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Autore: Chu    03/08/2011    5 recensioni
Albus e Scorpius s'incontrato una sera sul Nottetempo. Coincidenza o destino? Un semplice fatto per Albus.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Coppie: Albus Severus Potter/Scorpius Malfoy
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Titolo: In due si va sempre da qualche parte
Coppia: Albus Severus/Scorpius
Genere: Introspettivo, Romantico
Prompt: Nottetempo
Avvertimenti: fluff, vagamente lime, ovviamente slash
Rating: R
NdA: scrivere questa storia è stato un parto per tanti motivi differenti, tipo il fatto che i personaggi continuassero a sfuggirmi di mano e ad allontanarsi troppo dall'idea che avevo di loro. La mia diffocoltà è stata soprattutto nel fatto che non ho mai letto niente su di loro e che non ho mai scritto seriamente su questa coppia. Ma ce l'ho fatta, sono arrivata alla fine e, nonostante pensi ancora che non sia una delle mie fic meglio riuscite, forse l'ho sottovalutata, soprattutto perché è arrivata prima al contest Colori & Oggetti Magici di BlairLastrange *_* (il giudizio lo trovate come al solito alla fine).
NdA2: ringrazio con tutto il mio cuoricino grinchioso quella meravigliosa creatura che risponde al nick di nefene. Senza di lei probabilmente non avrei nemmeno inviato la storia e le sue correzioni, i suoi suggerimenti mi hanno fatto sentire coccolatissima come non mai! Per questo le dedico la storia e anche perché ho saltato il regalo per il suo compleanno XD davvero, grazie per l'aiuto preziosissimo! La storia è tutta tua, fanne ciò che vuoi ♥


In due si va sempre da qualche parte


"Da soli si può andare in giro, in due si va sempre da qualche parte."
(La donna che visse due volte)


Albus Severus Potter non credeva nel Caso; non aveva mai creduto nemmeno nel Destino, per questo motivo si era ben guardato dal frequentare le lezioni di Divinazione. Piuttosto credeva che gli esseri umani fossero semplicemente spinti dai propri desideri a compiere azioni che poi andavano a coinvolgere – in una sorta di strana reazione a catena – gli esseri umani che li circondavano. Per Albus esistevano solo i fatti e i fatti, quella sera, indicavano chiaramente che non ne poteva più di stare in casa a discutere con la sua famiglia e che perciò era scappato.

Beh, non era proprio scappato: era soltanto uscito di casa prima della fine della discussione. Ed era una cosa che aveva sempre fatto, sin da bambino, e, nonostante al tempo sua madre o suo padre lo rincorressero perché non si allontanasse, a quell’età ormai tutti i suoi familiari erano abituati a quel comportamento. Albus semplicemente non sapeva litigare; certo, si arrabbiava, ma non aveva la capacità di James o di suo padre di fare la voce grossa, né la predisposizione di sua madre o di Lily di scagliare oggetti. Lui accusava il colpo, lanciava occhiatacce e rispondeva quasi sibilando; e poi, quando gli altri strepitavano un po’ troppo per i suoi gusti, alzava le mani in segno di resa, voltava le spalle ed usciva di scena.

A volte gli bastavano pochi minuti all’aria aperta per tornare a ragionare, altre volte – quando il litigio era più serio – c’era bisogno di ore e ore. Quella sera non era sicuro di quanto gli ci sarebbe voluto per smaltire l’amarezza della discussione: non si trattava di uno di quei litigi dove volavano piatti e insulti, ma l’argomento gli era piuttosto caro. Si trattava della sua vita e lui non sapeva cosa farne, ma era stanco di sentire suo padre fare pressioni affinché entrasse anche lui all’Accademia Auror, proprio come James; e non voleva più ascoltare le gentili sollecitazioni di sua madre che lo invitava a tentare la carriera del Guaritore. Non sapeva cosa volesse essere “da grande”, ma non era certo il futuro che gli prospettavano i suoi quello che desiderava.

La sua indecisione e la sua generale tetraggine a riguardo dovevano aver esasperato tutti e di questo se ne dispiaceva, perché non avrebbe dovuto farlo pesare sulla sua famiglia; erano passati già tre mesi dal suo diploma a Hogwarts (era riuscito anche a ottenere tutti i M.A.G.O. nelle materie che aveva seguito fino a quel momento) ed erano tre mesi che ciondolava per casa con aria smarrita e trasandata. Se all’inizio i suoi si erano dimostrati comprensivi e poi preoccupati, ora erano solo esasperati e certo non poteva biasimarli.

