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Autore: BelleAmie    09/08/2011    3 recensioni
Ron ed Hermione partono per l'Australia alla ricerca dei signori Granger, i quali credono di chiamarsi Wilkins e di non avere alcuna figlia. Durante le loro ricerche, i nostri eroi confrontano alcuni demoni interiori, incontrano persone bizzarre, approfondiscono la loro relazione, guardano bei tramonti e si perdono molte delle attrazioni di Sydney. Ron/Hermione.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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II. New South Wales

 

 

 

‹‹Incantesimo Parola-Chiave, utile per fare bella figura quando si scrive un tema,›› spiegò Hermione qualche ora dopo, mentre sedevano in una piccola tavola calda poco lontana dall’hotel. Erano entrati ed usciti da una dozzina di bar, pub, risto-pub e risto-bar, trovandoli sempre pieni. Quella tavola calda un po’ triste si era rivelata, nella sua tranquilla solitudine, ideale.

Teneva la mano infilata nella sua borsa magica, stretta attorno alla bacchetta. ‹‹Cerca di coprirmi. No, aspetta, credo che stia ancora guardando da questa parte.››

‹‹Ora è tornato in cucina.››

‹‹Ok, un due tre.›› Estrasse la bacchetta e diede un colpetto al grosso tomo delle Pagine Bianche di Sydney e regione. ‹‹Wilkins!›› ordinò al libro. Rinfilò la bacchetta nella borsa e si guardò attorno. Non li aveva visti nessuno. Non c’era nessuno.

‹‹Sarebbe tornato utile con qualcuno di quei temi di Trasfigurazione,›› borbottò Ron. Sembrava ancora un po’ scosso, o forse, ragionava Hermione, era scosso dal fatto di essersi mostrato così vulnerabile davanti a lei. Evitava con nonchalance di guardarla negli occhi, preferendo dedicarsi al suo sandwich al pollo e alla sorveglianza dei fantomatici avventori della tavola calda.

Il libro si era illuminato per un istante, e poi gli angoli di qualche pagina si erano piegati da soli.

Ron diede un morso al suo sandwich e indicò il libro. ‹‹Bè, apri, no?››

Non ce n’erano molti di Wilkins, e di Wendell e Monica Wilkins ancora meno. I pochi portatori di quel cognome di solito venivano inghiottiti da una torma senza fine di Wilkinson.

‹‹Allora, abbiamo un Wendell Wilkins qui a Sydney e uno a Parramatta -››

‹‹ Parracosa?››

‹‹Parramatta, Ron. Sarà aborigeno… E abbiamo anche una Monica Wilkins qui a Sydney.››

Un altro morso al sandwich e giù un sorso di succo d’uva. ‹‹Quindi ora che facciamo?››

‹‹Bè,›› disse Hermione, annotando nomi e numeri su un tovagliolo. ‹‹Telefoniamo, no?››

Camminarono nella generale direzione del centro, sbucando su Victoria Street, un lungo corso residenziale e commerciale che andava a finire, per coincidenza, ad una stazione di King’s Cross. Furono circondati in pochi secondi da una folta e variegata folla di gente intenta a far compere e dal rumore e lo smog del traffico all’ora di punta.

Era strano ritrovarsi nella civiltà Babbana in quella maniera così brutale. Avevano trascorso un anno in una solitudine quasi totale, ed ora erano in mezzo ad una delle vie più affollate di Sydney, con Sydneysiders e turisti e ragazze alla moda e ragazzi punk e mod a godersi il sole di una bella giornata d’autunno. I cartelloni elettronici informavano di questo o quel prodotto in pubblicità e dai negozi usciva musica Babbana che non aveva mai sentito prima. Qui non c’era stata nessuna guerra, nessun Voldemort; gli abitanti di Sydney, maghi e non, non avevano sentito il freddo dei Dissennatori, non avevano vissuto il terrore. Se non fosse stato per il fatto che avevano sofferto le conseguenze della guerra sulla loro pelle, sarebbe stato difficile credere che ci fosse mai stata una guerra, e che loro ne erano stati i protagonisti. L’Inghilterra, in quella mattina così incredibilmente Babbana, non era mai sembrata più lontana.

‹‹Strano, eh, stare in mezzo a tutta questa gente,›› disse Ron.

