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Autore: Love_in_London_night    09/08/2011    10 recensioni
{Iscritta al concorso estivo: one shot dell'estate}
Rebecca raggiunge la nonna in Toscana, concedendosi due settimane tranquille. Peccato che la nonna abbia altri progetti per lei. In spiaggia incotrerà un gruppo di inglesi abbastanza particolare, tanto da indurla a passare le giornate con loro. Ma solo uno colpirà la sua attenzione. Ci sono tutti gli ingredienti per farla sembrare una semplice cotta estiva, eppure...
"- Bex? – ripeté schifata, o quasi. Le ricordava qualcosa, quel diminutivo – E perché mai?
- Bex. Semplice. Come la birra – e rise.
- Ah beh, veramente romantico, grazie. È l’ideale per conquistare una donna! – ripose fintamente offesa.
- Perché? – le chiese pacifico lui, sorridendo con un solo angolo della bocca – Vuoi che ti conquisti?"
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E' la prima volta che scrivo un'originale, datele un'opportunità.




È l’unico modo


Andava così. Dall’estate duemilaundici non si aspettava niente di ché.
Infatti, l’avevano incastrata in quel viaggio. Non c’era nemmeno stato modo di rifiutare.
La nonna, dopo essere rimasta vedova, nonostante non fosse poi così arzilla, aveva deciso di passare tutta l’estate in Toscana, a Follonica. Era lì che aveva sempre trascorso le vacanza con il marito.
Non ci tornava da troppo tempo.
Voleva rivedere quel posto prima di morire. Non che la sua dipartita fosse imminente, ma voleva godersi l’aria dei ricordi appieno, con le dovute facoltà mentali.
Chi gliel’avrebbe garantito che di lì ad un anno fosse stata viva e vegeta? E, soprattutto, lucida?
La famiglia aveva abbassato la testa davanti a quella veneranda cocciutaggine, così l’avevano convinta ad assumere una badante che la seguisse durante la permanenza. Poi i famigliari si sarebbero divisi in turni per raggiungerle e fare un po’ di compagnia alla nonna e dare una mano a Ilka, dandole il cambio per farla riposare un poco.
Quelle settimane, le ultime due di luglio, toccavano a Rebecca e Sara, le cugine che avevano due anni di differenza.
Peccato che Sara avesse bidonato tutti all’ultimo per seguire il proprio ragazzo in Sicilia, a trovare i parenti che vedeva due sole volte l’anno.
Alla faccia dell’affetto famigliare della sua cara cugina!
Così Rebecca si ritrovava da sola su un treno con destinazione Follonica. Sei ore abbondanti di viaggio da passare in compagnia di riviste, libri e della musica.
Era sicura di poter perdere l’uso della parola, in quel tempo.
Alle quattro del pomeriggio giunse alla stazione della località toscana, prese il primo taxi libero e corse nell’appartamento di Matilde.
- Nonna! – urlò vedendola. Le corse incontro e le diede un bacio sulla guancia. A Ilka riservò un caloroso sorriso.
- Becca, sei arrivata. Pensavo di doverti dare per dispersa – la schernì.
Matilde si fece aiutare per sedere sul letto della nipote mentre quell’ultima vuotava la valigia per sistemare le proprie cose al meglio.
Discussero del viaggio, del tempo, degli aggiornamenti dalla città e di molto altro.
Andarono tutte e tre a fare un po’ di spese nei piccoli mini-market, fermandosi al bar per un caffè.
La serata trascorse tranquilla in casa. La nonna si addormentò presto e anche Becca non fece tardi, il viaggio l’aveva spossata.
La mattina seguente Matilde volle fare una breve passeggiata vicino alla spiaggia, Rebecca ne approfittò per passare un po’ di tempo con la nonna.
- Riposati un po’ Ilka, ne hai bisogno – le disse impedendole di alzarsi per chiudere la porta.
- Grazie! Finalmente qualcuno che apreza mio lavuoro – disse con la sua pesante inflessione russa.
Becca rise – Oh, credimi, tutti ti sono grati per quello che fai, solo che a volte lo danno un po’ troppo per scontato – e chiuse la porta sulla figura della badante che annuiva energicamente.
Era presto, solo le persone più attive si riversavano sulla spiaggia. Chi per correre, chi per catturare i primi raggi di sole.
Qualche ragazzo stava tornando a casa da qualche serata folle. Un po’ li invidiava, ma non così tanto.
Restarono sulla panchina che avevano conquistato per un’ora, vedendo la spiaggia riempirsi e prendere vita.
Nel tornare indietro la nonna si fece seria – Becca, tesoro, vai in spiaggia! Hai vent’anni e poco più, dovresti andare a goderti un po’ il sole, il mare e i ragazzi! – le sorrise – Sai quanti spasimanti avevo io prima di conoscere tuo nonno? Ero la reginetta del bagno ‘Mario’, a Misano Adriatico!
- Nonna credimi, non ho voglia di avere nessun ammiratore. Che senso ha poi trovarsi qualcuno in vacanza? Star bene insieme una settimana e poi dividersi e soffrirne per mesi? – alzò le spalle, cercando di far valere il suo punto di vista.
Da ragazzina aveva più e più volte provato l’esperienza, pensandoci ora era convinta del fatto che non valesse la pena attaccarsi ad una persona per qualche giorno, illudersi e starci male per mesi.
Aveva ventitre anni, era finito il periodo della cotta al mare.
- Io, per sicurezza, ho detto a Fabrizio di tenerti un lettino. Avanti, sfruttalo, fallo per me – la pregò la nonna – A proposito, te lo ricordi Fabrizio?
Era il proprietario del bagno in cui ogni anno i suoi nonni prendevano lettini e ombrellone. Da piccola trascorreva le vacanze con loro, quindi sì, se lo ricordava.
- Ok nonna, le mattine le passo con te, i pomeriggi in spiaggia, va bene? – in fondo un po’ di sole non le avrebbe fatto male.
- Oh sì, decisamente. Son proprio contenta. Tu sì che sei mia nipote! – scherzò nel tornare a casa.
Le tre arrivarono in un batter d’occhio, Matilde iniziò a pestare i piedi perché Rebecca andasse in spiaggia, non voleva che la nipote potesse odiarla per averle rovinato quelle uniche vacanze.
Quando arrivò vide il bagnino – Fabrizio! – lo salutò, ma lui non la riconobbe – Sono Rebecca, la nipote della Signora Matilde.
- Maremma bimba, sei cresciuta! E se permetti, sei diventata proprio ‘na bella figliola! – adorava l’accento toscano, si fece coccolare da quelle parole.
L’accompagnò al suo ombrellone, glielo sistemò per bene ed infine si congedò.
Becca si stese al sole, iniziando la sua triste vita da sola sulla spiaggia.
Cercò di dormire, ma non era stanca. Poco dopo fu richiamata da un rumore famigliare e dalle conseguenti urla.
Alzò la testa verso il bar e la passerella, lì accanto notò il campo da beach volley. Era pieno di giovani che stavano dando vita ad un’accesa partita.
Prima ancora di decidere qualcosa, si era già ritrovata in piedi. Infilò il kaftano leggero e piano si avvicinò al limitare del campo, in particolar modo dove altra gente seguiva interessata il match.
Il cuore le batteva forte. Essere lì da sola davanti a gruppi di ragazzi, perché di quelli si trattava, la faceva sentire a disagio. Di colpo, le sembrava di essere tornata indietro nel tempo ed avere quindici anni. Le sudavano le mani.
Si sedette sulla sabbia, guardando la palla colorata passare da una parte all’altra del campo, ostentando naturalezza e disinvoltura. In realtà le tremavano le ginocchia e avrebbe voluto correre in mare, giusto per nascondersi a quegli sguardi che sapeva le stavano arrivando.
Di certo non era la ‘reginetta del bagno’, ma non era nemmeno l’ultima delle brutte. Anzi.
I ragazzi accanto a lei, stranieri, si stavano alzando per entrare in campo.
Erano tutti e tre veramente attraenti, cosa che la sconcertò. In città non si ricordava il tempo di vedere girare tre bei ragazzi insieme. Era un evento raro trovarne uno carino in una compagnia di dieci!
Uno dei tre prima di avviarsi verso il campo si girò verso di lei – Sai giocare? – le chiese con un perfetto accento inglese.
Presa in contropiede annuì poco convinta.
- Ti va di unirti a noi? – sembrava tranquillo, ma aveva qualcosa di strano. Una sorta di impazienza negli occhi che la convinse a rispondere subito.
- Ok, non c’è problema – almeno, avrebbe rispolverato il suo inglese.
 
