Premessa: Questa fanfiction è vincitrice di un contest a cui ho partecipato What if? E se Elena avesse conosciuto prima Damon indetto dal FF Italia. L'introduzione, scritta in corsivo, è stata realizzata dalla giuria e prendendo come vero gli avvenimenti dell'introduzione i partecipanti hanno realizzato le varie one shot. La mia ho pensato di ambientarla durante il finale della puntata 1x06.
I think I might’ve inhaled you;
Erano
passati quattro mesi dalla morte
dei suoi genitori. La vita delle persone era andata avanti e ormai
quasi
nessuno ricordava quell’avvenimento ma lei non era andata
avanti. Lei, Elena
Gilbert ricordava tutto e non era disposta a dimenticare. Continuava a
scrivere
sul suo diario ogni ricordo, ogni espressione e ogni giornata passata
con la
sua famiglia. Appuntava tutti quei pensieri affinché non
fossero dimenticati,
affinché non sbiadissero nella sua memoria. Lei era sempre
stata così
dannatamente razionale e odiava questa parte di se stessa. Continuava a
rimuginare su cosa avrebbe potuto cambiare di quel giorno, era colpa
sua se i
suoi genitori si trovavano in quel ponte. Era solo colpa sua
perché erano
usciti per lei, erano usciti per comprare il vestito per il suo
compleanno. Il
suo super-io era davvero un bastardo a tormentarla con quei sensi di
colpa,
sensi di colpa che non l’avrebbero mai aiutata ad uscire da
quel tunnel. Quelli
erano i pensieri che tormentavano, continuamente, Elena Gilbert.
D’un tratto
sentì il campanello di casa suonare. Si precipitò
ad aprire e accolse in casa
sua Caroline.
Caroline, in quei mesi, si era sempre preoccupata per lei. Era sempre
andata a
svegliarla ogni mattina, spesso buttandola giù dal letto, e
le aveva sempre
passato la scatola di kleenex non appena lei iniziava a piangere. Non
credeva
che lei, Caroline Forbes, potesse tenere a qualcuno eccetto se stessa.
Elena
sorrise, chiudendo la porta dietro le sue spalle e
accompagnò Caroline in
cucina. Non si era per niente accorta che lei teneva in mano degli
abiti da
sera.
“Stasera c’è la festa di inizio scuola
al Grill. Noi dobbiamo assolutamente
andarci”- disse Caroline, entusiasta- “non accetto
un no. Anche perché ho
comprato un vestito da sera per te. Quindi ho speso dei soldi e come
sai, io
odio spendere soldi inutilmente”. Prese l’abito e
lo porse all’amica.
“Dovrebbe starti bene. Si abbina alla tua pelle
olivastra.” La ragazza dalla
chioma bionda prese la sua trousse di trucchi, il vestito che avrebbe
indossato
quella sera e posò la mano di Elena sulla sua. Caroline
guidò l’amica su per le
scale, arrivando in camera.
“Sapevo che non ne saresti stata entusiasta ma stasera devi
venire con me e ti
assicuro che ti divertirai.”
Elena guardò Caroline, ancora una volta, e sorrise. Poteva
anche concedersi di
divertirsi. Non pretendeva di essere felice ma voleva ridere a pieni
polmoni.
Per quella volta voleva sorridere alla vita, quella volta avrebbe
lasciato la
sua razionalità in un angolino del suo cervello, quella
volta avrebbe seguito
il consiglio dell’amica. “Va bene,
Caroline.” La ragazza dalla pelle chiara
corse ad abbracciare Elena.
“So essere convincente quando voglio.”- disse
all’amica stringendola ancora più
forte a se. Elena non ricordava di aver percepito le ore passare quel
pomeriggio, tutto era stato così veloce e così
bello che aveva persino perso la
cognizione del tempo. Caroline aveva la mania di arrivare agli eventi
nel
momento in cui erano al massimo dello splendore e così fece
anche quella volta.
Entrarono dalla porta principale del Grill e tutti si voltarono al loro
ingresso. Caroline prese per mano Elena e le offrì da bere.
Rimase al bancone
fin quando non finì di sorseggiare il suo Martini bianco,
dopotutto lei adorava
quel superalcolico. Non appena si girò dovette salutare
molte persone. Tutti
erano così intenti a chiedere come stava, come aveva passato
l’estate e alcuni
perfino l’abbracciarono per essere solidali. Lei rispondeva
educatamente e con uno
di quei sorrisi malinconici stampati in faccia che ormai erano
diventati un
modo di fare costante in quegli ultimi mesi. Erano sorrisi con un
duplice
scopo: lei fingeva di stare bene e nel frattempo le persone non
chiedevano più
niente riguardo al suo umore e riguardo al suo cuore.
