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Autore: Barsine    31/03/2006    0 recensioni
Voglio tornare ad essere il Gran Re. Anzi, il Gran Re più potente del mondo!
Genere: Commedia, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Alessandro il Grande, Efestione
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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PREZZEMOLO, SALVIA, ROSMARINO E TIMO

PREZZEMOLO, SALVIA, ROSMARINO E TIMO

Capitolo 7

 

 

 

 

 

   Il sonoro sbadiglio risuonò solitario in un’eco solenne e sgraziata tra le quattro mura del suo talamo.

Com’era lento il corso del sole nella tranquilla e pacifica Susa! Niente pericoli a cui pensare, nessuno da condannare, e il suo ventre si gonfiava sempre di più.

 

 

   «Sei sicuro che funzionerà?»

«Vista la tua testardaggine, abbiamo ben poco da perdere.» si sciacquò le mani e il rosso scuro andò ad imbrattare l’acqua cristallina. «E poi tutta questa roba ci è costata quasi tutti i nostri risparmi, forse sarebbe meglio almeno tentare.» calmò il tono per evitare di accendere un incendio che non avrebbe saputo domare.

 

 

   Ah, l’ozio, nemico acerrimo di ogni re e di ogni regno! L’ozio che stava diventando il suo fedele compagno nelle lunghe e uggiose giornate di quell’ingannevole illusione. Aveva dormito con Bahram la notte scorsa, eppure il sonno non aveva assopito quel senso di insoddisfazione e di insensibilità persino ai piaceri carnali; le concubine nell’harem parevano avere la pelle avvizzita.

 

 

   «Ora un tocco di carminio…»

 

 

   Nessuno che avesse bisogno di lui; oramai i suoi ordini apparivano fiacchi e forzati. Decise tuttavia di lasciare da parte i pensieri sgradevoli e di abbandonarsi all’ozio totale e si distese placido fra i grandi cuscini di seta del suo letto.

 

 

   «Sono sicuro che non ti riconoscerà.»

«Speriamo bene, ne va della mia pelle.»

 

 

   Venne svegliato qualche tempo dopo da Bahram.

«C’è una donna alle porte del palazzo, mio signore. Le guardie chiedono se possono farla entrare.»

Dario si grattò confuso la nuca. Una donna? «Certo. Che male mai potrà fare, una donna…». Mentre si vestiva di tutto punto per ricevere la nuova arrivata, il suo cuore gongolava di una strana e perversa gioia. Anche se quella donna inaspettata avesse portato qualche innocuo guaio, un uomo d’azione come lui sapeva che avrebbe dovuto preferirlo allo sterile e tedioso ozio che aveva avvelenato il suo regno come la pozione malefica di una strega. Che emozione sarebbe stata, pensava un angolo del suo cuore traditore, sfoderare di nuovo l’armatura e montare sul carro…

   Poco dopo ricevette la donna nella sala delle riunioni e le mani appoggiate solennemente sui braccioli tremavano impercettibilmente dall’emozione. La donna avanzò, Dario si passò una mano sulla barba lunga e ricciuta.

   «Ringrazio il Gran Re…»

   Inclinò il capo leggermente a destra, confuso, e osservò quella strana donna di fronte a lui. La sua voce era bassa, roca, raschiava su di lui provocandogli un piacevole prurito. Aveva i capelli scuri attraversati da una luce vagamente rossiccia, lunghi e folti che le andavano a coprire frondosi quasi completamente il volto, oscurandone i lineamenti; due labbra cremisi staccavano dal colore scuro della chioma. Le ampie vesti rosse come le sue labbra non lasciavano trapelare alcuna forma del suo corpo; a prima vista avrebbe potuto sembrare un’indovina, o qualcosa del genere.

   «…per avermi accolta così calorosamente nonostante il mio indecente ritardo.»

   Ritardo? Ancora una volta, qualcuno sosteneva di essere in ritardo. L’aveva dunque convocata… egli stesso?

