PREZZEMOLO, SALVIA, ROSMARINO E
TIMO
Capitolo 7
Il sonoro sbadiglio risuonò solitario in un’eco solenne e
sgraziata tra le quattro mura del suo talamo.
Com’era lento il corso del sole nella
tranquilla e pacifica Susa! Niente pericoli a cui
pensare, nessuno da condannare, e il suo ventre si gonfiava
sempre di più.
«Sei sicuro che funzionerà?»
«Vista la tua testardaggine, abbiamo ben
poco da perdere.» si
sciacquò le mani e il rosso scuro andò ad imbrattare
l’acqua cristallina. «E poi tutta questa roba ci
è costata quasi tutti i nostri risparmi, forse sarebbe meglio
almeno tentare.» calmò il tono per
evitare di accendere un incendio che non avrebbe saputo domare.
Ah, l’ozio, nemico acerrimo di ogni re e
di ogni regno! L’ozio che stava diventando il suo
fedele compagno nelle lunghe e uggiose giornate di quell’ingannevole
illusione. Aveva dormito con Bahram la notte scorsa, eppure il sonno non
aveva assopito quel senso di insoddisfazione e di
insensibilità persino ai piaceri carnali; le concubine nell’harem
parevano avere la pelle avvizzita.
«Ora un tocco di
carminio…»
Nessuno che
avesse bisogno di lui; oramai i suoi ordini apparivano fiacchi e forzati.
Decise tuttavia di lasciare da parte i pensieri sgradevoli e di abbandonarsi
all’ozio totale e si distese placido fra i grandi cuscini di seta del suo
letto.
«Sono sicuro che non ti
riconoscerà.»
«Speriamo bene, ne va della mia pelle.»
Venne
svegliato qualche tempo dopo da Bahram.
«C’è
una donna alle porte del palazzo, mio signore. Le guardie chiedono se possono
farla entrare.»
Dario
si grattò confuso la nuca. Una donna? «Certo. Che
male mai potrà fare, una donna…». Mentre
si vestiva di tutto punto per ricevere la nuova arrivata, il suo cuore
gongolava di una strana e perversa gioia. Anche se
quella donna inaspettata avesse portato qualche innocuo guaio, un uomo
d’azione come lui sapeva che avrebbe dovuto preferirlo allo sterile e
tedioso ozio che aveva avvelenato il suo regno come la pozione malefica di una
strega. Che emozione sarebbe stata, pensava un angolo
del suo cuore traditore, sfoderare di nuovo l’armatura e montare sul
carro…
Poco dopo ricevette la donna nella
sala delle riunioni e le mani appoggiate solennemente sui braccioli tremavano
impercettibilmente dall’emozione. La donna avanzò,
Dario si passò una mano sulla barba lunga e ricciuta.
«Ringrazio il Gran
Re…»
Inclinò il capo leggermente
a destra, confuso, e osservò quella strana donna di fronte a lui. La sua
voce era bassa, roca, raschiava su di lui provocandogli
un piacevole prurito. Aveva i capelli scuri attraversati da una luce vagamente rossiccia,
lunghi e folti che le andavano a coprire frondosi quasi completamente il volto,
oscurandone i lineamenti; due labbra cremisi
staccavano dal colore scuro della chioma. Le ampie vesti rosse come le sue
labbra non lasciavano trapelare alcuna forma del suo corpo; a prima vista avrebbe potuto sembrare un’indovina, o qualcosa del
genere.
«…per avermi accolta
così calorosamente nonostante il mio indecente ritardo.»
Ritardo? Ancora una volta, qualcuno
sosteneva di essere in ritardo.
L’aveva dunque convocata… egli stesso?
«Guardami
negli occhi, donna, e dimmi il tuo nome; temo di averlo dimenticato.» e gli parve che le labbra
della donna si fossero contratte in un inafferrabile sorriso. Quando tuttavia ella sollevò lo sguardo verso di lui, Dario trasalì.
