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Autore: _TrueLoveWaits_    04/08/2011    1 recensioni
Un uomo, a quarant'anni soppesa la sua vita, il tempo inutile che gli scivola addosso, le scelte sbagliate. Perché non ha mai avuto lei, unico amore da tutta la vita.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ciaociao

Il tempo di un condannato

Dedicato a uno dei miei migliori amici, ragazzo dal cuore grande, Gianni.


La lancetta ha segnato l’inizio di un nuovo triste e inutile minuto. E io, sono già morto?

Osserva la tua vita, uomo senza speranza. Quante sensazioni hai vissuto realmente? E il calore del sole ha mai sfiorato la tua pelle?
Soffri ancora, come un tempo?
Coricato sul letto, a guardare il soffitto. Il respiro di tua moglie al tuo fianco. Le ombre giocano insieme sulla parete, si rincorrono, come innamorati sfuggenti. Immobile, attendi il momento.
La lancetta supera il numero dodici e tu compi quarant’anni. Ti sembra di scorgere qualcosa fuori dalla finestra, un profilo, una sagoma… forse è solo la tua vita che cerca di raggiungerti.

Un respiro, un passo, un battito di palpebre.
Un respiro, un passo, un battito di palpebre.
Un respiro, un passo, un battito di palpebre.
Questo è ciò che scandisce il suo tempo, senza colore, senza utilità. Probabilmente se non esistessero gli orologi non si accorgerebbe dello scorrere dei minuti. Gli scivolano addosso come l’acqua sotto la doccia, e lui sta immobile, per ore, inconsistente.

Che differenza c’è tra due minuti e un giorno?
Tra dieci anni e un secondo?
Tra una vita e un battito di cuore?

E poi, la vede.
Stesse caratteristiche, stessa fisionomia. Quel taglio degli occhi, così particolare.
Si volta a parlare con un bambino biondo. Ride, fossette intorno agli occhi.
Mani materne, sguardo severo, dolcezza.
Si sente cadere, rimanendo in piedi. Mai avrebbe pensato di rivederla, così all’improvviso, quando ogni volta che abbassava le palpebre gli appariva il suo viso, più giovane di vent’anni, sorriso gentile. Mai avrebbe pensato di riconoscerla con un colpo d’occhio leggero, che tutto il suo passato, presente e futuro gli sarebbero piombati addosso come una frana.
Si guarda le mani che prima reggevano qualcosa, tremanti, inutili, come il resto del corpo, vibranti di ricordi mai vissuti, di capelli mai accarezzati. Sente uscire il respiro da sotto le unghie, spinge, per sovrastare il dolore.
Lei non lo riconosce, e lui lo sa bene. Lo fissa leggermente incuriosita da quello sguardo, ma poi prosegue per la sua via scritta per lei, da lei.
Lui guarda la sua vita e il percorso che ha preso. Non si era mai fermato a guardare i cartelli, camminava senza meta con lo sguardo basso, un pesante orologio legato al collo. Seguiva la via più facile, meno tortuosa, mentre un cartello nella direzione contraria indicava un paio di occhi castani. Lui non aveva mai alzato gli occhi, perché se l’avesse fatto non avrebbe più camminato.
Se l’avesse fatto si sarebbe seduto per sempre sul burrone, a guardare l’orizzonte.

Occhi scuri uguali ai suoi. Sguardo vivo di chi ha sei anni. La sua piccola bambina, fenomeno a sé.
Come chiederle perdono per ciò che non era mai stato, per ogni giorno in cui aveva respirato al suo fianco?
Guardare il suo stesso sguardo e dirsi addio.
Ti voglio bene, lui l’ha solo pensato, ma lei lo sa, l’ha sempre saputo che il suo papà l’avrebbe salutata, un giorno. Lo sapeva come sanno i bambini, e non era triste, perché non conosceva l’abbandono.
Guardare il suo stesso sguardo e dirsi addio. Non sapere bene chi dei due lo dice all’altro, nel silenzio.

Aver sbagliato tutto non è mai un errore.
Quando lui ha visto quella donna avvicinarsi, sapeva di fare la scelta migliore della sua vita. L’unica scelta. La guardò attraverso il buco di quel cappio, splendente come solo lei sa essere, bionda come il sole, senza occhi, senza bocca.
Lei gli tese una mano per salire su quella sedia, per fare un nodo intorno al collo. Annusò la sua tristezza, contenta.
La Morte sa essere dolce con chi viene da lei.

Guarda l’orologio appeso al suo collo.
La lancetta ha segnato l’inizio di un nuovo triste e inutile minuto. E io, sono già morto?



   

 



 
 

  
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