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Autore: labambolinablack    04/08/2011    0 recensioni
Bhe.. questa è solo una piccolissima parte del primo capitolo di una storia che parla di una ragazza che scoprirà di essere speciale. Volevo un piccolo commento.. visto che sono molto insicura. è scritto un pò velocemente, ma spero vi piaccia. Baci, Veronica.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bi-bip! Bi-bip! Bi-bip!
Il suono della sveglia mi fece sobbalzare, strappandomi bruscamente dal sonno. Con un colpo secco la spensi. Mi tirai a sedere e mi stiracchiai, mi stropicciai gli occhi. Sbadigliai e guardai l’ora. Le 7:00. Mi scoprii e mi alzai svogliata dal letto per prepararmi ad un’altra giornata infernale. Andai in bagno e mi guardai allo specchio. Ero pallida, più del solito. Due pesanti occhiaie spiccavano sotto i mie occhioni verdi, come l’erba in primavera. Mi era sempre piaciuto questo paragone, mia madre lo diceva sempre, prima di morire. Scossi la testa quasi per scacciare quel pensiero così triste. E tornai a guardarmi nello specchio. Ricordavo ancora la festa della sera prima e ringraziai dio di non avere i sintomi del dopo sbornia, anche se avevo un aspetto e mi sentivo da schifo. Ma non era solo quello il problema, da un anno a questa parte mi sentivo un’altra, mi vedevo diversa. Ogni volta che mi guardavo allo specchio mi sembrava di vedere un’estranea non più la Me di una volta, la Me prima dell’incidente. Mi guardai i capelli arruffati, sembravano un groviglio di nodi inestricabili. Il loro rosso acceso faceva risultare la mia carnagione ancora più bianca e smorta. Il piercing al labbro luccicò illuminato dalla luce del sole. Distolsi lo sguardo dall’estranea nello specchio e aprii l’acqua della doccia per poi ficcar mici dentro.
Non posso fare di nuovo tardi a scuola, pensai.
Finii di prepararmi in fretta e furia. Mi infilai un paio di jeans e una maglietta verde, che faceva risaltare i miei occhi, e un paio di converse abbinate. Corsi in bagno. Mi misi il fondotinta e un po’ di matita, non avevo tempo per sistemarmi come si deve. Presi i trucchi e li ficcai in borsa. Mi sarei sistemata dopo a scuola se ne avessi avuto il tempo. Controllai di aver preso tutto e corsi giù per le scale. Mi fiondai in cucina per accaparrarmi una delle ultime barrette rimaste.
“buongiorno, cara” mi salutò mia zia, già pronta x andare al lavoro.
 “ciao, zia” dissi sorridendole, mentre rovistavo nella credenza in cerca delle mie amate barrette dietetiche.
“non fai colazione?” mi chiese guardandomi in modo interrogativo mentre sorseggiava il suo caffè. Non le risposi troppo intenta nella mia ricerca.
“sei di nuovo in ritardo, vero?”chiese.
“si..zia” dissi mentre ficcavo la mia barretta in borsa. “ora scappo… ciao!” le diedi un veloce bacio sulla guancia e corsi fuori dalla cucina verso la porta d’ingresso e proprio mentre questa si chiudeva sbattendo sentii il “ciao!” di zia Meredith raggiungermi dalla cucina. Povera zia, pensai tra me e me. Da quando mamma era morta e papà se ne era andato avevo vissuto con lei. Era la zia più mitica.. e paziente del mondo. Sorrisi pensando a quanto le volessi bene. Aveva fin troppa pazienza quella povera donna, forse perché anche lei mi voleva davvero bene. Arrivai alla fermata del bus proprio un secondo prima k chiudesse le porte. Salii velocemente e mi sedetti in un posto in fondo. Tirai fuori dalla borsa l’i-pod e mi misi le cuffie. Le note familiari di “fucking perfect” di Pink mi aiutarono a distendere i nervi. Chiusi gli occhi e mi lascia avvolgere dalla canzone immaginando, anche solo per poco di essere in un altro posto, in un altro mondo e di non dover andare in quell’inferno che chiamavano scuola.
 
Dopo pochi minuti arrivai a scuola, proprio mentre la campanella suonava. La mia amica Jj mi stava aspettando davanti all’ingresso con aria spazientita.
“JJ sono qui!” urlai dal portone della scuola. Lei si voltò e mi fece cenno con la mano.
“muoviti…!” urlò. Feci di corsa le scale e la raggiunsi ansante per la corsa. La presi a braccetto ed entrammo. Corremmo in classe e ci sedemmo ai nostri banchi in ultima fila. Feci appena in tempo a dirle “scusa” k il professore di matematica entrò in classe sbraitando. “silenzio!!”
