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Autore: Gufo    10/08/2011    1 recensioni
dal primo capitolo: "Ginny contemplò la sua immagine distorta nell’ultimo rimasuglio di tè. Era una debole.
Non era riuscita a capire che il diario fosse stregato:
stupida.
Non sapeva come muoversi nella scuola, non aveva grandi amicizie e se ne stava da sola, in cerca di lui:
sfigata.
I suoi voti non erano alti, solo nella media, come il suo aspetto:
mediocre.
Aveva fatto la figura della stupida bambinetta innamorata di un principe azzurro, ogni volta che Harry le rivolgeva la parola lei ammutoliva e scappava imbarazzata:
codarda."
La nostra Ginny è di uomor nero dopo il suo primo anno a Hogwarts e ciò le farà commettere anche sciocchezze, come fare un patto con Draco e litigare con la sua famiglia. Ma Ginny è una bambina, una bambina che può essere ingannata, specialmente da chi non si fa scrupoli nel giocare con i sentimenti altrui.
Inizia missing moment e finisce ooc, si arrotola e si ingarbuglia fino alla fine, tutti e tutto hanno una maschera e la verità non è mai quella che sembra.
♪{dedicata a Paulag}
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ginny Weasley, Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4, Contesto generale/vago
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Sapete che c’è? Che prima di andare al mare volevo ricominciare a scrivere fan fiction, che è un’estate noiosa e che ho tempo da perdere, che ho rivisto “About Ginny” nella mia cartella e l’ho dovuta correggere e ri-postare, perché era un regalo, è un regalo, per Carola. E lei non sarà contenta, perché sì, ho deliberatamente stravolto i personaggi partendo da un missing moment e andando in un universo alternativo... quindi siete tutti avvisati, pian piano tutto si ingarbuglierà.

Qui si gioca con sentimenti.

E ora vi lascio al primo capitolo, spero di rivedervi al prossimo,

Gufo

 

è Il titolo del capitolo è una frase della canzone “The speed of pain” di M.Manson  (much love for him), tradotto letteralmente sarebbe “e ricorda, quando pensi di essere libero, la crepa nel tuo f*** cuore sono io.

 

 

 

And remember, when you think you’re free,

the crack inside your f*** heart is me

 

Era una mattinata tranquilla, alla tana: il sole splendeva già alto e caldo nel cielo, un po’ troppo caldo per essere ancora  Luglio.

Fred e George cercavano di catturare qualche nano in giardino, per testare nuovi dolcetti magici; Ron, Hermione ed Harry erano in cucina a fare i compiti; gli altri erano usciti per delle commissioni.

Ginny, però, aveva solo finto un impegno e si era ritrovata da sola in un piccolo bar lontano dal centro, a Diagon Alley.

 

Il ventilatore andava a pieno regime, c’era una frescura invidiabile e davanti a lei stava l’ennesimo tè ghiacciato della mattinata, eppure Ginevra Molly Weasley non riusciva a rilassarsi: troppi pensieri le vorticavano in testa e un senso di completo disagio la attanagliava.

Mentre con i candidi denti mordicchiava la cannuccia e con le mani giocava con la condensa del bicchiere, lo sguardo vagava nel vuoto, fissandosi ora su questa ora su quella faccia, guardando tuttavia con la coda dell’occhio la porta, pronta a scattare e nascondersi se qualcuno di familiare avesse varcato la soglia.

Ma che cos’era che l’angustiava a tal punto di mentire alla sua famiglia e di defilarsi nonostante ci fosse Harry a casa sua?

Innanzitutto lei si riteneva una stupida e anche un’incompresa: era maturata molto nell’ultimo periodo ma nessuno se ne rendeva conto, del resto come avrebbero potuto? Un anno fa non stava nella pelle all’idea di frequentare Hogwarts, non tanto per le lezioni quanto per vedere e conoscere finalmente Harry. Lui era il suo amore platonico fin da quando l’aveva visto al binario, quando era andata ad accompagnare i fratelli al treno.