‹‹Vero. Ho come – hai presente? – l’istinto di voltarmi e…››

‹‹… controllare di non essere seguita.››

‹‹Sì.››

Ron annuì e le strinse più forte la mano nella sua.

Trovarono una cabina libera e funzionante (due condizioni spesso auto-escludenti) in una strada laterale di Victoria Street.

‹‹Coraggio,›› si disse Hermione mentre digitava il numero di telefono del primo Wilkins.

A rispondere fu un uomo con una voce calda e possente che non apparteneva, nemmeno lontanamente, a suo padre. ‹‹Buongiorno?››

‹‹Non è lui, Ron.››

‹‹Scusi chi dovrei essere? Chi è lei?››

‹‹Ho sbagliato numero - scusi il disturbo signor Wilkins, buona giornata.››

‹‹Allora l’altro,›› disse Ron con tono incoraggiante, inserendo una moneta con fare esperto e dettandole il numero del Wilkins di Parramatta.

Fu una conversazione breve e surreale. Il Wilkins di Parramatta esordì annunciando che no, non gli interessavano le sue lavatrici il tostapane in omaggio – li aveva già tutti e due, grazie tante – e continuò, riempiendo il silenzio attonito di Hermione, esclamando che, nel caso fossero Testimoni di Geova, in quella casa erano dei ‘maledetti satanisti’. A contorno, sghignazzi, pianto di un bambino piccolo e l’abbaiare continuo di un cane. Hermione attaccò senza nemmeno replicare. ‹‹Era un tipo strano,›› spiegò, vagamente sconcertata.

La loro ultima speranza, la signora Monica Wilkins di Sydney, si rivelò essere una nonna sulla settantina che aspettava una telefonata dal Centro Gesuita di Wollongong per un ritiro spirituale nell’outback. Incapace di attaccare in faccia ad una povera signora anziana, Hermione cercò di convincere la signora che lei no, non era la segretaria del Centro, ma poi, sconfortata dall’incipiente sordità della signora si risolse ad attaccare la cornetta e rivolgere un sospiro sconfortato nella direzione generale di Ron.

‹‹Sarebbe stato troppo facile, eh?›› disse sforzandosi di sorridere.

‹‹Un tantino,›› concesse Ron, mettendole un braccio attorno alle spalle.

Rimasero in silenzio qualche istante a capo chino.

‹‹Sto pensando.››

‹‹Anche io.››

La risposta arrivò solo un paio di giorni dopo. Si stavano riposando ad Hyde Park dopo un’altra mattinata infruttuosa. Avevano controllato altri elenchi, perfino chiesto in giro, mostrato fotografie a un centinaio di persone. Le loro ricerche li avevano portati a sfiorare le attrattive della metropoli senza mai soffermarsi su di esse, come quegli uomini d’affari che viaggiano solo per lavoro e conoscono più la loro camera d’albergo che le città che visitano decine di volte. Avevano telefonato ad Harry (allo scopo Hermione gli aveva regalato un cellulare, ‹‹Più pratico dei gufi››) e avevano scoperto che a Grimmauld Place lo avevano visitato Ginny, Neville e Luna. Ron aveva urlato nella cornetta e Ginny gli aveva dato dell’idiota per averle perforato un timpano; poi la telefonata era finita e si erano ritrovati al parco. Sempre di più aveva l’impressione che forse i Wilkins si erano trasferiti; eppure fu proprio in quel momento, mentre osservavano i gialli e i rossi autunnali delle piante europee e palme ed eucalipti (quella era la bellezza dei parchi australiani, che si chiamavano Hyde Park e poi avevano piante tropicali), che le loro ricerche subirono una svolta.

Ron attaccò a parlare dal nulla. ‹‹Bè, hai detto che sono denti… dentie…››

‹‹Dentisti, sì.››

‹‹Bè, magari quando sono venuti qua avranno cercato un lavoro, no? Bene, magari hanno chiesto in qualche posto molto grosso per iniziare… c’è qualcosa come un Ufficio Dentisti? Qualcosa del genere? Dove vai e ti registri? Perché se hai detto che non conoscevano nessuno qui…››

Hermione lo guardò, vagamente stupita, poi, dopo aver sospirato un ‹‹Geniale, Ron›› si lanciò contro di lui, baciandolo con passione.

