovavano sulle pendici di Piccobuio a far legna, erano stati travolti da una valanga. I loro corpi, ritrovati tre giorni dopo l’accaduto, erano seppelliti nel cimitero del paese.

Da quel momento Colin e sua sorella Claudine avevano vissuto nella loro piccola baita da soli, almeno finché la ragazza, all’età di diciannove anni, era andata in sposa ad un fattore particolarmente facoltoso. Così, Farrell era rimasto da solo, con un mestiere che avrebbe dovuto portare avanti e nessuna voglia di farlo.

Non era colpa sua, si ripeteva in continuazione: semplicemente, la prospettiva – o condanna, che dir si voglia – di trascorrere tutta la vita al villaggio, con una bottega e una famiglia sulle spalle, non lo allettava. Gli sarebbe piaciuto scoprire cosa si celava oltre le infinite propaggini di Storgronn, e conoscere le immense terre dell’est, che si favoleggiava fossero piene di razze sconosciute e grandiose città, e poi le Terre Vuote dell’ovest, dove pareva si celassero i segreti della nascita del mondo e di tutte le genti che lo popolavano.

Ma nessuno, prima, aveva mai tentato una simile impresa, e pertanto nessuno l’avrebbe mai seguito. Tentare un simile viaggio da soli, poi, era fuori discussione: troppi i pericoli, troppe le miglia che lo separavano da un traguardo ignoto. Tanto valeva gettarsi giù dal pinnacolo più alto del nero Piccobuio, e cominciare un percorso ben più lungo e impegnativo.

«Ebbene, ora che faccio?» Si disse, attraversando il corso principale del paese. I fiori notturni, chiamati blomnjuit, spandevano nella brezza fredda un profumo piacevolmente balsamico, simile alla resina del pino e all’odore dell’acqua che scroscia nei torrenti. Passeggiando tra le case, alla fine Colin si risolse ad avvicendarsi ad un piccolo chioschetto che, nell’ombra di un vicolo stretto, spiccava per il fatto di essere illuminato a giorno da innumerevoli lanterne argentate e dorate. Avvolto da tendaggi rossi e purpurei, un baldacchino di legno nero circondava una sorta di banco ingombro degli oggetti più svariati, dalle pietre luccicanti alle sottili rune di metallo usate per la divinazione. Faceva bella mostra di sé persino una sfera di cristallo opalescente, poggiata con cura su di un cuscino dai ricami vivaci; Colin, scorgendola, non poté che sorridere.

La donna seduta dietro la sfera, di rimando, gli rivolse un ghigno enigmatico.

Checché ne dicesse, Farrell aveva molta stima per Jodie Foster, l’indovina del paese. Riconosceva che non avesse proprio tutte le rotelle al posto giusto e che le sue abitudini potessero sembrare al più incomprensibili, ma sapeva, in cuor suo, che le abilità della chiromante non erano affatto false. Non quando si trattava di prevedere matrimoni ormai annunciati o il tempo della settimana successiva – cose per cui bastavano orecchie pronte e occhi buoni – ma quando in ballo c’erano profezie ben più oscure e complesse. Ogni tanto le chiedeva qualcosa, giusto per scherzare, ma lei non gli dava mai risposte scontate.

E poi, più di tutto, era la donna che l’aveva allevato come una madre da quando i suoi genitori erano morti.

«Hai visto, Colin?» Lo interpellò, fissandolo di sottecchi con i grandi occhi cerulei, spiritati. Aveva un viso magro e affilato, capelli color biondo rossiccio e l’aspetto di una regina decaduta, fiera e allo stesso tempo misera, vestita di stracci da zingara.

«Ho visto cosa, la Luna? Impossibile non notarla, stasera». E Farrell indicò il tondo perfetto che, sulla sua testa, brillava rosso e sanguigno come l’occhio di un drago. A volte coperta dalle nubi, a volte perfettamente circolare e particolarmente splendida, quella notte la Luna irradiava il mondo di una luce cupa e spenta, inquietante.

«È la luna di sangue, che reca con sé un messaggio. Accadranno grandi cose, stanotte».

«Grandi cose? Che intendi?» Colin si appoggiò di peso al bancone, giocherellando distrattamente con un pentacolo intagliato nell’ambra.

«Conoscere gli eventi necessita di un prezzo a volte alto da pagare. Sei disposto a sobbarcartelo, Colin?» Gli sorrise, enigmatica come sempre.

«Dipende dal prezzo. Non si esige la mia vita, o sbaglio? Altrimenti non credo sorrideresti...»

«No, non la tua vita, ma certamente tutto il tuo coraggio. Desideri il potere di conoscere gli eventi?»

«E me lo chiedi! Non ho niente da fare e nemmeno sonno, e poi devo smaltire tutto il sidro che ho preso alla Stella. Allora, che vuoi che faccia per te?»

«Nulla più di quanto non occorra anche a te».

