Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: pandacattivo    08/08/2011    6 recensioni
Another story about Remus Lupin and Sirius Black.
“Qualcuno ha avvertito James e Lily?”
“Sai bene che non possono uscire di casa…” risposi con la voce rotta.
Sirius strinse la sua mano sulla mia spalla ed io sentii una leggera pressione nonostante lo spesso maglione di lana che indossavo sotto il mantello. Ringraziai il cielo che lui fosse lì con me.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Remus Lupin, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


-ballata di malinconia-






 

Il patronus di Silente mi svegliò alle 2:17 di notte. La fenice volò triste, cantando la sua ballata di malinconia: “Aggressione a casa Paciock”, risuonava la voce. Mi vestii il più velocemente possibile, il cuore in gola ed una terribile sensazione imprigionata nelle mie ossa. Frank e Alice. Ed il piccolo Neville. In quei tetri giorni di guerra cupa, la parola “aggressione” era sinonimo di morte. Già vedevo i loro cadaveri riversi sul tappeto blu oceano che Lily aveva gli aveva regalato, i loro occhi fissi nel vuoto, nella morte che degli ideali malsani gli avevano offerto. Mi immaginavo le minuscole mani di Neville strette al suo lenzuolino preferito, quello con le paperelle che svolazzavano felicemente dappertutto. Erano stati dei buoni amici, Alice e Frank, sempre onesti e gentili. Erano state una delle coppie storiche di Hogwarts, non ricordavo di averli mai visti separati. Alice con quel sorriso dolce, materno e deciso, combattivo ma mai duro…
Pensavo a quelle labbra rosee mentre mi smaterializzavo davanti al cancello di casa Paciock, una modesta villetta, dipinta con il bianco più puro che io avessi mai visto. Il candido colore risplendeva alla luce della luna che, in quel 18 ottobre 1981, sovrastava beffarda e panciuta l’Inghilterra. Percorrendo il vialetto di ingresso mi fermai ad osservare i piccoli fiori che lo costeggiavano, appassiti ed appesantiti dal freddo autunno. Li ricordai nella calda estate e nella frizzante primavera, pieni e colorati, vivi ed allegri. Esattamente come Frank ed Alice. Mentre analizzavo tristemente le aiuole, cercando il coraggio per entrare in casa, una mano si posò leggera sulla mia spalla.
“Qualcuno ha avvertito James e Lily?”
“Sai bene che non possono uscire di casa…” risposi con la voce rotta.
Sirius strinse la sua mano sulla mia spalla ed io sentii una leggera pressione nonostante lo spesso maglione di lana che indossavo sotto il mantello. Ringraziai il cielo che lui fosse lì con me.
“Entriamo?” domandò tristemente, lo sguardo puntato sugli stessi fiori appassiti che avevano catturato anche la mia attenzione. Mi domandai se anche lui li stesse paragonando ai nostri amici. I nostri amici morti. Nonostante tutto annuii debolmente ed aprii la porta. Un lento ed estenuante cigolio mi colpì al cuore, mentre superavo insieme a Sirius la soglia di quella casa he adesso mi sapeva di morte e speranze infrante. Fino a poche ore prima avrei detto che quella abitazione aveva lo stesso sapore delizioso della torta al limone che Alice sapeva cucinare tanto bene. Dolce, ma con un retrogusto acido. Come la vita.
I membri dell’Ordine erano seduti docilmente sul divano del soggiorno, mentre Silente era immobile al centro della stanza, i piedi sul tappeto blu oceano e gli occhi chiari puntati su di una foto appesa alla parete. Nessun segno di una lotta evidente, solo qualche vetro sparso sul parquet e una tenda strappata. Nessun corpo sul pavimento, nessuna macchia di sangue scuro e denso. Dove erano Alice e Frank?
“Sedetevi…” ci disse la professoressa McGranitt, che proprio non riuscivo a chiamare Minerva, con la voce preoccupata e profonda. Potevo vedere lo sgomento nei suoi occhi prematuramente invecchiati, il tremore delle sue mani che freneticamente lottavano per rimanere immobili. Diedi una veloce occhiata al divano. Tutti i posti erano occupati, così io e Sirius rimanemmo in piedi, contribuendo a quel silenzio denso che riempiva la stanza. Nessuna lacrima, nemmeno un minimo singhiozzo. Solo silenzio. E tensione.
“Dove sono i corpi?”
“Non lo sappiamo…” sussurrò la professoressa McGranitt, soffocando il principio di un pianto. Cosa significava quella frase? Riformulai la domanda anche a voce alta. Frank e Alice. Mi sentivo totalmente inebetito. Non sapevo né cosa fare, né cosa pensare. Avrei tanto voluto che Sirius mi stringesse la mano…
“Il piccolo era con la nonna, fortunatamente. Ma loro dovevano essere in casa, dovevamo incontrarci per andare a sorvegliare un gruppo di Mangiamorte, giù al fiume.” disse Malocchio Moody, con la sua voce rozza e sempre inopportuna. Eppure quella notte mi parve di sentirvi della paura, come un’inclinazione. Anche lui sapeva che eravamo arrivati alla fine. Ci stavano cacciando uno ad uno, ormai eravamo sempre di meno. I corpi giovani, ma lo spirito già stanco. Avevamo visto fin troppe morti, orrori e corpi torturati che ci perseguitavano i sogni. Non dormivo decentemente da più di un anno. Da quando Lily e James erano stati costretti a nascondersi in casa. Quelle quattro mura che dovevano essere accoglienti e familiari, non erano altro che una prigione. Stavamo cadendo uno ad uno, Colui-che-non-deve-essere-nominato stava giocando con noi, con le nostre vite. Eravamo solo pedine che si divertiva a muovere nella sua perfida scacchiera. La mia mano sfiorò quella di Sirius. Eravamo soli, dispersi una guerra che non potevamo vincere. Avrei desiderato che qualcuno mi abbracciasse, ma come sempre tentai di darmi un contegno, di rimanere forte. Non potevo cadere proprio ora.
