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Autore: 365feelings    07/08/2011    3 recensioni
Conosceva le voci che giravano su di lei.
Dicevano fosse la reincarnazione del Wendigo del Nord o di una sacerdotessa voodoo morta in mare. Alcuni la chiamavano la Gatta, altri non la chiamavano affatto.
Per il suo equipaggio era il capitano; per Antonio, Santiago e Ines - le persone di cui più si fidava - era Habana.
Ovunque andasse cambiava nome. Ora era Querida, ora Eléna, ora Rose.
C’era addirittura chi parlava di lei come di Oya e non appena vedeva il lampo imperioso dei suoi occhi, il porpora della sua fascia e il fuoco della sua pistola scappava, temendo il suo respiro.
E lei rideva, a sentire tutti quegli appellativi e tutte le dicerie che correvano sul suo conto. Perché, per quanto ne sapeva, non aveva mai fatto pratica di cannibalismo, non aveva mai praticato riti voodoo e decisamente non era la dea del Caos, l’Orisha che governava i venti e le inondazioni, anche se le avrebbe fatto comodo esserlo.
[Terza classificata parimerito al Nice to meet you]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: The woman in the mirror
Autore: KumaCla
Fandom: Originali
Genere: Introspettivo, Malinconico
Avvertimenti: OneShot
Note: Savannah - la donna di cui parlo senza svelare il nome, se non alla fine - è un personaggio di mia invenzione, già protagonista di un altro mio racconto (Vecchi amici), ed è una piratessa. Sì, è vero: le donne non erano accettate a bordo, tuttavia sono almeno tre le piratesse passate alla storia. Il periodo è l’età d’oro della pirateria e Savannah dalla Spagna (dove è nata) ha navigato a lungo, gravitando soprattutto nell’arcipelago dei Caraibi. Non ho voluto rivelare il suo nome per mantenere il mistero che l’avvolge. Il mio contatore mi dà 1465 parole.

Ora qualche delucidazione sui nomi usati: Il Wendigo non è solo un “mostro”, una figura della mitologia dei Nativi Americani - le cui caratteristiche variano da tribù a tribù - è anche uno stato: diventava un Wendigo chi si cibava di carne umana.
Oya è una delle più importanti divinità Yoruban del pantheon del voodoo (link:http://www.ilcerchiodellaluna.it/central_Dee_Oya.htm); quando uso il nome Orisha mi riferisco sempre a lei.
Yemaya (il nome del suo veliero) è lo stesso di un’altra divinità del voodoo: è la madre dei setti mari.
Perché Gatta? Savannah è la razza di un felino domestico. Quindi ho voluto giocare un po’ con il nome.
Habana è il corrispondente spagnolo dell’italiano “avana”, un tipo di tabacco coltivato nell’America Centrale e anche un colore (marrone chiaro).
Florida Water è una soluzione protettiva e purificatrice, molto simile a un’acqua di colonia, composta da alcuni oli di fiori e da alcol.
Hechicera in spagnolo vuol dire fattucchiera.

 

The woman in the mirror

 

 