La giornata passò relativamente in fretta, le lezioni si susseguirono l’una dopo l’altra. Io troppo tanca per stare attenta mi persi a disegnare e a pensare a tutt’altro. In poco tempo la pagina del mio quaderno, come molte altre, fu piena di disegni di creature fantastiche cha avevo sognato da piccola. Fate, lupi e ninfe dell’acqua. E che, a volte, mi era sembrato di scorgere tra gli alberi o nelle fontane del parco, mentre mi fissavano. Mi ricordavo ancora uno di questi incontri, avevo sette anni, giocavo nel parco vicino a casa quando la mia palla era finita nella fontana, troppo lontana perché io arrivassi a prenderla, così, l’acqua aveva preso la forma di una piccola donna k sembrava galleggiare sul pelo dell’acqua. Non era più grande di una bambola, era slanciata e minuta, aveva lunghi capelli che le ricadevano sulle spalle e le avvolgevano il corpo. Era completamente fatta d’acqua, trasparente e limpida, solo i suoi occhi brillavano di una luce azzurra. Lei, quella che penso fosse una ninfa, aveva preso la palla e me l’aveva portata porgendomela con un sorriso. Io diffidente l’avevo presa dalle sue mani fissandola perplessa e intimorita. Mi madre venne a vedere cosa succedeva ma quando feci per mostrarle la strana creatura che avevo appena visto lei non c’era più, era scomparsa! La mia mamma rise e  disse che avevo una fervida immaginazione. Col passare del tempo mi sembrò di vedere altre ninfe che giocavano tra gli spruzzi delle fontane, ma, da quel giorno, non dissi più a nessuno delle strane creature che, ogni tanto, mi capitava di vedere nascoste qui e li in città e delle ombre scure che a volte scorgevo nei vicoli bui.
Nel corso degli anni mi è capitato di vedere molte cose strane ma non ne ho mai parlato con nessuno per non essere etichettata come quella strana o per non essere creduta pazza. Avevo visto così tante creature. Ma un episodio in particolare era rimasto impresso nella mia memoria. Una volta, mentre camminavo nelle vie di uno dei quartieri meno sicuri della città avevo visto quello che, a prima vista, mi era sembrato un grosso cane, ma che poi avevo scoperto essere un grosso lupo. Subito ne fui spaventata, ma poi quando mi voltai per vedere se mi stava ancora seguendo lo vidi fermarsi e guardarmi negli occhi,  in quel momento mi sembrò che i suoi occhi mi penetrassero nell’anima e mi sentii sicura. Poi però, come era comparso, scomparve nel nulla, lasciandomi sola ma con la consapevolezza che, anche se non lo vedevo, mi era vicino e mi stava proteggendo. A volte, nei sogni, mi viene ancora a trovare e io passo ore a giocare con lui. Non so se è solo frutto della mia fantasia ma a volte quei momenti mi sembrano così reali…
Ancora persa nelle mie fantasticherie sentii la campanella suonare e vidi i miei compagni schizzare via. Io con calma raccolsi le mie cose e le misi nella borsa e senza fretta mi avviai all’uscita seguita da Jj, che non aveva ancora proferito parola da quando all’intervallo mi aveva chiesto di uscire a fumare e io le avevo detto che preferivo rimanere in classe.
“tutto ok?” le  chiesi guardandola intensamente.
“certo!” disse lei sorridendomi felice. “vuoi che ti accompagno a casa? Viene mamma a prendermi.”
“si dai…” dissi tutta felice. “grazie!”
Continuai a guardarla ancora per un secondo. Era davvero bellissima. Magra e alta, ma non troppo, aveva lunghi capelli neri come il carbone e brillanti occhi color del cioccolato. Sulle guancie si potevano intravedere alcune lentiggini. Avrebbe avuto un fascino da ragazza bella porta accanto se non fosse stato per i rasta, i vari orecchini e piercing. Infatti aveva un anella al labbro e il “bridge” k faceva risaltare i suoi occhi. Vestiva sempre a modo suo, fregandosene delle mode. Ora indossava un paio di pantaloni in pelle e una camicia rossa e nera a scacchi mezza aperta e con un nodo in fondo k lasciava intravedere una canotta dalla scollatura non troppo decorosa. Inoltre indossava sempre non so quanti braccialetti, tra cui, alcuni borchiati e al collo una collana con una croce rovesciata. Ai piedi aveva i suoi adorati anfibi neri mezzi sgangherati. Si accorse che la stavo ancora fissando, così mi fece la sua faccia da: “che c’e?” ma io scossi la testa come per dire: “nulla”. Ridemmo entrambe.  
  
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