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Autore: dirtytrenchcoat    04/08/2011    8 recensioni
«Non sorridere così.»
«Così come?»
«Così.»
«Perché?»
«Perché quando sorridi mi sciolgo dentro.» Gerard si alzò e, barcollando, afferrò il suo cappotto appoggiato sul divanetto. «Possiamo rivederci?» Si morse un labbro.
Frank gli si avvicinò e gli passò un dito sulle labbra, asciugando il sangue che Gerard ne aveva fatto uscire. «No.»
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Frerard lives, never dies.'
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Disclaimer: se questa cosa fosse vera, Megan Fox non mi ispirerebbe sesso.
Ci vediamo in fondo con le mie blaterazioni, LOL. :3


When you smile, I melt inside.
Gerard camminava da solo per le strade di New York da un’ora, forse due, non lo sapeva esattamente perché era ubriaco perso. Che novità. Si era ripromesso così tante volte di smettere di bere che ormai recitare le solite parole la mattina era un’abitudine. “Basta, Gerard”, si diceva massaggiandosi la testa, “niente più alcool”. E puntualmente un paio di ore dopo si ritrovava disteso sul divano con una birra fra le mani. In fondo, bere era l’unico modo per sentirsi felice, o, meglio, per provare un sentimento che simulasse la felicità alla perfezione. Il giorno dopo si sentiva peggio di prima, e quindi beveva due volte tanto. Semplice, no?
Si dirigeva barcollando verso una vietta buia e isolata. Una parte del suo cervello gli diceva di tornare indietro, di andare a casa, così si scolò un altro sorso dalla bottiglia di whiskey che teneva in mano e il suo cervello tacque.
Era buio pesto – buio da una, due del mattino, si disse – e i lampioni illuminavano appena delle sagome strane. Lunghe e fini, come scheletri, si appoggiavano alle case, e Gerard iniziò ad esserne terrorizzato, ma era troppo sbronzo per ricordarsi come si tornasse indietro.
Quindi continuò a camminare, aiutandosi col muro, mentre alcune sagome iniziavano ad avvicinarsi sempre di più. Ridevano, gracchiavano, i suoni erano terrificanti, Gerard si sarebbe tappato le orecchie se solo si fosse ricordato come fare e dove metterle, quelle cazzo di mani.
Andò contro ad una sagoma, e quella lo spinse via, contro un’altra sagoma ancora. Cosa gli avrebbero fatto, quelle ombre? L’avrebbero portato negli inferi? E c’era l’alcool, laggiù?
Chiuse gli occhi, incapace di fare qualsiasi altra cosa.                       
In mezzo alle voci infernali e stridule delle sagome, riuscì a cogliere appena un suono differente, una voce calda, morbida, una voce umana. E il suo “lasciatelo stare” fu l’ultima cosa che gli giunse alle orecchie prima di perdere conoscenza.
 