«Guardami negli occhi, donna, e dimmi il tuo nome; temo di averlo dimenticato.» e gli parve che le labbra della donna si fossero contratte in un inafferrabile sorriso. Quando tuttavia ella sollevò lo sguardo verso di lui, Dario trasalì. I suoi occhi erano di un chiarore etereo, divino, raggiante, color dell’acqua più pura, risaltati dalla spessa linea di bistro che li circondava completamente e si allungava verso le tempie - alla maniera delle regine egiziane, sovrastati dalle sopracciglia nere perfettamente disegnate, leggere, che si andavano a sfumare verso l’esterno come le soffici ali scure di un demone. Le guance erano altrettanto pomposamente truccate del color dell’ocra rossa, e sembravano lisce come la buccia di una pesca matura.

   «Sono Ippolita di Rodi, mio signore. L’unica pittrice donna in circolazione.»

«Certo.» Una pittrice donna? Pensava che in Grecia le donne perbene a malapena uscissero di casa. E sicuramente non ricevevano alcun tipo di istruzione, se non quella sul saper soddisfare il proprio marito. «Mi aveva appunto incuriosito il tuo essere donna. La tua indole squisitamente femminile potrebbe imprimere una forza nuova, un vigore sconosciuto ai tuoi dipinti. E come sai, io tratto molto bene le mie donne.» ma quegli occhi… «Ti avevo convocato a palazzo poiché vorrei abbellire le spoglie pareti di alcune sale.»

   Ippolita fece scivolare una mano piuttosto pallida dalle ampie maniche della sua veste rossa. «Certo, mio signore. Non vedo l’ora di cominciare.»

   Dario sorrise compiaciuto e scorse un’altra volta i suoi occhi curiosi sul corpo della donna, nel tentativo di intravedere la sua bellezza femminina, ma inutilmente.

   Inarcò un sopracciglio, perplesso.

 

 

   «Per tutti gli dei dell’ecumene, Bagoas, io non so da che parte cominciare!»

Bagoas fissò la parete spoglia e si grattò la testa. «Ma non potevi improvvisarti scultore, cantante, o ballerino? Insomma, dipingere affreschi non è facile!»

Alessandro intinse nervosamente un dito nell’ocra gialla e se lo portò davanti agli occhi, esaminandolo attentamente «Credi che scolpire, cantare o danzare possa essere più facile? Io non sono stato addestrato a nient’altro che a una cosa, oltre che a lucidare i pavimenti, Bagoas… Dario ha sempre preferito veder danzare e cantare voi dolci eunuchi. E mi sembrava che dipingere potesse essere più semplice che scolpire.»

Bagoas si morse il labbro inferiore e gettò lo sguardo al suolo.

«Dannazione, se imbratterò le pareti del palazzo Dario mi caccerà dal regno e non ci sarà possibilità di ritorno.»

«Cerca di osservare gli altri affreschi del palazzo e prova a riprodurre qualcosa di simile.»

Alessandro si passò il dito di ocra sul naso, tracciando una consistente striscia gialla. «Già fatto. Ma non ho la  più pallida idea di come rendere quelle forme, quei colori, quei disegni così solenni e maestosi… insomma, non ci si può improvvisare grandi artisti. Mi chiedo dove andrà a finire tutta questa farsa.»

Bagoas contrasse i lineamenti in una smorfia nervosa. «Vado a prepararti la stanza, Ippolita da Rodi.»

Alessandro si perse per un attimo ad osservare da dietro l’andatura serpentina di Bagoas che scivolava lungo lo sfarzo del tappeto rosso del corridoio. Doveva assolutamente inventarsi qualcosa: Dario avrebbe potuto sorprenderlo da un momento all’altro, smanioso di controllare come procedessero i lavori.

 

 

   L’aveva cercato per tutto il palazzo e non l’aveva trovato; evidentemente era nel cortile.

Si diede un’occhiata allo specchio e si aggiustò l’acconciatura raccogliendosi i capelli, attorcigliandoli sulla parte alta della nuca e lasciando ricadere morbide alcune ciocche corvine simili a onde sulle spalle e sulla schiena.

