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Autore: Beatrix Bonnie    05/08/2011    6 recensioni
Gellert Grindelwald ha viaggiato per lungo tempo, è diventato forte e potente, ha finalmente conquistato la Bacchetta di Sambuco. Ma le voci mormorano su di lui e questo lo costringe a lasciare Berlino. Giungerà a Monaco, da dove comincerà la sua ascesa verso il potere. Ma tra compagni di scuola appartenenti al passato e vecchi ricordi, Gellert si ritroverà a pensare alla sola persona che avrebbe voluto al suo fianco in quel viaggio: Albus Silente.
Storia prima classificata al contest "Classique contest".
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
- Questa storia fa parte della serie 'Für der Obergute'
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L'inizio del viaggio



Un solo, singolo fiocco di neve vorticò verso di lui e si depositò sul suo mantello di lana. L'uomo osservò la perfezione dei suoi cristalli per un attimo, finché questo non si sciolse e venne risucchiato tra le fibre della lana. Gli bastò guardare il cielo plumbeo per capire che presto si sarebbe scatenata una tempesta di neve.
Sospirò.
Lui adorava il freddo, ma aveva sempre ritenuto le nevicate delle smancerie da romantici. Tutti quei fiocchi che danzano nel cielo, il candore che ricopre ogni cosa, il manto soffice che addolcisce i profili del paesaggio... mah, troppa dolcezza per i suoi gusti.
Si voltò impercettibilmente verso lo spettro della città che stava per lasciare: le sagome dei palazzi, debolmente illuminate dalle luci che filtravano attraverso le finestre, si stagliavano contro l'oscurità del cielo. “Berlino, ci rivedremo presto.” pensò con un sorriso amaro.
Dopodiché, roteò su se stesso e si Smaterializzò.
Arrivò in una landa brulla poco fuori Monaco. Lì il cielo era più sereno: si riuscivano perfino a distinguere le striature rosate del sole che era appena sparito all'orizzonte, mentre verso oriente cominciava ad imbrunire.
L'uomo fece qualche passo incerto verso la città. Quello era il punto di partenza per la realizzazione del suo grande progetto, ma non era sicuro di sapere che cosa vi avrebbe trovato. La gente aveva cominciato a mormorare su di lui, mentre era a Berlino, tanto che era stato costretto a lasciare la capitale. La scelta era necessariamente ricaduta su Monaco, anche se non era affatto sicuro che lì avrebbe trovato quello che cercava.
Ancora non poteva saperlo, ma la fortuna, quella volta, aveva deciso di sorridergli.
Monaco era una città molto più tranquilla, rispetto a Berlino. Passeggiare per i suoi ampi viali, nonostante tutti quei fastidiosi Babbani, era quasi piacevole. Il mago assaporava il freddo vento invernale che soffiava tra le case, ammirava l'oscurità che calava lentamente sul paesaggio, trovava perfino gradevole la luce delicata diffusa dai lampioni Babbani sul lastricato irregolare del marciapiede.
Vagò a caso lungo i viali, finché non si ritrovò sul ponte del fiume Isfar che attraversava placidamente la città. Si appoggiò al parapetto e osservò il lento scorrere delle acque sotto di lui, immerso nei propri pensieri. Idee e immagini gli vorticavano in testa in modo confuso, ma lui riusciva a seguire ogni traccia, ogni impulso che il suo cervello gli suggeriva.
«Non è possibile. Gellert, Gellert Grindelwald!» esclamò una voce alle sue spalle.
L'uomo interpellato si voltò con un'espressione crucciata, ma si rilassò quando vide chi lo aveva riconosciuto. Erano passati più di venti anni dall'ultima volta che si erano incontrati, ma il mago che si ritrovava di fronte era inconfondibile: gli stessi capelli rossi sbarazzini di quando aveva sedici anni, gli stessi vispi occhi verdi, ora circondati da una fitta ragnatela di rughe, perfino lo stesso sorriso furbo.