“La lotta è avvenuta al piano di sopra, la loro camera da letto è completamente devastata”
“Ma perché prendere i loro corpi?” dissi flebilmente, la voce ridotta a malapena ad un sussurro. Volevano toglierci anche la possibilità di fargli un funerale? Di onorarli come serviva, come si addiceva a due eroi come loro? Non potevamo nemmeno piangere su di loro, vedere i loro volti, controllare se erano morti spaventati, o con un largo sorriso in faccia. Eravamo totalmente impotenti.
Nessuno rispose alla mia domanda, che finì per evaporare in quel vuoto di parole. Vidi Sirius dirigersi verso le scale e lo seguii, facendo la familiare strada che dal soggiorno portava alla camera da letto di Alice e Frank. L’ultima volta che ci ero entrato era stato poche settimane prime quando l’amico, con un grande sorriso in viso, mi aveva mostrato la nuova cassettiera che era riuscito a costruire. La stessa cassettiera che adesso giaceva sul pavimento in mille pezzi. Le lenzuola del letto strappate alla loro candida perfezione, la finestra, che dava su di un piccolo giardino, rotta. Un’anta dell’armadio cigolava, mossa dal vento autunnale. Una camicia di Frank era stata abbandonata sul pavimento, una delle tutine di Neville era languidamente accasciata sul materasso. Lui si era salvato. Il piccolo stava bene.
Sirius accanto a me si guardava attorno destabilizzato. Era difficile ricordarlo con la sua aria da ragazzo ammiccante e misterioso, il ciuffo ribelle di capelli che nemmeno la brillantina riusciva a domare. Sembrava maturo, forse troppo. Come un fiore che aveva deciso di crescere troppo velocemente. Adesso sembrava appassito e stanco anche solo di provare a continuare a vivere. Si sentiva impotente come tutti. Non eravamo altro che un gruppo di vecchi ventenni. Saremmo morti uno ad uno. Ma lo avremmo fatto lottando.
Continuai a fissarlo, poiché era l’unica cosa a cui potevo ancora appigliarmi. Era l’unico che sentivo vicino. Era fragile, ma accanto a me appariva comunque una roccia ben solida. Sirius era il mio sostegno, era la ragione per cui mi spronavo ad andare avanti in quella guerra senza speranza. Vedevo la luce nei suoi occhi chiari, una luce che si stava man mano spegnendo, ma che ancora riluceva in quei pozzi di cielo. Sirius aveva ancora la speranza che io avevo perso da tanto, troppo tempo. La speranza che non avevo mai realmente avuto. Avrei voluto afferrare la sua mano e non lasciarla mai più. Feci per avvicinarmi a lui, quando notai che si stava piegando per raccogliere qualcosa dal parquet scuro e perfettamente levigato. Un ciondolo rotto.
Sirius lo fissava con tale prepotenza che avevo paura che scoppiasse. Cosa stava succedendo? Vidi crescere la tensione nei suoi occhi, la mano stringersi convulsamente a quel monile e le labbra tremare. La rabbia si stava facendo spazio in lui ed esplose quando il ragazzo scagliò un pugno contro il muro. Lo steso pugno che racchiudeva il monile. Vidi un rivolo di sangue, prima che Sirius scagliasse un altro colpo contro l’intonaco panna della camera. E un altro, e ancora uno. Io lo guardavo immobile, incapace di comprendere cosa stesse realmente accadendo.
“Sirius…” sussurrai. Quando notai una macchia di denso sangue sulla parete, decisi che era il momento di intervenire. Bloccai il suo braccio, ma lui tentò di ribellarsi. Era più grosso di me, più atletico e più forte. Mi scansò con una velocità inaudita e riprese a ferirsi. Scagliava pugni ad una velocità impressionante, vedevo il dolore mischiarsi alla rabbia cieca. In un attimo di pazzia, mi frapposi tra lui e il muro. Vidi la sua pelle ad un centimetro dalla mia faccia, la mano immobile e la catenina del ciondolo che pendeva da essa. La afferrai con dolcezza, lasciando che il suo sangue i imbrattasse, che mi sporcasse e mi riempisse il viso, mentre mi portavo la sua mano su di una guancia. Lo accarezzai per qualche attimo, dolce e tranquillo. Mantenni il contatto visivo ed i suoi occhi che parevano in tempesta, man mano ripresero a ondeggiare inquieti, ma calmi. La mareggiata era passata, il suo animo si stava calmando. Nonostante tutto, non lasciai la sua mano nemmeno dopo avergli sfilato il ciondolo dal pugno. Era un piccolo monile nero e raffinato, lo stemma dei Black raffigurato sopra, in tutta la sua magnificenza. Mi bastò un attimo per comprendere.
“E’ stata Bellatrix…è stata lei…” balbettò Sirius, incapace di formulare qualsiasi altro pensiero. Era stata Bellatrix, quel ciondolo le apparteneva.
“Sirius non devi…”
“Non devo cosa, Remus? E’ la mia famiglia…quella è mia cugina! E’ lei che li ha…che li ha uccisi! E’ stata lei.” Mi urlò in faccia, il dolore di anni di rabbia repressa, di vergogna per ciò che era. Per quel cognome che sentiva pesare sulle proprie spalle da sempre, per quel peso nel cuore che aveva dovuto imparare a trascinarsi dietro ogni attimo della sua vita. La sua famiglia uccideva, suo padre torturava e sua madre sputava sugli innocenti. Ma Sirius era diverso, lui non era in quel modo! Eppure sembrava non accorgersene a volte, sembrava pensare che, avendo il loro stesso sangue avvelenato nelle vene, sarebbe finito esattamente come loro. Lo si leggeva nei suoi, era sempre stato così.
“Tu non sei come loro.” Dissi dolcemente, stringendolo a me. “Sei diverso, lo sei sempre stato…e tu lo sai.”
 