Ginny soffiò aria nella cannuccia, cominciando a far le bolle nel tè, quel borbottio le facilitava la riflessione, dava un suono al ribollire di pensieri che aveva in testa.

Correzione al pensiero precedente: la sua non era una “cotta per Harry”. Lei si era innamorata dell’immagine che tutti avevano di lui: il bambino sopravvissuto, l’eroe che sconfisse Voldemort, il salvatore del mondo magico, il prescelto. Certamente uno come lui avrebbe avuto un grande potere e sarebbe stato buono, lui sarebbe stato diverso dagli altri e sensibile.

Sì - pensò con ironia Ginny continuando a soffiare ne tè e corrugando le sopracciglia- buono, bravo, bello, coniglietti rosa, arcobaleni e unicorni e blablabla, quante stupidate.

E dire che qual famoso giorno, al suo primo “incontro” con lui, avrebbe voluto salire sul treno e chiedergli una foto, un autografo, ma sua madre non aveva voluto, si era fermamente opposta, l’aveva trascinata via quasi ancor prima che partisse il treno, cosa che non aveva mai fatto in tutti gli anni che aveva accompagnato gli altri. Ora la ringraziava, non avrebbe sopportato di essere accumunata da Harry e gli altri alla miriade di ochette urlanti che lo seguivano solo per la sua fama, ma allora c’era rimasta davvero male.

Aveva passato l’anno successivo (l’ultimo prima di poter andare a Hogwarts!) a fantasticare del suo ingresso nel mondo giallo-oro di Grifondoro (non aveva alcun dubbio che sarebbe stata smistata lì): Harry era diventato il migliore amico di suo fratello Ron (l’aveva saputo dalle lettere che sua mamma leggeva a cena), l’avrebbe conosciuta e, certamente, sarebbe finito per innamorarsene. Perché lei era speciale.

E invece l’anno che aveva trascorso a Hogwarts si era trasformato in un incubo.

Il ghiaccio nel bicchiere si era sciolto del tutto, Ginny guardò nel bicchiere e bevve un gran sorso per cercare di frenare l’istinto di piangere.

Il suo smistamento era stato quasi perfetto: era arrivata con gli altri alunni del primo anno e lei era indubbiamente una delle più carine, con la divisa e i capelli ben in ordine, era avanzata verso lo sgabello e si era seduta senza inciampare o fare movimenti bruschi (si era esercitata molto con le seggiole di casa per evitare brutte figure); il cappello l’aveva assegnata a Grifondoro e il tavolo della sua casa era esploso in un boato di gioia.

Peccato non ci fosse Harry. E già dall’inizio poteva anche prevedere che il resto sarebbe andato peggio, ma non era una veggente, lei. Solo un’illusa, una sognatrice.

Aveva fatto tutta una scena, tanto esercizio anche, per nulla: lui non l’aveva vista e lei non l’avrebbe visto se non la mattina dopo, a colazione, dall’altro capo del tavolo, quando era immerso in una conversazione fittissima con suo fratello. Nessuna possibilità di conoscersi, quindi. Non che lei non avesse fatto un tentativo. E due, e tre, e centomila nei giorni a seguire, ma era sempre stato inutile, al più la considerava come “la sorellina di Ron”, una che andava bene se c’era ma di cui non si sentiva la mancanza.

Passavano così le settimane e i mesi, lei sfogava le sue frustrazioni su un diario che le rispondeva come una vera amica; l’aveva trovato tra i suoi libri, credeva fosse un inaspettato regalo da parte dei suoi genitori, come incoraggiamento per il suo primo anno lontana da casa, che non le avessero voluto dire nulla perché a quanto le risultava gli altri suoi fratelli non avevano avuto nessun regalo prima di partire. Purtroppo quel regalo così apprezzato era ben altro: un oggetto magico oscuro, che si era impossessato di lei e le aveva fatto fare cose orribili. Solo a questo punto Harry si era accorto di lei.