Camminò per diverso tempo, le mani nelle tasche dei pantaloni che, lasciati troppo lunghi, strascicavano a terra, sfilacciandosi ulteriormente. Quando alzò la testa dal marciapiede, Albus si rese conto che era ormai notte e di non avere ancora nessuna intenzione di tornare a casa, nonostante il nervosismo fosse ormai scemato, lasciando spazio al familiare vuoto d’intenzioni che lo riempiva – contro ogni logica. Aveva solo voglia di passare la notte fuori, magari andare in qualche posto lontano, sperando che tutto il suo malumore rimanesse indietro.

Prima ancora di decidere cosa fare, aveva afferrato la bacchetta che teneva in tasca e, esitante, l’aveva tirata fuori puntandola sulla strada.

Non aveva mai preso il Nottetempo, ma suo padre gliene aveva parlato quand’era piccolo, raccontandogli della volta in cui era scappato di casa, convinto di non potervi più tornare per aver compiuto magia al di fuori di Hogwarts.

Quello che però gli si parò davanti nel giro di qualche secondo era tutto, tranne ciò che si aspettava; comparve all’improvviso proprio a un palmo dal suo naso, facendolo sobbalzare, mentre il cuore gli saliva in gola dallo spavento.

Era un autobus a tre piani, di un vivace viola e Albus, quando si riscosse dallo sgomento, si accorse che un ragazzo poco più grande di lui, vestito con una divisa dello stesso viola del bus, gli stava parlando ed invitandolo a salire. Suo padre gli aveva raccontato di Stan Picchetto e il tipo che gli si era presentato davanti sembrava rassomigliare molto alla descrizione; ma di certo non poteva essere lui, perché gli si presentò dicendo di chiamarsi Arden Lane per poi scortarlo all’interno del bizzarro veicolo, chiedendogli quale fosse la sua destinazione.

Albus ci pensò a lungo, poi alzò le spalle con noncuranza. “Ho venti falci, fin dove posso arrivarci?”

Arden lo guardò stranito per qualche momento, poi gli strappò un biglietto fino a Birmingham. Non proprio lontano quanto avrebbe voluto, ma era meglio di niente. Con un sospiro, stava per accomodarsi in uno dei letti vuoti del primo piano quando si sentì chiamare, da sopra la sua testa.

“Ehi, Albus!” esclamò una voce che gli sembrava familiare, ma che non riuscì subito a collocare nella sua memoria. Alzando il capo, si ritrovò fissato da un paio di occhi grigi dietro una zazzera di capelli biondi. Spalancò la bocca, sorpreso, mentre Scorpius Malfoy, affacciato dal secondo piano del bus, gli sorrideva in apparenza piuttosto divertito dalla sua espressione sbigottita.

“Mal-“ tentò di dire, ma l’altro lo interruppe.

“Ehi, perché non vieni qui su?” lo invitò e dall’occhiata che gli lanciò, Albus capì che non voleva che la gente scoprisse che c’era un Malfoy sul Nottetempo. Così come probabilmente aveva pensato di far bene chiamandolo per nome e non con il solito “Potter”. Lo ringraziò fra sé e sé, inerpicandosi sulla stretta scaletta che conduceva ai piani superiori, cercando di non caracollare a terra a causa dei leggeri scossoni – segno che il bus era di nuovo in marcia.

Raggiunto l’altro ragazzo, Albus lo osservò con curiosità e una vaga perplessità nello sguardo.

“Ehi,” lo salutò di nuovo quello, a gambe incrociate sul letto, simile a un principe nelle proprie stanze, per la grazia e la rilassatezza con cui s’atteggiava.

“Ehi,” rispose lui, sentendosi al contrario uno sguattero fuori posto.

“Non stare lì impalato, siediti,” disse Scorpius, facendogli cenno di accomodarsi.

Albus lo scrutò incerto, poi si sedette all’estremità opposta della brandina. Lui e Scorpius non avevano mai parlato sul serio, un po’ per via dell’antica rivalità fra Case – tra Serpeverde e Grifondoro in particolare - un po’ per i loro cognomi ed un po’ perché Albus si sentiva sempre insignificante e sbagliato di fronte a lui. Scorpius, del resto, era stato la sua prima cotta e colui che gli aveva fatto capire il suo orientamento sessuale. Non che Malfoy fosse minimamente a conoscenza di ciò; Albus era sempre stato piuttosto schivo nei suoi confronti – nei confronti di chiunque non facesse parte della sua famiglia, a dirla tutta – e non aveva mai reso nota a nessuno quella sua inconfessabile ossessione, men che meno al diretto interessato. E poi non c’erano da sottovalutare i loro caratteri così diversi: Scorpius gli era sempre sembrato un ragazzo deciso, mentre lui era un insicuro cronico; Scorpius era elegante, lui goffo e impacciato; Scorpius era estroverso, a volte un po’ arrogante, mentre lui era chiuso e introverso, generalmente tetro. Un tipo ordinario come Albus non poteva davvero stare seduto vicino all’altro senza sentirsi in qualche modo fuori posto.

