Non c’è più tempo.
{ Andrea Russo, 1 maggio 1992 – 1 agosto 2011 }
Ci sono delle cose che non
si capiscono, o che forse non si vogliono capire.
Per esempio perché la
tartaruga che ho in cucina continua a graffiare contro le pareti della bacinella d’acqua, come se
volesse uscire. Sta rivendicando il suo diritto di libertà? Eppure sono dieci
anni che sta lì dentro e non ha mai fatto così. Chiamerò il WWF in questi
giorni e me lo farò spiegare.
Come quando ti chiedi: « Ma
com’è che fanno il gelato? », qualcuno te lo spiega e poi sei punto a capo. Non
è possibile che sia così semplice,
dev’esserci qualcosa sotto.
Come quando ti domandi come
hanno fatto le persone ad inventare la carta, da dov’è venuta l’idea dell’elettricità,
perché il muschio degli alberi è sempre rivolto verso Nord, chi è stato ad
inventare gli effetti speciali di un film…
Io non ho capito, ieri
sera, perché Andrea è morto. O forse non lo voglio capire.
Mi ero addormentata con il
telefono in mano, erano le undici e venti. L’ho sognato, sapete? Sul serio, non
me lo sto inventando. Ho sognato che mi diceva: « Gli occhi azzurri non si
arrendono mai ».
Li avevamo entrambi,
sapete, gli occhi azzurri. Era la cosa che ci accumunava: tutti e due dicevamo
che i nostri erano quelli più belli del mondo. Io, che non c’entravo nulla con
lui, l’ho sognato.
Mancavano dieci minuti a
mezzanotte quando mio padre mi ha svegliata.
« Andrea non ce l’ha fatta.
È morto ».
Da scema, da persona più
stupida del mondo, ho detto: « Cosa? No, lui non si arrende mai ».
Doveva operarsi al cuore
ieri pomeriggio. E io non ho rivolto nemmeno il più piccolo pensiero a lui,
troppo indaffarata, troppo convinta che sarebbe andato tutto bene.
Ne ero certa… Perché poi?
Perché non mi si è insinuato nessun dubbio? Non me lo perdonerò mai.
Con un gesto che ha richiesto
uno sforzo immane mi sono alzata dal letto e sono andata in camera di mia
sorella. Piangeva a dirotto.
« È sicuro? » ho chiesto,
sempre più stupida.
« S-Sì » ha singhiozzato.
Non potrò mai capire cosa
sta provando. Perdere la persona che si ama è davvero un trauma, ora lo so. Lo
vedo negli occhi di chi si è chiusa in camera senza intenzione di uscire. Di
chi, stamattina, non è scesa per la colazione. Allora le ho fatto un the e le
ho portato due fette di torta.
Al momento di scegliere il
gusto per il the mi son detta: « Il suo preferito è quello al limone » e quello
ho fatto.
Ho portato tutto in camera,
e dopo che lei mi ha detto una ventina di volte che non voleva niente di tutto
quello, mi ha chiesto a che gusto era il the.
« Al limone » avevo
risposto, incoraggiata.
« Non mi piace il limone.
Era il suo gusto preferito » mi ha risposto, coprendosi il volto con le coperte
e ricominciando a singhiozzare. Mi ha lasciata paralizzata, con il vassoio in
mano.
Mio padre sembrava
distrutto almeno quanto lo ero io, se non di più. Anche lui era certo che
sarebbe andato tutto bene. Anche lui non aveva prestato abbastanza attenzione.
Perché le persone che
amiamo se ne devono andare in questo modo? Perché Lui non ha avuto un attimo di
riguardo nei confronti di Andrea? Era una persona meravigliosa.
A volte lo prendevo in
giro. E dicevo a mia sorella di trovarsene uno migliore.
Ma non lo volevo sul serio.
A me piaceva come persona, come amico.
Aveva anche cercato di instaurare un bel rapporto con me, ma io ero sempre
rimasta un po’ in disparte.
Stava male. Non avevo
capito. Non volevo capire.
Valentina gli aveva dato amore.
Gli aveva dato speranza. Non si era allontanata quando aveva scoperto che lui
stava male, ma si era avvicinata ancora di più. Forse troppo, forse gli era
andata così vicina da annullarsi anche un po’.
Avevano fatto dei progetti.
Vivere insieme, avere due figli, girare il mondo.
Ora tutto quello che a lei
rimane è una margherita di stoffa che le canta Tanti auguri a te se le schiacci
uno dei petali. Ci ha dormito insieme, stanotte. Ogni tanto partiva la
musichetta, l’ho sentita almeno sette volte stanotte.
