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Autore: Aya Lawliet ___backupFGI    05/08/2011    10 recensioni
Lo guardai di traverso. Riusciva sempre a fregarmi, accidenti a lui. «Quattro giorni» rilanciai.
«Tre» replicò, «ultima offerta. Ti darò un messaggio cifrato e dovrai riuscire a leggerlo in tre giorni. Settantadue ore. Che ne dici?»

{Gordo/Lizzie ♥}
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: David 'Gordo' Gordon, Elizabeth 'Lizzie' McGuire, Miranda Sanchez, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il Codice Gordon ~

prompt: #084, 72 hours

 

 

 

{ I }

 

Al suono della campanella del pranzo, noi studenti della scuola media Hillridge ci riversammo all’unisono fuori dalle aule, inondando i corridoi come doveva aver fatto il diluvio universale con le città ai tempi di Noè. La stessa scena di ogni lunedì a quell’ora. L’inizio di una nuova settimana di scuola era sempre uno stress; specialmente adesso, con quel nuovo corso che nessuno sembrava aver capito in cosa diavolo consistesse...

«Tecnologia Applicata alla Comunicazione.» Miranda ripeteva queste parole da un pezzo, come una cantilena, in tono sempre più esasperato. «Tecnologia Applicata alla Comunicazione. C’è qualche marziano in questa scuola che sappia cosa accidenti significhi? No, perché io non ho mai sentito nulla del genere in tutta la mia vita. Tecnologia Applicata alla Comunicazione

Sbuffai e scossi la testa, mentre insieme lasciavamo i libri agli armadietti e ci dirigevamo in mensa facendoci strada nella fiumana. «Non dirlo a me. Ci mancavano solo i corsi supplementari...» Avevo scelto quella materia perché era l’unica che s’incastrasse bene con tutti gli altri orari – la sola alternativa possibile era il russo; francamente, potevo farne volentieri a meno – ma di Tecnologia Applicata alla Comunicazione ne sapevo quanto Miranda, se non meno.

«Già» annuì lei, avvilita. «E cos’era quella storia del comunicare per car... cir... crittografia? Lizzie, cos’è la crittografia?»

«Credo sia una specie di scrittura in codice... Ma chiedi al nostro cervellone, lui ha sicuramente capito tutto. Non è vero, Gordo

Nessuna risposta.

Miranda ed io ci voltammo, accorgendoci solo allora che Gordo era rimasto indietro nel corridoio: era ancora vicino agli armadietti.

Ci raggiunse qualche istante dopo, con un sorriso che gli illuminava tutta la faccia. «Una lezione strabiliante; non trovate, ragazze?»

Suppongo che gli sguardi che gli rivolgemmo furono più che eloquenti, perché lui si scoraggiò subito e ci oltrepassò con un sospiro.

«Bah» tagliai corto io, seguendolo verso la mensa. «Piuttosto, che eri rimasto a fare?»

«Oh, ma naturalmente a complimentarsi con il prof» lo stuzzicò Miranda, con una certa perfidia. «Dicci, Gordo, quali e quante lodi hai intessuto per lui? Scommetto che l’hai fatto persino arrossire.»

Mentre apriva la porta e si spostava per lasciarci passare, Gordo le rivolse il suo sorriso sornione, quello che adottava sempre per rimarcare la distanza tra il suo mondo di piccolo genio e quello di noi povere teenager frustrate dagli ormoni. Parole sue, eh.

«Sono orgoglioso che tu abbia tanta fiducia nelle mie doti oratorie, Miranda. Ma sono certo che, se il professor Burke fosse stato più giovane, più avvenente – e magari anche un po’ più alto – tu saresti stata lì accanto a me a sperticarti in lodi ancora più sentite.»

Nonostante tutto non potei fare a meno di dargli intimamente ragione, e fui costretta a nascondere un risolino dietro la mano, mascherandolo da sbadiglio. Miranda forse se ne accorse, ma un qualche buon istinto la indusse a limitarsi ad alzare gli occhi al cielo senza replicare nulla.

D’altronde era sempre stato così. Ci conoscevamo da una vita, ci punzecchiavamo a dovere, ma eravamo inseparabili.

Seguii Miranda in refettorio passando davanti a Gordo, che teneva ancora la porta aperta per noi. Gli rivolsi un sorriso di ringraziamento; lui ricambiò.

Non sapevo bene perché, ma da qualche tempo il suo sorriso era tornato a piacermi come in seconda elementare.