“Sei scappato di casa?” chiese il biondo, studiandolo con curiosità.

“Che?” domandò stupidamente Albus. “No, io… Sono solo uscito a fare una passeggiata.”

“Di sicuro si tratterà di una passeggiata molto lunga, allora,” disse Scorpius, sogghignando.

“E tu?” indagò in risposta, continuando a sbirciarlo, più che a guardarlo.

L’espressione di Malfoy cedette leggermente, notò Albus; essere taciturno l’aveva abituato a osservare i cambiamenti nei visi di quelli che gli stavano attorno. Non era bravo a indovinare cosa provassero – il novanta per cento delle volte sbagliava –, ma capiva subito quando qualcosa non andava, quando l’aria s’impregnava di tensione o quando, invece, l’atmosfera si distendeva. In quel momento, l’espressione non più scanzonata di Scorpius gli fece intuire che il ragazzo non era esattamente felice e rilassato come la posizione comoda sul letto sembrava suggerire.

“Mah…” mugugnò Malfoy, abbassando gli occhi e fissandosi con distrazione le unghie. “Io sono scappato di casa.”

Albus strabuzzò gli occhi. “Dici davvero?” domandò incredulo, ora scrutandolo con insistenza in viso. Si accorse allora che le sue labbra si incurvavano lentamente verso l’alto. “Mi stai prendendo in giro…” osservò, non sapendo se sentirsi offeso oppure no. Ancora doveva sistemare la matassa d’emozioni che gli aveva riempito lo stomaco nel momento in cui Scorpius l’aveva invitato a stare con lui.

“Oh, Albus, ma con te è troppo facile…” sorrise quello, sollevando di nuovo gli occhi e guardandolo dritto in faccia.

Albus sentì il cuore contrarsi in modo strano, a metà fra una strizzata e una stilettata, quando sentì il proprio nome pronunciato dall’altro. Era una sensazione strana, ma non di certo sconosciuta; però lo intimoriva il fatto che la sua cotta non fosse mai davvero passata, come quell’inquietudine sembrava suggerire.

“Non prendertela,” disse Scorpius, notando il suo silenzio. Probabilmente era anche arrossito, perché si sentiva le orecchie bollenti. “Dove sei diretto?”

Potter alzò le spalle, tornando a guardarsi le dita fredde e intrecciate tra loro. “Fin dove mi portano venti falci,” spiegò, mostrandogli il proprio biglietto per Birmingham.

“Capisco. E una volta lì che farai?”

Albus sospirò. “Probabilmente tornerò a casa, Materializzandomi.”

“Sei riuscito ad imparare, alla fine?” domandò l’altro, stupendolo. La sua incapacità in tema di Materializzazione era proverbiale in tutta la famiglia e forse anche in tutta Hogwarts, visto che la prima volta che l’istruttore gli aveva detto di provare aveva lasciato indietro una mano. Doveva essere stato molto doloroso, a quanto dicevano suo padre e sua madre, ma lui non se lo ricordava, perché era svenuto per lo shock. I tentativi successivi, fortunatamente, non avevano visto la perdita di nessun arto, solo che a volte si ritrovava senza sopracciglia o peli in generale – una volta aveva addirittura perso tutti i capelli e James lo aveva preso in giro per giorni. Scorpius forse sapeva quelle cose perché fra i Serpeverde i pettegolezzi e le storie divertenti ai danni di altri studenti non mancavano mai; non doveva davvero sorprendersi, quindi: lo sapevano tutti che era un incapace.

“Già,” mormorò, sentendosi mortificato.

“Grande, sapevo che ci saresti riuscito, in barba alle prese in giro di tuo fratello e alle malignità degli altri studenti.”

Albus rizzò la testa, lanciandogli un’occhiata perplessa. La sua espressione doveva essere molto buffa, perché l’altro emise una risatina divertita.

“Cosa?” chiese Scorpius, incrociando le gambe e mettendosi a sedere.

“Niente, è che – che ne sai tu? Cioè, non capisco,” balbettò, più perplesso che umiliato. “Perché?”

“Perché cosa?”

“Perché lo sapevi.”

“Sapevo che tuo fratello ti prende in giro? L’ha sempre fatto ed in modo anche abbastanza plateale. Tu però non gli rispondevi mai,” rifletté il giovane Malfoy, con aria pensierosa, come se stesse ricordando un episodio particolare. Albus dimenticò quale fosse la propria domanda iniziale, incantato davanti alla sua espressione concentrata. Non se n’era mai davvero accorto, ma la sua pelle era liscia e pallida come se fosse stata levigata dalla lima di uno scultore: era perturbante.

“Perché subivi e basta?”