Quando si svegliò, non riusciva ad aprire le palpebre. È come essere addormentati da svegli. Quel pensiero lo stranì ancora di più.
Raccolse tutte le forze e aprì gli occhi, trovando davanti a sé uno scenario del tutto nuovo: si trovava in una stanza abbastanza piccola, in cui c’erano troppe cose. Alla sinistra del letto su cui era sdraiato c’era un tavolo con una minuscola televisione e una sola sedia, a destra, invece, una cucina in miniatura, con fornelli, lavandino, credenza e tutto il resto; appoggiati alla parete di fronte c’erano un divanetto, una chitarra e un acquario, mentre nell’angolo a sinistra una tenda copriva ciò che doveva essere un wc. Le pareti erano tappezzate di foto di musicisti, il che lo fece sentire ancora più oppresso.
Non aveva idea di dove fosse, non aveva idea di come ci fosse arrivato e non aveva idea di chi ce l’avesse portato, lì.
Si mise a sedere con fatica e si grattò la nuca, stranito. Aveva un gran mal di testa, come tutti i giorni. «Basta, Gerard, niente più alcool.» sussurrò.
La porta si aprì di scatto, facendolo sobbalzare. Un ragazzo giovane, a cui non diede nemmeno venticinque anni, entrò nella stanza e gli si parò davanti, guardandolo con un sopracciglio alzato e un leggero sorriso sulle labbra rosse che sembravano così calde e morbide in contrasto per il piercing di ferro.
«Hey.»
«C-ciao,» rispose Gerard in un sussurro, che però gli suonò alle orecchie come un grido. Si massaggiò le tempie.
«Non ti chiedo come stai perché mi pare proprio che la risposta sia ovvia.» Il ragazzo si lasciò sfuggire un risolino.
Gerard spalancò gli occhi. Quella era la voce che aveva sentito la notte scorsa – o due notti fa, forse tre, forse sette, non ne aveva idea –, quella umana. Quel “lasciatelo stare” gli rimbombò in testa.
«No, infatti. Sto uno schifo. E non ho idea di dove io sia, tra l’altro.»
«Uhm, giusto!» esclamò il padrone di casa, facendo scoppiare la testa di Gerard. «Piacere, Frank. Ti ho portato qui ieri sera prima che quelli ti importunassero» disse, sedendosi sul letto.
«Quelli chi?» chiese Gerard, confuso. «Gerard, comunque.»
«Oh, prego, figurati, è stato un piacere!» Frank rise, scuotendo la testa, e Gerard pensò che avesse proprio una bella risata. E una bella testa. E tutto il resto bello.
«Uh?» fece, grattandosi la punta del naso. «Oh! Scusa. Grazie per avermi salvato.» Sorrise, in imbarazzo.
«Oh, prego, figurati, è stato un piacere! Con ‘quelli’ intendevo la gentaglia a cui sei andato addosso ieri notte.»
«Le sagome?» Un brivido lo attraversò quando i ricordi gli tornarono in mente.
Frank piegò la testa da un lato, stranito. «Sagome? Non so cosa tu abbia visto, ma parlavo delle prostitute. E dei gigolò. I peggiori di tutta la città.»
«Prostitute? Gigolò?»
«Ma sei ritardato o cosa?» chiese Frank, trattenendo una risata.
«Cosa. Ma probabilmente anche ritardato.»
«Che ci facevi lì? Eri solo ubriaco e non sapevi dove stessi andando?»
«Hai centrato il punto.»
«Capisco.» Frank si alzò e andò a preparare il caffè.
Era il primo che non lo giudicava, che non gli chiedeva perché fosse ubriaco. Quel Frank gli piaceva, non sapeva esattamente in che senso o perché, ma gli piaceva. No, be’, magari il perché poteva immaginarlo, dato che lo stava guardando e aveva decisamente un sedere da urlo quanto il suo sorriso.
Scosse la testa. «E tu?»
«Cosa?» chiese il ragazzo mentre porgeva a Gerard una tazza fumante.
«Cosa ci facevi lì?»
Frank scosse le spalle. «Lavoravo.»
«Sei un… u-un prostituto?»
«Sono un gigolò, sì» rispose, ridendo. «Che c’è, deluso?» chiese poi, notando la faccia mezza sconvolta e amareggiata di Gerard.
«No è che… Non so, non sembri.»
«Ti ringrazio.» Frank sorrise, e per qualche strano motivo Gerard si sentì sciogliere dentro.
Gerard guardò l’orologio appeso alla parete. «È tardi» disse.
«Devi andare al lavoro?»
«No, mi hanno licenziato due mesi fa.»
«È per questo che bevi?» chiese Frank, ma non c’era il tono di accusa o di disprezzo che la gente mal nascondeva quando parlava con Gerard.
«Sì, anche» sospirò. «Frank?»
«Uhm?»
«Perché non mi disprezzi?» gli uscì dalle labbra, in un soffio.
Frank gli posò una mano sul braccio. «Io ti dico che sono un postituto e tu mi chiedi perché non ti disprezzo?» sorrise di nuovo, e di nuovo Gerard si sentì a tre palmi da terra.
«Io… be’, sì. Tutti lo fanno.»
«Fanno cosa?»
«Mi disprezzano.»
Frank asciugò lentamente la lacrima che scappò dall’occhio di Gerard, che venne percorso da un brivido non appena sentì il contatto con la sua pelle così calda, a differenza della propria.
«Dovrei proprio andare, sai?» disse, pentendosene subito.
«Resta…»
«Non sorridere così.»
«Così come?»
«Così.»
«Perché?»
«Perché quando sorridi mi sciolgo dentro.» Gerard si alzò e, barcollando, afferrò il suo cappotto appoggiato sul divanetto. «Possiamo rivederci?» Si morse un labbro.
Frank gli si avvicinò e gli passò un dito sulle labbra, asciugando il sangue che Gerard ne aveva fatto uscire. «No.»
«Perché?»
«Perché no» disse semplicemente, sorridendo in un modo così dolce che fece quasi piangere Gerard.
Annuì e uscì da quella stanza, diretto immancabilmente agli alcolici del suo frigo bar.
 