Era alquanto conveniente per lei e per gli altri, poirché
spesso gli altri non
erano per niente interessati a quella risposta.
All’ennesimo saluto decise di uscire fuori a prendere un
po’ d’aria, perché era
ciò che mancava all’interno di quel locale.
Sospirò e si guardò intorno,
all’improvviso un ragazzo le si avvicinò. Elena si
voltò e incrociò il proprio
sguardo con quello del giovane.
Nonostante il buio riuscì a distinguere due occhi color
ghiaccio e capelli
scuri come la pece, abbinati ad una carnagione così chiara
da pensare che fosse
malato. Si fissarono per quelli che furono attimi ma che vennero
percepiti come
lunghe ore, prima che lui parlasse.
“Un faccino così triste in una festa
così bella? Alla tua età dovresti
divertirti.”.
Il ragazzo alzò un angolo della sua bocca sfoderando un
sorriso sghembo. Elena
continuò a fissarlo, senza parole, la persona che aveva
davanti era troppo
perfetta per essere vera.
“Piacere io sono Damon”.
Troppo perfetta per essere umana.
Il
sole bruciava gli occhi,
più di quanto l’oscurità aveva fatto
per tanti mesi.
Così
si era sentita Elena
la prima volta che aveva respirato dopo quei mesi intrisi di laceranti
sensi di
colpa per la morte dei suoi genitori.
Ricordava
ancora lo sforzo
a cui erano stati sottoposti i suoi poveri polmoni, costretti ad
accogliere
aria malsana e pesante come macigni. Gli occhi erano rimasti inariditi
come il
disteso deserto del Sahara, così privi di vita e secchi di
alcuna lacrima,
tanto era stato violento l’acquazzone che l’aveva
disidratata. Le labbra erano
diventate un ammasso di pelle screpolata, taglienti come carta vetrata,
da cui
non era uscita alcuna parola per settimane intere.
Molti
erano stati coloro
che avevano tentato di aiutarla, troppi
coloro che non ci erano riusciti.
Eppure
lui, chissà come e con
quale stratagemma, era riuscito a farle
aprire gli occhi per farli scontrare violentemente con i suoi, fatti di nastri di ghiaccio e scaglie di
cielo.
Ed
Elena era rimasta
scottata, bruciata, ustionata dal
suo tocco leggero - un tocco non umano.
Wake up
Look me in the
eyes again
I need to feel
your hand
upon my face
A
distanza di tre mesi, si
trovava in quella stessa situazione: di nuovo gli occhi bruciavano e i
polmoni
agognavano quell’aria che non sarebbe mai riuscita a
catturare, non senza di lui.
Le
dite affusolate
strisciavano sulla superficie lignea della porta di casa alla quale era
appoggiata la schiena di Elena.
Il suo
corpo era scosso da
singulti, simili a piccole scosse elettriche che le pervadevano tutti i
muscoli,
facendola sprofondare, agonizzante, sul freddo pavimento.
Le
parole rimbombavano
ancora nella sua testa, ancora una volta pronunciate da quella bocca
rosea che
aveva quasi fatto propria.
Ma il
ricordo degli occhi
rossi, dei canini sporgenti, del sangue, le fecero mancare
l’aria più di quanto
potesse essere possibile.
Elena
si coprì le orecchie
con le mani, tappandole, artigliando i capelli così da porre
fine a quel ronzio
continuo, alle parole appena pronunciate da Damon e da Stefan e che
avevano
radicato nei terreni più impervi della sua mente.
Non
era possibile, non
avrebbe creduto che il Damon incontrato a quella festa, solo due mesi
prima,
fosse il Damon vampiro, l’uomo che aveva trasformato Vicky
Donovan in un essere
mostruoso.
Si
coprì il volto mentre la
porta continuava a sussultare, un po’ per i suoi singhiozzi
un po’ per la furia
di Damon che continuava a battere alla porta tentando di spiegare,
quando, in
fondo, tutto era chiaro come il sole.
“Elena
apri la porta, ti
prego!” urlò nuovamente il vampiro rimasto solo in
quella veranda, questa volta
con un tono più che supplichevole: le avrebbe spiegato,
perché nonostante tutto
lui la conosceva da molto più tempo.