La domanda di Scorpius gli ricordò che quella non era una statua, ma un ragazzo in carne ed ossa. Strabuzzò gli occhi, poi si grattò la nuca. “Io…” tentò, ma poi non trovò nulla da dire. Avrebbe potuto spiegargli che sarebbe stato ancora più stupido rispondere a uno stupido, oppure avrebbe potuto dirgli che era abituato ai dispetti di James; nessuna di quelle sarebbe stata una menzogna, eppure non sarebbe stata nemmeno la completa verità. Scrollò le spalle, lanciando appena un’occhiata all’altro, e poi guardò fuori dal finestrino: nel buio che attraversavano ogni tanto una luce guizzava via, veloce come una stella cadente. Il Nottetempo, gli aveva raccontato suo padre, viaggiava talmente veloce che al suo interno si veniva sballottati un po’ ovunque e spesso maghi e streghe si sentivano male; evidentemente s’erano fatti dei progressi in quel campo, visto che Albus non avvertiva che lievi sobbalzi di tanto in tanto.

Si rese conto all’improvviso che Scorpius lo stava ancora fissando, forse in attesa di una risposta o forse… forse no. Ricambiò l’occhiata, vagamente imbarazzato da quegli occhi che sembravano non volerlo lasciare, poi scrollò le spalle con noncuranza e tornò a guardare fuori dal finestrino.

“Ehi!” esclamò infine l’altro, ridestando così la sua attenzione. “Perché non vieni con me?”

“Cosa? Dove?” chiese Albus stupito, aggrottando la fronte.

“A Inverness, è lì che sto andando. Non proprio lì, ma c’è una villa abbandonata poco lontano dalla città, passerò la notte in quel posto,” spiegò e a Potter sembrò che il suo improbabile compagno di viaggio fosse in qualche modo imbarazzato, ma sicuramente sbagliava come al solito. “Puoi venire anche tu, ho anche del cibo con me.”

“Non ho i soldi per arrivare fino a Inverness. Il mio biglietto è per Birmingham, ricordi?” gli fece notare, tirando di nuovo fuori il cartoncino che gli aveva dato Arden Lane.

“Posso pagartelo io,” insistette Scorpius, il cui tono aveva iniziato ad assumere un sfumatura d’implorante insistenza.

Albus sbatté le palpebre, poi scrollò le spalle. “Ok, ma perché?”

“Ho pensato di allungarti la passeggiata,” sorrise l’altro, alzandosi in piedi di scatto e rubandogli il biglietto, per poi scendere le scale, probabilmente intenzionato a modificare la sua destinazione.

Potter rimase imbambolato a guardare di sotto, accorgendosi solo allora del modo bizzarro in cui il cuore gli batteva nel torace e della buffa sensazione di leggerezza esplosiva che gli bruciava nel petto, nella testa ed in generale lungo tutto il corpo. Era felice, innegabilmente, e non importava se la sua cotta fosse ancora lì dove l’aveva lasciata a giugno; non gli interessava nemmeno di rifletterci troppo su, rischiando di divenire depresso e più tetro di quanto già non lo fosse.

Quando Scorpius tornò, con il nuovo biglietto per Inverness in mostra, Albus era rosso in viso per l’eccitazione: l’idea di lasciare che la notte trascorresse come capitava, di passarla senza dover pianificare nulla, di potersi dimenticare, almeno per quel momento, tutti i problemi che aveva lasciato a casa e affrontare le ore più scure della giornata con Scorpius gli riempiva il corpo di adrenalina, rendendolo scattante, irrequieto e generalmente più impacciato del solito.

Quando l’altro gli diede il biglietto, Albus quasi cadde in avanti, e quando Scorpius si sedette di nuovo sul loro letto, quasi scivolò indietro, colpendo con la testa l’intelaiatura in ferro battuto.

Malfoy si limitò a ridere davanti a tutto quello, senza alcun commento maligno – cosa che suo fratello James avrebbe di certo fatto –; gli sembrava più rilassato, ora che erano ufficialmente compagni di viaggio, di avventura, e la cosa, nonostante l’eccitazione non diminuisse, sembrò distendere anche lui, permettendo ad un piacevole silenzio di calare fra loro.

***


Il Nottetempo li lasciò lungo un sentiero sterrato, riprendendo poi il proprio veloce tragitto sulla strada asfaltata con cui il sentiero s’incrociava; Albus rimase a guardarlo allontanarsi con rapidità finché non sparì nella notte buia e umida del settembre scozzese. Scorpius aveva lanciato un Lumos ed aveva iniziato a camminare lungo quella strada che s’inerpicava su una collinetta e lui lo seguì velocemente, affascinato dal silenzio di quel luogo, rotto solo dal tramestio del mare poco lontano.