---
 
E gli venne in mente Frank, ancora una volta.
Era passata una settimana e ancora pensava a lui, al suo sorriso, alla sua dolcezza, e al suo sedere, per Dio.
Continuava a chiedersi perché gli avesse detto che non avrebbero potuto vedersi e il dubbio gli dilaniava il cervello. Inoltre si malediceva ogni giorno di più per essersene andato. “Resta” aveva detto, e perché cazzo non gli aveva dato ascolto?
Pensava a Frank persino mentre era ubriaco. Anzi, quando beveva i pensieri erano anche più nitidi e più felici, loro due che vivano insieme, che si baciavano, che facevano l’amore e si sposavano. “Voglio sposare Frank”, pensava, rendendosi conto di quanto idiota fosse quel pensiero solo una volta sobrio – il che succedeva raramente e per pochi minuti.
Quella notte era abbastanza sobrio per disegnare. Si alzò e si accomodò alla scrivania, prese una matita e tracciò il contorno di una bocca su un foglio. Quando aggiunse un piercing sul lato destro del labbro inferiore, afferrò un cappotto e uscì di casa.
 
La via era più terrorizzante, da sobrio – o mezzo sobrio, insomma –, ma almeno non si scontrò con nessuna sagoma infernale. Anzi, le persone appoggiate alle case erano lì a sorridergli e ad ammiccare da lontano.
Gerard cercò Frank con lo sguardo, per poi trovarlo seduto sul marciapiede, una sigaretta fra le labbra e una bottiglia di birra in mano.
Il suo cuore perse un battito.
«Hey…»
Frank alzò la testa, svogliato. «Sono cinquan- Gerard.» Spalancò gli occhi, sorpreso. «Non voglio che ci vediamo, te l’ho detto.»
«Non sono qui per vederti… cioè, più o meno. Ti pagherò, come un…»
«Cliente?»
«Esatto.»
Frank sospirò. «Davvero, non mi sembra una grande idea.»
«Perché? Cos’ho che non va?»
«Nulla.» Sorrise.
«Non farlo.»
«Scusa.» Frank si alzò, spolverandosi i jeans. «Cinquanta all’ora» disse, sospirando, prima di incamminarsi dietro a Gerard, che aveva annuito e gli aveva fatto segno di seguirlo.
 
«Vuoi un caffè?»
Frank scosse la testa, aspettando che Gerard si sedesse di fronte a lui.
Gerard prese un respiro profondo e si accomodò sul letto, tremando quando Frank puntò gli occhi nei suoi. Erano grandi e belli e luminosi, tanto luminosi, ma attraversati da una tristezza e rassegnazione che oscuravano un po’ quel bel colore fra il nocciola e il verde. Pensò che gli sarebbe tanto piaciuto disegnarli.
Allungò una mano verso il suo viso, titubante, e la posò con delicatezza sulla guancia arrossata di Frank, che chiuse gli occhi emettendo un sospiro stanco.
«Non fare così, Gerard, ti prego.»
«Perché?»
Frank gli prese la mano nella sua, allontanandola dal suo viso e posandogliela sul suo petto. «Senti?»
Gerard percepì il battito frenetico di un cuore sotto la sua mano e sorrise, un po’ emozionato. «Perché… batte così?»
«Non chiedere sempre perché.»
Annuì, abbassando lo sguardo. «Sei stanco?»
«Sì.»
«Vuoi dormire?»
«Non sono stanco in quel senso, Gerard.»
Lui lo guardò senza capire, ma non osò fare altre domande perché la tristezza negli occhi di Frank lo smontò completamente. Sembrava così diverso da quel giorno a casa sua.
Gli posò una mano dietro alla nuca e lo attirò a sé, fermando il suo volto a un centimetro dal proprio, giusto per poter ammirare meglio le sfumature dei suoi occhi, per sentire il suo respiro sulle labbra.
Frank sorrise brevemente, per poi abbassare lo sguardo. «Scusa.»
«Puoi sorridere, oggi.» Gerard gli alzò il mento con un dito e posò le labbra sulle sue, beandosi per qualche istante della loro morbidezza e della piacevole freschezza del piercing prima di dischiuderle e approfondire in bacio.
E si baciarono per quanto? Due minuti? Dieci? Mezz’ora? Gerard aveva la mente completamente sgombra da qualsiasi cosa non fosse Frank, compresa la cognizione del tempo. E sarebbe rimasto a baciarlo fino alla fine dei suoi giorni se lui non gli avesse infilato una mano sotto la maglietta, regalandogli tante piccole scariche elettriche che si trasferirono presto più in basso.
Frank gli sfilò la maglietta e Gerard imitò quel gesto subito dopo, per poi afferrargli la vita con le mani e farlo sdraiare sul letto. Gli sfilò il resto dei vestiti, lasciandogli addosso solo i boxer, e si spogliò in fretta anche lui. Rimase un attimo a guardarlo, serio, prima che Frank gli buttasse le braccia al collo e lo attirasse a sé, baciandolo. Gerard si staccò di nuovo, rimanendo, però, a pochi centimetri dal suo viso.
«Cosa c’è? Hai cambiato idea?» domandò Frank sottovoce.
«No, è che…» Gli scostò il ciuffo castano dal viso. «Tu potresti essere la cosa più bella che mi sia mai capitata.»
Frank sorrise, e così non fece altro che consolidare in Gerard la certezza di ciò che aveva appena confessato.
Tornarono a baciarsi, due minuti, dieci, mezz’ora, tutta la notte, mentre l’aria si faceva bollente e la camera si riempiva dei loro sussurri.
 
