Storie originali > Horror
Ricorda la storia  |      
Autore: Black Drop    01/08/2011    1 recensioni
Roxanne pensò che sarebbe morta in quel momento, il dolore era troppo e insopportabile. Lo sentiva in tutto il corpo, aveva iniziato a respirare con difficoltà e aveva le narici impregnate dell’odore pungente e ferroso del sangue.
Per qualche minuto rimase immobile, certa che di lì a poco sarebbe tutto finito.
- Ti sei già stancata? – sentì i passi leggeri della piccola assassina. Si rese conto di essere ancora viva, di avere ancora una possibilità.
Genere: Horror, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Revenga

 

    I saw her laugh
Then she said:
"Go away."
   

  
Nonostante fosse estate, quel giorno faceva freddo, il cielo era coperto dalle nubi e dal clima sembrava che stesse per piovere. Roxanne camminava frettolosamente, stringendosi nel suo scialle, il rumore dei suoi tacchi sull’asfalto rompeva il silenzio quasi innaturale che regnava nella strada deserta.
Roxanne aveva superato i quaranta già da qualche tempo, ma non li dimostrava affatto. Era infatti molto bella, era alta e magra, il viso giovanile mostrava un’aria perennemente seria e altezzosa. Raramente la si vedeva ridere di gusto, lei era solita comportarsi freddamente in ogni occasione.
Nessuno dei suoi conoscenti sapeva qualcosa del suo passato. Per tutti quanti lei era semplicemente una donna superba e vanitosa che viveva completamente sola e amava la solitudine.
Quando arrivò a casa non si sorprese più di tanto nel trovare una macchina parcheggiata nel vialetto; riconobbe l’auto di Jack Reed.
Jack aveva da sempre dimostrato un certo interesse verso Roxanne, nonostante lei avesse sempre reagito con freddezza e superbia a tutte quelle attenzioni, ma lui non si era mai arreso. Perciò fu con impazienza che la donna entrò in casa sua, pronta a cacciare il suo spasimante.
Appena richiuse la porta dietro di sé notò subito il silenzio che regnava nella villetta, pensò che Jack avesse intenzione di farle una sorpresa. Sospirò seccata, poggiando la borsa e lo scialle nel divanetto e soffermando lo sguardo severo sulla porta della cucina. Vi si avvicinò lentamente e accostò l’orecchio cercando di cogliere possibili rumori che non udì.
- Jack? – chiamò a mezza voce.
Non le arrivò risposta, così aprì la porta. In quell’istante vide l’inferno davanti a lei. Non riuscì a trattenere un urlo terrorizzato, mentre fissava ad occhi sgranati quella scena raccapricciante.
Le pareti e il bancone erano macchiati da schizzi rossi, a terra, in un lago di sangue, vi era Jack, privo di vita, un coltello da cucina era piantato nel petto, la camicia completamente macchiata di rosso. Roxanne barcollò, le lacrime agli occhi. Fu in quel momento che notò sul muro una scritta, fatta col sangue, che recitava un’unica parola: vendetta.
Roxanne gridò nuovamente, iniziando a singhiozzare.
- Perché?! – si ritrovò a strillare senza motivo. Ma l’ultima cosa che si aspettava era una risposta.
- C’è da chiederlo? – domandò a sua volta una vocetta flebile alle spalle della donna.
Lei si voltò terrorizzata e si ritrovò a guardare in faccia una bambina dall’aspetto familiare. Aveva lunghi capelli scuri, spettinati e incolti, che incorniciavano il viso pallido e magro. Gli occhi chiari erano cerchiati da profonde occhiaie, le labbra incurvate in un sorriso sadico e malvagio.
Roxanne si ritrovò improvvisamente senza voce.
- Ho… Holly…? – gracchiò, singhiozzando più forte.
La bambina parve  sorpresa, ma il suo sorriso si allargò diventando ancora più inquietante.
- Ma come sono felice! – disse in un sussurro soddisfatto. – Ti ricordi di me!
Roxanne non riusciva a credere ai propri occhi. Le gambe le cedettero e lei cadde in ginocchio in quel lago di sangue. Non riusciva più a muovere un muscolo, si sentiva come se fosse dentro ad un terribile incubo. Holly era davanti ai suoi occhi, ma lei non poteva essere lì, no. Holly era morta molto tempo prima, lei ne era sicura, ma allora perché era lì, nella sua cucina?
- Non è possibile… - mormorò disperata. – Non è vero… Tu non… non sei qua. – le lacrime presero a scorrere lentamente sulle guance.
La bambina rise di gusto. – Ma come non sei contenta di vedermi, mamma? – chiese sadicamente.
In quel momento Roxanne credette di svenire. Si passò una mano sul volto, cercando di asciugare le lacrime, strizzò gli occhi come per convincersi che era solo la sua immaginazione, ma lei era sempre lì, davanti a lei.
- Perché? – chiese di nuovo con voce flebile. Non riusciva a muoversi, non riusciva a pensare chiaramente, a capacitarsi della situazione.
Holly ridacchiò perfidamente. – È ovvio no? È la mia vendetta per quello che mi hai fatto, per avermi ucciso!
Roxanne scosse debolmente il capo come se non volesse credere alle sue orecchie. Era impossibile, era solo un sogno, la sua immaginazione e, perché no, anche il suo senso di colpa. Ma a lei i bambini non erano mai piaciuti e lei le aveva portato via l’unica persona che avesse mai amato.
Le scoccò uno sguardo carico d’odio, rabbia e terrore. – Vattene, ti prego! – alzò la voce di un’ottava. – Vattene!!
