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Autore: Ci chan    06/08/2011    2 recensioni
"«Fermati subito delinquente!» Il malvivente non accennava a fermarsi, e Arthur si trovò costretto ad agire in modo del tutto imprevedibile e insolito per le sue abitudini da inglese snob e composto: si tolse la scarpa e la lanciò contro il ladro."
"«Sei in arresto per spaccio di droga, delinquente»"
Prima fic su Hetalia.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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A succesful love between the donut's american police and the cynic english

men.

 

«Maledetto, non mi scapperai!» E che diavolo, era in America da poche ore e già lo stavano rapinando; Arthur era proprio una calamita per i guai.

«Fermati subito delinquente!» Il malvivente non accennava a fermarsi, e Arthur si trovò costretto ad agire in modo del tutto imprevedibile e insolito per le sue abitudini da inglese snob e composto: si tolse la scarpa e la lanciò contro il ladro. STUNK. Colpito in pieno. Il ladro, che non si aspettava quel gesto, inciampò nei suoi stessi piedi cadendo rovinosamente a terra, come una carcassa. Arthur iniziò a sghignazzare: “Evvai!”, pensò. “Dopotutto l'America non è questo gran che...” Il biondo, posizionatosi davanti al malvivente, iniziò: «Coraggio americano, ridammi la valigietta, e forse potrò dimenticarmi di questo episodio particolarmente imbarazzante per la tua carriera da giovane ladro dilettante». L'uomo a terra si alzò tenendosi la testa, era vestito completamente di nero, con un passamontagna e, ora che lo osservava meglio, sembrava essere di stazza per nulla gracile. “Oh fuck, questo mi fa fuori”. «I... I... I...» Arthur cominciò ad innervosirsi; «I cosa? I di Idiota che sei?». L'uomo posò lo sguardo su quello di Arthur, era di un blu intenso e determinato «Io ti dichiaro in arresto!» «Ehhhhhhh?» In due secondi l'uomo che credeva essere un ladro lo ammanettò e lo strattonò. «Sei in arresto per spaccio di droga, delinquente». Ma certo, droga. Era tutto chiaro...gli americani si facevano di droga e ora tentavano anche di dare la colpa ad un povero inglese che viaggiava per lavoro. «Lasciami, obeso. Non spaccio nulla, l'unica cosa che potrei spacciare se non mi lasci subito sono i tuoi organi!» Il biondo sembrò offendersi. «Non sono obeso, è il giubbotto anti-proiettili che mi fa sembrare così imponente, sei davvero poco riguardevole nei confronti delle forze dell'ordine, Inglese, e poi non è possibile, sei spiaccicato all'identikit di quella vecchietta» Spiaccicato era probabilmente il suo unico neurone, collassato per l'uso di parole difficili come imponente e riguardevole. «Mi dispiace signor imponenza, ma si sbaglia di grosso, sono un onesto lavoratore Inglese venuto qui per portare a termine il contratto con una filiale americana». All'americano brillarono gli occhi, come se fosse sicuro di qualcosa. «Vedi? Venuto dall'Inghilterra per portare a termine la missione dello spaccio.» Arthur strattonò il proprio braccio, le manette erano tanto strette che i polsi gli dolevano, ma non riusciva proprio a sopportare quel tizio «Ma sei davvero un poliziotto? Cos'hai al posto del cervello? Ciambelle per caso?» «No, il mio cervello è a posto. Piuttosto, andiamo in centrale, così vedremo quante altre scuse inventerai!».