Per la prima volta da mesi, Gerard si svegliò con la testa che non scoppiava. Sorrise ancor prima di aprire gli occhi, perché sapeva cosa avrebbe trovato di fianco a sé.
E infatti Frank era sdraiato vicino a lui. Dormiva, la bocca leggermente aperta e un’espressione serena sul viso.
Gli posò un bacio leggero sulla fronte e lui si svegliò, stropicciandosi gli occhi come un bambino. «Ciao…» disse, sorridendo.
«Non sorridere, adesso.»
«Perché?»
«Perché fra poco te ne andrai.» Gerard si mise a sedere e si passò una mano fra i capelli scompigliati.
Frank gli passò un braccio attorno alle spalle e si strinse a lui. «Mi dispiace.»
«Com’è?» chiese il più grande, fissando un punto imprecisato davanti a sé.
«Che cosa?»
«Fare il lavoro che fai tu.»
Frank scrollò le spalle. «Uno schifo» disse, sorridendo amaramente. «L’amore perde significato, e il sesso nemmeno ti gratifica più… e ti senti sporco come un verme. Un vero schifo.»
Gerard lo guardò con gli occhi appena appena lucidi. «Quindi stanotte…» Non riuscì a continuare, un peso gli aveva appena schiacciato il cuore.
«Vuoi chiedermi se anche questa notte è stata fredda e insulsa come le altre?»
Gerard annuì, mordendosi il labbro come faceva sempre quando era nervoso.
«No.»
«No?»
«No.»
«Bene, sono… felice.»
Frank gli accarezzò il braccio. «Anzi, è stato bellissimo. Sei il primo che mi tratta con così tanta dolcezza e delicatezza e… e non…»
«Sì?»
«Non mi disprezza. Perché tu non mi disprezzi?»
«Io ti dico che sono un alcolizzato e tu mi chiedi perché non ti disprezzo?» Gerard rise, quasi commosso. «Non ti disprezzo perché sei davvero meraviglioso.»
«Tu non mi conosci, per questo la pensi così.»
«Vorrei conoscerti.»
«Non possiamo» disse Frank, passandosi la mano libera sul viso. «E no,» continuò, notando la reazione di Gerard, «non chiedermi perché.» Lo abbracciò e gli posò un bacio sulle labbra, poi si alzò e iniziò a rivestirsi.
«Resta…» sussurrò Gerard, non sapendo se Frank potesse sentirlo. Ma, in ogni caso, lui si infilò il cappotto.
«È stato bellissimo, Gerard, grazie. Ne avevo bisogno» disse Frank, avvicinandosi di nuovo al letto.
Gerard prese il portafoglio dal comodino e tirò fuori delle banconote. «Così non ti sembrerà un appuntamento…» Gliele porse e Frank le prese, sorridendo tristemente.
«Grazie» rispose, infilando i soldi nella tasta dei jeans, «ma non venire più a cercarmi, okay?»
«Perché?»
«Non vorrei innamorarmi di te. E non chiedermi perché.»
«Sai benissimo che verrò. Forse già domani.»
Frank scosse la testa e uscì dalla stanza, mentre Gerard rimaneva seduto sul letto, il viso fra le mani, e un altro peso gli si aggiunse sul cuore quando sentì la porta sbattere.
Andò in cucina con l’intendo di bere. Sul tavolo c’erano i soldi che aveva dato a Frank. Allora optò per un caffè, sorridendo.
 