Emil Borkhausen, un suo vecchio compagno di scuola di Durmstrang.
Era invecchiato, certo, ma non aveva perso quell'aria da adolescente ribelle che lo aveva sempre caratterizzato.
«Per tutto il tesoro dei Nibelunghi, Gellert! Non sei cambiato per niente! Che ci fai da queste parti?» lo salutò con la sua solita giovialità.
Gellert si limitò a rispondere con un sorriso ambiguo. Che cosa ci faceva a Monaco erano affari suoi.
Per fortuna, se c'era un vantaggio nel chiacchierare con Emil Borkausen era quello di poter restare tranquillamente zitti per tutto il tempo della conversazione: Emil avrebbe parlato a sufficienza per tutti e due.
Infatti, il mago non si preoccupò del silenzio di Gellert e riprese a discutere come se niente fosse. «È passato un secolo, dall'ultima volta che ci siamo visti, sai? Oh, andiamo, ti offro una bella Burrobirra e davanti ad una pinta ci raccontiamo cosa abbiamo combinato in questi anni» esclamò soddisfatto.
Gellert si strinse nel mantello e accettò la proposta con un cenno del capo. In realtà, sapeva benissimo che sarebbe stata una conversazione a senso unico, ma la cosa non gli dispiaceva affatto: avrebbe potuto ottenere molto informazioni interessanti dai racconti di Emil, senza essere obbligato a narrare cosa gli era successo in quegli anni.
In fin dei conti, non aveva tutta questa importanza. C'erano state persone, volti, ombre ormai. Ma solo una cosa concreta: la Bacchetta di Sambuco, che ora si trovava nella tasca del suo mantello. Tutto il resto non aveva alcun rilievo.
O meglio: Gellert avrebbe voluto che non avesse rilievo. Poteva cercare di mentire a se stesso, poteva cercare di dimenticarlo, poteva negare che avesse avuto importanza, ma una parte di lui sapeva benissimo il peso che aveva avuto nella sua vita. E sapeva anche che, se mai ci fosse stata una fine, sarebbe stata per mano sua.
«Ti porto in un bel pub, Gellert. Lontano da tutti questi Babbani» gli disse Emil, mentre passeggiavano per le strade di Monaco.
Forse aveva detto anche qualcos'altro, ma Gellert non l'aveva ascoltato, perso com'era nei suoi pensieri.
Emil si voltò verso di lui e gli rivolse un sorriso complice. «Sai, molti, con i Babbani, preferiscono dire “non ragioniam di loro ma guarda e passa”... anche se io credo che sia un errore» gli rivelò, con una strizzata d'occhio.
Anche Gellert era convinto che si trattasse di un errore, ma aveva come l'impressione che Emil non intendesse ciò che pensava lui. Gellert voleva forgiare un nuovo ordine, in cui la società magica fosse al vertice, unita e potente, intrinsecamente etica e forte, mentre i Babbani... be', avrebbero occupato il posto che spettava loro. Sul fondo.
Gellert rivolse ad Emil uno dei suoi impercettibili sorrisi ambigui, che gli balenò per una frazione di secondo sulle labbra sottili, prima di scomparire, come se non fosse mai nemmeno apparso.
Emil non si accorse degli inquietanti e sofisticati significati sottintesi a quel sorriso. Non si accorse del mostro che dormiva placido dietro gli insondabili occhi azzurri di Gellert.
E, forse, fu meglio così.
«Io credo che dai Babbani possiamo imparare un sacco di cose. Sai, il mio vecchio era Babbano. Operaio, un grand'uomo. Mi ha insegnato molto» cominciò a raccontare Emil. «Lui diceva sempre che la vita è come un viaggio: non importa dove arrivi, l'importante è che la meta la scegli tu».