Persero la partita con onore e molte risate.
Solo uscendo dal campo il ragazzo un po’ più serio si presentò – Andrew.
Il secondo, quello più bello, il più allegro e quello che aveva conquistato i cuori di tutta la spiaggia allungò la mano verso di lei – Douglas.
L’ultimo, quello che le aveva chiesto di unirsi a loro si unì al coro – Tom.
Tom. A lei bastava quello di nome. Aveva gli occhi azzurri, glaciali e profondi, i capelli neri e la mascella squadrata. Era affascinante. Nonostante dei tre non fosse il più bello, di sicuro era l’unico ad averla colpita.
- Rebecca, o meglio, Becca.
- Bex – le disse Tom – Scusa, ma per noi è più facile.
Gli altri intanto si erano già diretti al bar per bere qualcosa di fresco insieme.
- Bex? – ripeté schifata, o quasi. Le ricordava qualcosa, quel diminutivo – E perché mai?
- Bex. Semplice. Come la birra – e rise.
- Ah beh, veramente romantico, grazie. È l’ideale per conquistare una donna! – ripose fintamente offesa.
- Perché? – le chiese pacifico lui, sorridendo con un solo angolo della bocca – Vuoi che ti conquisti?
Come se per farlo avesse dovuto deciderlo. O mettersi d’impegno. Per conquistare qualcuno, gli bastava essere se stesso, pensò Rebecca.
- Amo la birra – aggiunse lui. Parole che suonavano come una dichiarazione. O meglio, come una lusinga solo per far colpo.
Le piaceva quel sorriso. Era attraente e tentatore. Poi assimilò le sue parole e sbiancò ulteriormente, come se fosse possibile.
Cercò di darsi un tono – Stai scherzando? Nemmeno per sogno! – anche se mentre si sedeva di fianco a lui, se lo stava immaginando mentre la seguiva verso le cabine solo per baciarla contro una porta di legno colorata.
Bex. In fondo le piaceva.
Tom avrebbe voluto vedere gli occhi di quella ragazza. Indossava gli occhiali da sole, così non aveva potuto leggere se diceva la verità o meno. Gli interessava la sua risposta, perché appena si era alzata dal lettino l’aveva notata. Aveva dato di gomito ad Andy e Doug, che prima avevano fissato il proprio ombrellone, poi avevano posato gli occhi sul seno, sul corpo e infine sul viso di Rebecca, mentre cercava di avvicinarsi al campo con fare disinvolto.
Parlarono di loro. Erano simpatici, e le piaceva poter sfoderare il suo inglese, infatti i ragazzi si complimentarono con lei. Avevano conosciuto un bel po’ di italiani durante gli ultimi anni, ma nessuno sapeva parlare inglese fluentemente.
- Bagno rinfrescante? – propose Douglas.
Gli amici annuirono al volo, con lo sguardo poi si rivolsero a Becca, o meglio Bex, per avere risposta. Accettò. D’altronde era meglio buttarsi in compagnia che sguazzare in acqua completamente sola.
Lasciarono i proprio oggetti ai rispettivi ombrelloni, constatando che erano uno accanto all’altro.
Arrivati al bagnasciuga i ragazzi corsero in acqua come missili, in confronto Mitch Buchannon aveva la velocità di una tartaruga rovesciata sul guscio. Avrebbe voluto seguirli a ruota, ma da buona freddolosa quale era mise i piedi in mare e poi si ritrasse.
- Che fai? Non entri? – le chiese Tom, il quale studiava ogni sua mossa.
- Con calma, è fredda! – rispose immergendosi fino alle ginocchia. Si sentiva fin troppo temeraria.
Tom corse verso di lei con il suo fare da ‘Baywatch’. Quando Rebecca capì la sua intenzione tentò di uscire dall’acqua, ma il vantaggio di lui era troppo e la braccò con facilità. Nonostante fosse mingherlino la forza non gli mancava, se la caricò a spalle e la buttò in acqua tra le urla soddisfatte degli amici.
Quando spuntò dal mare, aveva un diavolo per capello – Questa me la paghi! – e prese a rincorrerlo.
Tom si fece raggiungere, desideroso di sentire le mani di lei sul proprio corpo – Da quando abbiamo tutta questa confidenza, Bex? – chiese divertito.
- Da quando mi chiami come una birra e mi hai buttato in acqua! – rispose convinta, cercando di farlo bere.