Pranzarono, un po’ sonnolenti, in un piccolo pub nei pressi di Hargrave Street. L’umore di Ron era migliorato considerevolmente dopo che Hermione aveva riconosciuto l’intelligenza del suo piano, e si premurò di indagare, Pagine Bianche alla mano, quale fosse il luogo che cercavano. Dopo il pranzo, ritornarono all’albergo per un pisolino, mentre delle nubi celavano l’allegro sole del mattino; quando uscirono, la luce della città era diventata grigia e cupa.

Il Dental Centre di Sydney era un grande edificio, sicuramente concepito dal suo architetto come un esempio di funzionale ma attraente architettura moderna. Il risultato, tutto cemento e vetro, ricordava vagamente, nella forma, la corona di un dente. Al suo interno c’era un tranquillo via-vai di dentisti, infermiere e pazienti addossati alle poltroncine affisse ai muri. Le pareti erano tutte dipinte di una serie di colori allegri e rassicuranti come il verde tropicale e l’arancione. Ad ogni dove, muri, vasi delle felci, i tavolini e perfino la parte inferiore del bancone informazioni, erano appesi i soliti, altrettanto rassicuranti e sorridenti poster degli studi dentistici: inviti alla corretta igiene dentale, inviti alla corretta ortodonzia in età pre-puberale (ma non c’era da preoccuparsi: i denti storti potevano essere corretti anche da adulti, diceva un altro poster), inviti a provare la nuova tecnica di sbiancamento, e, per completare il quadro, qualche stomachevole ‘prima’ accanto ad un lindo e bianchissimo ‘dopo’.

Solo entrare in un luogo del genere le fece venire dentro una grande nostalgia. Da piccola aveva sognato di lavorare in un posto del genere.

“Sarò una dentista come te, papà,” aveva detto. “Voglio curare tante persone. Sarò la migliore.” Aveva ripetuto le stesse cose il giorno prima che le arrivasse la lettera da Hogwarts. Strano come la vita avesse stravolto tutto.

Ron dal canto suo pareva soltanto affascinato.

‹‹Questo è davvero uno strano posto… Ferro in bocca…›› mormorò, mentre facevano la fila dietro al banco delle informazioni. ‹‹Ma fanno male queste cose?››

I dolori di tre anni di ortodonzia infantile le punsero la mucosa molle all’interno della guancia. Senza accorgersene ripassò la lingua sulle cicatrici che le avevano provocato i fili dell’apparecchio. ‹‹Sì. Tanto male, credimi.››

‹‹Sono pazzi,›› disse Ron. ‹‹Fare queste cose a dei bambini piccoli…››

 L’elegante signora davanti a loro, che conduceva per mano un bimbo biondo visibilmente tremante, si girò e scoccò loro un’occhiata di rimprovero; poi, forse notando l’aria un po’ curiosa che dovevano avere tutti e due, con il loro aspetto ancora un po’ ammaccato e il livido di Ron in bella mostra (una folata di vento era bastata per rivelarlo), la sua espressione mutò in una di accigliata disapprovazione e fece due veloci passi avanti.

Quando arrivò il loro turno ed ebbero spiegato che desideravano parlare di una cosa piuttosto urgente in segreteria, vennero condotti nel retro del banco informazioni, in una sala grigia e spaziosa. Seduta ad una scrivania di legno bianco c’era una donna bionda sulla quarantina che inseriva dei dati in un massiccio computer color topo.

La donna si soffermò un istante più del dovuto sui loro visi, poi ritornò al monitor.

Clic, clic. ‹‹Buongiorno, sono Patti. Come posso aiutarvi?›› Clic, clic.

‹‹Buongiorno,›› esordì Hermione con un sorriso che intendeva essere rassicurante. ‹‹Io sono Felicity Wilkins e sto cercando mio zio che si è trasferito in Australia un anno fa. Mi può aiutare?››

Clic. Patti, che probabilmente si aspettava di tirar fuori un preventivo o discutere di un metodo di pagamento, drizzò il capo alla menzione di un piccolo intrigo familiare.