Quelle semplici parole riportarono inconsciamente Gellert indietro nel tempo, fino ad una calda estate di tanti anni fa. Il ricordo di quel momento gli si impose nella mente contro la sua volontà, facendolo piombare in un vortice di immagini senza fine.
Finché non riconobbe il luogo dove lo aveva trascinato quella reminiscenza.
Godric's Hollow. Tanti anni fa.
C'era un ragazzo seduto con la schiena appoggiata al tronco di un albero, intento a leggere un libro. Aveva una morbida coda che raccoglieva i capelli rossi, un paio di occhiali a mezzaluna appoggiati sul naso adunco e un completo da mago verde scuro. Il libro che teneva sulle ginocchia (“Le fiabe di Beda il Bardo”) poteva sembrare indegno per uno della sua età, ma lui vi stava cercando qualcosa di sottinteso e nascosto, che gli altri non potevano cogliere.
Alcuni uccellini cinguettavano lontani, appollaiati sui rami più alti che intessevano una rete di foglie, dalla quale passava solo qualche raggio di sole a formare delle chiazze di luce sull'erba.
Il ragazzo era completamente assorto dalla lettura, per cui, quando qualcosa di grosso cadde dall'albero ai suoi piedi, non riuscì a trattenere un urlo di spavento. La “grossa cosa” era in realtà un bel ragazzo con dei lucenti ricci color dell'oro e la faccia allegra.
«Gellert!» esclamò il giovane seduto a terra, decisamente rincuorato. «Che ci facevi là sopra?» gli domandò, accennando con il capo ai rami sopra la sua testa.
Gellert emise un fischio acuto e poi scoppiò in una risata tintinnante. «Meditavo, Albus» rispose tranquillo. «Meditavo».
Dopodiché si lasciò cadere a terra al suo fianco ed estrasse una lettera di tasca.
Albus la riconobbe subito: gliela aveva scritta lui la sera prima.
Gellert la sventolò in aria per qualche secondo, come se si trattasse di un prezioso trofeo. «Questa è... geniale, Albus!» esclamò estasiato, con gli occhi dilatati che fissavano il foglio di pergamena. Aveva l'aria di averla letta talmente tante volte da averla imparata a memoria. «Noi prendiamo il controllo PER IL BENE SUPERIORE!» recitò con voce eccitata. «Noi domineremo il mondo, forgeremo il nostro ordine sul sangue degli oppositori, schiacceremo chiunque ci si opporrà grazie alla Bacchetta di Sambuco, ma non importa quanti cadaveri ci lasceremo alle spalle, perché lo faremo per un bene superiore!» esclamò in preda alla frenesia.
«Anzi, no! No! Per IL Bene Superiore!» continuò sempre più infiammato dalle sue idee, alzandosi in piedi con una rapidità impressionante. Stringeva ancora tra le mani la lettera dell'amico e la alzava al cielo come un condottiero che incita i suoi uomini.
I begli occhi azzurri, di solito così insondabili, ora erano dilatati dall'entusiasmo. Si leggeva nel suo sguardo una pura ed autentica follia. Eppure, ad Albus non era mai sembrato così bello, con i raggi di sole che filtravano tra i rami e illuminavano i suoi riccioli dorati.
Anche lui si alzò da terra e si avvicinò a Gellert, guardandolo dritto negli occhi.
I loro sguardi si incrociarono e Gellert tornò sereno.
«La vita è un po' come un viaggio» sussurrò Albus, con un mezzo sorriso. «Non importa dove arrivi, l'importante è con chi lo condividi».
Si avvicinò a lui ancora di un passo; ora erano uno di fronte all'altro.
Gellert allungò una mano e sfiorò la guancia di Albus con una lieve carezza. Lui sapeva con chi avrebbe condiviso quel viaggio: con l'unica persona che era come parte di lui, l'unico che lo approvava, lo capiva e lo sosteneva; l'unico a cui aveva rivelato ogni cosa del suo progetto, l'unico che gli assomigliava tanto da essere quasi un altro se stesso. L'unico alla sua altezza.