Ma le sue preghiere furono interrotte dalla risata malvagia della bambina, che le si avvicinò con aria divertita. – Giochiamo un po’, mamma!
Roxanne si alzò di scatto, non sapeva se fosse stata la sua forza di volontà o la paura che la figlia la toccasse, si voltò e uscì di corsa dalla cucina. Il tragitto fino alla porta di casa le sembrava infinito, aggirò il tavolino e il divano e raggiunse la porta. Armeggiò con la serratura e finalmente riuscì ad aprirla, ma quando si ritrovò di fronte Holly gridò con tutto il fiato che aveva i gola. Si sentì spingere all’indietro e finì contro il muro. Sentì un dolore lancinante in tutta la schiena e nella nuca, dove percepì il calore del sangue che le colava sul collo. Aprì gli occhi cercando di mettere a fuoco.
Holly si avvicinava con aria irritata. – Se scappi non vale. Non è leale.
Arrivò davanti alla donna e le accarezzò il volto, con un sorriso maligno, poi la spinse di lato, mandandola contro il tavolino di vetro che si infranse, spargendo cocci dappertutto e formando tagli sul volto e sulle braccia della sua adorata madre.
Roxanne pensò che sarebbe morta in quel momento, il dolore era troppo e insopportabile. Lo sentiva in tutto il corpo, aveva iniziato a respirare con difficoltà e aveva le narici impregnate dell’odore pungente e ferroso del sangue.
Per qualche minuto rimase immobile, certa che di lì a poco sarebbe tutto finito.
- Ti sei già stancata? – sentì i passi leggeri della piccola assassina. Si rese conto di essere ancora viva, di avere ancora una possibilità.
Aprì gli occhi e sbatté diverse volte le palpebre. Vide il soffitto bianco, immacolato, poi molto lentamente per non farsi più male girò la testa e osservò due piccoli piedi, dentro a delle graziose scarpette nere e lucide. Holly era al suo fianco. Alzando appena lo sguardo poteva incontrare i suoi occhi chiari, in contrasto con quelle ombre scure che li contornavano.
Non aveva mai voluto bene a quella bambina, nonostante fosse sua figlia, ma era rimasta con lei per amore del suo amato marito. Ma quando lui morì al posto suo… quando lui diede la sua vita in cambio di quella di suo figlia… Roxanne non la aveva mai perdonata, lei era l’unica  causa della sua morte.
Eppure in quel momento si ritrovò a pensare che dopotutto le dispiaceva, lei glielo ricordava moltissimo, aveva i suoi stessi occhi, il suo stesso sguardo. Era la degna figlia di suo marito.
In un attimo Roxanne si rese conto di stare piangendo. Sbatté le palpebre, lasciando che le lacrime le rigassero il volto.
- Perdonami. – sussurrò senza voce, ma la bambina la sentì comunque.
Il suo sorriso si spense e rimase a fissare la donna come imbambolata. Piegò appena la testa di lato, incuriosita.
- Tu ti stai scusando? – domandò acidamente. – Ti stai scusando?!
Roxanne sentì un dolore improvviso e lacerante sulla pancia. Le venne un conato di vomito e sentì il sangue invaderle la bocca e colarle poi copioso dalle labbra.
Holly ritrasse il piedino dalla pancia della sua vittima, con sguardo truce.
- Tu credi che si possa perdonare qualcosa di così stupido e oltraggioso? Tu credi che si possa perdonare l’omicidio? – la sua voce lasciava trasparire ira, odio e indignazione.
Si chinò per essere più vicina a Roxanne, si portò una mano al colletto del vestitino bianco e lo abbassò di qualche centimetro.
- Li vedi? – chiese in un sussurro, indicando dei segni sul collo, segni di strangolamento. – Li vedi, vero?
Roxanne singhiozzò più forte. Strinse gli occhi, non voleva vedere i segni che le sue mani avevano lasciato sul collo della sua bambina.
Holly rise sprezzante. – Le lacrime del coccodrillo. – citò con disgusto.
Poi, senza delicatezza si sedette a cavallo sulla pancia della donna, provocandole nuovamente il dolore alla pancia. Roxanne tossicchio debolmente, altro sangue le scese a rivoli dalle labbra. Socchiuse gli occhi, guardando di nuovo quelli della bambina, quelli di suo marito.
- Sei pentita solo perché te lo ricordo, non è vero? – domandò con voce tagliente Holly.
Roxanne singhiozzò disperata. Non riusciva a muovere un muscolo, sentiva dolori in tutto il corpo. Stava perdendo troppo sangue e la vista iniziava ad offuscarsi. Ma voleva vedere, voleva vedere quegli occhi. Andava bene morire anche in quel momento purché continuasse a perdersi in quegli occhi chiarissimi.
- Puoi anche avermi risparmiato il dolore fisico, - bisbigliò spietata. – ma il dolore che ho provato qui… - e si portò una mano al petto. – quel dolore non è minimamente paragonabile a quello che provi tu adesso.
Il suo sguardo non era più divertito, sul suo viso regnava un’espressione seria e crudele. Portò lentamente le mani sul collo di Roxanne, fino a circondarlo completamente e iniziò a stringere.
- Adesso pagherai. – disse Holly in un filo di voce.
Roxanne sentì l’aria mancarle del tutto. Cercò di tenere gli occhi aperti il tanto che bastava per guardare il visetto della piccola assassina, mentre la gola iniziava a bruciarle, sentì un dolore al petto e alla testa, aveva bisogno di ossigeno. Senza che se ne rendesse conto gli occhi le si chiusero, mentre perdeva la sensibilità del suo corpo, non sentiva più nulla se non un fortissimo ronzio nelle orecchie. Poi tutti finì.
 