Elena
tremò al suono della
sua voce e si sentii attraversare da una sfilza di coltelli che le
squarciavano
il petto. Deglutii a fatica nonostante la morsa che le chiudeva
l’esofago e
trattenne il respiro quanto bastava per poter sfiatare emettendo un
suono
indecifrabile che neanche lei udii.
Provò
di nuovo e,
portandosi una mano in grembo, lo disse.
“Vai
via Damon”.
Pronunciò
quelle parole, ma
sapeva bene che il suo cuore voleva dire ben altro.
Altre
lacrime le solcarono
il viso quando non sentii più alcun rumore provenire al di
fuori della
sottilissima porta.
Il
silenzio non era stato
mai così lacerante – per entrambi.
Words
can be
like knives
They can cut you open
And then the silence surrounds you and haunts you
“Non
me ne vado, così come
non me ne sono andato quella notte”.
Il
silenzio fu spezzato da
quella voce cristallina ed Elena perse un battito al ricordo di quella
notte.
Il
sapore aspro del Martini
si fece vivo tra le papille gustative della sua lingua così
come il forte odore
di menta che proveniva da quel ragazzo che le si era avvicinato quando
le era
mancata l’aria per i troppi sorrisi che aveva dovuto
inscenare.
A
pensarci bene si sentiva
proprio come quella volta: consumata da un’immensa voragine
proprio in mezzo ai
suoi polmoni, che le incrinava le costole e le soffocava il cuore.
Ma
adesso il motivo era ben
diverso: era stata immersa in un nuovo mondo, un mondo crudele e
irreale in cui
mostri come i vampiri vivevano liberamente, in cui tutti sarebbero
diventati
vittime e carnefici allo stesso tempo.
E fu
come se le stesse
crollando addosso il mondo, colpita da quella nuova consapevolezza.
I suoi
polmoni richiedevano
ossigeno, la sola cosa che forse avrebbe lenito la sua ferita ma anche
l’aria
non riusciva a soddisfare il suo bisogno.
Soffocava,
così come quella
notte.
Eppure
lui era rimasto a
consolarla nonostante i suoi continui rifiuti, seduto sul marciapiede
accanto a
lei, sorreggendole la testa e forse, già quella volta, anche
il cuore.
Allungò
la mano afferrando
la maniglia lucida della porta che si piegò sotto il suo
peso.
Fece
leva sulle sue gambe
ancora perse da qualche parte sotto di lei e si aggrappò
alla porta riuscendo
così ad alzarsi.
Le
mani le tremavano e
sentiva le gambe spesse come tronchi e il cuore aggrovigliato
più di una
matassa.
La
serratura scattò e quel
rumore la fece sussultare mentre la porta scricchiolante si apriva
leggera.
E una
sferzata di aria
fresca le colpì il viso, ma non fu quella a rigenerarla.
Damon
stava ritto di fronte
a lei, negli occhi un temporale di emozioni si susseguiva.
“Elena”.
Le sue
labbra si mossero
senza volerlo, ma fu bloccato dalla testa di lei che premeva contro il
suo
torace, ansimante e grondante di lacrime.
E la
inghiottiva
quell’aria, soffice e fresca, la strappava
all’atmosfera per farla sua, la
masticava fino a sentirne saturi i polmoni.
Era lui
la sua aria e in quel momento ne
aveva incredibilmente bisogno
più del lecito.
Si
ricordò ancora di quella
sera e di quanto fosse stata sciocca a non cedere alla tentazione di
rannicchiarsi contro di lui per trovare un po’ di conforto.
Ma
niente era più rimasto
come quella sera, tutto si era capovolto stringendosi ed
ingarbugliandosi
sempre di più finché l’unica soluzione
era stata quella di tagliare il filo.
Pensò
semplicemente che
avrebbe dovuto respirarlo, farlo entrare nei suoi polmoni e asfissiarsi
di lui:
sarebbe stato molto più semplice poter vivere di
lui, con lui, in
lui.
Damon
le accarezzò la nuca
e per un milionesimo di secondo ebbe come l’impressione che
provasse qualcosa
per Elena, un sentimento che andasse oltre la semplice somiglianza con
Katherine, un sentimento che forse era sbocciato veloce, quasi con
prepotenza e
che aveva attecchito nel suo animo di vampiro.
“Elena
so che questa
situazione è più grande di te, e ti capisco se
non vuoi più vedere né me né
Stefan ma sappi che sei dentro questa storia molto più di
quanto tu creda”.