Il ghiaccio era ormai rotto, gli interessi palesati ancor prima di essere capiti e i corpi erano a contatto. Lo sapevano entrambi a cosa era dovuto quel continuo punzecchiarsi, lo starsi addosso pelle contro pelle e i giochi in acqua. Solo, non volevano ammetterlo ancora.
Sembrava troppo presto e anche un po’ stupido, eppure al mare le cose succedevano così: all’improvviso e più velocemente.
Tom voleva capire fino a che punto poteva permettersi di arrivare con lei, Becca voleva fargli comprendere quanto fosse bendisposta nei suoi confronti. Solo nei suoi.
Si accorsero tardi di essere rimasti soli.
Raggiunsero Andy e Doug sotto l’ombrellone, scambiandosi sguardi languidi e complici.
La miccia era stata accesa, indietro non si poteva tornare.
Dopo venti minuti i ragazzi riuscirono a convincerla ad unirsi a loro quella sera. L’avevano tranquillizzata dicendo che ci sarebbe stata anche Victoria, sorella maggiore di Douglas, che quel pomeriggio aveva accompagnato l’amica in aeroporto.
- Mi dai il tuo numero? – le chiese Tom prima di scoppiare a ridere – Dio, mi sento un quindicenne alle prime armi!
Rise anche Rebecca. Sapere di non essere l’unica a provare quella sensazione le rese il cuore leggero. Anche se non era la prima volta durante la giornata, ed era ancora merito di quel ragazzo appena conosciuto.
- Non sei l’unico! – rispose comprensiva.
- Guarda che dietro la richiesta non ci sono secondi fini – ma non era vero. C’erano eccome.
- Ma hai già l’indirizzo… – replicò lei – Abitiamo pure vicini!
Tom sorrise – Lo so. Ma non vorrei suonare e magari svegliare tua nonna. Non sarebbe carino, non trovi? Forse, è meglio uno squillo.
Quella frase la fece sciogliere. Davvero pensava a sua nonna?
Si diede un contegno e gli lasciò il numero.
- A stasera! – li salutò abbandonandoli sulla spiaggia. Doveva correre a prepararsi. Non poteva sfigurare.
La nottata trascorse tra risate e qualche cocktail. Victoria le era simpatica e aveva scoperto essere la ragazza di Andrew.
Parlando, e soprattutto flirtando, con Tom aveva saputo che Douglas era assistente di regia, Andrew era un cantante abbastanza famoso nel Regno Unito mentre lui era il fisioterapista dell’Arsenal, squadra di cui era tifoso fin dalla culla. Il sogno di una vita, insomma.
- Sono una schiappa a calcio, ma è lo sport che amo, questo è solo il mio modo per dimostrarglielo – le disse in confidenza, fissandogli quegli occhi verdi, così scuri da sembrare quasi marroni.
Dopo la serata Tom insistette per accompagnarla a casa. Rebecca oppose poca resistenza, giusto quella necessaria per non dare a vedere che in realtà non aspettava altro.
Davanti all’uscio, in quella notte cantata dai grilli e raccontata da stelle silenziose,  lo ringraziò per la sua gentilezza, ma prima che potesse aggiungere altro Tom la strinse a sé e la baciò.
Le stelle avevano qualcosa da guardare, in quel momento. Altro da riportare poi.
Un bacio impaziente, di chi si stava trattenendo da ore. La abbracciò in vita e lei si allacciò ulteriormente al corpo di lui. Finalmente l’attesa era finita. Culminata in un momento che avevano atteso con muta agonia. Quel bacio che stava superando le aspettative di entrambi.
Si separarono solo per riprendere un po’ di lucidità.
Tom non voleva che la situazione gli sfuggisse di mano, così da rovinare tutto. Gli piaceva molto, Bex. Gli piaceva davvero.
- A domani – le disse un po’ ansante, con la voce roca e quell’accento inglese così maledettamente affascinante.
- ‘Notte – sussurrò balbettando lei, imbarazzata e trasognata.
Lui fece qualche passo verso il marciapiede, poi si fermò – Non ti scriverò un messaggio dopo. Non sono quel tipo di ragazzo, mi dispiace.
Becca alzò le spalle mentre gli sorrideva – Per fortuna, perché non sono quel tipo di ragazza che aspetta messaggi. Sinceramente, mi mettono ansia – e sparì all’interno del piccolo palazzo.
Tom si mise a fissare le stelle. Per la prima volta vi lesse una storia mai raccontata.
Era l’inizio della fine.
 
