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Autore: Sparrowhawk    04/08/2011    1 recensioni
[Persona 4 - Ryotarou Dojima x Nuovo Personaggio]
Aspettavo.
Come sempre.
Da quando lo avevo conosciuto non ero stata capace di fare altro, se non aspettare.
Aspettavo lui. Aspettavo quelle parole che tanto bramavo di sentirgli dire. Aspettavo che sua figlia stesse meglio, perché sapevo che lei sola poteva in qualche modo renderlo veramente ed inequivocabilmente felice.
Non ero mai stata una molto paziente eppure, con lui, con il mio Ryotarou, erano cambiate molte cose. Lo amavo così tanto che il resto svaniva, perfino il mio orgoglio.
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E se Ryotarou nascondesse a tutti un piccolo segreto? Se la persona tutta d'un pezzo, chiassosa e burbera che tutti conosciamo finisse coll'innamorarsi?
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Amami e basta.
Fandom: Persona 4
Personaggi: Ryotarou Dojima; Nuovo personaggio (Mio Yazawa)
Rating: Verde
Genere: Romantico; Fluff; Introspettivo
Altro: Missing Moments; One-shot; What if?
Note: Per scrivere questa fic, oltre che a pensare a quanto adoro Ryotarou, mi sono anche basata su alcune frase lette in NANA. Lo so, lo so, è un pò come barare, ma siccome prima che l'ispirazione mi cogliesse mi ero messa a rileggere tutti i numeri che ho, imbattendomi poi nel punto in cui Hachi pensa le stesse cose di Mio, non ho potuto fare a meno di inserire certe cose. Chiedo perdono. ^^


Oh sì, lo sapeva che si stava comportando come una povera stupida, ma per quanto se ne rendesse conto ancora non era in grado di dire di no a tutto quello che Ryotarou rappresentava. Le veniva semplicemente impossibile, inacettabile perfino.

Lo amava così tanto che era disposta ad etichettarsi da sola come una povera scema pur di potergli stare accanto, quel tanto di tempo che bastava per sentirlo suo almeno per un pò. Fino a che avesse avuto bisogno di lei, fino a che la avesse cercata, allora Mio non avrebbe mai smesso di aspettare speranzosa una sua chiamata od un suo semplice messaggio.

E poi cosa c'era di male a sperare un pò, di tanto in tanto? Di certo non sarebbe morta mentre si crogiolava nella speranza di essere qualcosa di più di un semplice tappa buchi per lui. Anzi, forse avrebbe persino potuto darle un motivo in più per continuare a vivere. L'amore non era forse una delle cose più belle del mondo?

Sì lo era, e lei lo amava alla follia quel povero, stupido, e alle volte sin troppo duro poliziotto.

Ah, se lo amava.

DRRRIIIIIIIIIIIIIIN!

Mio saltò sull'attenti e corse come sempre verso il telefono posto poco distante dal piano cucina, gli occhi luccicanti e felici mentre il cuore faceva mille balzi uno dietro all'altro: era Ryotarou, lo sapeva che era lui, eppure non riusciva a non sentirsi con il fiato sospeso come se ci fosse la possibilità che una volta sollevata la cornetta avrebbe avuto modo di sentire una voce che non si aspettava per niente.

Prese un profondo respiro, tentando di darsi un contegno. Non voleva che sapesse che non stava aspettando altro che la sua telefonata.

«Mio Yazawa, chi parla?»

«Sono io, Ryotarou.»

Il cuore si fermò del tutto, ma lei non demorse.

«Oh, ciao.» disse, sorridendo come una scema, da sola «Come stai? Hai finito adesso di lavorare?»

E certo che aveva finito adesso, altrimenti non la avrebbe chiamata.

«Sì ho finito ora.»

Notò che nella sua voce c'era uno strano tono reverenziale e, immediatamente, comprese che lì con lui c'era qualcun'altro. Forse uno dei suoi compagni di lavoro che gli ronzava attorno come l'ape sul miele o, molto più probabilmente, si stava dirigendo in ospedale: da che lo aveva conosciuto faceva la spola fra l'ospedale, il lavoro e, magari ma non sempre, casa per fare un sonnellino come si doveva.

A dire il vero era quasi un miracolo che loro due si fossero conosciuti. Come avevano trovato il tempo non si sapeva.

«Stai...andando da tua figlia?»

Ryotarou sospirò. Se lo vedeva, lì a passarsi una mano sulla faccia come a starsi maledicendo per la difficoltà con cui dissimulava le cose che sentiva.

«Ah-ah.» mugugnò.

«Vuoi che ti chiami dopo?»

«Beh, per il momento possiamo parlare. Non sono ancora arrivato.»