 
Riferimmo a Silente ciò che avevamo scoperto, poi uscimmo da quella maledetta casa che puzzava sempre più di tragedia. L’aria fredda della notte mi colpì come un pugno allo stomaco e mi strinsi nel mio mantello. Quella era stata la peggiore notte della mia vita, fino ad allora. Nemmeno con la luna piena mi ero mai sentito così demoralizzato e distrutto nell’anima. Sentivo una crepa che partiva dal mio cuore e viaggiava in tutto il mio corpo. Attraversava le vene, gli organi, il mio cervello. Tutto mi appariva scuro e perduto. Ma vedendo il volto sconvolto di Sirius, decisi di farmi forza per lui. Qualcuno doveva rimanere in piedi a sorreggere l’altro. Nel nostro gruppo era sempre stato così. Solitamente ero io che venivo sostenuto, ma quella sera non potevo essere egoista. Lui stava peggio di meno, lo vedevo sconvolto e provato nel profondo dell’anima. Così decisi che era il mio turno. Sarei stato forte per lui. Per il mio Sirius.
“Ti…ti va di dormire da me?” domandò lui, strappandomi ai miei pensieri. Non lo avevo mai visto così scosso e fragile. Avevo paura che si sgretolasse in un mare di dolore davanti ai miei occhi, che finisse per affogare nell’agonia che lui stesso si stava procurando.
“Certo Felpato.” Replicai semplicemente. Aveva bisogno di me, lo si leggeva nei suoi occhi, nel suo modo di camminare come se fosse un reietto. Nelle sue labbra che si stava tormentando con i denti. Le mordeva con tanta violenza che avevo paura che si ferisse. Come aveva fatto con la sua mano.
Ci smaterializzammo nel suo piccolo appartamento confusionario. La radio accesa, la abatjour accanto al divano che emanava luce solo ad intermittenza. Probabilmente la lampadina doveva essere cambiata. Sirius si tolse il mantello semplicemente gettandolo a terra, accanto al cartone di una pizza che, dalle incrostazioni che riportava sopra, doveva essere lì da minimo una settimana. Lo raccolsi con premura e lo  sistemai insieme al mio nell’attaccapanni che fiancheggiava la porta d’ingresso.
“E’ meglio se ti medichi la ferita alla mano.”
“Rem, non è nulla…solo qualche stupido graffio.”
“Allora non ci metterò nulla a metterci un semplice cerotto sopra.” Replicai io, chiudendo in quel modo la conversazione. Mi precipitai in bagno e tornai con l’occorrente. Afferrai la sua mano ed iniziai a disinfettarla. Non erano solo insignificanti graffi, Sirius aveva colpito con forza. Probabilmente una o più dita erano rotte. Ma non volevo fare casini e lanciare incantesimi tanto per fare, perciò mi limitai a medicare le ferite superficiali. Quando ebbi finito di sistemare della garza sterile attorno alla sua mano, contemplai la mia opera con premura. Poi vidi una goccia cadere su di essa e perdersi tra la trama fitta del tessuto bianco. Una lacrima. Alzai il mio sguardo e mi ritrovai davanti un Sirius distrutto, accartocciato in se stesso. Le lacrime, senza alcun rumore solcavano il suo viso, mentre le labbra tremavano vistosamente. Sembrava così piccolo e indifeso che il mio cuore per un attimo si fermò. Perse un battito, nel momento esatto in cui lui emise il primo singhiozzo. La sua testa crollò sulla mia spalla, mentre io lo abbracciavo. Il suo peso mi colpì alla sprovvista, così mi ritrovai seduto in terra con lui tra le mie braccia. Singhiozzava tentando di parlare, annaspava nelle sue stesse parole, mentre io non potevo fare altro che rimanere in silenzio. Aveva bisogno di me, della mia forza.