Stufa di rimuginare sulla Tecnologia Applicata alla Comunicazione, guardai dritto di fronte a me e mi concentrai solo sul mio stomaco che gorgogliava dalla fame.

 

 

 

{ II }

 

«Una gara? Che genere di gara?»

Gli occhi chiarissimi di Gordo scintillavano. Anche alla distanza di un chilometro si sarebbe capito che era elettrizzato. Per niente impressionata, Miranda cercò di trascinarmi verso l’espositore dei lucidalabbra, ma io ero curiosa.

«Era sul sito della scuola» mi spiegò Gordo, ignorando anche lui gli sbuffi scocciati di Miranda alle nostre spalle. «Il professor Burke ha pensato che, per invogliare gli studenti ad applicarsi maggiormente nelle sue lezioni, niente avrebbe potuto funzionare meglio che una sfida al progetto migliore. Avremo una settimana di tempo...»

«Ma abbiamo iniziato con Tecnologia eccetera eccetera da meno di un mese!» protestai, strattonando il braccio perché Miranda la smettesse di sgualcirmi la maglietta. «A che gioco sta giocando? Non ne sappiamo ancora abbastanza per proporre un progetto vero e proprio in una gara di classe! E in una settimana, poi!»

«Non è obbligatorio» mi fece notare Gordo, allontanando la mano di Miranda dal mio collo, dove si era aggrappata pur di catturare la mia attenzione. «Ma naturalmente partecipare è un ottimo modo per entrare più in sintonia con il corso, capire con esattezza cosa ci si aspetta da noi e...»

«Immagino che tu parteciperai» dissi, a metà divertita e a metà seccata. Gordo non poteva seriamente adorare quelle cose, santo cielo.

«Naturalmente» rispose, e mi rivolse il suo sorriso delle grandi occasioni, vale a dire i compiti in classe a sorpresa. «Ho già in mente qualcosa.»

Scossi la testa, sconfitta. «Vale a dire?»

«Ah, no, non posso. È un segreto. Su queste cose sono un po’ scaramantico...»

«Gordo, non crederai mica che ti rubi l’idea? È ovvio che io non mi sognerei mai di proporre un mio progetto...»

Smise di sorridere, e mi guardò come se avessi rifiutato un enorme regalo di compleanno. «E perché?»

«Perché io, a differenza di te, non passo il tempo a meditare su come fare a strappare a Tudgeman il titolo di Secchione Capo della Hillridge; e inoltre io, a differenza di te, non ho un cervello che sia in grado di capire una materia come quella e partecipare a una specie di concorso che la riguardi.» Mi guardai intorno. Miranda aveva disertato, fiondandosi da sola alla parete opposta del negozio e lasciando me e Gordo soli davanti a diverse paia di occhiali da sole colorati. «E poi, tanto per chiarire, in cosa consisterebbe questa gara? Cosa si deve fare?»

«Devi... elaborare un mezzo di comunicazione che abbia a che vedere con la tecnologia, ovvio» ribatté Gordo, un po’ perplesso dal mio discorso.

«Oh, certo. Chiaro come il sole.»

«Sul serio, Lizzie, non devi pensare di non essere all’altezza... Voglio dire, sei... sei intelligente, e... e tutto il resto.» S’interruppe, confuso. «Voglio dire, non hai motivo di scoraggiarti a priori. Dobbiamo soltanto inventare un codice; come gli alfabeti in simboli che usavamo alle elementari per passarci i biglietti, ti ricordi? Perché non provi? Sarà divertente.»

Lo soppesai con gli occhi, chiedendomi se fosse davvero arrossito o se si trattasse soltanto dei riflessi aranciati delle luci del centro commerciale. Il suo riferimento ai nostri vecchi bigliettini mi aveva un po’ intenerita, ma non ero disposta a credere che questa gara consistesse esattamente in qualcosa di simile. Non lo dissi, però, perché non volevo sembrargli troppo acida: dopotutto mi aveva appena fatto un complimento. Mi aveva detto che ero intelligente. Non è cosa da poco se detta da David Gordon, sapete.

«Sono contenta che la pensi così» sorrisi, «ma non credo di riuscire a mettere a punto un... un qualche codice segreto entro una settimana. Se proprio ci tieni, ti dimostrerò la mia bravura in un altro modo.»

Lui si scosse dall’attimo di timidezza – a meno che non stesse semplicemente sognando a occhi aperti sul suo fantomatico progetto segreto – e mi guardò senza capire. «In un altro modo?»

Sogghignai. «Scommetto che riuscirò a decifrare questo tuo codice prima della scadenza stabilita dal professor Burke.»