«N-No, lo sai che non mi piace che parli al telefono quando guidi. Ti chiamo dopo.»

Un altro sospiro. «Ok.»

«A dopo.»

Mio riattaccò, stringendo fra le mani candide la cornetta come se fosse il suo unico appiglio in mezzo alla tempesta. E un pò era vero, in un certo senso lo era.

Poggiò il telefono al suo posto ed andò a sdraiarsi sul divano poco distante, soffocando un urlo dentro al cuscino più vicino: se lo schiacciò contro il volto e strillò a pieni polmoni, nervosa per non si sapeva quale motivo. La verità era che un pò si sentiva gelosa della piccola Nanako anche se, subito dopo aver pensato ad una cosa simile, si dannava l'animo da sola. Si odiava per aver saputo provare quel genere di sentimento per una piccola bambina come lei, così dolce e gentile con tutti. E poi, nelle condizioni in cui stava, non meritava di certo anche il suo per così dire disprezzo.

Si levò di dosso il cuscino e si girò sulla schiena, a pancia all'aria, le braccia abbandonate oltre i bordi del divano ad angolo, colorato di un blu intenso. Non gli aveva mai detto come mai Nanako si fosse ritrovata chiusa in ospedale per così tanto tempo, ma visto il lavoro che faceva non le era stato troppo complicato scoprire comunque qualche particolare: a quanto pare Nanako era stata rapita da un uomo il cui nome ora le sfuggiva, un fattorino che aveva approfittato della casa vuota per prendere con sè la piccina e portarla lontano. Ryotarou lo aveva scoperto e li aveva seguiti in macchina, finendo assieme al sequestratore fuori strada.

Anche così però, con tutte quelle informazioni, rimaneva un mistero cosa fosse successo alla piccola nel lasso di tempo che era intercorso fra il suo rapimento ed il suo ritrovamento. Se non errava era stato proprio il nipote di Ryotaro, Seta, a trovarla assieme ai suoi amici.

Che cosa complicata! Come giornalista era abituata a ritrovarsi di fronte a storie assurde, ma come quella non aveva mai visto niente!

*** *** *** *** ***

Mio si risvegliò nel cuore della notte, la testa pesante ed i pensieri che facevano fatica a mettersi uno dietro all'altro all'interno della sua mente: un rumore ritmico ed intenso stava di sottofondo in tutta la casa e lei, che praticamente aveva imparato a vivere per quel suono, si ritrovò a barcollare come non mai verso la cucina, uscendo di filato dalla camera da letto in cui si era ficcata a dormire non più di qualche ora prima. Prima di prendere la cornetta buttò uno sguardo sul grande orologio a muro attaccato sopra al divano.

Segnava la mezzanotte. Chi accidenti chiamava a quell'ora?!

«Chi cavolo è...?» al diavolo le buone maniere, non aveva il tempo di essere civile adesso!

«Non mi hai più chiamato.»

La ragazza sussultò, sconvolta, facendo saltare in aria la cornetta come fosse un grillo. Tentò di riafferrarla il più velocemente possibile, ma invece si ritrovò a fare la giocoliera con quel benedetto arnese: cavolo, una volta che non era gentile la chiamava proprio Ryotarou?! Questa non se la sarebbe mai potuto aspettare!

«C-c-c-c-c-c-c-c-cosa?»

«Non mi hai chiamato...» riprese lui, con un tono di voce nervoso, quasi arrabbiato «Mi hai fatto preoccupare.»

«Scusami è che...mi è passato di mente, ecco.»

«Passato di mente?»

Accidenti, un altro passo falso!

«N-Nel senso!» si affrettò a dire, sempre più in preda all'ansia «Eri occupato e di solito quando vai da tua figlia non ci sentiamo fino al giorno dopo quindi...quindi ho pensato che non ne valesse la pena...»

«Siccome mi avevi detto che avresti chiamato, sono uscito prima.»

Eccolo, quello era il colpo di grazia, il colpo decisivo. Venne messa KO da un destro bene assestato allo stomaco.

Se ne rimase bellamente zitta, tremante di paura per aver appena messo la parola fine a quel loro strambo ed impossile rapporto: lo sapeva che con lui doveva sempre pensare bene prima di parlare, come aveva potuto essere così sprovveduta?

Mio si portò una mano al petto, stringendola forte a pugno, gli occhi lucidi dal pianto imminente. Aprì la bocca per dire qualcosa, una specie di scusa, quando fu lui a parlare per primo.

«Vai ad aprire la porta.»

«Eh?»

«Vai ad aprire.»