Detto questo, staccò dalla struttura del tendone una tra le mille lampade appese. Era particolarmente grande e bella, e la fiamma al suo centro, di un’incandescenza calda e allegra, brillava con la forza di un piccolo sole, ingabbiata tra ghirigori d’oro e complesse scritte in una lingua da tempo dimenticata. Sembrava che nulla la alimentasse, tanto era sottile il fondo della lanterna.

«È così... bella».

«Non è solo bella, ma anche incredibilmente preziosa. Proviene da un luogo e da un tempo ormai dimenticato, e la sua fiamma brilla di notte senza che la si debba accendere. Portala con te, stanotte, e poi restituiscimela al mattino, poiché, se la lanterna non torna alla legittima proprietaria, porterà sfortuna e morte a chi l’ha rubata. È un oggetto potente».

«E quindi... a che mi serve? Tanto è in prestito, no?»

«Recati alle pendici di Roccabianca. Attendi finché la notte sarà al suo apice, e la cosa che desideri di più al mondo ti si rivelerà davanti agli occhi; attento, però: se non coglierai l’occasione stanotte, non ne avrai mai più la possibilità».

Colin sgranò leggermente gli occhi, poi aggrottò le sopracciglia in un moto di confusione. Cosa desiderava, lui, più di ogni altra cosa? Visualizzò per prima l’immagine di una pinta di sidro lucida di vapore e gocce d’acqua, ma la scacciò con un moto deciso del capo: la sua ragione di vita non poteva essere l’alcool. Quello era solo il suo divertimento preferito, niente di più.

Jodie gli rivolse un’occhiata ammiccante, congiungendo le mani sotto il mento. Nella sua saggezza poteva tuffarsi nello scorrere degli eventi e prevederli prima che avvenissero, ma non le veniva mai la tentazione di rivelarli a chicchessia: se l’avesse fatto, gran parte del suo divertimento sarebbe sfumato. E poi, conoscendo il desiderio di Colin, avrebbe finito per cambiare il corso della storia, e quello era un peccato che nessuno avrebbe mai dovuto commettere.

«Quindi... ci vediamo all’alba di domani».

«Ricordati di portare indietro la lanterna. Ah, e presta attenzione al sentiero che conduce fino a Roccabianca... appena dopo il pino che si biforca in due grandi rami troverai una pietra grande e nera, ma non toccarla. Appena giunta l’alba, saprai il perché».

«Va bene. Grazie di tutto... Jodie».

«Aspetta a ringraziarmi, Colin. Adesso va’».


***


Roccabianca era una cuspide altissima di roccia candida, pallida e pura come il chiarore lunare, che sorgeva, speculare a Piccobuio, sull’altro lato della vallata; si innalzava per centinaia di piedi con una parete a strapiombo liscia come il vetro, impossibile da scalare, ma su un lato presentava una scalinata intagliata in tempi antichi dai primi abitanti di Doruath-henn. I rozzi gradini si avvolgevano attorno alla roccia bianca, privi di qualsivoglia parapetto, fino alla cima, dove si trovava una spianata ampia e dissestata, del tutto priva di vegetazione, conosciuta come Partea Lumii. La “cima del Mondo”.

La strada che da Doruath-henn conduceva fino a Roccabianca era l’unica pavimentata di tutto il paese, e, come un serpente ammantato di basalto, serpeggiava nelle valle fino ad inerpicarsi sulle pendici collinose delle montagne. Era larga, ampia, lì da tempi immemori.

Colin non amava particolarmente passeggiare, ma il freddo della notte faceva sì che non avvertisse la fatica. Nella valle vivevano alcun clan di lupi delle montagne, ma non si avvicinavano per via della presenza dei draghi; Farrell sospirò, sollevato, rivolgendo lo sguardo alla macchia scura che, poche centinaia di piedi sotto Piccobuio, denunciava la presenza delle I-Qëndrue, le stalle.

Sicuro e riposato, percorse le due miglia che lo separavano dalla base di Roccabianca in tre ore circa. Vide il pino che si biforcava, e, ai suoi piedi, una pietra nera liscia come il vetro e perfettamente piatta, ma non la toccò: troppe volte aveva ignorato i suggerimenti di Jodie e ne era rimasto scottato. Più tardi avrebbe effettivamente verificato il suo buonsenso.

Le scale di Roccabianca erano antiche, consumate dalle intemperie. Percorrerle era faticoso, e Colin, dopo essersi lasciato alle spalle all’incirca metà della strada, fu costretto a sedersi per far riposare le gambe. Gli bruciavano le ginocchia, e la vista era appannata dal sudore; come se non bastasse, raffiche di vento gelido lo facevano rabbrividire fin nelle ossa, presagendo un’infreddatura niente male. Scaldandosi le mani al calore della lampada, che non accennava a diminuire nonostante il freddo, ritrovò un po’ di vigore, e riprese la scalata.