Il giorno dopo non c’era imbarazzo in loro, solo la voglia di ripetere quel gesto.
Presero la scusa di una passeggiata, per fermarsi poco dopo il bagno che frequentavano, in una pineta.
La sera finì come quella precedente.
La mattina per Rebecca era diventato difficile alzarsi, ma passava volentieri il tempo con la nonna. Per Matilde vedere quel sorriso era una sensazione impagabile. Sapeva che poteva essere imputabile solo ad un ragazzo, ma alla nipote non disse nulla. Tenere quelle cose segrete rendeva tutto più romantico.
I ragazzi sapevano tutto, ma si comportavano con normalità. Non volevano creare imbarazzi inesistenti o situazioni sgradevoli. Era una vacanza, si stavano divertendo e non volevano minimamente rovinarsela.
Arrivò la terza sera, quella in cui alcuni ragazzi avevano organizzato un falò sulla spiaggia, vicino al bagno di Fabrizio.
C’erano birre e chitarre, fuoco e persone, amori e battibecchi.
Rebecca voleva colpire Tom. Indossò il suo vestito lungo, quello scollato, da portare senza reggiseno. Voleva essere così bella da vestita da far scaturire in lui il desiderio di spogliarla. Sistemò i lunghi capelli castani su una spalla e sulla nuca fissò un fiore blu, abbastanza raro. Infilò i sandali bassi e uscì di casa, salutando la nonna e Ilka, augurando loro la buonanotte.
Trovò i tre ragazzi e Victoria ad aspettarla sul marciapiede. Quando la videro la ragazza si complimentò con lei, gli altri annuirono. Tom rimase bloccato con la bocca leggermente spalancata. Non riusciva ad emettere una sola parola. Era magnifica.
Quando Bex si avvicinò a lui le diede un bacio sui capelli, abbracciandola appena. Era la prima volta che faceva così in pubblico, si imbarazzò anche se li considerava amici.
Arrivarono in spiaggia. Salutarono i ragazzi che avevano allestito il fuoco e si sedettero lì intorno. Bex e Vic iniziarono a parlare del più e del meno.
Tom seduto accanto a Doug, la fissava famelico, come un avvoltoio che aveva puntato la propria preda.
L’amico gli diede una gomitata – Allora, cosa vuoi fare? Vuoi passare tutta sera a fissarla come un disperato, o preferisci fare una passeggiata con lei al chiaro di luna?
- Ma l’hai vista stasera? È… magnifica. Mi atterrisce.
- Lo vedo. È davvero uno splendore. Ma se non ti farai avanti tu, lo farà qualcun altro. Tra i candidati ci sono anche io – lo prese in giro.
- Non ci provare! – sfoderò addirittura l’indice con fare minaccioso.
- Sei un idiota. Non ti rendi conto che si è messa in tiro per te, per far colpo? Se non ne approfitti sei un coglione – Douglas bevve un sorso di birra.
- Mi piace Doug, mi piace davvero. È come se non fosse un’avventura estiva… – ammise infine al suo migliore amico.
- Pensi che non me ne sia accorto? Sei mio amico fin da quando giocavamo con i pupazzetti di Goldrake all’asilo, ti conosco – gli assestò una pacca sulla spalla – L’ultima volta che ti ho visto così è stata con Maggie.
Maggie era la sua ex. Capiva cosa voleva dirgli.
Finì la birra dell’amico e si alzò – Buona fortuna – gli urlò quell’ultimo.
Le si parò davanti con un braccio teso – Andiamo a fare due passi?
Lei salutò Victoria, poi posò la propria mano in quella di lui, che la strinse, infine si avviarono con passi lenti verso il bagno di Fabrizio, per oltrepassarlo.
Rebecca rise inaspettatamente.
- Cosa c’è? – le domandò curioso di scoprire la risposta.
La ragazza si sedette al riparo di un pedalò, quelli che al tramonto i bagnini ritiravano sulla spiaggia – Non lo trovi strano? Per avere un po’ di spazio per noi dobbiamo nasconderci dagli altri. Sembriamo due adolescenti, è ridicolo! – e ridicolo lo trovava davvero, dato che si era ripromessa di non provar più sensazioni simili appena qualche giorno prima.
Tom si era seduto accanto a lei, terribilmente serio – È l’unico modo – sentenziò – Ma se non ti va possiamo tornare dagli altri…
Cercò di essere indifferente, ma la delusione era ben udibile nelle sue parole. Aveva sperato che Bex volesse davvero passare del tempo con lui, perché lui non desiderava altro.
Gli piaceva ciò che gli raccontava, adorava il suo perdere il filo del discorso e la conseguente risata.
Rebecca lo prese per il colletto della camicia e gli diede un bacio. Dopo averlo lasciato senza fiato gli rispose – Ho detto che è strano fuggire come due quindicenni, non che mi dispiaccia.
- La cosa mi consola… – aggiunse dopo una risatina nervosa.
La guardò – Sei meravigliosa stasera.
Rebecca arrossì, ma fu contenta di quel complimento, lo aspettava da ore – Sono contenta tu l’abbia notato. Pensavo di non piacerti.
- Cosa? – e scacciò il pensiero con un gesto della mano, come se fosse una mosca – Tu mi piaci molto.
Si avvicinò al suo viso, cercando le sue labbra ancora.
Rebecca accolse quella bocca, sdraiandosi poi sulla sabbia fredda. Tom seguì il suo movimento, stendendosi su di lei, senza cercare di pesarle addosso.
Non si era accorto di averle alzato il vestito fino all’interno coscia, ma aveva sentito benissimo la mano di lei sfilare la camicia dai pantaloni.
I jeans non riuscivano più a nascondere l’erezione.
Solo dopo aver messo fine al bacio si rese conto della posizione ambigua assunta.
Il cuore in gola, lo sguardo acquoso – Sc… scusa, io non volevo.
- Tom – gli sorrise – Lo voglio.
- Sei sicura? – chiese mentre con l’indice le accarezzava un fianco.
- Mi sono vestita in questo modo solo per indurti a levarmelo, il vestito – ammise infine.
Tom non se lo fece ripetere due volte, accarezzò il suo corpo con le mani, accompagnando verso l’alto la stoffa.
- Non te ne pentirai? – non voleva giocarsi l’opportunità di stare con lei altro tempo, facendo la mossa sbagliata.
- È l’unico modo che hai per soddisfare il desiderio che ho di te – non era mai stata così diretta Rebecca, ma la voglia di esplorarlo e conoscerlo ebbe la meglio. Sapeva di avere poco tempo a loro disposizione, non voleva sprecarlo per poi pentirsene in futuro.
Tom cercò il preservativo che Doug gli aveva regalato. L’amico se ne era portate scorte, Tom invece aveva il primo preservativo ricevuto ancora alle medie, ormai scaduto, nel portafoglio. Si appuntò mentalmente di ringraziarlo.
Fecero l’amore lì, sulla spiaggia.
Loro testimoni furono le stelle, che continuarono a scrivere i capitoli di quella storia. Chiusero gli occhi, timide, solo nel momento in cui Rebecca rivolse loro lo sguardo, arrivando all’orgasmo.
 