‹‹Mio zio e sua moglie sono due dentisti e sono arrivati un anno fa a Sydney. Più precisamente i primi giorni di luglio dell’anno scorso. Credo che abbiano chiesto qui per iniziare… questo è il più grande centro dentistico di Sydney, no?››

‹‹Esatto,›› rispose Patti con un certo orgoglio. ‹‹Ha detto Wilkins? Mi ricordo di un Wilkins…Ma non lavora qui…››

Hermione estrasse prontamente due fotografie e gliele passò. ‹‹Ha il loro fascicolo? Che fine hanno fatto?››

Patti si sistemò gli occhialini sul naso ed incrociò le braccia sul tavolo. ‹‹È che non posso aiutarvi, ragazzi. Sono informazioni confidenziali, non posso mostrarvi le copie dei curricula che ci vengono portati… E poi non sono io che me ne occupo, queste cose le fa Emily e io…››

‹‹Ma… per favore…››

‹‹Ve l’ho detto, ragazzi, di queste cose io non ne so nulla,›› disse la donna, ‹‹Emily oggi non c’è, se ripassate domani, forse lei potrà aiutarvi. Mi dispiace molto.›› Sembrava vagamente imbarazzata; si voltò per digitare qualcosa sulla tastiera e poi si chinò per estrarre un floppy disk.

Accanto a sé, Hermione avvertì un movimento rapido, un guizzo sulla sedia di Ron. Quando Patti si girò di nuovo verso di loro, la sua espressione era una di educata confusione.

‹‹Allora non è un problema, vero?›› chiese Ron, cordiale.

Uno sguardo di traverso e vide che Ron aveva estratto la bacchetta, tenendola nascosta sotto al tavolo. Non solo chiunque fosse entrato in quel momento avrebbe potuto vederlo, ma per di più era una cosa assolutamente scorretta.

‹‹Oh, io, insomma, non so…. Ma forse… sì, sì, sì, non è un problema, insomma, perché dovrebbero esserci problemi… aspettate un attimo…››

La donna si alzò e ciondolò verso le grosse scaffalature a muro. Aprì un grosso cassetto a carrello e iniziò a frugare placidamente tra le cartellette che conteneva.

‹‹Cos’hai fatto?›› sibilò Hermione.

‹‹Quello che andava fatto.››

Patti rimase quasi due minuti alla ricerca, e poi ritornò. ‹‹Ecco… ma io non so…››

Ron le prese il foglio dalle mani. ‹‹Non c’è nessun problema, Patti. È stato un piacere conoscerla, e grazie ancora per la disponibilità.››

Poi se ne uscì dalla stanza di buon passo, sicuro che Hermione lo avrebbe seguito adorante. Quando furono fuori, si fermò trionfante davanti a lei, tenendo alto il curriculum di Wendell Wilkins e sorridendo come se avesse appena vinto una partita a Quidditch; ma non appena vide l’espressione di Hermione si rabbuiò.

‹‹Cos’ho fatto adesso?››

Non sapeva come dirlo. Un’idea le turbinava nel cervello ma non riusciva ad associarla a delle parole. I neuroni del lobo frontale erano in subbuglio. Allarme rosso. ‹‹Quello che hai fatto. L’hai… le hai lanciato un incantesimo, così… una Babbana -››

‹‹L’avrei fatto anche se fosse stata una strega, eh -››

‹‹Sì ma – è diverso…non hai rispettato la sua volontà… Non capisci? Lei non poteva difendersi -››

Ron la guardava come se avesse perso la testa. Una parte di lei non lo biasimava. Sapeva che quello che stava dicendo faceva a pugni con il loro obiettivo. Eppure, eppure…

‹‹Bè, se è così,›› disse Ron, impallidito ed offeso, ‹‹fai pure, prendi questo foglio, non leggere nemmeno dove sta e riportaglielo. La Cosa Giusta, no?››

‹‹Ron, non voglio litigare -››

Ron sbuffò. ‹‹No, certo, però va bene darmi del razzista contro i Babbani.››

‹‹Non era quello che volevo dire,›› replicò Hermione a bassa voce. ‹‹È solo che... ›› Ma non le veniva in mente nulla. Non sapeva nemmeno lei perché l’azione di Ron le avesse suscitato dentro quell’indignazione. Alla fine, a Patti non sarebbe successo nulla, no? Con ogni probabilità non se lo sarebbe nemmeno ricordato… ‹‹Lascia stare,›› disse alla fine con un sospiro. ‹‹Ho esagerato. Mi dispiace.››

La posa rigida di Ron si rilassò all’istante, e le lanciò un’occhiata nervosa. ‹‹Allora cosa vuoi fare?››

‹‹La cosa sensata da fare, andare all’indirizzo scritto lì sopra,›› replicò Hermione, sentendosi di nuovo una persona razionale e composta.