“Non voglio essere come loro, Remus…non voglio!” sputò ad un certo punto, mentre io lo strinsi più forte al mio petto. Sentivo il mio maglione inzupparsi delle sue lacrime, ed i miei occhi riempirsi di un mare di emozioni. Sirius si aggrappò a me, le sue mani ancorate disperatamente alla mia schiena. Le mie lacrime che iniziarono a mescolarsi con le sue. Non riuscivo a vederlo in quello stato, non sopportavo guardarlo soffrire tra le mie braccia senza avere la minima possibilità di farlo stare meglio.
“Tu non sei come loro! Tu sei la persona più buona che io conosca!” urlai, disperato. La situazione ci stava sfuggendo di mano, ci stavamo lasciando trasportare da troppe emozioni. Eravamo in balia di noi stessi, eravamo soli.
“Sei gentile e forte, sei altruista e aiuti sempre chi ne ha bisogno. Sirius, sei la persone migliore che io conosca e sai che è vero! Non sarai mai come uno di loro semplicemente perché non è la tua natura. Tu sei buono, Sir…nel tuo cuore scorre lo stesso sangue, ma non lo stesso odio. Tu sei pieno d’amore…” dissi, in un momento di improvvisa lucidità. Avevo parlato senza pensare, le parole mi erano uscite come un fiume in piena, incontrollabile e selvaggio. Ed erano così vere che spiazzarono entrambi. Sirius era veramente la persona migliore che conoscessi, l’unica di cui avevo veramente bisogno. Senza lui accanto mi sarei sentito solamente un altro stupido abitante di un mondo crudele. Ma con lui tutto appariva con una luce diversa, migliore. Sirius illuminava la mia vita.
“Remus io…” disse lui, gli occhi ancora colmi di lacrime, ma senza più la traccia di un singhiozzo. Ci ero riuscito, lo avevo fatto sentire meglio. Gli feci il segno di stare zitto, non serviva parlare oltre. Lo strinsi al mio petto e lo cullai come se fosse un bambino piccolo e bisognoso di attenzioni. Mi presi cura di lui, accarezzando i suoi capelli e rimanendo in silenzio rispettando il suo dolore. Furono minuti di pace e di quiete. La guerra ci attanagliava le viscere, ma in quegli attimi mi sentii stranamente protetto. Non c’era nulla che potesse succedermi fino a quando Sirius era tra le braccia. Non seppi mai quanto rimanemmo uno abbracciato all’altro, sorreggendoci a vicenda nel silenzio delle nostre insicurezze. Fu lui a rompere quel momento di quiete passeggera.
“Pensi veramente quello che hai detto prima?”
“Certo.” Risposi senza la minima esitazione. Era la cosa più vera che fosse mai uscita dalle mie labbra.
“Perché?”
La sua domanda mi colpii con una forza inaudita. Rimasi per un attimo senza fiato, prima di riuscire a respirare nuovamente. Perché lo pensavo? Perché…
“Perché ti amo…” sussurrai, incredulo anche io di fronte a quella scoperta. Sentii il mio cuore sgretolarsi e la mia voce venire meno. Lo amavo. Lo amavo con tutto me stesso. Era un sentimento così forte e così contraddittorio. Lo avevo sempre scambiando per amicizia, ma adesso…
Adesso sembrava tutto più chiaro e limpido. Tutte le volte che avevo sperato che mi abbracciasse, che stringesse le mie mani. Quando gli confidavo le mie paure più profonde, quando cercavo il suo sguardo fiero e sicuro. Quando non avrei voluto altri al di fuori di lui. Quando incontrai nuovamente i suoi occhi fu come guardarlo per la prima volta. Era tutto diverso. Lui mi fissava sconvolto, i segni del recente pianto che solcavano impietosi il suo viso. Ma non c’era rabbia, o disprezzo. Forse era solo confusione, o magari consapevolezza. Quando mi baciò, però, sentii solo un profondo ed avvolgente amore.
 