Camminarono per diverso tempo prima di raggiungere un cancello chiuso, massiccio e nero, che sembrò incombere su di loro come un mostro scuro, fatto di ferro arrugginito. Scorpius però non si lasciò intimidire e, posando appena la mano sull’inferriata, l’aprì, facendo scivolare indietro i due sportelli; Albus rimase stupito dal modo dolce e assolutamente silenzioso con cui il cancello si schiuse, incantato come se non avesse mai visto una magia prima di allora.

Il contorno regolare della villa, adesso che erano nell’enorme giardino, era finalmente ben visibile, ma Potter rimase sorpreso quando il suo compagno di viaggio virò con decisione verso sinistra, invece d’inforcare il sentiero che li avrebbe condotti all’ingresso.

“Dove andiamo?” domandò, standogli vicino. Non aveva paura, ma si sentiva intimorito dalla gigantesca presenza che ora stava alle loro spalle: l’edificio era imponente ed aveva un aspetto vagamente minaccioso.

“C’è il mare qui dietro,” rispose Scorpius. Poi, quasi avvertendo il suo timore, la sua mano scattò verso di lui, come fosse intenzionata ad intrecciare le dita con quelle di Albus; fu solo un’impressione, però, perché Scorpius gli afferrò il braccio, guidandolo con attenzione, nonostante l’erba lì fosse bassa e morbida sotto le loro scarpe.

Ad Albus sembrava quasi di star sognando, mentre si muovevano lentamente ed in silenzio lungo quella rupe erbosa, il rumore del mare agitato che si faceva sempre più forte e l’umidità fredda che gli gelava il sudore sulla fronte; nulla di tutto ciò era spiacevole, soprattutto grazie alla stretta calda della mano di Scorpius sul suo braccio, ma sembrava innaturale, nebuloso. Come un sogno, appunto.

Finalmente la sua guida si fermò; Albus gli si bloccò accanto, sentendo il suo respiro pesante ed accorgendosi di avere lui stesso il fiato corto. Sbirciò in sua direzione, incuriosito, e vide la fronte sudata ed i capelli biondi che gli si erano appiccicati ai lati del viso; la luce fredda del Lumos gli rischiarava di poco il volto pallido, in quel momento colorato di un vago rossore sulle guance. Albus non ricordava di averlo mai visto così bello.

“Guarda,” gli disse Scorpius, indicando con il braccio che reggeva la bacchetta qualcosa davanti a loro.

Potter si voltò, accorgendosi solo in quel momento d’essere quasi sull’orlo di una rupe che scendeva a strapiombo sul mare. Di fronte a quello scenario gli sembrò di tornare improvvisamente a sentire i suoni: le onde che s’infrangevano sugli scogli, metri e metri sotto di loro, il fischio leggero del vento che s’insinuava fra le rocce, facendo vibrare dolcemente l’erica intorno a loro.

“È bello,” disse, trovandosi impacciato ad esprimersi con quell’aggettivo piuttosto riduttivo.

“Lo è,” concordò Scorpius e quando Albus si voltò a guardarlo, si accorse che lo stava fissando. Lo scrutò di rimando, non volendo cedere all’impulso di distogliere gli occhi, eppure sentendo il viso andare in fiamme: quante altre occasioni avrebbe avuto per vederlo così attraente a così poca distanza?

“Come sapevi di questo posto?” chiese, accorgendosi che le parole incespicavano fra loro, dando vita ad un buffo borbottio.

Scorpius rise. “Davvero non l’hai capito?” domandò per tutta risposta e quando Albus scosse la testa, gli sorrise con una strana curva morbida delle labbra. “Questa era una delle ville dei Malfoy, prima che la mia famiglia cadesse in rovina. Non ci sono mai stato, perché quando sono nato era già stata abbandonata, ma mio padre veniva qui quand’era piccolo, con i miei nonni. Passavano qui quasi due mesi interi, d’estate, per questo lui me ne ha sempre parlato come il luogo privilegiato della sua infanzia,” spiegò, con un tono distante, che quasi si perdeva nel tramestio delle onde.

“Devi avere un bel rapporto con lui,” commentò Albus, sentendosi inappropriato a quel genere di discorsi nostalgici, a quel tono malinconico; la sua mente e lui stesso non concepivano altro che i fatti. Fatti, fatti, fatti. Era triste essere così insensibile davanti alle altrui emozioni.

Scorpius fece una smorfia amara. “No, affatto. Non facciamo altro che litigare, come stasera,” confessò, serrando le mani – quella che era ancora posata sul suo braccio gli strinse la stoffa della giacca, tirandola. “Abbiamo litigato e io sono scappato.”

“Sei scappato davvero, allora,” commentò vagamente Albus, avvertendo l’adrenalina tornargli in corpo, senza motivo apparente, solo perché erano vicini e Scorpius gli stava facendo quelle confidenze, come se fossero sempre stati amici.