 

 

Wendell Anthony Wilkins era un dentista nato a Poole, Dorset, il 14 maggio 1947, la cui carriera scolastica e lavorativa coincideva in ogni dettaglio con quella di Louis David Granger, fino all’analoga conoscenza del tedesco (da giovane aveva sognato di fare il traduttore, ma Nietzsche offriva meno sicurezze delle carie). Abitava assieme alla moglie (non identificata nel curriculum) al numero 21 di Kentish Street in un sobborgo residenziale a quindici chilometri a nord del centro città. Sull’autobus che li portò in zona, Hermione, che si trovava nella difficile situazione tra il sentirsi realmente scossa per l’incidente di prima e il dover fingere di essere ancora un po’ arrabbiata, dovette contenersi dal guardare l’orologio ogni minuto. Trenta minuti sembrarono divenire sessanta, poi centoventi…

Arrivarono a Kentish Street alle cinque del pomeriggio, quando il sole già tramontava. Era un quartiere tranquillo popolato da graziosi bungalow bianchi coi tetti in tegole arancioni e curati giardinetti sul fronte. Vari bambini in giacchetta giocavano sull’erba tra le palme nane, altri cercavano di bagnarsi le scarpe saltando su rivolo d’acqua che scendeva giù per la strada, sull’asfalto. C’era odore d’erba umida nell’aria: qualcuno doveva aver annaffiato il suo prato. Delle macchine passavano sporadicamente, precedute a volte dal suono attutito dell’impianto stereo.

Il numero 21 era uno di quei bungalow, col suo prato, la sua palma nana e anche, notò Hermione con un vago fremito d’orrore, un nano da giardino semi nascosto dietro ad una felce. Aveva cancellato il buon gusto dei suoi genitori, oltre alla loro memoria di lei?

‹‹E così eccoci qui,›› disse Ron. ‹‹Facile.››

Anche lui stava simulando di essere ancora irritato con lei.

Hermione si sentiva un groppo in gola. ‹‹Andiamo.››

Percorse quasi correndo il vialetto d’ingresso e poi suonò il campanello.

Chi avrebbe aperto?

La sua mente fu attraversata da un’immagine di suo padre, abbronzato come non era mai stato, subito seguita da un’immagine di sua madre, più bella di come se la ricordasse. Si asciugò le mani sudate sui jeans e lanciò un’occhiata a Ron. Sempre al suo fianco. All’improvviso non aveva più voglia di fingere di essere arrabbiata con lui.

‹‹Buona-›› attaccò Hermione non appena sentì lo scattare della porta, ma quasi sobbalzò quando vide che ad aprire la porta non era certamente uno dei suoi genitori, ma una giovane donna rossa di capelli con un bimbo di pochi mesi bilanciato precariamente sui fianchi. A completare il quadretto alieno, un paio di barboncini si ricorrevano ai suoi piedi.

‹‹Buonasera…?››

‹‹Ecco, noi, vede – pensavamo che qui abitassero i coniugi Gr – Wilkins,›› spiegò Hermione, incespicando sulle sue stesse parole. ‹‹È il numero 21, giusto?›› chiese banalmente, visto che un grosso ‘21’ era scritto sulla mattonella del numero civico.

‹‹Sì,›› disse la donna col suo forte accento australiano, ‹‹ma può darsi che se ne siano andati. Non so chi ci stesse qui prima di me.››

‹‹Oh, capisco, e il padrone di casa…?››

La donna fece un mezzo passo fuori dalla casa ed indicò con la mano libera un punto vago in lontananza, giù per la strada. ‹‹La signora Hughes, abita al numero 87, in fondo a questa via.››

Hermione la ringraziò, un po’ frastornata, e nemmeno i mosci tentativi di fare dell’umorismo di Ron riuscirono a sollevarla dalla scottante delusione.