 



 
Il patronus di Silente mi svegliò ad un’ora impietosa. Ma sentendo il messaggio che portava, scattai fuori dal mio letto in un istante, il cuore in gola e le lacrime che già mi strozzavano. Furono attimi di panico incontrollato, di terribile dolore. Avrei voluto morire. Quando arrivai davanti a casa di James e Lily mi sentii morire e caddi sulla strada. Non riuscivo a reggermi in piedi. Mi trascinai con le lacrime che mi offuscavano la vista dentro quella casa degli orrori e provai le stesse emozioni che avevo provato appena una decina di giorni prima a casa Paciock. Solo amplificate di mille volte. James e Lily. Non potevo smettere di ripetere i loro nomi mentre entravo nella loro piccola villetta di Godric’s Hollow, mentre piangevo sul corpo privo di vita del mio migliore amico. Non riuscii a sopportare la vista del cadavere di Lily, ma scappai da quel macabro teatro di morte. James e Lily…morti. James e Lily…
“Come hai potuto farlo, Sirius? Come hai potuto?” urlai al cielo, alle stelle, alla maledetta Luna. Lo urlai con una rabbia densa e spaventosa, lo urlai con la voglia di uccidermi.
E con il sapore di quel terribile bacio sulle mie labbra. Il sapore di un assassino.






Spazio autore:
E' la prima volta che scrivo con un pov maschile, lo devo ammettere. e non è stato facile.
ed è anche la prima volta che scrivo di due maschi insieme.
quindi non so se alla fine è uscito di qualcosa di leggibile, ma io personalmente ne vado piuttosto fiera.
perchè sono contenta di aver sperimentato qualcosa di nuovo!
spero vi piaccia!




 

   
 
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: pandacattivo