Sì, quel viaggio l'avrebbe compiuto insieme ad Albus Silente.
Le sue dita ancora sfioravano la guancia di Albus. Lui si sporse leggermente in avanti, ma in quel preciso istante Gellert si voltò di scatto e si arrampicò su un masso lì vicino.
Albus rimase deluso e si diede dello stupido per averci provato.
Gellert, in compenso, non si era accorto di aver infranto un momento delicato: era troppo egocentrico per comprendere i sentimenti degli altri. In piedi sulla roccia, estrasse la sua bacchetta di tasca e la puntò al cielo. «Grindelwald e Silente, i gloriosi, giovani capi della rivoluzione!» gridò con foga, preso dall'entusiasmo. Poi saltò agilmente a terra, si avvicinò nuovamente ad Albus e lo prese per le spalle. I suoi occhi erano nuovamente illuminati da un barlume di follia.
«Tu sarai sempre al mio fianco, vero? Non mi tradirai mai?» gli domandò con voce febbrile.
Albus si perse nell'azzurro dei suoi occhi infiammati dalla passione. Lo amava, come avrebbe potuto tradirlo?
E promise, una promessa che, non poteva saperlo, non avrebbe mantenuto.
«No, non ti tradirò mai».
Quando Gellert ritornò al presente, per un attimo si chiese dove fosse.
Poi ricordò, Monaco, il fiume, Emil. Stavano camminando per le vie Babbane, diretti ad un pub. Al suo fianco, Emil non aveva ancora smesso di parlare. Gellert si era perso buona parte del discorso, ma non sembrava che la cosa avesse importanza.
«Santo cielo, Gellert!» esclamò Emil proprio in quel momento, afferrandolo per un braccio e costringendolo a fermarsi. «Ma tu avrai bisogno di un posto dove stare e magari anche di un lavoro» disse l'uomo, con l'aria di uno che ha appena avuto una rivelazione importante. «Io te lo posso procurare. Ti ricordi di Cyrillus, Cyrillus VonTraust?»
Certo che si ricordava di lui: un altro loro compagno di scuola, figlio del Principe di Baviera, era sempre stato un tipo solitario e altezzoso. Gellert non l'aveva mai apprezzato molto, anche se nell'ultimo periodo loro due avevano stretto una strana alleanza, insieme ad Emil. Non si poteva definire amicizia, ma c'era qualcosa che li aveva legati. Grindelwald, VonTraust e Borkhausen, i tre Arcangeli di Durmstrang. Finché, ovviamente, lui non era stato espulso.
«Be', Cyrillus ha aperto da poco una fabbrica di calderoni. Sta cercando operai e io conosco un po' di gente che lavora lì dentro» spiegò Emil. «Sai, siamo quasi diventati amici, io e lui... in un certo senso!» ridacchiò divertito.
Gellert gli lanciò un'occhiata scettica: a scuola, i due non erano mai andati molto d'accordo, l'uno Purosangue di antica stirpe, introverso e altezzoso, l'altro Mezzosangue, scalmanato e esuberante.
Emil intuì i suoi pensieri e scoppiò a ridere. «Lo so, è strano. Ma... ah, lui dice che io faccio il sobillatore nella sua fabbrica e se mi becca ancora ad incitare i suoi uomini allo sciopero, mi lancia contro tante di quelle maledizioni che non posso nemmeno immaginarmi. Ma io so che scherza, perché i suoi occhi ridono quando lo dice» spiegò Emil, con una strizzata d'occhio.
«Dai, vieni. Ti porto da lui. Si sente in colpa per averti fatto espellere e sono sicuro che sarà contento di poter rimediare offrendoti un lavoro» aggiunse poco dopo, già dimentico della pinta di Burrobirra promessa.
Gellert lo lasciò fare: Emil aveva sempre un sacco di contatti e poteva tornargli utile. Gli avrebbe risparmiato un sacco di lavoro.