Gordo rimase per un attimo spiazzato, ma alla fine sorrise anche lui. Sembrò animarsi, mentre incrociava le braccia e mi rivolgeva uno sguardo di sfida.

«Mi sta bene. Ma facciamo che dovrai riuscirci entro... mmm... due giorni da quando l’avrò completato.»

«Due giorni?» quasi strillai. «Adesso non esagerare, Gordo, non ho mai detto che ci sarei riuscita in due giorni!»

«Hai detto che mi avresti dimostrato la tua bravura, no?»

«Sì, ma...»

«E dove sarebbe la sfida, se non impiegassi molto meno che una settimana?»

Lo guardai di traverso. Riusciva sempre a fregarmi, accidenti a lui. «Quattro giorni» rilanciai.

«Tre» replicò, «ultima offerta. Ti darò un messaggio cifrato e dovrai riuscire a leggerlo in tre giorni. Settantadue ore. Che ne dici?»

Non avrei potuto ottenere di meglio; conoscevo bene quello sguardo: non la spuntavi, quando ti guardava così. Sospirai.

«Va bene. Affare fatto.»

«E non dovrai chiedere aiuto a nessuno» continuò Gordo, serio.

«E non chiederò aiuto a nessuno» convenni.

«Intendo proprio nessuno, Lizzie. Non riguarda solo Miranda. Non devi parlarne neanche a tuo fratello.»

«Ti pare che ne parlerei a Matt?!»

«Conoscendo le sue imprese, non sarebbe insensato supporre che sia straordinariamente preparato in materia.»

Sbuffai. Avrei dovuto pensarci prima, a tutte queste clausole. Alla fine gli tesi la mano.

«Non chiederò aiuto a Matt. Sarà facile... Odio farmi superare da lui in qualcosa.»

Gordo non guardò la mia mano; era ancora serissimo. «Promesso?»

Lo fissai per un attimo più del necessario. Sembrava tenerci fin troppo, a quello stupido accordo nato così per ridere. Mi chiesi se non stesse esagerando, ma non ebbi il coraggio di demolire il suo entusiasmo: era evidente che voleva dimostrare qualcosa a se stesso, con quella gara di crittografia, e non sarei stata certo io a demoralizzare il mio migliore amico. Perciò sorrisi, e annuii.

«Promesso.»

La sua espressione si distese e mi strinse la mano. Era liscia e calda attorno alla mia.

«Bene» esplose una voce vicina, facendoci sobbalzare entrambi; «io ho finito. Quando vi sarete ricordati della mia esistenza, mi trovate al Digital Bean

Miranda marciò spedita verso la porta, al braccio un sacchetto di acquisti che dondolava furioso di qua e di là. Io e Gordo la seguimmo subito, combattuti tra le risate e un leggerissimo senso di colpa.

 

 

 

{ III }

 

«Lizzie, tesoro, sei sicura che vada tutto bene?»

«Sto benissimo!» strillai, le mani tra i capelli e la bocca premuta sul tappeto della mia stanza. «Non preoccuparti, mamma, un minuto e scendo!»

Sentii che sospirava dall’altra parte della porta ermeticamente chiusa, rivolgendosi a un qualcuno che probabilmente era il papà: «È già la terza volta che mi dice così, e ogni volta un minuto è diventato un’ora...»

«Non te la prendere, mamma, pensavo avessimo chiarito da anni che Lizzie non è una persona normale...»

«In camera tua, Matt. Subito

Mi costrinsi ad escludere le loro voci, estraniandomi in un posticino nero e vuoto in cui esistevamo solo io e il maledettissimo pezzo di carta sul tappeto davanti al mio naso. La fila di numeri, così tondeggianti, così aggraziati, sembrava deridermi come neppure quella peste bubbonica di Matt era mai riuscito a fare.

 

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Non avevo mai odiato tanto la calligrafia di Gordo. Era chiaro che era riuscito a portarmi sull’orlo dell’esaurimento nervoso. Ammirevole: per tredici anni non ce l’aveva fatta, ma d’improvviso aveva deciso di dar fondo a tutte le sue capacità di farmi saltare i nervi.