“Già,” confermò quello, stringendosi nelle spalle. “Lui vuole che mi sposi con la figlia di qualche tipo Purosangue, com’è di tradizione. Ma io non voglio e gliel’ho detto,” Albus lo sentì digrignare i denti, quasi ringhiando. “Gli ho detto che non ne avevo nessuna intenzione e lui si è infuriato talmente tanto… E poi gliel’ho detto.”

“Cosa?” si sentì in dovere di chiedere, sapendo che erano a un passo da qualche confessione, da un punto di svolta e che bastava tanto così – appena un chinarsi in avanti – per raggiungerlo. Gli prese la mano che stringeva il suo braccio, incurante del fatto che la sua bacchetta si fosse scontrata probabilmente in modo doloroso con le dita dell’altro, e strinse forte, mentre il cuore sembrava in preda allo stesso caos che inquietava il mare sotto di loro.

“Che sono gay,” mormorò infine Scorpius, guardando davanti a sé, non vedendo nulla oltre il Lumos della sua bacchetta, ma forse immaginando l’espressione di Lord Malfoy, davanti a quella confessione.

Albus trattenne il fiato: i fatti erano tutti lì, dispiegati davanti ai suoi occhi. I fatti erano che Scorpius era accanto a lui, gli aveva fatto una confessione e che forse, se fosse riuscito a giocare bene le sue carte, qualcosa sarebbe successo. Lo sentiva nell’aria, improvvisamente fattasi elettrica, piena di tensione. Albus era bravo a capire queste cose, i fatti.

Gli strinse la mano con più decisione e poi, quando l’altro lo guardò, scrollò le spalle. “Lo sono anch’io,” disse e alle sue parole Scorpius sorrise.

***


Corsero dentro la villa, vagando lungo i corridoi bui, ridendo come i due ragazzini che erano; il perché di quell’euforia era insondabile e forse si nascondeva da qualche parte sotto il tumulto d’emozioni che s’annidava nella testa e nel petto di Albus – e forse anche in quelli di Scorpius.

Si rincorrevano e poi semplicemente correvano fianco a fianco, come se la villa fosse in realtà un prato infinito; salivano le scale, si nascondevano nelle camere e poi gridavano, di un grido liberatorio, catartico: si stavano spogliando della tensione che li aveva accompagnati per tutta la sera, prima di salire su quel Nottetempo e incontrarsi, svincolandosi da doveri e pressioni familiari, toccando con mano tremante l’euforia e la disperazione dell’avere una notte di libertà, un tempo limitato che sarebbe stato sufficiente a far passare i malumori eppure non era abbastanza per mettere a posto le cose.

Poi Albus si nascose dietro un letto, in una stanza enorme, e quando Scorpius vi entrò, ridendo trafelato, lui balzò sul materasso, gridando. L’altro urlò di rimando, per poi gettarglisi addosso e far cadere entrambi sulle coperte, dove ingaggiarono una lotta confusa, braccia e gambe che menavano, disarmoniche, e le bacchette che rotolavano sul pavimento, il Lumos ormai spento.

Fu al buio che gli animi si placarono e Albus si ritrovò a scrutare la sagoma scura sotto di lui, rischiarata appena dalla luce lattiginosa della mezza luna. Respiravano forte, a pieni polmoni, l’eco di una risata ancora intrappolata nel petto e le mani dell’uno sulle spalle dell’altro.

Forse era quello il momento, pensò confusamente una parte della mente di Albus, mentre le sue dita scivolavano goffe sul viso di Scorpius, che non si ritrasse, ma strinse le mani sulle sue braccia e – sembrò ad Albus – chiuse gli occhi.

Le sue labbra parvero impiegare millenni per colmare la distanza che le separava da quelle di Malfoy, e quando finalmente le raggiunsero, entrambi i ragazzi esalarono un sospiro, mischiando i respiri e poi sorridendosi sulle bocche.

Albus non aveva mai baciato nessuno, ma, quando Scorpius gli mise una mano sulla nuca, non ebbe importanza e così si lasciò guidare dai suoi movimenti, lenti e buffi, quasi timorosi.

Poi smisero di baciarsi e Albus si tirò indietro, guardando il viso di Scorpius, a così poca distanza dal suo; Malfoy gli sorrideva, carezzandogli i capelli morbidi e sottili della nuca, e lui quasi si sentì debole, non sapendo nemmeno di aver un punto così sensibile proprio lì dietro, un punto che sembrava fatto apposta per le dita dell’altro.

Si baciarono ancora, e poi un’altra volta e di nuovo, finché non fu più possibile contare le volte in cui le loro labbra si erano incontrate e sembrarono passare ore intere, ma in realtà si trattava solo di pochi minuti. Qualcosa cambiò solo quando il ginocchio di Albus, formicolante per lo sforzo di sorreggere tutto il peso, si piegò fra le gambe dell’altro, premendo inavvertitamente contro il cavallo dei pantaloni e facendo emettere un verso strano a Scorpius, una specie di sospiro mozzato e gemente.