Non ho dormito. Non ho
chiuso occhio fino alle tre e mezza. Continuavo a rigirarmi nel letto, e ogni
tanto piangevo. E mi dicevo anche che ero una stupida; che diritto avevo io di
starci male?
Ma non posso mentire:
persino io gli volevo bene, io che l’ho sempre un po’ allontanato dalla mia
vita. Lui leggeva le mie storie, commentava i miei capitoli e mi diceva cosa
gli piaceva e cosa no. Pensava che sarei diventata un’ottima scrittrice. Ne era
certo, mi diceva di non smettere perché c’erano pochi che gli donavano tante
emozioni come riuscivo a fare io.
Non gli ho più fatto
leggere nulla da giugno. Ed ora mi vien male a sapere che non conoscerà mai la
fine di quei racconti.
Poi, cercava di farmi da
fratello maggiore. Valentina gli aveva spiegato quanto stavo male per una
persona a cui volevo bene, e lui mi incoraggiava. Ho ancora un suo messaggio.
Si
matura nella vita in base a ciò che la vita ci offre, la tua è sicuramente una
situazione non facile da affrontare e lui che ha rappresentato per te il tuo
punto di riferimento, la tua forza, non è riuscito ad essere alla tua altezza,
ha preferito la via più breve, la più semplice… Perché non tutti hanno la
maturità di prendere la strada più lunga, più tortuosa, ma che alla fine porta
all’arcobaleno più bello! Erica lo so che queste sono solo parole e che te le
avran dette milioni di volte, ma tu sei quell’arcobaleno sulla salita tortuosa
e ci sarà chi percorrerà quella strada per ammirare quello spettacolo, e quando
accadrà sarà tutto più colorato! Lo so che adesso tu vuoi lui, ma renditi conto
che vivere mentendo, vivere di una bugia, fa più male che non vivere affatto!
Lo capirai, ti serve solo tempo, ma lo farai, anche perché il cielo ha bisogno
di uno dei suoi più bei arcobaleni! C’è chi dice “camminerai dimenticando, ti
fermerai sognando”. Ci tengo troppo a questa frase, e trovo che sia la più vera
mai scritta! (Contribuisce anche il mio amore immenso per Baglioni xD)
Guardati, sei una bella ragazza, sei
intelligente, scrivi benissimo, hai gli occhi azzurri… Non permettere a nessuno
di cancellare il tuo sorriso! =)
Era un ragazzo
meraviglioso. Ed io non l’ho mai capito. O forse non volevo capirlo.
Non abbiamo mai parlato dei
suoi problemi di salute, credo non volesse, non con me.
Il rimorso ed il rimpianto
dei vivi.
Ne ho a palate in questo
preciso istante.
Forse ci saranno ancora
tanti Andrea in questo mondo, ma di Andreuccio ce n’era solo uno. Lui detestava
questo soprannome, ed io per dispetto lo continuavo ad usare.
Pensavo che avesse capito
che era un modo per dimostrargli il bene che gli volevo. Ora non ne sono più
così sicura.
Ci sono cose che si
vorrebbero fare, ma poi si rimandano ripetendo: « C’è ancora tempo! »
Ora io l’ho perso tutto.
Mia sorella mi ha detto che
se lo sentiva. Un’ora prima che succedesse, se lo sentiva che qualcosa non era
andato bene. Credo ci sia una specie di connessione quando due persone si amano
veramente. Almeno lo spero.
Andrea sabato aveva
chiamato mio padre. Questo non lo sapeva nessuno. Si erano parlati, avevano discusso
un po’ sull’operazione. Papà ha detto che Andrea ha concluso la telefonata
dicendo: « Si tenga stretta sua figlia, è una persona meravigliosa. La ami
anche per me! »
Ecco, ora piango a dirotto.
Vorrei che avesse detto
anche a me qualcosa, prima di andarsene. Un ordine, un’ultima richiesta.
Ma a me non ha chiamato,
non mi ha scritto, ed io non ci ho pensato.
Stupida.
Che cosa posso fare per lui,
io?
A mia sorella ha detto di
suonare, di scrivere canzoni che parlassero del loro amore.
A mio padre ha detto di
amare sua figlia, di stringerla e di aiutarla.
Io. Io intanto scrivo.
Forse scriverò per lui, è l’unica cosa che son capace di fare.
Forse non lo faccio bene,
ma lo faccio col cuore.
Arrivederci, Andrea.
Ti voglio bene.
So che me ne volevi anche
tu, ma non l’avevo capito. O non lo volevo capire.
E ora non c’è più tempo.