Il lunedì in cui era stato dichiarato aperto il concorso indetto dal men che mai amato professor Burke, mi ero ritrovata quel foglio nell’armadietto, senza una riga di spiegazione. Avevo capito subito che era questo il famoso messaggio che avrei dovuto decifrare, e mi ci ero messa d’impegno, sul serio: al martedì avevo persino saltato ginnastica, ostentando un dolore inesistente alla bocca dello stomaco, per barricarmi in infermeria con il foglietto, una penna e un blocco per appunti, nella speranza di riuscire a combinare qualcosa. E le avevo tentate tutte – sostituendo le vocali ai numeri dispari e le consonanti ai pari, e viceversa; utilizzando per ogni cifra la lettera sua corrispondente nell’alfabeto, partendo prima dalla a e poi dalla z. Tutto inutile. Ogni volta che avevo incrociato lo sguardo di Gordo, a scuola, lui mi aveva rivolto il suo sorrisetto saputello, consapevole di avermi messa più in difficoltà di quanto io non avrei mai immaginato; ricordavo bene che il mio primo proposito era stato quello di non umiliarlo, ma più lo vedevo sorridere in quel modo più cresceva la mia esigenza di vincere la sfida. Lui sembrava sicuro che io non sarei riuscita a leggere quella stupida frase; a quel punto dovevo sapere cosa diavolo avesse scritto sotto quegli odiosi numeri.

M’imposi di calmarmi. Mi sollevai a sedere, con le gambe incrociate, e presi un bel respiro. Ero stata ai patti e non avevo mostrato il messaggio in codice né a Miranda, né alla mamma – che pure non vedeva l’ora di scoprire il motivo di quella mia improvvisa quanto inconsueta voglia di “studiare tutto il giorno” – né a Matt, che comunque osservava con molto divertimento i miei recenti scatti isterici, e che mi avrebbe aiutata soltanto dietro un lauto pagamento che io non avrei certo potuto assicurargli. Mi ero comportata più che bene, davvero. Il fatto è che le settantadue ore stavano ormai per scadere.

Non mi piaceva; ma che scelta avevo? Detestavo l’idea di rivedere il sorrisetto di Gordo, al mattino dopo, quando gli avrei detto che le sue aspettative sarebbero rimaste deluse perché io non possedevo evidentemente la necessaria intelligenza per frequentare con successo il corso di Tecnologia Applicata alla Comunicazione. Per un attimo di pura follia, mi chiesi se non fosse stato quello il suo scopo fin dall’inizio: dimostrare che ero stupida.

Ma che sciocchezza, rifiutai energicamente quel pensiero; Gordo non lo farebbe mai.

Il che rendeva ancor più difficile imbrogliare.

Eppure ero pronta a farlo. Presi di tasca il cellulare, regalo del papà – era stufo delle quotidiane e interminabili telefonate a tre, mi aveva bofonchiato mentre lo abbracciavo – e scorsi la rubrica. Mi venne subito in mente Larry Tudgeman; come se, inconsciamente, avessi già riflettuto a fondo sulla persona più adatta cui rivolgermi. Oddio, come stavo cadendo in basso.

Avevo già iniziato a comporre l’sms, quando mi bloccai, folgorata... Tecnologia. Tecnologia Applicata alla Comunicazione. Gli sms erano tecnologia ed erano un mezzo di comunicazione. Era questo, il codice di Gordo! Semplice e geniale, proprio da lui.

Ehm. Non era il momento di fargli i complimenti. Mi aveva fatto praticamente impazzire, in fin dei conti!

Eccitatissima, staccai l’ennesimo foglio dal notes e buttai giù le lettere corrispondenti ai tasti indicati nel messaggio: 6 indicava m, n, o; 4 indicava g, h, i... L’1 era il tasto dei simboli, perciò supposi che corrispondesse a un punto o una virgola, mentre lo 0 non poteva essere che uno spazio... Dopo aver stilato la lista provai più o meno tutte le combinazioni possibili.

E a poco a poco, lasciandomi sempre più interdetta, le parole si formarono da sole, sotto la punta della penna che ormai mi tremava tra le mani, e io rimasi lì a fissarle per un pezzo prima di ricordarmi come si faceva a respirare.

 

Mi piaci, Lizzie McGuire.

 

 

 

{ IV }

 

«Si può sapere che hai? È da quando siamo arrivate che non parli. Cos’è, mal d’auto?»

Scossi la testa. Non avevo dormito bene, e il chiacchiericcio di Miranda non contribuiva a schiarirmi le idee già piuttosto confuse. Lei s’impuntò, disse che avrei fatto meglio a telefonare subito a casa, ma la ignorai.

Gordo era in ritardo; una parte meschina e codarda del mio essere sperava che non avrebbe varcato il cancello della scuola mai più.

