Le riprese si fermano per un’edizione straordinaria del telegiornale, ed è solo allora che la gravità della situazione lo colpisce appieno. Vede Tom raggiungere la sedia di Joss, accucciarsi accanto a lui e guardare la TV in silenzio, tenendosi le ginocchia, senza più dire neanche una sola parola. Chris gli va vicino, appoggiandogli una mano sulla spalla per provare a fargli coraggio. Entrambi i genitori di Tom risiedono ancora a Londra, come pure sua sorella.
Quando vede le immagini Robert si sente un po’ morire dentro, come se gli avessero tolto l’aria dai polmoni proprio mentre la stava mettendo in circolo. Poi una paura sorda, impazzita, gli esplode nel cuore, e quasi lo spinge alle lacrime, che trattiene a stento, grazie alla maschera del suo personaggio feticcio.
Scivola via senza fare il minimo rumore, arriva al proprio camerino, come un disperato si mette a cercare il cellulare.
Quando finalmente lo trova compone a memoria il numero che chiama con più frequenza ormai, dopo quello di sua moglie, e a malapena si accorre del tremore che accompagna ogni suo gesto, tanto che l’apparecchio quasi gli cade per terra.
La chiamata parte, e un silenzio eterno gli rimbomba nell’orecchio, intervallato troppo poco spesso dai bip di linea libera che sembrano pietre tombali piantate nel suo cuore.
Rispondi, rispondi cazzo, rispondi per piacer-
« … Robert? »
La sua voce risuona cupa e bassa nell’orecchio dell’altro, ma gli basta sentirla per tornare a respirare.
Aveva trattenuto il fiato per tutto il tempo della chiamata e non se n’era accorto.
« Jude. » esclama subito dopo, la voce tremante che tradisce un’emozione e un sollievo che tanto avrebbe voluto tenere solo per sé. Ma non ci riesce, davanti ad una cosa del genere fingere è troppo perfino per lui. «Oh thank god, thank god you’re safe, fucking God, I was so shitty worried for you… »
L’inglese rimane per qualche secondo ancora in silenzio, per poi aprirsi in un sorriso dolce e consolatore.
« I’m fine, Robert, my home is pretty safe, I’ll be okay… »
Ma lui l’avverte lo stesso, la paura che si insinua nelle parole dell’altro, non voluta, indesiderata. Capisce che è solo una maschera, e sa fin troppo bene il perché.
« Your kids? »
Sparo nel vuoto, ma azzeccato. Dall’altro capo della comunicazione si fa largo un silenzio pregnante, che dopo qualche momento viene interrotto da un altro suono più triste, quello di un pianto controllato.
E il suo cuore automaticamente manca un colpo.
« Jude? What about them? »
« … Y-Yes, they… they’re fine too, it’s just… it’s just… » parla piano, non riesce più a controllare i singhiozzi « … It’s just a bloody m-mess, R-Robert… I’m… s-scared as hell, and I can’t show it, but… F-Fucking he-hell, I’ve got nobody here and god knows i-if… » si interrompe di nuovo per lasciare spazio alle lacrime « I-I so wish I was with y-you right now. » conclude infine, prima che una nuova tristezza gli riempia la bocca di amaro.
E contagia anche lui, inesorabilmente, proprio come al solito. Perché la paura unisce, la paura fa superare tutte le altre scemenze che la vita ti pone davanti. E il loro piccolo dramma di amore che non può essere si frantuma di fronte alla possibilità della morte, e di una morte tristemente solitaria.
Robert si passa una mano sulla viso e lo sente bagnato.
Allora si lascia andare contro la parete e piange con lui, per telefono.
Immaginando di essere lì con lui e tenerlo stretto a sé.



CORNER'S AUTHOR: Perchè sì.
Perché in mezzo al marasma di notizie stupide e inutili nessuno si fila le cose importanti.
Perché vedendo le immagini di Londra in fiamme a me è venuto da piangere, molto semplicemente.
E perché sentivo di doverlo fare.