I suoi occhi erano di un chiarore etereo, divino, raggiante, color
dell’acqua più pura, risaltati dalla spessa linea di bistro che li
circondava completamente e si allungava verso le tempie - alla maniera delle
regine egiziane, sovrastati dalle sopracciglia nere perfettamente disegnate,
leggere, che si andavano a sfumare verso l’esterno come le soffici ali
scure di un demone. Le guance erano altrettanto pomposamente truccate del color
dell’ocra rossa, e sembravano lisce come la buccia di una pesca matura.
«Sono Ippolita di Rodi, mio
signore. L’unica pittrice donna in circolazione.»
«Certo.»
Una pittrice donna? Pensava che in Grecia le donne perbene a malapena uscissero
di casa. E sicuramente non ricevevano alcun tipo di istruzione, se non quella sul saper soddisfare il proprio
marito. «Mi aveva appunto incuriosito il tuo
essere donna. La tua indole squisitamente femminile potrebbe imprimere una
forza nuova, un vigore sconosciuto ai tuoi dipinti. E come sai, io tratto molto
bene le mie donne.» ma quegli occhi… «Ti avevo
convocato a palazzo poiché vorrei abbellire le
spoglie pareti di alcune sale.»
Ippolita fece scivolare una mano
piuttosto pallida dalle ampie maniche della sua veste rossa. «Certo, mio
signore. Non vedo l’ora di cominciare.»
Dario sorrise compiaciuto e scorse
un’altra volta i suoi occhi curiosi sul corpo della donna, nel tentativo
di intravedere la sua bellezza femminina, ma inutilmente.
Inarcò un sopracciglio,
perplesso.
«Per tutti gli dei
dell’ecumene, Bagoas, io non so da che parte cominciare!»
Bagoas
fissò la parete spoglia e si grattò la testa. «Ma non potevi improvvisarti scultore, cantante, o ballerino?
Insomma, dipingere affreschi non è facile!»
Alessandro
intinse nervosamente un dito nell’ocra gialla e se lo portò
davanti agli occhi, esaminandolo attentamente «Credi che scolpire,
cantare o danzare possa essere più facile? Io non sono stato addestrato
a nient’altro che a una cosa, oltre che a
lucidare i pavimenti, Bagoas… Dario ha sempre preferito veder danzare e
cantare voi dolci eunuchi. E mi sembrava che dipingere potesse essere
più semplice che scolpire.»
Bagoas
si morse il labbro inferiore e gettò lo sguardo al suolo.
«Dannazione,
se imbratterò le pareti del palazzo Dario mi
caccerà dal regno e non ci sarà possibilità di
ritorno.»
«Cerca
di osservare gli altri affreschi del palazzo e prova a riprodurre qualcosa di
simile.»
Alessandro
si passò il dito di ocra sul naso, tracciando
una consistente striscia gialla. «Già fatto. Ma non ho la più
pallida idea di come rendere quelle forme, quei colori, quei disegni
così solenni e maestosi… insomma, non ci si può
improvvisare grandi artisti. Mi chiedo dove andrà a finire tutta questa
farsa.»
Bagoas
contrasse i lineamenti in una smorfia nervosa. «Vado a prepararti la
stanza, Ippolita da Rodi.»
Alessandro
si perse per un attimo ad osservare da dietro l’andatura serpentina di
Bagoas che scivolava lungo lo sfarzo del tappeto rosso del corridoio. Doveva
assolutamente inventarsi qualcosa: Dario avrebbe potuto sorprenderlo da un
momento all’altro, smanioso di controllare come procedessero i lavori.
L’aveva cercato per tutto il
palazzo e non l’aveva trovato; evidentemente era nel cortile.
Si diede un’occhiata allo specchio e si aggiustò
l’acconciatura raccogliendosi i capelli, attorcigliandoli sulla parte
alta della nuca e lasciando ricadere morbide alcune ciocche corvine simili a
onde sulle spalle e sulla schiena.