Come l’aveva vista?

Ginny contemplò la sua immagine distorta nell’ultimo rimasuglio di tè. Era una debole.

Non era riuscita a capire che il diario fosse stregato:

stupida.

Non sapeva come muoversi nella scuola, non aveva grandi amicizie e se ne stava da sola, in cerca di lui:

sfigata.

I suoi voti non erano alti, solo nella media, come il suo aspetto:

mediocre.

Aveva fatto la figura della stupida bambinetta innamorata di un principe azzurro, ogni volta che Harry le rivolgeva la parola lei ammutoliva e scappava imbarazzata:

codarda.

Lui non la cercava mai, la salutava appena mentre passava nei corridoi e solo perché era la sorellina del suo miglior amico. A lui non era mai interessato conoscerla.

Dato che era quasi mezzogiorno, si alzò e pagò i suoi innumerevoli drink, poi se ne tornò a casa: alla Tana non eran permessi malumori, si doveva sempre sorridere ed andare avanti, anche se dentro ci si sentiva morire.

 

Alla Tana Molly Weasley stava preparando il pranzo, vide entrare la figlia e le rivolse un sorriso: erano un po’ di giorni che si trovava con le amiche a studiare, stava diventando proprio brava, una figlia perfetta. Lei credeva che quel brutto episodio del diario l’avesse scottata, invece si era dimostrata forte: non solo aveva combattuto contro quella cosa schifosa cercando di liberarsene, ma dopo aveva chiesto più volte perdono e si era castigata da sola, ora stava dando prova di essere degna della loro fiducia. Non che prima non lo fosse, certo; chi può mai pensare di ritrovarsi tra le mani un oggetto talmente oscuro?  Lei aveva detto che pensava fosse un loro regalo.

Sì incupì. Loro non le avevano mai fatto molti regali e Ginny non si era mai lamentata, le era sempre andato bene così, però c’era qualcosa di inespresso in lei, glielo si poteva leggere nel profondo degli occhi, come se avesse dei desideri segreti che si vergognava a confessare per paura di essere derisa. Non fosse stata la più piccola e unica figlia forse avrebbe avuto meno problemi a chiedere apertamente tutto ciò che voleva sapere o avere.

Il fatto di doversi confrontare con così tanti fratelli, tutti maschi, forse la metteva in soggezione. Una ragazza ha esigenze diverse dai ragazzi e forse Ginny si sentiva fuori posto, ma d’ora in avanti ci avrebbe pensato lei a darle occasione di “parlare tra ragazze”.

Ridacchiò.

E poi c’era Hermione e le sue amiche di scuola. Sarebbe stata bene, sarebbe diventata una donna stupenda.

 

 

Altra giornata, altro drink.

Ginny seduta allo stesso tavolo dello stesso bar ordinò un succo d’arancia e limone.

Era una bevanda diversa ogni giorno, la solfa si ripeteva identica ormai da una settimana circa.

Anche oggi aveva detto che si doveva incontrare con un’amica per fare un compito particolarmente difficile, ma senza l’aiuto offerto (e non richiesto) di Hermione Granger, la più brava di tutta Hogwarts.