Durante il tragitto, Emil aveva ricominciato a parlare e Gellert smise di ascoltarlo. Doveva progettare con calma le sue prossime mosse, organizzarsi, piegare il corso degli eventi ai suoi scopi. Se avesse ottenuto il posto in fabbrica, avrebbe avuto un buon campo da cui partire per raccogliere seguaci. Doveva lavorare silenziosamente, senza dare nell'occhio, e usare la forza solo quando era necessaria. Per il momento aveva bisogno di progettare di nascosto, ma presto avrebbe scoperto al mondo il suo piano. E, allora, nessuno avrebbe più potuto resistergli: il suo dominio avrebbe avuto inizio.
Il Bene Superiore avrebbe trionfato! Un nuovo ordine sarebbe stato creato, forgiato sul sangue, se necessario! I maghi al potere, i Babbani al loro posto; lui, al vertice.
Lui, da solo.
Non sarebbe dovuta andare così. Non doveva essere da solo... al suo fianco, doveva esserci l'unica persona che meritava di condividere con lui il potere. Colui che aveva condiviso con lui le sue grandi aspirazioni, colui che l'aveva appoggiato, incoraggiato, stimato... colui che l'aveva amato e tradito.
Sì, Gellert ora lo capiva: Albus l'aveva amato. Che sciocco illuso! L'amore!
Il loro rapporto andava oltre quella banale illusione dell'amore: loro erano due parti della stessa entità, un unico essere, un unico strumento per il conseguimento del Bene Superiore. Dovevano farlo insieme! Lui aveva bisogno di Albus!
Sapeva, sapeva che da solo non sarebbe riuscito a portare a termine quel viaggio magnifico e grandioso. Ma, ormai, lui se n'era andato, l'aveva tradito, abbandonato. Avevano condiviso un progetto e ora gli toccava arrangiarsi.
Oh, be', l'avrebbe fatto, l'avrebbe fatto lo stesso! Con o senza di lui. Codardo e traditore.
Nel frattempo, Emil l'aveva condotto in una zona poco frequentata di Monaco. Entrò in un vicoletto solitario ed estrasse la bacchetta, per colpire un mattone leggermente sporgente nel muro di cinta di quella che pareva una grossa fabbrica. A quel gesto, si aprì uno squarcio nella parete, per permettere loro di passare.
Gellert osservò con attenzione ogni cosa e immagazzinò nella mente tutti i dettagli: qualsiasi sottigliezza sarebbe potuta tornargli utile.
Entrarono in un cortile piuttosto squallido, in terra battuta, circondato su tre lati da un muro di mattoni rossi, mentre sul quarto lato si trovava un capannone grigio e spoglio. Sul fianco destro, una piccola casetta era incastonata tra il muro di cinta e il corpo della fabbrica. Doveva essere la sede degli uffici. Sebbene fosse ormai sera, una delle finestre al primo piano era ancora illuminata.
«Siamo fortunati: Cyrillus è ancora al lavoro» commentò poco dopo Emil, indicando la luce. I due uomini attraversarono il cortile in silenzio, indisturbati.
Emil fece strada verso le scale, fino al corridoio del primo piano. Come il resto dell'edificio, era piuttosto triste e squallido: le pareti erano colorate di bianco nella metà superiore, verde pallido in quella inferiore. Un paio di globi luminescenti irradiavano una luce fredda e plastica lungo tutto il corridoio, su cui si affacciavano una serie di porte grigie con vetri opachi ad altezza del busto.
L'ultima porta sulla destra, aveva una targhetta d'ottone che recitava “Cyrillus Otto VonTraust, Direktor”. Sul vetro, invece, era stato aggiunto un foglio di pergamena con scritti a mano alcuni versi in una lingua straniera, che pareva italiano; sotto, in piccolo, la traduzione: “Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l'etterno dolore, per me si va tra la perduta gente.”