   Uscì dalla propria stanza quasi volteggiando sulle caviglie sottili e fece capolino nel cortile dove, come s’era immaginato, stava allegramente oziando quel macedone presuntuoso. Si guardò intorno e scorse un eunuco grasso e calvo che si prodigava a potare la pianta all’ombra della quale Efestione stava riparandosi dal sole abbagliante.

   «Possa il signore scusarmi, ma sarebbe meglio spostarsi da qui.» fece l’eunuco, sorridendo caldamente.

E in quel momento Bagoas intervenne volando verso di lui, prima che Efestione potesse allontanarsi troppo.

   «Ciao, Bagoas.»

«Hai sentito l’ultima? Pare che sia arrivata a corte una pittrice donna!»

   Efestione si voltò di scatto verso i due eunuchi e prese ad ascoltare attentamente.

Il grasso eunuco si lasciò sfuggire una risata incredula «Una pittrice donna? Ma stai scherzando? Da dove?»

«Te lo posso giurare, l’ho vista con questi stessi miei occhi! Credo che sia giunta da Rodi.»

   “Una greca” si ritrovò a pensare Efestione. Una pittrice donna… greca?

Bagoas lanciò una rapida occhiata ad Efestione e riprese: «L’ho vista, sì, e ti posso assicurare che è una donna di grande fascino!»

L’eunuco grasso ridacchiò: «Ma dicono che le donne greche non posseggano nemmeno la metà della bellezza delle donne persiane!»

Bagoas scosse energico la testa «Ti assicuro che è molto avvenente! Dovresti vederla!»

   Efestione si portò una mano davanti alle labbra per nascondere un sorriso sconveniente. Egli conosceva perfettamente le bellezze delle donne greche. Greche, persiane, etiopi, italiche, iberiche, indiane… le donne avevano lo straordinario potere di essere tutte belle. “Penso che andrò io a vederla per primo”.

   «Ti consiglio veramente di vederla, ha due occhi bellissimi!»

«Sì, sì, quando avrò finito qua.»

   Efestione aspettò che i due eunuchi si congedassero e che Bagoas passasse accanto a lui per attirare la sua attenzione.

   «Sì?»

Efestione si guardò cautamente intorno e poi cominciò, sommessamente: «Ho sentito che parlavi di una pittrice donna. Strano, non trovi?»

«Naturalmente, signore.»

«E adesso dove si troverebbe?»

Bagoas sorrise. «Sta dipingendo le pareti dell’atrio che porta alla sala del trono.»

 

 

   Si era ormai dipinto il viso di tutti i colori che aveva a disposizione.

Gli sembrava che fosse trascorsa un’eternità e ancora le pareti del corridoio erano bianche come il sudario che l’avrebbe ricoperto se Dario avesse scoperto la verità.

   Appoggiò di peso il mento al palmo aperto della mano destra, chiuse gli occhi gravemente e cominciò a pensare. Entro sera, quelle pareti dovevano assolutamente essere sporcate.

   «Siamo a corto d’ispirazione?»

Una voce profonda e familiare lo distolse dai suoi pensieri. Si voltò verso l’imponente figura che era appena apparsa dietro di lui sbattendo le palpebre nervosamente, come se si fosse risvegliato da un lungo sonno agitato. Quando mise a fuoco chi fosse spalancò gli occhi.

   «Mi chiamo Efestione. Ma guardati!» sorrise «Devi dipingere le pareti, non il tuo viso. Che mi sembra troppo carino per essere imbrattato.»

   Bagoas era stato più bravo e veloce di quanto si fosse aspettato. Finse un sorriso pudibondo e abbassò lo sguardo nella maniera più femminea che potesse simulare. «Io sono Ippolita da Rodi.»