«Mi scusi, sono desolato, non accadrà mai più». Arthur iniziò a spolverarsi la giacca e a strofinarsi i polsi. Era stato rilasciato dopo che il contenuto della sua valigetta era stato svuotato davanti al capo del dipartimento e a quel poliziotto scemo. «Si figuri signor..?» Arthur lesse il nome scritto sulla targhetta dell'uomo «Yaffes...anzi sono contento di sapere che qualche americano non ha dimenticato l'utilizzo della logica, importatavi da noi Inglesi». Notò che molti in quella stanza strinsero i pugni. «Beh, mi aspetto che il vostro poliziotto da quattro soldi venga strigliato a dovere per avermi fatto perdere preziose ore di lavoro e...» Yaffes lo interruppe, probabilmente per evitare un'altra ramanzina: «Sarà fatto signor Kirkland, non si preoccupi, spero si diverta qui in America!» L'inglese alzò il capo leggermente scocciato «Anche se ne dubito, proverò. Buona giornata» e alzò i tacchi. Scese di corsa le scale dell'uscita e uscì fuori nel grande parcheggio. Stava quasi per sorpassare il cancello, quando una voce lo bloccò «Alt Inglese, fermati!» Arthur si girò scocciato «Ancora tu? Si può sapere cosa ci fai qui?» «Mi chiamo Alfred F. Jones e non sono obeso.» Il biondo sollevò le grosse sopracciglia «Non ti ho chiesto questo.» «Sentivo come un impulso, dovevo dirtelo» «E' davvero assurdo, è come se ti chiedessi che ore sono e tu mi rispondessi “Ieri ho mangiato Tofu”» «Non mi piace il tofu, non è salutare» «Eh già, e cosa mangi di solito?» Alfred ci pensò un po' su «Beh, di solito il McDonald è uno dei posti dove prendo da mangiare, ma c'è anche il BurgerKing...» Arthur sorrise malignamente «Oh sì, quella sì che è roba salutare...» Stettero per qualche secondo in silenzio, poi Alfred prese Arthur per un polso e lo strattonò sballottandolo di qua e di là «OUCH, Americano stai attento mi fai male!» «Ti accompagno.» «Uh?» «Dove alloggi?» »Arthur si grattò la testa, cosa saltava in mente a quel pazzoide? «Questi sono decisamente fatti miei.» «Non è per te... Devo fare quello che il capo mi ha ordinato, mi ha detto che dovevo scortarti a casa, e io lo farò.» Alfred evitò di accennare al fatto che si trattava di una punizione: Yaffes sapeva che si sarebbe dovuto subire una ramanzina su questo e quello da parte dell'Inglese, e Alfred che aveva un ottimo spirito di sopravvivenza, non disse nulla al riguardo. «Beh, allora ok, ma ti avverto: lascia subito il mio polso.» Alfred lo lasciò di scatto, e non poté fare a meno di notare il rossore, nonostante non volesse fargli del male. Certo che la sua pelle era davvero sensibile. Smise di pensare alla pelle di quello scorbutico con i sopracciglioni e si rese conto di essere arrossito. Prese le chiavi della volante e aprì lo sportello. «Sali su» «Non sono mai salito su una volante» «Beh, mai dire mai nella vita no?», fece Alfred ridendo. Arthur sorrise allacciandosi la cintura. «Beh, pare che tu abbia ragione» «Oh!» Il biondo si girò verso il poliziotto «Oh cosa?» «Non pensavo che mi avresti mai dato ragione». Arthur sbuffò. «Penso che sarà la prima e l'ultima volta, Americano, non credo ci incontreremo di nuovo». Alfred sbuffò a sua volta. «Vedi, proprio quando pensavo di aver trovato qualcosa di positivo in te, te ne esci con una stronzata deprimente» «Hai cercato di trovare qualcosa di positivo in me? Quando precisamente?» «Durante il tragitto verso la centrale, per esempio. O quando hai cercato di umiliarmi davanti a Yaffes... E poi ora.» «Io ho qualcosa di positivo, ma di certo non lo mostro al primo che capita». Quindi scese il silenzio in macchina. Alfred non aveva mai conosciuto un tipo come Arthur, cinico e musone, d'altra parte Arthur non aveva mai conosciuto una persona spensierata e sconsiderata come Alfred. «Hotel Sea's Feather... È il posto in cui alloggio». Il biondo continuava a guardare la strada davanti a lui, non era possibile che alloggiasse in quel albergo anche perché era «chiuso, quel motel ha chiuso». Arthur spalancò gli occhi: «Non è possibile, li ho chiamati quattro giorni fa per la prenotazione!» «Beh, caro il mio inglese hai prenotato uno degli alberghi peggiori della città... Quel posto è crollato a causa del terremoto dell'altro ieri». Arthur impallidì. «E ora? Non starò qui per molto, giusto il tempo di trovare un altro motel aperto» Alfred evitò di dirgli che il motel più vicino si trovava a 2 ore di distanza.