Naturalmente non fu così. La campanella d’ingresso stava per suonare quando lui arrivò, le mani in tasca e il viso un po’ preoccupato – e quando alzò lo sguardo avrei giurato di aver sentito distintamente il mio cuore saltare diversi battiti. Gordo si avvicinò al punto del cortile in cui io e Miranda lo aspettavamo; camminava senza fretta, e anche da lontano mi parve improvvisamente nervoso e impacciato. Nel frattempo mi chiedevo con furiosa confusione com’era possibile che mi sentissi proprio come in seconda elementare, quando ci scambiavamo bigliettini nei quali ogni tanto mi veniva voglia di scrivergli che cotta gigantesca mi ero presa per lui.

«Ehi, Gordo» lo salutò Miranda, beatamente ignara di tutto.

«Ciao» fece lui, guardandomi di sfuggita. Poi dovette decidere che era inutile girarci intorno, si dipinse in faccia un sorriso da so-tutto-io e assunse un tono di voce abbastanza studiato da suonare casuale. «Allora, Lizzie? I tre giorni sono passati. Com’è andata?»

Mi sentii addosso lo sguardo curioso di Miranda, ma rimasi concentrata su Gordo: questa volta non c’erano luci artificiali a mettermi fuori strada – era davvero arrossito.

E in quel momento, limpida come il colore dei suoi occhi, mi colpì la consapevolezza che lui aveva sempre sperato che arrivassimo a questo. Aveva saputo fin dall’inizio che sarei riuscita a decifrare il suo codice; ero intelligente, mi aveva detto. Non aveva voluto dimostrare qualcosa a se stesso, ma a me. Quello era stato soltanto il suo modo – silenzioso, defilato, e forse per questo così tremendamente dolce – di farmelo capire.

Presi fiato, e scossi la testa.

«Non ci sono riuscita. Mi dispiace, Gordo. Ho perso la scommessa.»

Sul suo viso passò un torrente di cose: era sorpreso, deluso e sollevato a un tempo, e per nascondere tutte queste verità ricorse di nuovo al sorriso finto degli ultimi tre giorni.

«Be’, allora sembra che tu avessi ragione. Non potevi proprio partecipare alla gara del professor Burke.»

«No, certo.» Mi sforzai di sorridere in risposta, frugando nelle tasche fino a ritrovare il foglietto, tutto spiegazzato perché – dopo ore di autentico caos interiore – mi ero addormentata stringendolo tra le dita. «Tieni... È inutile che lo tenga se non so cosa dice. Sono sicura che a Burke piacerà il tuo progetto.»

Gordo prese il pezzo di carta dalla mia mano, senza più sorridere, e mi sfiorò appena. Rabbrividii e, con la paura di tradirmi, borbottai qualcosa a Miranda a proposito del bagno e filai su per le scale d’ingresso della scuola ancora deserta.

Ma sapevo che a Gordo non sarebbero sfuggite le parole scarabocchiate sul retro del suo messaggio in codice.

Difatti, non passò neppure mezzo minuto: ero soltanto alla metà del corridoio quando sentii qualcuno entrare precipitosamente alle mie spalle e correre verso di me. Mi voltai col cuore in gola e un sorriso vero.

Gordo si fermò di fronte a me, ansante, le guance paonazze; stringeva ancora in mano quel foglietto pieno di numeri. Lo lasciò cadere soltanto quando io azzerai la distanza tra il mio viso e il suo – «L’hai detto tu: sono intelligente» – e, da qualche parte, la campanella suonava e Miranda strillava di gioia.

 

Anche tu mi piaci, David Gordon.

 

 

 

 

 

 

Nota: Ci credete se vi dico che erano anni – anni – che avevo in mente questa storia? xD Ho sempre procrastinato perché avevo in mente di renderla una long, dal momento che avrei voluto inventare un codice molto più complesso per la dichiarazione di Gordo a Lizzie; però alla fine, lo confesso, ho deciso di appropriarmi del sistema di Mamma Rowling che utilizza questo stesso espediente (tasti del telefono = lettere) in Harry Potter, più semplice e più adatto all’atmosfera di sfida nata per caso. Ormai ero stata colta dall’ispirazione, e non sono riuscita a fermarmi dallo scrivere di getto questa shot. Spero apprezziate... per quanto sia un po’ frettolosa, insomma. (Ah, che Lizzie abbia avuto una cotta per Gordo in seconda elementare è assolutamente vero, lo ammette lei stessa in un episodio – e Miranda lo farà poi sapere al diretto interessato. Grandissima! xD)

   
 
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