---
 
Frank gli mancava così tanto che nemmeno l’alcool riusciva a lenire il dolore. Sapeva che era stupido, perché non lo conosceva, perché l’aveva visto due volte, perché non aveva alcuna possibilità, eppure non poteva fare nulla quando la sua mancanza gli dilaniava il petto.
Così uscì, ubriaco fradicio, e si incamminò di nuovo verso quella via. Ci mise più del solito, perché si perse due o tre volte, ma alla fine arrivò e Frank era lì, seduto al suo posto con lo sguardo perso nel vuoto.
«Non dovresti essere qui» gli disse sospirando quando Gerard gli si parò davanti.
«Lo so.»
«Sei ubriaco.»
«Lo so.»
«Cosa vuoi?»
«Te.»
Frank si alzò e lo guardò dritto negli occhi. «Non sembri tu…»
«Perché?»
Ignorò la sua domanda. «Non possiamo anche stanotte.»
«Sono un cliente come qualsiasi altro, non vedo perché non possiamo.»
«No che non lo sei. Vai via, ti prego.»
Gerard lo guardò storto, era deluso e dannatamente triste. «Mi mancavi.»
«A me manchi adesso, Gerard, ti sei visto? Smettila di bere.»
«“Smettila di bere, smettila di bere”, è quello che mi dicono tutti. Ma non posso.»
«Sì che puoi, è che non vuoi
Gerard scosse la testa e quasi cadde atterra. Alzò lo sguardo, Frank lo teneva per un braccio e lo osservava con una tristezza devastante. Così iniziò a piangere, e Frank con lui.
Il più piccolo lo prese per un braccio e lo trascinò verso casa sua, ricordava la strada perché l’aveva fatta tante, troppe volte il giorno prima, cercando il coraggio e la forza di andare a parlare con lui.
 
Frank gli guidò la mano quando si accorse che Gerard non riusciva ad inserire la chiave nella serratura.
Quando furono dentro, Gerard sbatté Frank sulla porta con violenza, chiudendola e facendogli sfuggire un mugolio di dolore. Si tuffò sulle sue labbra forse con troppa passione, leccandole e mordendole, costringendo con la sua lingua Frank a schiuderle. Gli infilò le mani nei capelli e, tirandoli, lo spinse ancora più vicino a sé.
«Gerard, cazzo, mi fai mal-» cercò di dire Frank, ma lui li zittì riprendendo a baciarlo, finché si staccò per afferrare una bottiglia di whiskey dal frigo bar all’ingresso. La stappò e se ne scolò quasi metà, ridendo, per poi buttarla a terra senza curarsi dei vetri in frantumi sparsi per tutto il pavimento in un mare di liquido marrognolo.
Afferrò Frank per la maglia e scambiò le posizioni, appoggiandosi alla porta, poi mise nuovamente le mani sulle sue spalle e lo costrinse ad abbassarsi prima di slacciarsi i pantaloni.
Frank, dal basso, lo guardava implorante, con gli occhi umidi. «Gerard, per favore…» sussurrò, trattenendo un singhiozzo. «Questo non sei tu, tu non sei così…»
«Zitto» sputò Gerard, abbassandosi jeans e boxer, gli occhi pieni di lussuria. E no, non era lui, non era così quando era ubriaco.
«Ti prego…»
«Non è il tuo lavoro, questo?» Afferrò delle banconote dal tavolo e gliele infilò nella maglietta.
Frank strinse gli occhi e si morse un labbro per non piangere, prese il membro di Gerard con la mano e iniziò a muoverla, mentre lui, dall’alto, lo guardava dalle palpebre semichiuse, il respiro che si faceva mano a mano più irregolare. Gli infilò le mani fra i capelli e lo avvicinò con forza al suo bacino, e Frank non poté far altro che prendere in bocca la sua erezione, sentendosi morire dentro ogni istante di più.
Gerard non si accorse che ciò che lo stava bagnando non era solo la saliva di Frank, ma anche le sue lacrime.
 