* * *
 

Regnava un silenzio innaturale. Una figura in un angolo si stringeva nella propria veste. Le pareti spoglie e piene di spifferi rendevano la cella umida e fredda.
Ad un tratto si udirono dei passi farsi vicini. Un poliziotto si fermò davanti alle sbarre e frugò tra le chiavi in cerca di quella giusta. La trovò e la infilò nella toppa, poi aprì la cella e fece un passo dentro.
- Roxanne Scott. – chiamò a bassa voce.
La donna alzò il viso impaurita.
- Alzati. Vogliono vederti.
Lei eseguì l’ordine e si avvicinò tremante all’uomo, che la accompagnò per i corridoi fuori dalla cella, fino alla sala degli interrogatori, dove era stata così tante volte negli ultimi giorni.
Il poliziotto aprì la porta e le fece cenno di entrare. Lei si accomodò nella solita sedia, in attesa.
Dopo qualche istante dalla porta entrò un uomo alto e magro, si sedette di fronte a lei, con aria seria.
- Scott. – salutò cordialmente. – Come sta oggi?
- Starei meglio se non fossi qui. – mormorò la donna, torturandosi le mani, tenendo lo sguardo basso. – Vi ho già detto che sono innocente.
A quelle parole il poliziotto roteò gli occhi al cielo.
- Ci ha già raccontato la sua storia. – iniziò bruscamente. – Adesso, alla luce delle nostre indagini, possiamo affermare che lei è colpevole dell’omicidio di Jack Reed.
A quelle parole, Roxanne sgranò gli occhi e alzò finalmente lo sguardo. – No! – gridò fissando l’uomo con sguardo supplichevole. – No, glielo ho già detto! È stata Holly!
Il poliziotto sospirò seccato. – Si calmi e mi lasci parlare. – la fissò con sguardo penetrante. – Lei ha ammesso di avere ucciso sua figlia, diversi anni fa. Ora, le nostre supposizioni sono che lei, probabilmente per il senso di colpa, ha immaginato sua figlia, Holly, e ha attribuito a lei le sue azioni.
- No! – ripeté disperata Roxanne. – Lei c’era sul serio! Lei-
- Roxanne Scott, sua figlia è morta. – disse stancamente l’uomo.
- Lo so, ma le posso giurare che lei era lì! – singhiozzò lei. – Guardi le mie ferite! Come le spiega queste? – gli mostrò le fasciature sulle braccia.
L’uomo sospirò nuovamente. – Lei è stata ritrovata in stato di incoscienza sopra il tavolino di vetro, distrutto. È svenuta, signora Scott, proprio sul tavolino.
Roxanne si zittì per qualche secondo, cercando una spiegazione. Lei era sicura di quello che aveva visto, doveva solo provarlo.
- E perché sarei svenuta? Non ne avevo motivo, questa è la prova della mia innocenza! – urlò nuovamente. – Lei ha cercato di strozzarmi!
L’altro prese fiato lentamente. Non sapeva se era una buona idea dirle che era mentalmente instabile. – Signora Scott, - cominciò titubante. – Lei non sta bene.
- No! – Roxanne si alzò di scatto. – No! Io sono innocente!
- Fra due giorni ci sarà il processo e verrà decisa la sua pena, fino ad allora la prego di non creare scompiglio nella sua cella. – detto questo il poliziotto si alzò ed uscì dalla stanza, lasciando Roxanne sola e disperata.

 
 
 
 

Oh, my sweet revenge
Will be yours
for the taking
It's in the making, baby.


 



Ho scritto questa storia circa tre volte, questa è la definitiva. È ispirata alla canzone Revenga dei System Of A Down e infatti le citazioni provengono da quella.
Preciso che siete liberi di credere alla versione di Roxanne o a quella della polizia. ^^ 
Spero che piaccia, fatemi sapere che ne pensate.
Alla prossima :)

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Horror / Vai alla pagina dell'autore: Black Drop