Certo le dispiaceva averle mentito, averla fatta rimanere alla Tana, lei sola con Molly e tutti gli altri maschi (probabilmente impegnati a giocare a Quiddich), sicuramente si sarebbe annoiata, avrebbe fatto dei compiti (se ancora gliene rimanevano), avrebbe aiutato sua madre nelle faccende domestiche non osando rintanarsi in un cantuccio con un libro per non sembrare ingrata dell’ospitalità. Tuttavia era Hermione che aveva accettato di trascorrere un po’ delle sue vacanze alla Tana, evidentemente lei voleva stare con i suoi due amici: Harry e Ron. Loro non erano vere amiche, altrimenti Hermione le avrebbe parlato di più a Hogwarts, l’avrebbe fatta inserire nel gruppo, in fondo su tre componenti ne conosceva uno (e anche molto approfonditamente), se avesse fatto amicizia con l’altro, il terzo avrebbe dovuto accettarla come amica. E se quel terzo era Harry e chi poteva farla accettare era Hermione e così non era stato... bhè, non c’era nessun motico perché si dispiacesse se “Hermy” si annoiava, no? E comunque, a giustificarsi, non avrebbe comunque potuto accettare un aiuto su un compito che non c’era.

Madama Doréssa la guardò da dietro il balcone, non le piacevano le ragazzine sole a perdere tempo nei bar; sapeva che di solito si rifugiavano lì per isolarsi, turbate da qualcosa, ma nondimeno era sempre pericoloso fermarsi a lungo nello stesso bar: una buona fetta della clientela abituale non era gente raccomandabile per una ragazzina di, quanti? Dodici o tredici anni? Tutti si potevano approfittare della sua ingenuità.

Ginny, sconsolata, sospirò e affogò nel suo primo bicchiere di succo. Stava guardando i rimasugli sul fondo e sui lati del bicchiere quando la sua attenzione venne distolta dalla porta che si aprì: si piegò di scatto, nascondendosi.

La persona che varcò la soglia non poté certo metterla di buon umore: Draco Malfoy in persona, il principino di Serpeverde, nemico odiato e giurato del suo Harry. Di Harry.

Non che a lei in particolare avesse fatto qualcosa, la chiamava Lenticchia, Piattola e storpiava il suo cognome, ma niente di che. Se non fosse stata una Weasley e i Weasley non avessero litigato (a ragione!) con i Malfoy, lui non l’avrebbe considerata più che una qualsiasi bambinetta del primo anno, tanto che non era particolarmente... nulla: né una prima della classe (secchiona), né brutta (mostro), né stupida (troll) e così via, gli sarebbe stata indifferente.

Riacquistando il raziocinio si chiese confusamente che cosa fosse venuto a fare in un bar come quello, frequentato da gente di poco conto e folletti: non era certo un ambiente adatto a lui che si vantava di discendere da una delle più potenti famiglie purosangue e di frequentare solo ambienti esclusivi.

- Weasley! Ma che sgradita sorpresa incontrarti qui!

Ginny si raddrizzò lentamente non perdendo di vista il Serpeverde, continuando a osservarlo muta.

- Bhè? Hai perso la parola? Che ci fa qui una come te? Non hai una famiglia con cui fare interessanti discussioni sull’ultimo cappello in saldo ai Magazzini Magici?

- Lasciami in pace, non voglio litigare, non sono dell’umore adatto, per favore, vattene.

- Oh oh oh, la bambina ora si mette a piangere? Ehi, Weasley, l’unica volta che ti sei dimostrata utile eri posseduta… ora, non è che potresti fare un’ulteriore buona azione e te - ne – vai –via – da - qui?

- No, non posso. Poi sono arrivata prima. Vai via tu se ci tieni...

Lo guardò con sfida, ma non incontrò il suo di sguardo, che stava vagando tra i tavoli del bar. All’improvviso, senza dire una parola, si sedette di fronte a lei e ordinò una burrobirra.

Incredibile.

Ginny lo guardò male, con sospetto, ma lui nulla, impassibile, sembrava aver fissato lo sguardo sulla sua camicia inamidata.

- Non ci sono macchie.

- Come, scusa?

Finalmente sembrò accorgersi di dove si era seduto.

-Sulla camicia, intendo, non ci sono macchie. È inutile che la fissi. E poi… bhè, se non volevi nemmeno vedermi, perché ti sei seduto qui?

- Cara Weasleiuccia… volevo proporti un affare.

- A me?