Emil intercettò lo sguardo di Gellert e intuì i suoi pensieri. «L'ha scritto Rob, il contabile. Lui è italiano e questi sono i versi di non so quale opera poetica... a suo dire, sono scritti sulla porta dell'inferno» spiegò Emil con un mezzo sorriso.
Gellert fece scorrere gli occhi prima sul foglio di pergamena, poi sul volto divertito di Emil. Evidentemente, doveva trattarsi di uno scherzo dei suoi sottoposti: Cyrillus l'aveva presa bene e aveva deciso di lasciare appeso fuori il cartello.
Anche Gellert si lasciò sfuggire un sorriso. Un giorno, quei versi poetici sarebbero stati scritti anche sulla porta delle sue prigioni. E sotto, il suo motto.
Für der Obergute. Per il Bene Superiore.
«Herr Direktor?» chiamò Emil, bussando alla porta.
«Avanti» rispose una voce da dentro la stanza.
Era profonda e roca, molto simile a quella che Gellert si ricordava; il cerchio finalmente si chiudeva: Gellert, Emil e Cyrillus di nuovo insieme, come ai tempi della scuola. Ma questa volta sarebbe stato diverso perché nessuno avrebbe più potuto fermare Gellert nella realizzazione del suo progetto.
Il mago tentennò un attimo sull'uscio. Realizzò che per lui quella era davvero la porta dell'inferno: avrebbe rappresentato il passaggio da una vecchia condizione ad una nuova vita. Se l'avesse attraversata, avrebbe compiuto il primo passo verso il suo glorioso progetto di dominio.
L'avrebbe realizzato da solo, senza Albus.
Sì, la meta di quel viaggio l'aveva scelta lui. Ma avrebbe voluto poter scegliere anche la persona con cui condividerlo. Invece, ora era da solo.
Perché tentennava? Avrebbe voluto entrare nell'inferno insieme ad Albus?
Ma non poteva tirarsi indietro proprio adesso! Per il Bene Superiore, avrebbe fatto qualunque cosa!
«Gellert Grindelwald?» domandò la voce roca dentro la stanza, in tono stupito.
Era la sua chiamata, l'inizio del viaggio. Il mondo lo reclamava, reclamava un dominatore. E lui avrebbe risposto.
«Eccomi».






Buongiorno a voi!
Ecco qui la storia che ha partecipato al Classique Contest, indetto da BethPotter e giudicato da zuzallove (qui il link del contest, per chi volesse spiare!). Ho partecipato per un solo motivo: DANTE!! Era uno dei pacchetti... mi chiamava, mi invitava a partecipare... insomma, potevo forse abbandonare così il mio Dante?
Scherzi a parte, la cosa più romantica che sia riuscita a scrivere è questa. No, non ho una mente deviata, è che Gellert Grindelwald è l'unico personaggio non originale del mondo di HP su cui scrivo. Per chi avesse letto anche “Il Cristallo di Ghiaccio”, questo racconto è collegato alla serie “Für der Obergute” di cui ho promesso ben 4 storie. In teoria, questo sarebbe il capitolo iniziale della terza storia “L'ascesa”. In pratica, scriverò il tutto quando avrò tempo!
Chiederò a zuzallove di inserire una recensione con il giudizio della storia. Nel caso non potesse, lo aggiungerò qui sotto; infine, vi lascio qui il link di una immagine che avevo disegnato ispirata da questo racconto.
Grazie a tutti quelli che leggeranno quanto ho scritto, lasceranno una recensione o anche solo sbirceranno questa pagina. Grazie a BethPotter che ha avuto la fantasia di indire questo contest, grazie a zuzallove che si è offerta come giudice sostitutivo e che ha dato un giudizio così profondo e completo.
Alla prossima,
Beatrix B.


EDIT: continua l'opera di risistemazione dei dialoghi!

   
 
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