- Ho perso il fiore – accennò Bex tornando verso il falò.
- È un problema? – domandò intrecciando le dita con quelle di lei.
- Un po’, era abbastanza raro. Mi dispiace – replicò sorridendogli.
- Tu sei un fiore molto più bello e raro. Sei l’unico fiore – era ubriaco Tom. Ebbro di un sentimento che stava sbocciando in lui. Alimentato dal chiarore delle stelle.
 
Il giorno dopo Rebecca arrivò in spiaggia prima di tutti gli altri.
Quasi insieme ad Andrew e Victoria. Si salutarono, poi con fare innocente lasciò cadere una domanda che le premeva appena riconosciute le loro figure in lontananza – Tom?
Andrew rise – Era stanco morto. L’abbiamo svegliato noi. Che gli hai fatto ieri sera?
Becca se la ghignò con loro, nonostante quel pizzico di imbarazzo che le colorò le guance.
Ad accomodarle l’ombrellone sopraggiunse il bagnino, quello giovane che tutte le ragazze fissavano con spudorata ammirazione.
L’aveva notata già dalla prima volta, voleva darsi un’opportunità.
Le fece una battuta, alla quale Rebecca rispose gentilmente. Odiava essere scortese con chiunque. Non voleva lasciare cattivi ricordi.
Leonardo intavolò così una discussione con lei davanti alla copia, che li guardava confusa, non capendo cosa si stavano dicendo.
Doug e Tom da lontano vedevano la spiaggia e il bagno, ancora qualche metro e il suolo sotto i loro piedi sarebbe cambiato.
Aveva fatto tutto alla velocità della luce pur di vederla, di passare un po’ più tempo con Bex.
Ma la visione che si presentò lo confuse. Erano in quattro sotto l’ombrellone. Rebecca, Andy e Vic, quindi c’erano tutti, ma anche una quarta persona. Un ragazzo.
Gli bastò la maglietta rossa per capire che si trattava del bagnino, ma non stava lavorando. Stava parlando con la ragazza con cui lui aveva una relazione… estiva.
Il colore della maglia bastò a far diventare Tom un toro, facendolo sbuffare dal naso.
Douglas notò che qualcosa non andava, cercò di tranquillizzare l’amico, ma non ci riuscì.
se non ti farai avanti tu, lo farà qualcun altro”, le parole dell’amico della sera prima tornarono a galla dal mare della memoria.
Sfoderò il suo sorriso più beffardo e con passo sicuro raggiunse lo strano gruppo che si era venuto a creare sotto l’ombrellone della ragazza.
Salutò tutti, compreso il bagnino, infine riservò un trattamento speciale a Bex e alle sue labbra. La baciò in pubblico. Un bacio semplicemente possessivo, atto a marcare il proprio territorio senza ricorrere a spargimenti di sangue inutili.
Rebecca portò una mano sul suo viso, come se potesse avvicinarlo ancora di più.
- Ciao – le mormorò roco, sorridendo sulle sue labbra.
- C… ciao – rispose in imbarazzo ma ben felice di quel gesto.
Era sua. Era suo.
Ormai era evidente anche al sole, alle altre persone e a tutti gli astri di tutti gli universi. Le stelle non dovevano più custodire quel finto segreto, avrebbero dovuto solo continuare a raccontare ciò che vedevano, trasmetterlo ai più. Farli sognare, con quel racconto.
Tom si era fatto avanti, Bex non era più di nessun altro.
Quel fiore, così raro, unico, l’aveva colto lui.
 