Si svegliò con il solito atroce mal di testa mentre Frank si stava infilando le scarpe dando le spalle al letto.
«Buon giorno» disse, sorridendo. Non ricordava nulla della nottata appena trascorsa, ma se Frank era lì in camera sua sicuramente doveva essere stata meravigliosa, pensò.
L’altro non rispose, continuando a dargli le spalle. Gerard gattonò sul letto e gli posò una mano sul braccio, ma Frank si scostò bruscamente e si diresse in fretta verso l’ingresso.
«Frank!» urlò Gerard, e quando si rese conto che non sarebbe tornato indietro si alzò, non curandosi nemmeno di vestirsi. «Che hai?»
«Che ho?» Frank si girò, gli occhi pieni di rabbia e delusione. «Non ricordi niente, vero, Gerard?» disse con un tono tagliente come una lama.
«Io… No.» Gerard si grattò la testa.
Frank sorrise amaramente e afferrò il cappotto. «Bene. Chiediti anche perché c’è una bottiglia rotta qui a terra e tutto il whiskey rovesciato.» Si infilò la giacca.
«Non… non lo so, non ricordo, cos’è successo? Ero… ero ubriaco, suppongo.»
«Supponi giusto. Sai cosa, Gerard? Mi hai trattato come una puttana ieri.»
Il più grande sgranò gli occhi, senza capire.
«Mi hai scopato senza nemmeno avere la cortezza di, non so, toglierti la maglietta. O togliermi la maglietta. Anzi, mi ci hai infilato dentro dei soldi, che non voglio, tra l’altro. E… mi hai fatto male, Gerard, fisicamente e… e qui» disse, posandosi una mano sul cuore.
«No… Io… Mi… mi dispiace, Frank, non posso crederci. Io… sono una merda, ero ubriaco, scusami… scusami! Io… io ti volevo tutto per me, credo… ti volevo così tanto, Frank… Mi dispiace, scusa…» ripeté mentre i suoi occhi iniziavano ad inumidirsi.
«Dispiace anche a me» sibilò Frank. Afferrò la maniglia e aprì la porta.
«Aspetta, ti prego.» Gerard lo prese per un braccio, cercando di trattenerlo, ma lui si liberò e uscì in fretta prima di scoppiare a piangere.
 
---
 
Era passato un mese. Trenta giorni senza essere sobrio, trenta giorni di lacrime, trenta giorni in cui il senso di colpa e la mancanza di Frank gli dilaniavano il petto.
Si faceva schifo, più del solito, più di sempre.
Non era uscito di casa dopo quella sera, escludendo le brevi visite nella via dove lavorava Frank, qualche volta. Lui non c’era mai, così dopo una settimana aveva rinunciato.
Aveva consumato tutte le scorte congelate di cibo e si era già scolato il giorno prima ogni cosa minimamente alcolica rimasta in casa, così, quel giorno, era meno ubriaco del solito.
Si alzò e indossò le prime cose che gli capitarono sotto mano, prima di uscire per andare a comprare qualcosa da mangiare e, soprattutto, da bere.
 
Fuori, la luce quasi lo accecò. Si mosse caracollante fra le strade affollate, non sapendo esattamente dove dirigersi.
Dopo mezz’ora, non si era ancora fermato.
Passò davanti a uno Starbucks colmo di gente e pensò che sarebbe stato bello prendere un caffè, ma comunque in quelle condizioni non l’avrebbero fatto nemmeno entrare. Guardò le persone ai tavoli, e tutte erano serene, erano normali. Scorrendo con gli occhi tutto il locale, il suo cuore perse un battito. Alla cassa c’era Frank sorridente, che parlava con i clienti.
Aveva spesso allucinazioni di Frank. Lo vedeva nel suo letto, in mezzo al suo salotto, in strada quelle poche volte che sbirciava dalle tapparelle. E ora pure in uno Starbucks.
Si avvicinò alla vetrina e ci posò sopra i palmi, appoggiando poi la fronte al vetro. Strinse gli occhi un paio di volte, ma Frank non si trasformò in un'altra persona, in una lampada da soggiorno o nel nulla. Frank era… Frank.
Rimase lì a fissarlo per un paio di minuti, intontito, fino a quando un uomo uscì dalla caffetteria, dicendo che stava spaventando i clienti e lo spinse via, all’angolo della strada.
Gerard si sedette a terra, strinse le ginocchia al petto e ci appoggiò sopra la testa.
«Gerard.»
Una voce, quella voce, lo fece alzare il viso di scatto. Frank era lì, in piedi davanti a lui, con un sorriso triste sulle labbra.
«Sei ubriaco…»
«Non ho mai smesso di esserlo da quando te ne sei andato.»
Frank gli tese una mano e lo aiutò ad alzarsi. «Non mi piaci quando sei ubriaco.»
Gerard annuì.
«Mi piaci da sobrio, Gee, tanto.» Gli posò una mano sul braccio e lo strinse forte.
«Aiutami» sussurrò Gerard, guardandolo con disperazione.
«Sei sicuro di voler essere aiutato?»
«Sì.»
Frank sorrise e lo abbracciò, posandogli la testa sulla spalla e accarezzandogli il collo con il naso.
«Frank?» lo chiamo Gerard dopo qualche minuto di silenzio in cui non si erano mossi di un centimetro.
«Uhm?»
«Mi piace. Gee, mi… mi piace.»
Frank lo guardò confuso per qualche istante, poi rise dolcemente e gli stampò un bacio sulle labbra. «Anche a me.»
 