Scorpius lo guardò imbarazzato, accorgendosi d’essere stato proprio lui ad emettere quel suono, e poi gli tirò la testa in giù, la bocca che gli stampò un bacio sulle labbra, per poi scivolare verso il suo orecchio.

“Vuoi?” gli chiese semplicemente, come se avesse senso.

Albus quasi gli chiese cosa voleva dire, ma l’altro non gli lasciò dubbi quando spinse in fianchi verso l’alto.

Voglio, rispose nella propria mente.

Fu strano, spogliarsi al buio, con una frenesia malata, come se entrambi avessero avuto paura di un ripensamento improvviso, le mani che toccavano con un po’ troppa forza e le unghie che quasi graffiavano la pelle; i baci non erano più buffi e morbidi, ma strani e bagnati, respiri interrotti, gemiti timorosi. Poi una mano di Scorpius scivolò fra di loro, toccando e carezzando, e tutto riacquistò equilibrio: un equilibrio strano, affannato e frenetico, ma la sensazione d’essere toccato e di poter toccare, di baciare ed essere baciato, non lasciò ad Albus altro tempo di pensare a quanto fosse bello, obbligandolo solo a sentire e a provare piacere.

***


La mattina li colse svegli, stesi sul letto a fissare il soffitto e di tanto in tanto a guardarsi l’un l’altro; la notte di libertà e follie era finita e si leggeva sul volto di entrambi l’amarezza per quella fine così brusca, nonostante fosse prevista.

“Andiamo?” chiese Albus, perché i fatti parlavano chiaro: era ora di tornare a casa.

Scorpius annuì e si alzò dal letto, affatto imbarazzato dalla propria totale nudità, lasciando Albus incantato davanti a tanta sfacciataggine. Raccolse le loro bacchette, poi si rivestirono, in completo silenzio.

Non sapeva cosa bisognasse dire dopo una notte del genere, trascorsa a rincorrersi e gridare lungo i corridoi di una villa abbandonata, ma soprattutto passata stesi sul letto, ad accarezzarsi di nascosto, come amanti. Loro non erano amanti, non erano nulla. Scorpius forse non provava nulla per lui, se non una forte empatia che gli aveva permesso di confidarsi con lui, di farsi toccare da lui in modi così intimi. Poteva succedere, perché no?

Albus sentì la tetraggine scivolargli di nuovo addosso, come un mantello vecchio e rattoppato che però lo avvolgeva fin troppo bene.

Scesero le scale continuando quel silenzio strano, non del tutto sgradevole, ma nemmeno confortevole, e chiusero la porta d’ingresso con un tonfo secco; all’aperto – e finalmente alla luce del sole – Albus poté vedere il giardino incolto e invaso di erica violacea che riempiva il terreno, costeggiando anche il vialetto che conduceva dal portico al cancello. Scorpius gli prese il braccio, come la sera precedente, e lui si sentì rassicurato da quel gesto, mentre camminavano piano, uscendo dalla proprietà.

Immediatamente fuori dal cancello, Malfoy si fermò, costringendolo a fare lo stesso.

“Adesso è ora di andare, penso,” mormorò, il tono che si sforzava d’essere neutro. Albus annuì, mentre l’altro, dopo un’ultima stretta, gli lasciava il braccio.

“È stato…” si sentì in dovere di dire, ma non sapeva come proseguire; ‘bello’ non era abbastanza e ‘sconvolgente’ non rendeva bene lo scompiglio di emozioni, fra cui calma, rilassatezza e malinconia, che Albus aveva provato per tutta la notte.

“Sì, anche per me,” annuì Scorpius, guardandolo da sotto la frangia bionda. Si sorrisero impacciati, poi, goffamente, Albus si sporse in avanti, baciandolo sulle labbra; si sorprese nell’accorgersi che Scorpius inclinò la testa il giusto, chiudendo gli occhi insieme a lui, in un incastro che ormai avevano imparato, dopo averlo sperimentato per tutta la notte. Quando si allontanarono, arrossì nel vedere l’altro con gli occhi ancora chiusi.

“Devo andare,” biascicò e poi, senza più attendere, si Smaterializzò nel cortile di casa Potter.

***


I giorni successivi furono uguali ai precedenti: Albus ciondolava in casa, trascinandosi da una stanza all’altra come uno zombie, mentre i suoi genitori sbuffavano e storcevano il naso. L’umore tetro di Al inevitabilmente si ripercuoteva su quello dell’intera famiglia, soprattutto considerando che la discussione che l’aveva portato sul Nottetempo non era mai davvero stata risolta.

Ciononostante nessuno sembrava più intenzionato ad affrontare l’argomento e anche se qualcuno ci avesse provato, Albus probabilmente non avrebbe risposto: in quel momento i suoi pensieri erano rivolti altrove.