Si incamminò verso l'ingresso con fare titubante, senza staccare il telefono dall'orecchio e senza smettere di trattenere il respiro: quando posò la mano libera sul pomello dopo aver girato le chiavi dentro alla serratura, aprì piano l'uscio sporgendosi un pò per vedere cosa ci fosse di così interessante fuori dalla porta di casa. Ciò che vide la sconvolse del tutto.

Là fuori, zuppo di pioggia, c'era Ryotarou, a guardarla con quel suo sguardo spento eppure così dannatamente intenso.

Lui mise via il suo cellulare, facendosi avanti di qualche passo per poter entrare in casa.

«Sorpresa.» mormorò, guardandola dritta negli occhioni spalancati.

Mio lasciò cadere a terra la cornetta e gli si fiondò fra le braccia, stringendolo a sè con tutta la forza che possedeva. Aveva avuto così tanta paura di averlo fatto infuriare! Aveva temuto che non la volesse più e invece cosa aveva fatto? Si era macinato dei chilometri in macchina per poterla vedere! Come era stupida.

Stupida sia perchè era felice come non mai per quella sorpresa, sia perchè aveva dubitato subito dell'affetto che Ryotarou provava per lei...e sia perchè ancora non si decideva a mettere fine a quella relazione. Una relazione che era evidentemente nociva per lei, e molto anche.

Singhiozzò come una sciocca e si mise a piangere, stringendolo di più e baciandolo con insistenza sulle labbra, su quelle magnifiche, bellissime labbra.

«Ehi, ti bagno tutta così...» disse l'altro, perplesso di fronte a tutto quell'impeto.

«Fa lo stesso, fa lo stesso.»

«Stai bene?»

Mio lo fissò, sorridendo con altre lacrime a scenderle dagli occhi violetti «Adesso sì.»

«Ti basto io per stare bene per caso?» anche Ryotarou sorrise, scompigliandole i capelli dolcemente, probabilmente quasi nello stesso modo con cui lo faceva con sua figlia.

«Sì.»

Ryotarou si sporse in avanti e, cingendole i fianchi, la baciò a sua volta senza esitazione alcuna: la portò sempre più vicino a sè, facendo aderire i loro corpi per bene e facendole sentire quanto ardentemente la desiderasse. La voleva, Mio lo sentiva bene, ed era per momenti così che tirava avanti pur rendendosi conto di starsi avvelenando. Gli avrebbe dato tutto di sè, tutto ciò che voleva.

Tempo addietro, quando aveva capito per la prima volta che lo amava, aveva deciso di ubriacarsi di tutta la felicità che lui poteva donarle, smettendola una buona volta di preoccuparsi del futuro che incombeva su di loro, crudele come la morte stessa. La verità era che ogni volta si riprometteva che sarebbe stata l'ultima, ogni volta si diceva che gli avrebbe detto che non dovevano più vedersi, ma alla fin fine era così vigliacca che non ci riusciva mai. Vigliacca, sciocca...perdutamente innamorata anche.

Del resto, non poteva di certo dire a Ryotarou che lei voleva essere amata. Temeva che così facendo avrebbe finito col soffrire ancora di più, andando a sbattere il naso contro alla cruda realtà dei fatti: non poteva pretendere che uno come lui le donasse il proprio cuore, non poteva perchè era evidente che fra le tante cose della sua vita lei non era altro che un qualcosa di secondario, di cui poteva facilmente fare a meno. Forse preferiva crogiolarsi nel suo sogno di un amore perfetto, piuttosto che arrivare a tanto.

Quando scivolò nel letto stretta a Ryotarou in un bacio appassionato che non lasciava spazio alle parole, Mio si rese perfettamente conto che, alla fine, c'era una grande differenza fra l'essere felici ed il vedere un proprio sogno realizzato: se davvero avesse ottenuto ciò che più voleva, ovvero una vita tutta rose e fiori al fianco dell'uomo che amava, molto probabilmente allora avrebbe reso infelice colui che adorava finendo con l'essere infelice lei stessa. Non c'erano assicurazioni, insomma. Non poteva fare altro che continuare ad andare avanti. Come sempre.

*** *** *** *** ***

La voce ovattata di Ryotarou le giunse fioca e labile come non mai alle orecchie e lei, stropicciandosi debolmente gli occhi, si costrinse ad aprirli per riuscire a svegliarsi. Fissò il suo sguardo in quello dell'uomo al suo fianco nel letto e, spalancando le palpebre per bene, arrossì piano, dolcemente.

«Cosa...cosa hai detto?» chiese, la voce incerta.

Lo vide ridere. «Ogni volta che finiamo...tu cadi addormentata.» mormorò, divertito «...è carino.»

Mio arrossì di più. «Cosa hai detto prima?»