Il baratro si faceva sempre più profondo sotto i suoi piedi, ma non era la prima volta che Colin percorreva quelle scale. All’età di undici anni, come tutti i ragazzi del villaggio, lo avevano costretto a salire fino in cima, di giorno, con il sole che riverberava sulla roccia candida e, alla fine, aveva finito quasi per accecarlo. Così, i paesani credevano di esorcizzare nei bambini la paura delle vertigini, nemica terribile per coloro che avrebbero vissuto su quelle montagne e cavalcato creature alate ad altezze inconcepibili.

E tuttavia, mentre i suoi compagni ricordavano quell’esperienza con gioia, come il primo passo verso l’età adulta, Colin conservava solo un senso di disgusto e paura. Roccabianca per lui era splendida, alta e bellissima, pura e bianca come il più bello dei cristalli, e la vista che si godeva da Partea Lumii non aveva eguali nel mondo... eppure la odiava, a causa di quel ricordo.

Fu per questo che, quando raggiunse la cima, non poté che sbuffare, infastidito, e rivolgere una smorfia all’infinito cielo buio, punteggiato di stelle, che si apriva sopra la sua testa. Era uno spettacolo incredibile, nero come l’inchiostro e sfavillante di diamanti infuocati, incommensurabilmente grande e quasi ostile, illuminato da quella luce stranamente rossiccia. Colin si sentì piccolo, inutile, come una formica che si fermi a contemplare la possente mole di una montagna, e si sedette per terra, la schiena percorsa dai brividi.

Era solo, sul tetto del mondo.

Strinse a sé la lanterna, trepidante, e si guardò attorno, torcendo tutto il busto per abbracciare il maggior spazio possibile. Avrebbe voluto portare con sé del cibo, ma non era saggio farlo: l’odore degli alimenti avrebbe potuto attirare predatori volanti ben più ostili dei draghi, quindi meglio rimanere a bocca asciutta e mangiare qualcosa una volta scesi dalla montagna.

Attese per un tempo che gli parve infinito, finché non gli venne sonno. Accostò le ginocchia al petto, poi le circondò con le braccia e vi sprofondò la faccia, sfinito e infreddolito; chiuse gli occhi, espirando in un colpo tutto lo stressa accumulato nella solita giornata di routine fallimentare e scherni da parte del resto degli abitanti del villaggio.

Aveva venticinque anni, ed era un completo fallimento. Come cavolo gli era venuto in mente di salire sulla montagna? Cosa sperava di trovare? Di sicuro, non la risposta a tutti i suoi problemi...

Improvvisamente, proprio mentre era perso nei suoi pensieri, un rumore appena percettibile lo riscosse.

Un fruscio, leggero, impalpabile.

Eppure, per qualche ragione a lui sconosciuta, Colin rabbrividì. Aveva come la percezione che ci fosse qualcosa, lì con lui, nell’oscurità.

Alzò il capo, lentamente.

Molto lentamente.

Millimetro dopo millimetro, spaziò con lo sguardo nel’oscurità cupa che lo circondava.

E poi, a qualche metro da lui, lo vide.

Se, ad un’occhiata distratta, la si poteva confondere come un angolo di cielo privo di stelle, guardando meglio era impossibile non riconoscere l’enorme sagoma nera che si ergeva, immobile, sulla pietra bianchissima.

Colin, tremando di un terrore puro e atavico che non aveva mai provato prima, afferrò la lanterna di Jodie, dimenticata al suo fianco, e la levò alta sopra la testa.

Quando vide cosa aveva davanti, il respiro gli morì in gola.



















_Angolo del Fancazzismo_

Dopo tanto indugio, mi sono decisa a postare qualcosa in questo fandom.

Probabilmente vi verrà voglia di tirarmi appresso qualcosa, visto il genere piuttosto "inconsueto" della storia e visto che di lemon, qui, non ce ne saranno molte, ma spero comunque che la fic risulti godibile almeno per chi già mastica qualcosa di genere fantasy.

Dunque, cose da dire sul capitolo...

Ah, ok.

Innanzitutto vi linko le foto dei vari personaggi apparsi nel capitolo!

Colin Farrell:

http://www.perfectpeople.net/photo-picture-image-media/Colin-Farrell-2418x2500-596kb-media-1187-media-162702-1292279703.jpg

Val Kilmer:

http://www.bestcelebritylinks.com/v/val_kilmer/valkilmer.jpg

Randy Harrison (che, per intenderci, è Justin di Queer As Folk):

http://b.imdoc.fr/soft/1/divers/idoles-sens-premier/photo/6303575630/15173648c78/idoles-sens-premier-randy-harrison-img.jpg

Jodie Foster:

http://www.xtremewalls.com/hollywoodf/jodiefoster/jodie-foster-051-01.jpg


Che dire... i chiarimenti e "Jared" al prossimo capitolo (oh, capirete presto il perché delle virgolette), spero di essere riuscita almeno ad incuriosirvi!

See you soon,

GreedFan

   
 
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