Uscì dalla propria stanza
quasi volteggiando sulle caviglie sottili e fece capolino nel cortile dove,
come s’era immaginato, stava allegramente oziando quel macedone
presuntuoso. Si guardò intorno e scorse un eunuco grasso e calvo che si
prodigava a potare la pianta all’ombra della quale Efestione stava riparandosi
dal sole abbagliante.
«Possa il signore scusarmi,
ma sarebbe meglio spostarsi da qui.» fece l’eunuco, sorridendo caldamente.
E in quel momento
Bagoas intervenne volando verso di lui, prima che Efestione potesse allontanarsi
troppo.
«Ciao, Bagoas.»
«Hai
sentito l’ultima? Pare che sia arrivata a corte una pittrice
donna!»
Efestione si voltò di
scatto verso i due eunuchi e prese ad ascoltare attentamente.
Il
grasso eunuco si lasciò sfuggire una risata
incredula «Una pittrice donna? Ma stai
scherzando? Da dove?»
«Te
lo posso giurare, l’ho vista con questi stessi
miei occhi! Credo che sia giunta da Rodi.»
“Una greca” si
ritrovò a pensare Efestione. Una pittrice donna… greca?
Bagoas
lanciò una rapida occhiata ad Efestione e riprese: «L’ho
vista, sì, e ti posso assicurare che è una donna di grande fascino!»
L’eunuco
grasso ridacchiò: «Ma dicono che le donne
greche non posseggano nemmeno la metà della bellezza delle donne
persiane!»
Bagoas
scosse energico la testa «Ti assicuro che è molto avvenente!
Dovresti vederla!»
Efestione si portò una mano
davanti alle labbra per nascondere un sorriso sconveniente. Egli conosceva
perfettamente le bellezze delle donne greche. Greche, persiane, etiopi,
italiche, iberiche, indiane… le donne avevano lo straordinario potere di essere tutte belle. “Penso che andrò io a
vederla per primo”.
«Ti consiglio
veramente di vederla, ha due occhi bellissimi!»
«Sì,
sì, quando avrò finito qua.»
Efestione aspettò che i due
eunuchi si congedassero e che Bagoas passasse accanto a lui per attirare la sua
attenzione.
«Sì?»
Efestione
si guardò cautamente intorno e poi cominciò, sommessamente:
«Ho sentito che parlavi di una pittrice donna. Strano, non trovi?»
«Naturalmente,
signore.»
«E adesso dove si troverebbe?»
Bagoas
sorrise. «Sta dipingendo le pareti dell’atrio che porta alla sala
del trono.»
Si era ormai dipinto il viso di
tutti i colori che aveva a disposizione.
Gli
sembrava che fosse trascorsa un’eternità e ancora le pareti del
corridoio erano bianche come il sudario che
l’avrebbe ricoperto se Dario avesse scoperto la verità.
Appoggiò di peso il mento
al palmo aperto della mano destra, chiuse gli occhi gravemente e
cominciò a pensare. Entro sera, quelle pareti dovevano
assolutamente essere sporcate.
«Siamo a corto
d’ispirazione?»
Una
voce profonda e familiare lo distolse dai suoi pensieri. Si voltò verso
l’imponente figura che era appena apparsa dietro di lui sbattendo le
palpebre nervosamente, come se si fosse risvegliato da un lungo sonno agitato.
Quando mise a fuoco chi fosse spalancò gli
occhi.
«Mi chiamo Efestione. Ma guardati!» sorrise «Devi dipingere le pareti,
non il tuo viso. Che mi sembra troppo carino per essere imbrattato.»
Bagoas era stato più bravo
e veloce di quanto si fosse aspettato. Finse un sorriso
pudibondo e abbassò lo sguardo nella maniera più femminea che potesse simulare. «Io sono Ippolita da Rodi.»
Efestione sorrise, divertito. Era strana, non c’era dubbio. Così vestita,
così timida, così… da scoprire. Aspettò che
riponesse i suoi occhi sui propri; e sì, erano proprio belli come li aveva decantati l’eunuco in cortile. Color
dell’acqua cristallina – puri. Chissà, si chiese, se ella fosse pura come quegli occhi. «Una pittrice
donna, eh? Curioso.»