Le
iridi blu dei suoi occhi
erano inchiodate a quelle umide di Elena, i loro respiri intrecciati.
“Quella
sera alla festa
avevo voglia di rinchiudermi nuovamente in casa, mi mancava
l’aria, non
riuscivo a respirare. Mi sentivo come se appartenessi ad una
realtà diversa
dalla mia.”
Gli
occhi di Elena si
velarono di altre lacrime che tentò di ricacciare indietro
mentre la stretta
ferrea di Damon aumentava alle sue spalle.
“E’
così che mi sento,
Damon. Ora che so cosa siete tu e tuo fratello e quello che hai fatto a
Vicky,
vorrei solamente svegliarmi e ripartire nuovamente da zero.”
A
quelle parole Damon si
irrigidì e trattenne un gemito.
“Ma
come hai detto tu, sono
dentro questa storia molto più di quanto io creda, per il
semplice fatto che ho
costantemente bisogno di te per
ricominciare.”
Elena
artigliò quasi con
ingordigia la giacca di pelle di Damon e i suoi occhi non furono mai
così
brillanti sotto la fioca luce a neon della veranda.
“Non
avrei dovuto
coinvolgerti, fin dal primo istante” disse Damon con un misto
d’ira, abbassando
lo sguardo cristallino e afferrando i polsi di Elena, tentando di
staccarsi da
lei, tentando di soffocare, reprimere la bramosia irrefrenabile di
averla tutta
per se, ma la storia non poteva ripetersi, non di
nuovo.
Eppure
ogni sua opposizione
sembrava effimera perché fin dal primo istante in cui
l’aveva vista a quella
festa gli era sembrato che ne fosse valsa la pena di aspettare
centoquarantacinque anni solo per incontrarla. E forse già
quella notte stessa
quando l’aveva riaccompagnata a casa aveva ceduto
all’idea di poterla amare per
il semplice fatto che lei non era Katherine, ma era dentro di lui da
molto più
tempo.
“Si
è sempre in due: quando si soffre e
quando si ama! L’importante è
scegliere la persona giusta con cui farlo. Ricordi? Era
questo che mi
dicesti prima di lasciarmi qui quella notte”
Le
pupille di Damon si
dilatarono leggermente a quel ricordo e le labbra si piegarono in un
sorriso,
facendo nascere alcune fossette lungo tutta la guancia destra.
Le
sfiorò la gote ancora
umida e, con ancora stampato in viso quel suo sorriso, si
avvicinò a lei, alle
sue labbra. Le dischiuse invadendola di un odore buono che la
inebriò da capo a
piedi come lieve pioggia. Elena chiuse gli occhi, non aveva bisogno di
tenerli
aperti perché la sua mente ricordava ogni dettaglio di lui.
Le mancava
ossigeno, ma poco importava.
“Ricordati
di respirare”
sussurrò e avvolse le sue labbra a quelle di Elena.
Fu
come vedere un’eclissi,
tanto bella quanto angosciante, il mescolarsi di frammenti di ghiaccio
e sabbia
rovente sembrava manifestarsi dall’unione delle loro lingue e
dei loro gemiti.
Tutto
di lui le scorreva
dentro, tra le fibre del suo essere! Era satura di Damon fino alle
punte dei
capelli. E poco importava che fosse un mostro, non riusciva a non
comprendere
l’inizio di una nuova vita senza lui.
Era
più che aria per lei,
era vita.
In
qualche modo riuscì a
ritrovare i propri pensieri e mentre le labbra di Damon si modellavano
sempre
di più sulle sue come avrebbero dovuto fare quella notte,
Elena pensò che in
fondo avrebbe seguito il suo consiglio: lo avrebbe respirato,
così sarebbe
stato più facile vivere di lui, per lui, in lui – per sempre.
I can feel you
behind my
eyes
You’ve
gotten into my bloodstream
I can feel you flowing in me
***
Salve carissimi,
Sono lieta di postarvi una fanfiction che si è stata proclamata vincitrice ad un contest a cui ho partecipato! Ancora non posso crederci *_* La canzone l'avete sicuramente riconosciuta: è "Bloodstream" degli Stateless. Da alcuni giudizi è sembrato che i personaggi siano un po' OOC perciò l'ho inserito tra gli avvertimenti. Ringrazio ancora il FF Italia per aver indetto questo contest e spero che in futuro se ne faranno altri *O*
Grazie mille
per aver letto ♥