«Prego, fai come se fossi a casa tua» detto questo spalancò le tende della finestra. Entrò molta luce nella camera e quello che notò Arthur fu che la stanza era in disordine. «Da quanto tempo non spolveri casa tua?» «Direi qualche mese...» C'era un pessimo odore in giro e la polvere aleggiava nella stanza. «Non riesco a capire come tu non sia ancora morto» «... Abitudine, credo. E poi gli eroi non muoiono mai!» Arthur sorrise dolcemente, il biondo possedeva alcuni atteggiamenti che gli ricordavano suo fratello Peter. «Certo eroe, certo, ma ora dimmi dove posso sistemare le mie valigie» «Dovunque va bene, ora però devo andare, ho il turno.» Detto questo Alfred diede una forte pacca sulla spalla di Arthur e lasciò la casa. Scese le scale di corsa ed entrò in macchina, ma prima di mettere in moto si portò il palmo della mano alla bocca, si guardò allo specchietto e si rese conto di essere rosso come il fuoco. "Oggi fa proprio caldo, uh?" Probabilmente si era scordato di essere in pieno inverno.


 


 

Sette mesi dopo...


 

«Tadan! Auguri!» Era appena tornato a casa e aveva trovato davanti a sé i suoi amici con assurdi cappellini in testa. «Omedetou, Alfred-san!» «Happy birthday, brother!» Il coro di auguri lo spiazzò. Era il suo compleanno, come poteva essersene dimenticato? «Oh, Thank you everybody!» Alfred si mise a ridere, la stanza era addobbata con molte decorazioni e più in là c'era il buffet. Non se lo aspettava per nulla, con tutto quel lavoro extra poi, non si era proprio ricordato. Girò intorno alla stanza cercando Arthur, ma non lo trovò da nessuna parte. "Oh beh", pensò un po' abbattuto, "sarà da qualche parte ad ubriacarsi con i suoi strambi amici". Decise di non pensare a quello scorbutico, dopotutto qualche ora prima avevano addirittura litigato sul cosa avrebbero dovuto mangiare quella sera. Ricordava perfettamente di avergli urlato che era un ventiquattrenne palloso, che si lamentava per qualsiasi cosa e che non possedeva il famoso English humor. Si era sentito un po' in colpa quando Arthur non gli aveva risposto, pensando di averlo ferito, ma si era dovuto ricredere quando l'inglese gli aveva urlato che era un idiota. In sette mesi di convivenza avevano litigato un'infinità di volte, ma molto spesso facevano pace chiedendosi scusa reciprocamente. Vivere con Arthur era piacevole, nonostante lui continuasse a ripetere che gli unicorni esistevano e che i suoi scones erano buonissimi, anche perché alla fine Arthur aveva deciso di mostrargli i suoi lati positivi. Era gentile e si preoccupava per lui ogni volta che tornava a casa con qualche ferita, e il suo sorriso era una delle cose che Alfred preferiva. Non lo aveva più lasciato andar via, e probabilmente Arthur si era affezionato alla sua stupidaggine, motivo per cui erano rimasti insieme fino a quel giorno.