Gli ultimi giorni che trascorsero insieme divennero troppo avidi del loro tempo. Le stelle correvano per apparire nel cielo scuro, pronte ogni sera ad assistere ad un nuovo capitolo.
Le ore di sonno di Rebecca si erano ridotte notevolmente, ma la cosa non la preoccupava. Non sarebbe andata avanti così ancora per molto, e tempo per riposare ne avrebbe avuto a sufficienza nella vecchiaia.
Tom era stato presentato alla nonna insieme agli altri ragazzi, ma Matilde aveva capito l’importanza che aveva assunto per la nipote.
Passava le notti con lui, rinchiusa in una piccola stanzetta di un appartamento anonimo, adatto ai vacanzieri di qualche settimana. Sempre meglio dell’umido e della brezza fresca della spiaggia.
Rientrava sempre all’alba, contando sul sonno della nonna e della badante, per non dare spiegazioni imbarazzanti.
Solo una volta portò Tom nella propria stanza, ma l’ansia di essere scoperta era troppa e lo spinse giù dalla finestra verso le cinque. Per fortuna l’appartamento era al pian terreno.
Arrivò il giorno della partenza della comitiva londinese. Rebecca si alzò di malumore. Aveva già comunicato alla nonna le sue intenzioni: andare a Pisa per accompagnarli in aeroporto e poi tornare in giornata.
Non riusciva a separarsi da Tom. Lui aveva provato ad opporsi. La vacanza era finita per lui, non certo per il suo piccolo fiore, ma non era vero. Si sarebbe portato via la sua gioia, salendo su quell’aereo, perdendo pure la propria.
Matilde non obiettò, la lasciò fare. Al suo posto avrebbe fatto lo stesso.
Era grande ormai. Era libera di sbagliare.
Non gliel’avrebbe certo impedito.
Aveva provato a dirle di non andare, ma Bex aveva obiettato – È l’unico modo che ho di stare con te fino alla fine.
Non aveva trovato le parole per rifiutare, non lo voleva nemmeno lui.
Davanti al metal detector salutò i nuovi amici, con la promessa di ritrovarli a Londra il prima possibile. Andrew, Victoria e Douglas la strinsero affettuosamente in un abbraccio. Infine, li lasciarono soli. Probabilmente, avevano un sacco di cose da dirsi, volevano lasciar loro la giusta riservatezza.
Tom si spostò in un angolo nei dintorni, per levarsi dal flusso continuo di gente e sfuggire al brusio costante che li circondava.
Le prese il volto tra le mani, asciugando con il pollice le lacrime – Non piangere.
Tentò di sorridere, ma non contagiava gli occhi, o il cuore.
Avrebbe voluto rimanere o, meglio, portarla con sé, ma sapeva non era possibile.
- Ti odio – gli disse tra le lacrime.
Quelle semplici parole lo spiazzarono – Perché? – sussurrò soltanto.
- Mi ero ripromessa di non legarmi a nessuno, di aver finito con le cotte estive. Poi sei arrivato tu. Dov’eri nascosto? Perché sei così lontano? – stringeva la maglietta nei pugni serrati sulla schiena di lui, lasciando che la propria bocca agisse in totale libertà.
- Bex, te l’ho detto. È strano a dirsi ma, per me, non sei una cotta estiva. Lo capirai – disse stringendola e cullandola piano sul posto.
- Non fare promesse che sai già non verranno mantenute – rispose con la faccia soffocata nel suo petto. Aveva bisogno del suo odore. Sempre di più. Doveva inglobarlo nella propria memoria, marchiarlo a fuoco.
Non se ne era resa conto fino a quel momento. Non era una cotta estiva.
L’aveva capito solo troppo tardi.
- Non lo sto facendo, infatti – le fece alzare il viso – Fidati di me.
Non attese risposta Tom, calò sulla bocca di lei impossessandosene senza chiedere permesso. Si fece avanti con impazienza, attirandola a sé, rubandole parte dell’anima.
Rebecca lo lasciò fare, assecondandolo.
Non aveva trovato molto conforto in quelle parole, ma l’aveva trovato in quel gesto. Non perché le parole fossero sbagliate, ma era seriamente convinta che tutte le parole del mondo in quel momento non potessero consolarla.
Passerà, stava pensando. Un giorno dopo l’altro, un minuto in meno speso a pensare a lui, un pensiero in meno. Diventerà solo un ricordo sbiadito. Una bella estate, ma pur sempre ricordo.
Quanto ci avrebbe messo? Quanto avrebbe sofferto?
Si sarebbero lacerati con chiamate interminabili, sempre meno frequenti. I dubbi avrebbero preso il posto delle certezze, lasciando spazio a malumori e sofferenze. Rendendoli piano due estranei che si sarebbero odiati ancora prima di capirlo e dirselo.
Ecco come sarebbe finita.
Avrebbe voluto evitarlo, ma non poteva. Era troppo invischiata per farlo.
- Ti voglio bene, non dimenticarlo mai – le disse baciandole la fronte.
- Te ne voglio anche io, non è vero che ti odio – aggiunse tra un singhiozzo e l’altro.
- C’è qui fuori il taxi che ti aspetta, non volevo aspettassi il treno… – le disse affettuoso.
- Ma veramente io… cioè, non ho tutti quei soldi – tentò di giustificarsi.
- È tutto a posto, tranquilla.
- Io… beh, grazie. Di tutto – sapeva quanto fosse inutile cercare di contraddirlo, l’aveva imparato in quei giorni trascorsi insieme.
Il volo era stato chiamato, era giunto il momento di separarsi.
Con riluttanza si allontanarono.
Dopo aver passato il controllo, Tom si voltò un’ultima volta, accennando un sorriso.
Lo stesso fece lei, poi corse fuori, piombando velocemente nel taxi, dove riprese a piangere.
- La riporto indietro, signorina? – chiese l’autista, gentile.
- Sì, per favore. Ed in fretta, prima che cambi idea.
Guardava fuori dal finestrino con lo sguardo appannato.
Le sembra che il sole avesse perso un po’ della sua luminosità.
Sicuramente le stelle sarebbero state fondi di bottiglia, non più i cristalli splendenti che aveva ammirato stesa accanto a Tom.
Tutto il suo mondo aveva perso lucentezza. Una fotocopia sbiadita di quello che aveva visto e vissuto fino alla sera prima.
 