Ippolita sorrise di nuovo, facendo
sporgere deliziosamente le guance colorate. «Dario crede che il mio stile
possa essere diverso da quello dei pittori maschi. In verità sono un
po’ emozionata, non sono sicura di poter riuscire a soddisfarlo.»
Efestione si perse a guardare le
sue labbra carnose mentre gli parlava. E quella voce rauca e vagamente androgina che ne usciva
appariva stranamente musicale su una donna dall’aria così
selvaggia, dai capelli arruffati, eppure così contenuta. Era abituato ai
sorrisetti allusivi delle cortigiane, questa donna
greca così assurdamente concentrata sul suo lavoro lo stordiva e destava
in lui un desiderio di conquista così ardente che nemmeno in una
battaglia avrebbe potuto provarne uno simile. «Sono sicuro
che ce la farai. Se Dario ti ha convocata alla sua corte
significa che ha notato i tuoi dipinti da qualche parte e ne è rimasto
particolarmente colpito. Lui detesta il pensiero che il suo palazzo sia in mano a degli incompetenti.»
Ippolita sorrise amaramente e
presto gli angoli delle sue labbra non ressero quel pensiero e si incurvarono all’ingiù.
«Qualcosa non va?»
I suoi occhi erano su di
lui… quello sguardo così caldo e penetrante, scottante.
Dei dell’ecumene, che voglia di mollare i
colori, saltargli addosso e fargli vedere ciò di cui era capace,
ciò che aveva rifiutato in modo così indecente quella sera al
laghetto! Si sentì tremare d’eccitazione quando
avvertì la mano di Efestione bruciare come fuoco sulla sua schiena; mai
nessun uomo l’aveva fatto sentire così. Il mercante degli
orecchini non si era sbagliato, solo quel cocciuto guerriero
poteva essere la sua anima gemella. Se solo
fosse riuscito a farlo innamorare di sé, così da fargli
dimenticare la sua avversione, permettendogli di amarlo liberamente! «No,
niente. Stavo pensando ad un possibile soggetto.»
Non era
possibile, ancora pensava al lavoro! Si chiese se si trattasse solo di
una tattica per farlo impazzire. La sua fama di grande amatore si era sparsa
per tutta la corte, possibile che lei non ne fosse ancora al
corrente? Non aveva parlato con nessun’altra donna, finora? E poi, perché quelle vesti così larghe? Che bellissimo corpo si celava sotto quelle stoffe rosse e
sformate? Si sentì le mani roventi al pensiero di poterle spingere sotto
quella stoffa ed esplorare ciò che quella donna
teneva così assiduamente nascosto. Si accontentò di allungare una
mano per andarla ad aggrovigliare tra le volute scure dei suoi capelli, ma Ippolita si ritrasse di scatto come se ne avesse
avvertito il bollore. «Ah… scusa.»
«Niente. E’ che…
quando sto lavorando non amo essere toccata.» e abbozzò un sorriso rassicurante; non voleva che
Efestione interpretasse la sua paura di essere scoperto a causa
dell’orecchino come una ritrosia nei suoi confronti. Egli era lì, a una mano di distanza da lui, non poteva rischiare di
perderlo un’altra volta! Si accorse che quella situazione era molto
più difficile da gestire di quanto si fosse aspettato.
«Capisco,
hai ragione. Forse ti sto innervosendo. Magari ti verrò a trovare quando avrai finito.»
Ippolita
sorrise e puntò i suoi grandi occhi grigi sul viso di Efestione.
«Grazie. Ti aspetterò.»
Efestione
tremò un poco sostenendo lo sguardo di quegli occhi
abbaglianti e sorrise a sua volta. «Mi piacciono le donne
impegnate.» e si allontanò inconsapevole
degli occhi di Erodione che lo
tampinarono fino a che ne furono capaci.