Ginny era stranamente interessata. Non le aveva mai rivolto la parola prima, se non per schernirla davanti agli amici e, comunque, era stata sempre solo considerata come la sorellina di Ron, l’amichetta di Harry Potter, non come persona.

Forse era uno scherzo.

- Ho notato – continuò lui, imperterrito- che sei sola. Ciò mi pare stranamente... strano. A casa tua ci dovrebbero essere molti dei tuoi innumerevoli fratelli e anche il tuo amore, Harry Potter... ti ha scarcata e ora tu sei tutta sola?

Pausa.

Ginny si mise a fissare ostinatamente il tavolo, labbra serrate, senza emettere un sol fiato.

- È inutile che fissi il tavolo, non ci sono tarli. Anche se per te potrebbe essere una novità, questa.

Ancora nulla, non sembrava proprio voler raccogliere le sue provocazioni.

- Comunque… volevo semplicemente proporti un lavoretto estivo, dato che non sembra che tu stia facendo nulla di che. Dovresti sostituirmi.

Finalmente lo guardò in faccia e, forse per la prima volta, si concentrò su quello che le sta dicendo: un lavoro serio l’avrebbe tenuta occupata senza scuse idiote e per tutta l’estate, avrebbe guadagnato qualche soldo e avrebbe fatto capire che anche lei era capace di fare qualcosa, che non era più la bambina dell’anno scorso. Lei era cambiata.

- Ti ascolto.

- Finalmente! Si tratta, come ti dicevo, di prendere il mio posto per quanto riguarda la vendita al pubblico di accessori magici alla moda, ovviamente non sono adatto a trattare con i clienti se non di alto rango, quindi tu dovresti occuparti di mezzosangue e babbanofili: la tua gente, insomma. Che ne dici? È fino a un giorno prima della scuola, cioè: sabato è l’ultimo giorno di lavoro e lunedì si prende l’Espresso. Ovviamente una volta ad Hogwarts non ci conosceremo più, nemici come prima, se si può dire, d’accordo?

- Hm… negozio di moda e commessa. Quante ore sono? Chi è il proprietario? È d’accordo? La  paga?

- Ok. Una cosa alla volta, piano. Il negozio è di mia madre, oltre a me ci sono due commesse, donne. Diciamo che vendiamo prodotti di alta classe, quindi il lavoro non è particolarmente impegnativo... è aperto dalla mattina alla sera, orario continuato e si fanno anche aperitivi e brunch nello stesso negozio, con i clienti; naturalmente non si deve stare lì per tutto l’orario, ci sono i turni. La paga, ovviamente, viene divisa tra me e te, quindi lavorerai a paga ridotta di circa… due terzi? Ok? Che sarebbero…

Ginny lo stava per mandare al diavolo, chi si credeva di essere quel bellimbusto platinato?

- Circa  5 galeoni?

- Cinque galeoni?

- Sì, 5 galeoni al giorno, un terzo di quanto prendo io. Questa è l’offerta, prendere o lasciare.

- A-accetto!

- Sicura? Pronta a iniziare da domani?

- Così? Subito? Ma non ho nulla da mettermi!

Malfoy si diede una fintissima e plateale manata in fronte

- Oh per Merlino! Avrai una divisa, non ti preoccupare. Ci vediamo qui domani mattina alle nove, non farmi aspettare, ti porto in negozio e ti spiego in dettaglio.

Appena finito di discutere Draco si alzò bruscamente e se ne andò, gettando qualche moneta sul balcone della Madama, bastante a saldare sia il suo conto che quello di Ginny e lasciare una mancia consistene.

Lei, svelta, tornò a casa decisa a dare a tutti la bella notizia: aveva trovato un lavoro!

 

Sua madre boccheggiò dopo averle estorto a forza il negozio in cui avrebbe lavorato e ancora ne era incredula. Sua figlia che lavorava dai (e per!) Malfoy.