I giorni restanti li trascorse in silenzio. Comunicava con le persone che la circondavano, ma aveva perso l’allegria e la vivacità che la connotavano.
Aspettò con ansia il ritorno, che le sembrò arrivare in estremo ritardo.
L’agonia era finita. Salutò dolcemente la nonna, poi Ilka. Alla fine prese posto sul sedile del treno, trepidando per tornare alla realtà, cercando di occupare la mente con le persone e la vita di tutti i giorni.
 
Quasi una settimana era passata dal suo ritorno.
Si ritrovò con le amiche di sempre, come ogni venerdì. Volevano un resoconto dettagliato di quella che aveva avuto l’aspetto di una prigione, invece si era rivelata una vacanza con i fiocchi.
Cercò di essere partecipe, ma le mancava qualcosa.
O meglio, le mancava Tom.
Non le bastavano più le telefonate. Erano inutili e dolorose.
La sua assenza accanto a lei contava più di ogni altra cosa e sapeva benissimo che era lo stesso per lui.
La città era triste e monotona. Ad attenderla c’era sempre la solita gente con le solite facce. I soliti luoghi con le solite infelici situazioni.
Fu così che si ritrovò davanti Luca, un ragazzo che le era piaciuto molto. Lui aveva la ragazza, certo, ma tra loro due c’era qualcosa di speciale.
Tutto quello ora le sembrava triste, non romantico.
Luca le stava apparendo per quel che era: un ragazzo senza palle che adorava ciò che una donna poteva offrirgli più dell’amore.
Era triste.
Vederlo l’aveva resa ancora più disperata.
La mancanza di Tom in quel momento era davvero un’assenza corporea incolmabile.
Non avrebbe potuto scappare da lì, il suo migliore amico era cresciuto con Luca. Anzi, era stato proprio lui a presentarglielo.
Uscivano spesso tutti insieme. Si era resa conto tardi che la serata era proprio una di quelle.
Si salutarono scambiandosi i soliti convenevoli.
Luca le si avvicinò, chiedendole il motivo di tanta tristezza, pregustando già il momento in cui avrebbe potuto consolarla, giusto per il brivido di nascondere momenti eccitanti alla propria ragazza.
Rebecca aveva la nausea. Non voleva questo per sé. Non più.
Alzò lo sguardo e fissò un cielo senza stelle, offuscate dalle luci della città.
Dove avrebbe potuto ritrovare Tom?
Stava per piangere.
Il telefono squillò, rispose subito, senza quasi guardare il display che mostrava il nome di Tom.
- Ciao – rispose al tavolo senza allontanarsi. Sapeva che Luca e gli altri non erano abili con l’inglese – Mi manchi da morire. Vorrei fossi qui – non era mai stata così esplicita, ma il male che dentro la stava consumando l’aveva spinta ad aprirsi in quel modo.
Lo sentì sorridere – Anche tu, mio piccolo fiore. Anche tu – sospirò – Dove sei?
- In giro con amiche – fissò di nuovo il cielo, nella vana speranza di vedervi un bagliore – Non ti trovò più – ammise infine, con la voce strozzata.
- Perché non si vedono le stelle – rispose lui veloce, come se già avesse affrontato quel pensiero.
- Già – rispose Becca – Ma come fai a saperlo? – si riprese, dopo quella risposta così strana.
- Lo so perché sono con te.
Trovava molto carino il fatto che Tom cercasse di esserle accanto, ma una semplice telefonata non azzerava le distante, specialmente in un momento così buio.
Sospirò, senza sapere cosa dire.
Avrebbe voluto dirgli addio, ma non era per nulla facile rinunciare a lui.
Cercò di dire qualcosa, ma le uscì soltanto un brontolio sconnesso.
Tom aspettava, non aveva fretta.
Soltanto Lavinia, la sua amica fidata, si guardò attorno per cercare qualche faccia familiare. Quando quell’ultima le toccò un braccio, Rebecca si costrinse a concentrarsi sulle persone che la circondavano, in particolar modo l’amica.
Le fece un cenno con il capo per chiederle cosa voleva. Lavinia, di tutta risposta, alzò un dito ed indicò qualcosa alla propria sinistra, proprio alle spalle della ragazza.
Si voltò piano, le sembrava che il mondo stesse rallentando, mentre i battiti del cuore acceleravano.
Tom era lì, dietro di lei con il cellulare all’orecchio – Niente da dire? – le chiese nell’apparecchio.