La sua cotta, dopo quella notte, non era più una cotta e basta: Albus era innamorato di quello Scorpius che aveva visto quella sera, molto più di quello che aveva sempre spiato a Hogwarts; gli piaceva quella malinconia nascosta nei suoi ricordi, il viso affannato dopo la corsa verso il dirupo, le grida liberatorie all’interno della villa e le sue mani sulla nuca. Albus non avrebbe mai creduto che innamorarsi di una persona significasse innamorarsi dei suoi gesti, della sua voce, di quello che nascondeva, più di quello che mostrava. Eppure era un fatto.

Come era un fatto che la distanza che li divideva gli faceva male, in modo quasi fisico. Essere innamorati, aveva capito, era un gran casino e provocava dolore, ma di quel dolore in cui ci si crogiola volontariamente e con gioia.

Un fatto piuttosto bizzarro.

Quello stesso dolore gioioso, però, lo spinse fuori di casa, quella notte, una settimana dopo il suo primo viaggio sul Nottetempo; quando tirò fuori la bacchetta per richiamare il bus, era ancora vicinissimo a casa propria, ma non gli importava davvero.

“Ehi, di nuovo tu?” chiese Arden Lane, ridacchiando. “Torni a Inverness o vai a Birmingham?”

Albus scrollò le spalle e acquistò un biglietto per Inverness, dato che era la tratta più lunga. Arden continuò a ridacchiare, quando gli indicò il piano di sopra, invitandolo a salire; lui fece come gli era stata detto, incurante di quella risatina, infilando le mani nelle tasche e fissando il pavimento.

Fu solo quando sentì un “ehi” familiare che comprese la risata di Arden Lane e fu allora che si chiese se i fatti, a volte, non venissero maneggiati dal Destino. Ma fu solo un pensiero vago, perché il suo sguardo si riempì dell’immagine di capelli biondi e occhi grigi.

“Scorpius?” domandò, voltando la testa di scatto verso la voce che l’aveva chiamato.

Scorpius se ne stava a gambe incrociate sullo stesso letto su cui l’aveva trovato una settimana prima e lo guardava con un’aria a metà fra lo stupito ed il felice. Come si sentiva lui.

Percorse la distanza che li separava a grandi falcate, dopo di che si bloccò davanti a lui, le mani ancora in tasca e l’espressione che doveva essere molto buffa, perché Scorpius rise.

“Sei scappato di nuovo di casa?” gli domandò scioccamente.

“No, non stavolta,” rispose l’altro, sollevando le spalle.

“Bene, perché nemmeno io sto facendo una passeggiata,” chiarì Albus, sentendosi impacciato e goffo, ma decidendo che non aveva importanza.

“Ok,” annuì Scorpius, scrutandolo attentamente. “Perché mi devi venticinque falci.”

Potter lo guardò senza capire.

“Allora? Dove andiamo stasera?” chiese Malfoy, ridendo dell’espressione perplessa dell’altro.

“Non lo so…” mormorò Albus, abbozzando un sorriso. “Ma ho cinquanta falci, Arden lo saprà di certo.” Si voltò ed iniziò a scendere gli scalini.

“Bene,” sentì Scorpius dire, ridendo ancora più forte. “Perché in due si va sempre da qualche parte.”



Fine

Note finali:
ed ecco a voi il giudizio *_*

1° classificata: In due si va sempre da qualche parte di Chu


- Grammatica e lessico: 15/15;
- Forma e stile: 10/10;
- Utilizzo dell’oggetto: 05/05
- IC: 10/10;
- Gradimento personale: 10/10
- Bonus velocità: 3/3
Totale: 53/53.

Punteggio pieno. * APPLAUSI *
Sei stata la prima a consegnare e ti sei classificata prima a questo contest, BRAVA!
Ma veniamo al dunque! La tua one-shot è ben scritta, fresca, fluida e senza errori. Il pairing è un classico per quanto riguarda la nuova generazione, ma sei riuscita a non cadere nel banale.
Tra le righe mi pare di capire che Albus sia stato smistato a Grifondoro come il resto della sua famiglia, cosa piuttosto insolita dato che nella maggior parte delle fanfic è un Serpeverde provetto.
Questo non ti ha penalizzata per niente, anzi!
Complimenti anche per l'uso del Nottetempo, un mezzo chiave per la riuscita della tua trama.
Albus Severus/Scorpius è un pairing che AMO e tu sei riuscita a scrivere una storia che mi ha coinvolta davvero tanto!
Ho solo un piccolo appunto da farti e riguarda ciò che hai scritto nelle note dell'autore. Ho già letto storie scritte da te e sei sempre stata molto brava, ma hai davvero sottovalutato questa shot.
E ricorda... un po' di fluff non fa mai male ;)
  
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