Il mattino la colse impreparata, nonostante fossero venticinque anni che si addormentava più o meno consapevolmente che prima o poi si sarebbe dovuta svegliare.
Socchiuse pigramente gli occhi smeraldini, sperando che non fosse già lora di pranzo e di conseguenza di non aver sprecato la giornata.
Cercò di scacciare il sonno dal suo corpo giovane e tuttavia stanco: aveva fatto tardi anche quella notte.
Per qualche istante si rivide, il corpo flessuoso abbandonato con poca cura sul bancone. La sensazione di star sprecando la sua giovinezza balenò per un attimo nella sua mente, ma cacciò quellimpressione prima che potesse rovinarle lumore.
Sbadigliò sonoramente inarcando la schiena e poi sprofondò ancora di più tra le coltri bianche del suo letto, inspirando lacre odore dellavana che impregnava il cuscino.
Il risveglio - quello vero, quello che la faceva tornare padrona di sé - avveniva lentamente, la coglieva piano e delicatamente, come una carezza, come unonda lieve. Partiva dai piedi, che riacquistavano sensibilità, passava per la sinuosa colonna spinale e infine giungeva alla mente.
Anche quella mattina si svegliò così, senza fretta, con un po di disappunto, tra uno sbadiglio e un sospiro, con il peso di tutte le sue duecentotrè ossa ancora indolenzite da un nebuloso sonno indotto dal rum.
Con calma si sedette sul materasso, cercando di liberare le lunghe e snelle gambe dalle lenzuola.
Accanto al grande letto cera un tavolo basso e traballante con sopra una caraffa: qualcuno doveva essere entrato mentre lei stava dormendo, forse Ines, la sua hechicera. Si chinò sul recipiente e riconobbe lodore del bergamotto, della lavanda e dei chiodi di garofano mischiati a qualche olio e a dellalcol: era la Florida Water, come non riconoscerla.
Si deterse il volto con gesti veloci, desiderosa di scacciare con quella pungente fragranza ogni residuo di sogno: il sole era sorto, per quei frammenti di notte non cera più spazio.
Con gesti meccanici indossò gli abiti abbandonati disordinatamente sullunica sedia della stanza: era il capitano del veliero, ma dalla cabina non lo si sarebbe mai detto.
Linforme casacca usata per dormine cadde a terra, sostituita da unampia camicia bianca, stretta in vita da una fascia purpurea. I pantaloni marroni scoloriti dal sole e rovinati dalla salsedine aderirono come una seconda pelle e sopra vi infilò gli stivali di cuoio, alti. Dal tavolo recuperò anche un vecchio pettine: i denti di legno calarono rapidi sui nodi e i lunghi capelli corvini ricaddero morbidi sulla schiena prima di essere legati da un nastro.
Si piazzò allora davanti a uno specchio alto e stretto: la superficie riflesse la figura snella e atletica della giovane e bella donna che era.
Non assomigliava per nulla alla bambina gracile, tutta pelle ed ossa, che era un tempo: certo, lo sguardo era lo stesso, vispo e attento, ma il tempo laveva inevitabilmente cambiata. Il sorriso non era più quello ampio e caldo di una volta, si era spento e non contagiava più gli occhi, moriva prima.

Eduardo.
 

Quel nome continuava a risuonarle nella mente, come una litania, una salmodiata melodia. Le riempiva le orecchie, la stordiva, sembrava una presenza. Sì, unopprimente e tuttavia sfuggente presenza - una nebbia, un denso fumo, unillusione - che le rubava ogni scintilla di felicità e trasformava un sorriso in un fremito di rabbia.

Eduardo.

