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Autore: AmaranthineMess    11/08/2011    0 recensioni
"Non c'entravano le stelle cadenti - quelle erano davvero rare a vedersi e tu non eri il genere di persona che incorreva in queste fortune - c'entrava piuttosto quel senso di estraneità che tu rincorrevi e ricacciavi, ogni giorno."
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tu guardavi tutti imbarazzata. Sembrava che quella notte non finisse mai. Tutto intorno a te avevi i tuoi cari e dentro solo un infinito senso di solitudine.
Non c'entravano le stelle cadenti - quelle erano davvero rare a vedersi e tu non eri il genere di persona che incorreva in queste fortune - c'entrava piuttosto quel senso di estraneità che tu rincorrevi e ricacciavi, ogni giorno.
C'è un dolore sottilissimo e mortale che appartiene solo alla gente come te e me.
E' il dolore della gente sola, che ama tutti ma non abbraccia mai nessuno.
Tu ci guardavi imbarazzata come se fossi stata nuda in mezzo a noi tutti vestiti, come se fossi stata calva o priva di una scarpa, come se da un momento all'altro avessi potuto iniziare a sbavare verde e a parlarci con lingua aliena. Non appartenevi ai nostri mondi e noi non appartenevamo a te. C'era tutta la volta celeste a guardarci, eravamo corpi schiacciati dalla stessa atmosfera, eppure il tuo corpo sembrava ancora più gravato dalla pesantezza del vivere.
Ti guardavi intorno e non riconoscevi nessuno, milioni di volte mi ripetesti quanto è triste sentirsi soli in mezzo alla gente, in mezzo agli amici, dicevi che nessuno era come te, dicevi che noi tutti stavamo al di qua di una linea immaginaria che a te era proibito valicare. 
Vivevi come in un castello striminzito, tutto finestre enormi aperte sul mondo. Guardavi da dentro quelle tue ferite aperte e bramavi un granello di banalità, di omogeneità. Tutto ti era inferiore nel tuo mondo, tutte le menti, anche le più geniali, giacevamo miseramente ai tuoi piedi. Eppure non eri presuntuosa, ti vedevi stupida e immatura, eri come una bambina morente seduta in cima ad una torre e scagliavi biglie e giocattoli rosa addosso a chi ti stava intorno e non ti lasciava morire in pace.

Il tuo corpo sotto la luna era bianco e stranamente vivace.
Temevo l'attimo in cui quel tuo intimo barlume di autodistruzione avrebbe incendiato i tuoi occhi: tu bevevi vino e ballavi sotto la luna, attorno a noi c'erano soltanto distese di di teste e mani e piedi, ma era come se fossero sassi, o dune, o alberi. Noi non percepivamo la vita, al di fuori delle nostre.
Vorrei poter saltare così in alto bisbigliavi severa, ma quel così non indicava mai una misura precisa bensì una speranza, un anelito all'altezza.
Mi porgevi il tuo bicchiere colmo, io attingevo piccoli sorsi aspri, avrei voluto volarti accanto ma la mia educazione, i miei trascorsi, il mio senso del pudore me lo impedirono sempre: tu eri così libera da tutto, si sarebbe detto che non avevi alcun legame col mondo, avresti potuto benissimo abbandonarti al vuoto senza alcuna remora – chi è così solo da non considerare che, morendo, farebbe l'infelicità di qualcuno?
A volte mi sentivo sola anch'io: tu ti abbandonavi ai tuoi deliri post-prandiali, una sigaretta arrotolata male pendeva dalle tue labbra, dorati riccioli di tabacco si spargevano fra i tuoi fogli. Disegnavi dozzine di forme, tutte diverse, lontane le une dalle altre e poi ti divertivi a collegarle. Era strepitoso trovare all'interno dello stesso quadro una pannocchia e una chiesa, un cane, un pollo e un accendino. Era questo ciò che facevi e ciò che mi condusse a te.

   
 
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