 

* * *


 

Alfred lo trovò in camera sua, con una bottiglia di Rum in mano. Dormiva alla grande, il sopracciglione, quel grande, stupido sopracciglione. Lo scosse un po'. «Arthur, svegliati! Arthur?» Gli urlò in faccia arrabbiato come pochi. «Per la miseria, svegliati!» Arthur aprì pian piano gli occhi assonnati «Alfred?» L'inglese venne schiaffeggiato «Stupido, sei uno stupido!» Arthur si portò una mano alla guancia offesa. «Eh?» »Erano le tre e non riuscivo a trovarti, alle quattro e mezza ho provato a chiamarti ma non rispondevi, alle cinque quando se ne erano andati tutti da casa sono uscito e sono andato al bar che frequenti. Non mi hai detto nulla, il telefono era spento, stamattina avevamo litigato e dove ti trovo? In camera mia. E perché? Perché pensavo che magari mi avevi lasciato una maledetta lettera che mi avvertiva che eri partito o che altro!» Alfred smise di parlare e ansimò velocemente. Si era sfogato, ma Arthur stava lì davanti a lui e non sapeva cosa dire, prese un po' di aria e poi ancora un altro po' fino a che la sua faccia si deformò in una smorfia. Era chiaro che stesse cercando di non piangere. Strinse la bottiglia di Rum «Tu mi hai detto che ero palloso. Non volevo rovinarti il compleanno, perché me lo hai detto tu che sono noioso e non volevo davvero rovinarti la festa ,hic...» Alfred spalancò gli occhi. Arthur era probabilmente brillo. «Non mi so divertire, lo so, ma non è colpa mia. Pensavo che saresti stato più felice se non ci fossi stato» Alfred gli prese la faccia tra le mani e lo baciò con tutta la passione che aveva in corpo. Arthur chiuse gli occhi facendo cadere lungo le guance delle lacrime. «Scemo, sei stato scemo, come hai potuto pensare che io potessi stare meglio senza di te?» Alfred baciò la guancia dove lo aveva schiaffeggiato «Perdonami.» Arthur lo guardò confuso «Ti stai scusando per il bacio o per lo schiaffo?» «Vorrei scusarmi per il bacio, Arthur, ma non ci riesco davvero. Non riesco a scusarmi per una cosa che ho voluto veramente, mentre lo schiaffo, beh, lo schiaffo te lo sei meritato per essere così scemo.» Alfred si strusciò contro la guancia di Arthur, dandogli dei bacetti delicati, pian piano si spostò facendo scontrare i nasi, quindi lo baciò di nuovo, stavolta più delicatamente. Arthur non lo rifiutò, anzi schiuse la bocca per assaporare la lingua di Alfred. L'inglese gli sbottonò la camicia e gli accarezzò il petto liscio, stuzzicando di tanto in tanto i capezzoli. Alfred si ritrovò a sospirare, stava per succedere davvero? L'americano portò la mano sui pantaloni dell'altro e incominciò a massaggiarlo da sopra i jeans, lo stesso si ritrovò a fare Arthur. Alfred si sentì davvero felice, aprì la zip del biondo e incominciò a massaggiarlo per bene, trovando una semi erezione. Lo stimolò per qualche minuto, o secondo? Non riusciva a capire, il piacere gli stava dando alla testa, anche perché Arthur stava pompando più velocemente. Alfred lo fece distendere velocemente per terra spogliandolo della canottiera. Si diresse verso l'erezione del suo amante e iniziò a leccarla. Arthur gemette, ma comunque si spostò in direzione dell'erezione di Alfred, e anche lui la portò alla bocca. Tutti e due gemevano in modo incontrollabile, fino a che non vennero l'uno nell'altro. Pochi secondi dopo Afred si posizionò dietro Arthur, abbracciandolo. L'altro si girò verso il petto dell'americano e ne aspirò il profumo. Era sobrio da un bel po' ormai e sicuramente non si sarebbe dimenticato di quella giornata. «Stavo pensando» iniziò Alfred «che oggi vorrei mangiare i tuoi scones» «Mi hai detto che erano ributtanti» «Beh forse qualche volta» «Diciamo ogni giorno da quando stiamo insieme». Alfred sbuffò «Non mi importa, li voglio adesso, come voglio te, e questo è un motivo buono». Arthur rise «Un motivo buono per cosa? È senza senso» «Forse, ma almeno ammetti che ti piaccio» «Che c'entra adesso con i miei scones?» «C'entra tutto...» «... E niente». Rimasero in silenzio per qualche minuto, poi ridacchiarono insieme: erano una coppia di scemi, e lo avevano capito tutti e due.

   
 
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