Anche quella notte laveva sognato: non cera sogno, ormai, di cui lui non fosse il protagonista.
I ricordi dellinfanzia, interrotta dalla brutale incursione dei pirati che si portarono via il suo migliore amico e uccisero sua nonna, riprendevano vita ogni notte, come fantasmi senza pace: non cera requie per gli spettri di quei tempi felici.
Allimmagine di loro due che giocavano per le strade polverose del natale paese spagnolo, si sovrapponeva quella nebulosa di loro due, ormai adulti, che si fronteggiavano armi in mano. Ma ecco che, come un lampo, si intrometteva il ricordo di quella sera, quando non lo aveva riconosciuto e aveva amabilmente parlato e flirtato con lui, tra un bicchiere di rum e laltro. Se chiudeva gli occhi poteva ancora sentire le sue mani calde sui suoi fianchi e udire la sua voce roca e sensuale. Laveva chiamata con il suo nome, il suo vero nome, quello che nessuno conosceva e che giaceva dimenticato, come la sua vecchia vita.
Scosse la testa, ridestandosi, scappando dai propri pensieri: non andava bene, lei Eduardo lo voleva morto, non nel suo letto.
Laveva lasciata sola in quel mondo marcio, decrepito, che andava a pezzi lentamente. Laveva abbandonata al suo destino di orfana, senza preoccuparsene minimamente.
Allinizio aveva ingenuamente creduto che Eduardo fosse tenuto prigioniero, che non potesse tornare da lei. La verità, invece, era stata fin troppo diversa.
E quando comprese che Eduardo non voleva farsi trovare, non da lei almeno, il pensiero che a saperlo morto avrebbe sofferto meno, avvelenò la sua mente.
Si era imbarcata per lui, si era spacciata per uomo, aveva fatto i lavori più miserevoli, aveva rubato, ucciso e sedotto. Tutto per lui, tutto per niente.
Era stato allora che aveva maturato lidea di prendersi la sua vita: dopo anni e anni passati in mare, a sudare e sputare sangue, ridotta a un mero oggetto di scambio, aveva deciso che era giunto il momento di cambiare la sua situazione.
Si era ammutinata al suo ultimo comandante, fomentando una sommossa, e si era presa la nave. Il legno era però affondato al primo scontro, tra sinistri scricchiolii, clamore di spade e laceranti boati di cannoni. Ricordava bene quella sua prima battaglia da comandante e anche se aveva perso e più metà dellequipaggio era annegato non si era sentita triste nemmeno per un istante: la salsedine bruciava nelle sue ferite, il travestimento da uomo si era sfatto, le armi pesavano e la nave non cera più, ma il suo corpo era scosso da una scarica di adrenalina. Mentre le fiamme danzavano sul relitto che affondava in uno sfrigolio e uno sbuffo di vapore, se ne era andata a nuoto, instancabile, per lasciarsi poi abbandonare alla corrente e risvegliarsi, tre giorni dopo, su un giaciglio di paglia in una capanna di pescatori. Era sopravvissuta al mare e senza perdere tempo si era recata nel primo porto che aveva trovato e aveva reclutato la peggior feccia che era riuscita a trovare nei sobborghi, aveva dato a quegli uomini senza nulla una spada, un obbiettivo e una nave rubata. Infine, al primo ammutinamento aveva giustiziato i sobillatori. Disciplina era diventata la parola dordine.
Ci erano voluti quattro anni per riuscire ad avere un veliero tutto suo, pagato con loro di una nave inglese poco prima affondata, e una ciurma fedele, pronta alla morte per il suo capitano. Quattro anni per crescere, sfidare la morte, solcare le acque delloceano, sopravvivere, arricchirsi e farsi qualcosa di molto simile a degli amici. Quattro anni per arrivare dove era ora, sempre a un passo da Eduardo.
Allacciò le due cinture alla vita e prese le sue inseparabili armi.
Conosceva le voci che giravano su di lei.
Dicevano fosse la reincarnazione del Wendigo del Nord o di una sacerdotessa voodoo morta in mare. Alcuni la chiamavano la Gatta, altri non la chiamavano affatto.
Per il suo equipaggio era il capitano; per Antonio, Santiago e Ines - le persone di cui più si fidava - era Habana.
Ovunque andasse cambiava nome. Ora era Querida, ora Eléna, ora Rose.
Cera addirittura chi parlava di lei come di Oya e non appena vedeva il lampo imperioso dei suoi occhi, il porpora della sua fascia e il fuoco della sua pistola scappava, temendo il suo respiro.
E lei rideva, a sentire tutti quegli appellativi e tutte le dicerie che correvano sul suo conto. Perché, per quanto ne sapeva, non aveva mai fatto pratica di cannibalismo, non aveva mai praticato riti voodoo e decisamente non era la dea del Caos, lOrisha che governava i venti e le inondazioni, anche se le avrebbe fatto comodo esserlo.
Rivolse allo specchio un ultimo fugace sguardo, un lampo di mesta vanità: sussurravano anche che in quella superficie riflettente, il capitano della Yemaya, avesse rinchiuso la propria anima, per poter uccidere senza ripensamenti e compire le più efferate crudeltà.
In realtà in quella lastra non aveva sigillato nulla del genere. Cerano giorni, però, in cui credeva il contrario e con malinconia sfiorava quella superficie. Perché forse, intrappolato nel vetro, restava un brandello della bambina che era stata, della donna che avrebbe voluto essere. Restava lì, al riparo dal mondo, al sicuro, nellattesa e nella speranza che forse un giorno sarebbe venuta a riprenderselo.
Nel frattempo però doveva continuare ad essere la donna dallumorismo caustico, dai modi rudi e i fianchi morbidi, delle contraddizioni.
Perché lei era il capitano di quel veliero e con la sua ciurma avrebbe solcato le acque di tutto il mondo, pur di trovare Eduardo e con lui la sua vita.

 

«Savannah



 





N/A
Giusto due parole, per concludere.
Sono molto legata a questa storia e alla sua protagonista.
Dedico anche questo "capitolo" della vita di Savannah a Cleo (su EFP Lady Moonlight): con tutto il mio affetto <3

 
   
 
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