- È solo un lavoro da commessa, mamma! E mi pagano bene!

Il signor Weasly si prese la testa fra le mani, fissò il giornale con lo sguardo perso di chi ha subito un trauma.

- Non posso credere che ti abbiano accettata, Lucius si vergognerebbe a lavorare con qualcuno di noi…

- Oh, papà! Smettila! Perché non avrebbero dovuto accettarmi? Sono così incompetente? Sono così… così stupida?

La voce le si incrinò pericolosamente sull’ultima parola, attirando l’attenzione per la prima volta su di lei e non sul tipo di lavoro che avrebbe fatto.

- No, cara, non è che noi crediamo che ti sia stupida o incapace, ma ecco vedi… dopo quello che è successo non vogliamo rischiare ancora. I Malfoy non sono gente perbene.

-Molly…

- No, Arthur, fammi parlare! Chi ti ha messo il diario stregato tra i libri? I Malfoy! Chi ti ha sempre insultata? I Malfoy! Chi non sopporta la nostra famiglia? …

- I Malfoy!!! I Malfoy!!! I Malfoy!!! Basta, ho capito. Non posso guadagnarmi dei soldi perché quei soldi vengono dai Malfoy!

- No, non per questo, ma perché sono pericolosi. Non ci fidiamo e non lasceremo nostra figlia in balia di quelli, vero Arthur??

- Ginny, cara, anche io la penso come tua madre… e poi non è necessario lavorare, o se vuoi potresti fare dei piccoli lavoretti in casa, ti daremo una mancetta, così avrai i tuoi soldi.

- Non ho più otto anni, per la miseria! – e così urlando scappò in camera sua, sbattendo dietro di sé tutte le porte.

La signora Weasly impugnò il coltello e continuò ad affettare le verdure con più veemenza del solito, diventando sempre più rossa in faccia finché non sbottò qualcosa, incantò il coltello perché continuasse da solo e andò a chiamare i gemelli: certamente avevano combinato qualcosa che l’avrebbe distratta da Ginny.

Il signor Weasley riprese a guardare distrattamente il giornale: sapeva bene che la figlia non si sarebbe arresa e avrebbe quasi scommesso che la mattina sarebbe comunque andata al negozio e loro non avrebbero più potuto fare nulla: le donne della famiglia erano piuttosto cocciute. Forse, in fondo, quel lavoro le avrebbe fatto bene, distogliendola dai suoi pensieri; lui si era fin troppo accorto della sua finta allegria, era la sua piccolina dopotutto e non voleva che soffrisse.

Dal giardino si sentì rimbombare per tutta la casa l’urlo della signora Weasley che riprendeva George: aveva fatto crescere un buffo, e brutto, naso oblungo a Ron; il signor Weasley ridacchiò, riaprì meglio il giornale con un colpo secco e si rimise a leggere.

In camera, Ginny, si buttò sul suo letto e per circa due minuti si sfogò piangendo. Dal cortile salivano le grida della madre: tutto era ritornato alla normalità, lei era un capitolo chiuso, nessuno più le faceva caso, l’attenzione era già rivolta altrove.

Si mise alla scrivania, piuma in mano:

“Caro” Draco Malfoy

Ci ripensò e riscrisse:

Malfoy 

Sbarrato.

Draco

Peggio.

Rimise via pergamena e piuma e iniziò a far le valige.

 

La mattina dopo, quando Molly salì a svegliarla in camera, non la trovò più lì, come non vide più nulla che appartenesse strettamente alla figlia; si precipitò in soggiorno dove teneva il suo orologio che indicava la posizione dei membri della famiglia: la lancetta di Ginny era stata rimossa. Disperata si lasciò andare pesantemente sul divano, dove la trovarono Fred e George un’ora più tardi: Ginny era andata dai Malfoy e lei era rimasta a guardarla andare via, non l’aveva minimamente impedito.

 

 

 

 

  
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