---
 
«Sai perché non volevo che sorridessi, quel giorno, a casa tua?» chiese Gerard una sera, stringendo un po’ di più il suo fidanzato.
«Uhm, no.»
«Vuoi saperlo?»
Frank annuì, sorridendo.
«Ti avevo detto che quando sorridi mi sciolgo dentro» iniziò Gerard, accarezzandogli una guancia, «e, be’, è ancora così, ma il fatto era che mi faceva male, il tuo sorriso. Male e bene allo stesso tempo. Mi faceva male perché pensavo di non poter più vivere senza il tuo sorriso…» lo baciò lentamente, passandogli le mani sulla schiena. «E poi, la prima sera che siamo stati insieme ti avevo detto che potevi sorridere perché eravamo insieme, io ero tuo e tu eri mio, per quella notte, e potevo permettermelo, il tuo sorriso, potevo permettermi la felicità, quella notte. Ma quando te ne sei andato, mi faceva male, e ti ho chiesto di non sorridere perché era troppo doloroso pensare che non l’avrei più rivisto, che non mi avrebbe più sciolto. È stupido, lo so.»
«Ti amo, Gerard» sussurrò Frank sulle sue labbra. «Io… sono felice, adesso. Con te.»
Gerard gli scostò i capelli dal viso. «Perché non volevi che stessimo insieme, prima?» trovò il coraggio di domandare, dopo tutto quel tempo.
Frank si morse un labbro. «Io… Sai… Pensavo ti meritassi molto di più di un gigolò da quattro soldi. Io volevo essere tuo, tuo e basta, e non sarebbe stato giusto per te se… se io avessi continuato a fare quel lavoro, se chiunque avesse potuto toccarmi, baciarmi e farmi qualsiasi altra cosa… Ma io già ti amavo, lo sapevo, in fondo – com’è possibile non amarti? – e dopo quella sera, quella in cui me ne sono andato, ho deciso che avrei dovuto trovarmi un altro lavoro, per me, per la mia famiglia, per te… E volevo aiutarti. Insomma, sai, non potevo aiutare un alcolizzato continuando ad essere un prostituto» concluse, ridendo.
Gerard si unì alla sua risata cristallina e tornò a baciarlo, beandosi del suo profumo.
«Non pensi sia molto meglio il sesso quando tu sei sobrio?» disse Frank dopo un po’.
«Decisamente.»
«E sai cos’è ancora meglio?»
«Cosa?»
«Il sesso quando siamo ubriachi entrambi!»
Gerard risse e tornò a baciare Frank, passandogli le mani sul viso, fra i capelli, sul petto, sui fianchi, e ricominciarono a fare l’amore, tutta la notte.



Uhm, sì, allora. Prima o poi mi deciderò a postare il fottuto terzo capitolo di I'm writing this letter blablabla, è che ci tengo tanto a quella ff e voglio che venga davvero bene, quindi lo devo ricontrollare ancora millemila volta, sì. Perdono. e.e
Poooi, ringrazio le anime pie che hanno sopportato i miei scleri su questa oneshot. Vi amo tutti. çOç
E boh, non so esattamente cosa pensare. Da una parte sono soddisfatta, dall'altra mi fa schifo. Non so, davvero, ditemi voi, LOL.
Love, Vale.
   
 
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