‹‹Non sarebbe stato all’altezza della nostra reputazione, no?›› offrì Ron, mettendole un braccio attorno alle spalle. ‹‹Voglio dire, siamo Ron Weasley ed Hermione Granger. A noi non piacciono le cose troppo facili. Cosa penserebbe Harry di noi, altrimenti?››

Fu con molta meno trepidazione che bussarono al numero 87. Si videro aprire la porta da una vecchina rotonda, con pelle di pergamena e penetranti occhi blu. Quando li vide i suoi occhi diventarono due fessure piene di diffidenza, poi, non appena ebbero spiegato che erano Felicity Wilkins e Randall Nott (per il sommo dispiacere di Ron, il primo cognome che gli venne in mente) e che cercavano uno zio di lei ed avevano ottenuto quell’indirizzo al Dental Centre di Sydney, l’anziana donna fu mossa a tale pietà che li invitò in casa, li fece sedere al tavolo della sua graziosa sala da pranzo e offrì loro torta e caffè.

Felicity rispiegò di nuovo come stavano le cose, e, per infiocchettare il tutto, aggiunse dei dettagli inventati di sana pianta, come una malattia grave di Monica Wilkins e la voglia matta dei due coniugi di lasciare la piovosa Inghilterra.

‹‹Ah, la mia cara mamma era inglese,›› disse la signora, versando loro altro caffè. ‹‹Emigrò con la sua famiglia qui a Sydney nel 1902. E sapete una cosa? In sessant’anni non mi ha mai detto di provare nostalgia dell’Inghilterra! Senza offesa, certo,›› aggiunse, come ricordandosi di avere due interlocutori inglesi.

‹‹Comunque la vostra è una storia così commovente,›› decretò. ‹‹Così tanto. Siete una coppia bellissima,›› aggiunse, quasi mettendosi a piangere.

‹‹I Wilkins erano brave persone, mi dispiace che se ne siano andati. Mai un pagamento in ritardo. Non so dove siano andati esattamente… Sono già sei o sette mesi…››

‹‹Nemmeno la città?›› incalzò Hermione.

‹‹Bè sì. Avevano detto…›› si guardò un po’ attorno, come se cercasse aiuto dai muri, ‹‹sono vecchia, me le scordo queste cose… Ma mi sembra, sì, ecco, avevano detto Newcastle.››

‹‹Newcastle? In Inghilterra?›› esclamò Ron con gli occhi spalancati.

‹‹Ma no,›› abbaiò la vecchia. ‹‹Newcastle qui vicino. È a un paio di ore di macchina da qui.››

Furono le uniche informazioni che riuscirono ad ottenere da lei. La salutarono in fretta, prima che potesse continuare il discorso che aveva intrapreso, sulla sua cara nipote che abitava a Newcastle ed era tanto in carriera, appena tornata da Singapore, sapete; fecero la strada inversa, alla volta della fermata di un autobus che li potesse riportare in centro, discutendo sul da farsi.

‹‹Secondo me è meglio aspettare domattina,›› disse Ron. ‹‹Non ha senso andare fin lì adesso, col buio.››

‹‹Ma potremmo…››

‹‹Li abbiamo praticamente trovati! Voglio dire, ora sappiamo la città esatta. È più piccola questa Newcastle, vedrai che - ›› argomentò Ron, mentre aspettavano alla fermata. ‹‹Oh, grande, ora ha anche iniziato a piovere…››

Cadevano gocce grosse come chicchi d’uva sulle loro teste. Hermione tirò fuori l’ombrello dalla borsetta.

‹‹Allora?›› chiese Ron.

‹‹Forse hai ragione. Ora siamo stanchi. Ho una gran voglia di dormire.››

‹‹Così mi piaci,›› disse Ron, e le posò un bacio sulla testa.

‹‹Grazie,›› mormorò Hermione, spingendosi un po’ di più verso di lui. ‹‹Senza la tua idea geniale saremmo ancora in alto mare.››

‹‹Ho un talento per risolvere le situazioni estreme,›› replicò Ron.

E scoppiarono a ridere tutti e due, lì sotto il loro ombrello e la pioggia, circondati dai bungalow bianchi di un sobborgo residenziale di Sydney.

 

 

*

 

Nota dell’autrice.

Una cosa che mi sono dimenticata di aggiungere alle note dello scorso capitolo: la storia del presunto divorzio dei genitori di Hermione non è una mia invenzione, ma un dettaglio che la Rowling ha discusso in un’intervista. In origine aveva pensato di introdurre questo elemento nella trama dell’Ordine della Fenice, ma poi ha deciso di evitarlo, ritenendolo superfluo alla trama principale.

 

Ovviamente ringrazio tutti coloro che hanno commentato l’ultimo capitolo e hanno messo la storia tra preferite, seguite e ricordate. Grazie:)

  
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