«Ho solo detto che non ha ancora smesso di piovere.»

La ragazza si alzò sui gomiti, fissando il proprio sguardo sul vetro della finestra. La pioggia si stava infrangendo contro di essa con costanza, sebbene con una pacata tranquillità. Mio aveva sempre amato la pioggia.

Tornò a guardare Ryotarou, annuendo, lasciando che lui le accarezzasse il volto con una mano. Stava fumando una sigaretta, ma al momento non aveva proprio nessuna intenzione di dargli addosso per quella sua pessima abitudine. In un modo o nell'altro le piaceva vederlo con quel bastoncino di nicotina ficcato in bocca, perché lo rendeva più bello. Più grande. Più saggio.

«Come sta...Nanako?»

Lo chiese senza riflettere, ma la verità era che moriva dalla voglia di sapere della sua salute, solo che non si era mai decisa a farlo per timore di non averne alcun diritto. Dopotutto, lei, era quella che faceva parte della vita segreta di un padre singol, maniaco del lavoro, che in più aveva a carico anche un nipote. Non c'era spazio per Mio, dall'altra parte.

«L'hanno dimessa.»

Questa notizia la sconvolse e, di scatto, si mise seduta tutta sbalordita. «Dimessa?! Ma allora...allora sta bene!»

Fu estasiata da quella notizia e si mise a gongolare dalla felicità. Che cosa bella, finalmente Ryotarou non sarebbe più stato in pensiero e si sarebbe anche lui tirato su di morale. Dove falliva continuamente lei, forse sua figlia avrebbe saputo rimediare.

«Che gioia!» si lasciò sfuggire, battendo le mani poco distanti dal petto nudo, coperto solo dal lenzuolo.

«Adesso...dovremmo smetterla di...»

Le fece male il petto a sentire quella frase. Si girò verso di lui, con il fiato sospeso.

«Smetter...la di...?»

«Di vederci così.» continuò lui, insensibile di fronte al suo mondo che andava in pezzi «Vorrei che tu conoscessi Nanako. Le piaceresti di certo, ne sono sicuro.»

Lei non disse niente, sempre più sconvolta.

«Fino ad ora...ho pensato che fra noi due non ci fosse nulla di serio...ma in realtà ho fatto finta di crederlo per difendermi. Volevo stare da solo per sempre, ricordado i bei tempi in cui mia moglie ancora era viva e con Nanako formava la mia famiglia, mi sentivo un mostro nel provare per te ciò che avevo provato sempre e solo per lei...però adesso è diverso.»

Ryotarou mise da una parte la sigaretta, poggiandola sul posacenere, e si girò verso di lei attirandola a sè: le diede un altro bacio prima di costringerla sotto di lui, la fronte appoggiata alla sua.

«L'altro giorno ti ho visto sorridere in televisione a quel tuo amico...il tuo compagno di lavoro. Mi sono sentito morire, impazzire quasi.»

«E come mai...?»

«Perchè non facevo altro che pensare a quanto uno come lui stesse decisamente meglio con te. A quanto uno come lui...ti avrebbe potuta rendere più felice di quanto non possa fare io. Lo so bene che al mio fianco non fai altro che soffrire.»

Mio si lasciò baciare ancora.

«E più pensavo a questo...più mi veniva voglia di venire là, mentre giravate il programma, mollare un pugno sul muso di quel ragazzotto, prenderti di peso e portarti qui di corsa, solo per dimostrare a me stesso che tu sei solo mia.»

«Ma io sono solo tua, stupido!»

Gli mollò una capocciata in piena fronte e poi, scoppiando a piangere, si lasciò pervadere da quella magnifica sensazione di benessere.

Allora i sogni alle volte si avveravano!

E non erano delle complete patacche come si era aspettata!

«Diamine, mi hai fatto male!»

«Diamine...? Dici ancora...diamine?» Mio scoppiò a ridere, prendendogli il volto fra le mani «Non ci posso credere!»

Ryotarou sbuffò, guardandola storto «Cosa vuoi, sono un vecchietto dopo tutto in confronto a te.»

«Il solito esagerato.» rispose lei «Abbiamo solo sei anni di differenza sai?»

«Solo?!»

«Cosa vuoi che mi importi di quanti anni sei più vecchio di me, Ryotarou...»

«Vuol dire che ti vado bene così come sono?»

«Certo che sì, capoccione!»

«Alti e bassi?»

«Alti e bassi.»

«Bene.»

«No, non bene, benissimo!»

Mio gli saltò addosso in un baleno, ridendo, e lui per la prima volta da che lo aveva incontrato, sembrò sorriderle davvero. Finalmente era felice. Ed era stata lei a renderlo tale.

  
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