   Efestione sorrise, divertito. Era strana, non c’era dubbio. Così vestita, così timida, così… da scoprire. Aspettò che riponesse i suoi occhi sui propri; e sì, erano proprio belli come li aveva decantati l’eunuco in cortile. Color dell’acqua cristallina – puri. Chissà, si chiese, se ella fosse pura come quegli occhi. «Una pittrice donna, eh? Curioso.»

   Ippolita sorrise di nuovo, facendo sporgere deliziosamente le guance colorate. «Dario crede che il mio stile possa essere diverso da quello dei pittori maschi. In verità sono un po’ emozionata, non sono sicura di poter riuscire a soddisfarlo.»

   Efestione si perse a guardare le sue labbra carnose mentre gli parlava. E quella voce rauca e vagamente androgina che ne usciva appariva stranamente musicale su una donna dall’aria così selvaggia, dai capelli arruffati, eppure così contenuta. Era abituato ai sorrisetti allusivi delle cortigiane, questa donna greca così assurdamente concentrata sul suo lavoro lo stordiva e destava in lui un desiderio di conquista così ardente che nemmeno in una battaglia avrebbe potuto provarne uno simile. «Sono sicuro che ce la farai. Se Dario ti ha convocata alla sua corte significa che ha notato i tuoi dipinti da qualche parte e ne è rimasto particolarmente colpito. Lui detesta il pensiero che il suo palazzo sia in mano a degli incompetenti.»

   Ippolita sorrise amaramente e presto gli angoli delle sue labbra non ressero quel pensiero e si incurvarono all’ingiù.

   «Qualcosa non va?»

   I suoi occhi erano su di lui… quello sguardo così caldo e penetrante, scottante. Dei dell’ecumene, che voglia di mollare i colori, saltargli addosso e fargli vedere ciò di cui era capace, ciò che aveva rifiutato in modo così indecente quella sera al laghetto! Si sentì tremare d’eccitazione quando avvertì la mano di Efestione bruciare come fuoco sulla sua schiena; mai nessun uomo l’aveva fatto sentire così. Il mercante degli orecchini non si era sbagliato, solo quel cocciuto guerriero poteva essere la sua anima gemella. Se solo fosse riuscito a farlo innamorare di sé, così da fargli dimenticare la sua avversione, permettendogli di amarlo liberamente! «No, niente. Stavo pensando ad un possibile soggetto.»

   Non era possibile, ancora pensava al lavoro! Si chiese se si trattasse solo di una tattica per farlo impazzire. La sua fama di grande amatore si era sparsa per tutta la corte, possibile che lei non ne fosse ancora al corrente? Non aveva parlato con nessun’altra donna, finora? E poi, perché quelle vesti così larghe? Che bellissimo corpo si celava sotto quelle stoffe rosse e sformate? Si sentì le mani roventi al pensiero di poterle spingere sotto quella stoffa ed esplorare ciò che quella donna teneva così assiduamente nascosto. Si accontentò di allungare una mano per andarla ad aggrovigliare tra le volute scure dei suoi capelli, ma Ippolita si ritrasse di scatto come se ne avesse avvertito il bollore. «Ah… scusa.»

   «Niente. E’ che… quando sto lavorando non amo essere toccata.» e abbozzò un sorriso rassicurante; non voleva che Efestione interpretasse la sua paura di essere scoperto a causa dell’orecchino come una ritrosia nei suoi confronti. Egli era lì, a una mano di distanza da lui, non poteva rischiare di perderlo un’altra volta! Si accorse che quella situazione era molto più difficile da gestire di quanto si fosse aspettato.

   «Capisco, hai ragione. Forse ti sto innervosendo. Magari ti verrò a trovare quando avrai finito.»

Ippolita sorrise e puntò i suoi grandi occhi grigi sul viso di Efestione. «Grazie. Ti aspetterò.»

Efestione tremò un poco sostenendo lo sguardo di quegli occhi abbaglianti e sorrise a sua volta. «Mi piacciono le donne impegnate.» e si allontanò inconsapevole degli occhi di Erodione che lo tampinarono fino a che ne furono capaci.

  
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