Rebecca si alzò lasciando il telefono sul tavolo, gli corse incontro con talmente tanta forza da farlo arretrare di un passo quando entrarono in contatto.
- Sei qui? Perché? – era incredula. Non riusciva davvero ad immaginare una cosa simile. Troppo bella per essere reale.
Lanciò uno sguardo furtivo al tavolo da cui era arrivata – Che ne dici di allontanarci un po’?
Rebecca lo prese per mano e lo guidò lì vicino, su una panchina.
- Perché sei qui? – era curiosa e attenta, quella risposta le interessava davvero.
Tom le sorrise allegro, tenendole un braccio lungo le spalle – Davvero non lo sai?
Scosse la testa.
- Per te. È l’unico modo per stare con te.
Lo fissò incredula – Cosa vuoi dire? – di colpo le stelle erano più luminose. Le poteva vedere.
Non nel cielo sopra di loro, ma negli occhi di Tom.
Lui le prese le mani nelle proprie, facendola voltare appena – Ci ho pensato, e ho deciso. Io voglio provarci, Bex. Sono qui per mettermi in gioco. Non ti prometto che tutto sarà perfetto, perché non potrà esserlo. Ci saranno momenti belli e momenti brutti, facili e difficili. Ma io un’opportunità con te la voglio avere. Me la concedi? – sorrise, ma si sentiva tremare.
Ora che aveva esternato ciò che pensava, non si sentiva poi così sicuro. Dipendeva tutto da lei.
- Tom, certo… io sono la prima a volerlo ma, come fai con il lavoro? – era confusa, preoccupata e felice. Come potevano combinarsi tutte queste emozioni? Non riusciva a spiegarselo.
Alzò soltanto un angolo della bocca, più rilassato – Sai, alla squadra locale serviva un preparatore atletico… – e si indicò.
- No! – urlò quasi Rebecca – Non puoi farlo! Tu, l’Arsenal, il tuo sogno fin da bambino… – era talmente sconvolta da non riuscire a formulare una frase di senso compiuto.
Cercò di tranquillizzarla – L’Arsenal posso sempre seguirlo da tifoso. E poi, anche in futuro, mi riaccoglierebbero a braccia aperte. E poi è pur sempre calcio italiano, no? Il più famoso al mondo! Ora per me è importante stare qui.
Rebecca si appoggiò a lui, accarezzando con il naso il suo collo. Felice di poter ripetere ancora quel gesto – Sei sicuro? Potresti rinfacciarmelo.
Ridacchiò – Te lo rinfaccerò, probabilmente, e tu mi ricorderai di non avermelo mai chiesto – le sussurrò sfiorando con le labbra il lobo.
Rebecca rise, di una felicità che poche volte aveva provato prima. Non riusciva a capire come potesse aver incontrato una simile persona sulla propria strada. Inciampare in lui era stata la cosa più bella che le potesse accadere.
Non era innamorata ancora, ma a lui teneva. Sapeva che era solo questione di tempo.
Rise, come se fosse stata ubriaca.
- Cosa c’è? – le domandò coccolandola appena.
- Ed io che pensavo di venire a Londra per un paio di giorni. Questo è cento volte meglio – poi però si rabbuiò – Voglio solo che tu sia sicuro di quello che fai, e che la cosa ti renda felice. Specialmente per quanto riguarda il lavoro.
Era il suo modo per comunicargli quanto a lui tenesse. Dimostrarglielo preoccupandosi per lui era il modo che aveva sempre mostrato anche in vacanza, Tom lo sapeva.
- Sono felice. Voglio stare qui con te. Il lavoro non è un problema, faccio quello che mi è sempre piaciuto fare. Mi elettrizza pensare di avere a disposizione una nuova squadra. Sono sicuro. Te l’ho detto, è l’unico modo per stare con te.
- L’unico modo? – chiese a mo’ di conferma, avvicinandosi al suo viso.
- Esattamente – espirò per colmare la poca distanza tra le loro labbra.
- E allora sia così – disse prima di premere la bocca su quella di Tom.
Appose così una firma a quel contratto stipulato da due cuori, di cui unici testimoni furono le stelle, che misero la parola fine al loro capitolo.
Facendo iniziare un altro libro, ancor più luminoso.

 

F I N E

***

 

Buon pomeriggio a tutte! E' la prima volta che scrivo una storia originale, spero di avervi incuriosite.
Se vi va, fatevi un giro nella mia pagina autore, troverete un sacco di cose. A presto, Cris.

   
 
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