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Autore: Silvar tales    11/08/2011    1 recensioni
Ancora pochi passi, pochi gesti, e il sogno s'infranse.
Di lui rimanevano solo un foglio e un disegno, ma ormai sembravano non avere più valore.
Erano solo corteccia stropicciata e pasticcio di cera.
[Prima classificata al contest "A causa di... un'adozione!" indetto da Malika]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Naruto Uzumaki, Nuovo Personaggio, Sakura Haruno
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Naruto Shippuuden
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Note dell’autrice(1):
 
Lo ammetto, è una storia strana. Alla fine ho faticato a darle un senso preciso, forse anche per colpa della fine precipitosa. 
Comunque sia, ho ben poco da dire che vada oltre il... pasticcio che ho scritto. 
Solo una precisazione: per il poco che compare, Naruto sembra trattato malissimo (dalla sottoscritta). Volevo solo fare presente che ho scritto tutto in buona fede e senza cattiveria, e poi tra l'altro io adoro i ragazzi che corrispondono alla descrizione che ho fatto qui dell'Uzumaki, anche se può sembrare dispregiativa e un po' cattiva...
 
 
 
 

 
 
 

Cera e corteccia




Un genin è una creatura dalla mente semplice. 
Prendiamo per esempio Naruto - Naruto, sì. Perché avrà pure la forza di mille hokage, ma rimane l'esempio di genin più bambinone dell'universo -.
Nessuno nega che possa essere animato da principi nobili e altolocati, anzi.
Ma proviamo a mettergli una ciotola di ramen davanti al naso, o proviamo ad offenderlo, o a rivelargli il luogo dove si trova nascosta la persona che cerca da tre anni.
Lui cosa farà?
Seguirà l'istinto.
L'impulso irrazionale del suo cuore, e mai, mai una sola volta il cervello.
E quindi vi divorerà il ramen anche se quelli fossero stati spaghetti di riso camuffati, e quindi risponderà alle vostre provocazioni, e quindi si lancerà all'inseguimento della persona perduta, senza fermarsi un solo attimo a pensare.
Ma diciamolo pure.
Gran parte dei maschi è così.
È così, e non ci si può fare niente.
Ecco perché lei si trovava quella missione a carico.
Perché un bambino è una mina vagante, un bambino è capace di far perdere la pazienza nel giro di due secondi a qualunque impulsivo che corrisponda alla descrizione di prima.
A maggior ragione in questo caso.
Già, questo caso.
Nell'avere a che fare con una persona normale bisogna riflettere. Nell'avere a che fare con un bambino bisogna riflettere ulteriormente e prestare ancora più attenzione.
Nell'avere a che fare con un bambino che ha alle spalle un passato non del tutto normale, e che quindi non si può definire esattamente come gli altri tondi e felici poppanti, bisogna essere estremamente cauti.
Testuali parole di madamigella Tsunade.
Sakura le ripeteva a mente, sorridendo appena quando ricordava il simpatico - ma azzeccato - esempio che l'hokage aveva fatto di Naruto.
Ma poi, un velo di tristezza cadeva sui suoi occhi smeraldo, quando ripensava a quel particolare che distingueva il bimbo che le era stato affidato da tutti gli altri bimbi del mondo.
Non sapeva cosa gli fosse capitato ma, doveva ammetterlo, aveva una certa curiosità.
Tuttavia già sapeva che non sarebbe stato opportuno sollevare quell'argomento.
Ecco la persona adatta, dotata della giusta dose di buon senso: Sakura Haruno.
Sakura Haruno e nessun altro meglio di lei avrebbe potuto occuparsi di quel bambino, per i tre giorni che il suo incarico comprendeva.
Doveva ammetterlo, il compito non le dispiaceva, ma nel profondo del cuore era leggermente scocciata. Un po' perché poteva essere il caso più delicato di questo mondo, ma pur sempre di marmocchio si trattava. Aveva forse l'aria di una mammina premurosa e sorridente?
Forse no.
Un altro po' perché, anche se sapeva che madamigella Tsunade riponeva in lei tutta la sua buona fiducia, si sentiva ancora una volta sottovalutata.
Diamine, era diventata forte. Molto forte.
Possibile che ancora la gente non se ne rendesse conto?
Strinse leggermente i pugni, mentre svoltava in una via secondaria per evitare l'affollamento delle strade principali di Konoha.
Naruto, come del resto molti altri suoi coetanei, stava combattendo fuori dai confini del paese del fuoco. Non essere potuta andare con loro le era sembrato uno spreco immenso. In fondo, lei era ninja medico.
Possibile che non ci fosse stato nessuno, proprio nessun altro che poteva badare a un bambino per tre miseri giorni al posto suo?
Quello che prima era stato solo un fastidio nascosto, ora si era tramutato in una tempesta.
In un esercito di onde devastanti che scalpitavano e spingevano nel suo petto.
Non sapeva che, di lì a pochi minuti, una volta incontrato il marmocchio in questione, avrebbe subito cambiato idea.
Ma per ora la ragazza camminava tra le vie di Konoha, per niente desiderosa di affrettare il passo, con le labbra che le tremavano cercando di trattenere dentro tutti gli insulti che in quel momento le venivano da sputare contro l'hokage.
Chi era l'impulsiva, adesso?
Le sibilò una voce maligna, che già da un po' bussava alla porta della sua coscienza.
Comunque fosse andata, ora si trovava con i piedi sullo zerbino di una villetta a tre piani, situata nella periferia del paese, circondata da incolti alberi e da aiuole colme di fiori rinsecchiti.
La ragazza sospirò, fissando il campanello d'ottone. Raccolse tutta la sua buona volontà per decidersi a premerlo. Dal momento in cui lo fece a quello in cui fu costretta a farlo un'altra volta, passarono tre buoni minuti.
Aveva atteso tre dei suoi preziosi minuti, e ancora nessuno si era deciso a comparire sulla porta.
L'irritazione aumentò esponenzialmente quando dovette suonare una terza volta, poi una quarta, un quinta e...
Ancora nessuno che si degnasse di aprirle!
L'indirizzo era quello giusto, non c'era ombra di dubbio. L'aveva controllato e ricontrollato almeno una decina di volte sul mandato, perfino la descrizione che Tsunade aveva fatto della residenza corrispondeva.
Era molto combattuta tra l'andarsene o il sfondare la porta, ma doveva ammettere che la prima ipotesi era molto più allettante.
Se avesse forzato l'entrata, avrebbe poi dovuto avere a che fare con il marmocchio, magari spaventato dalla sua intrusione. O peggio, avrebbe dovuto rispondere dei danni.
No, era decisamente meglio andarsene. Andarsene a casa, e fare un bagno caldo.
Ne aveva davvero voglia, di un bagno caldo e della sua tazza di the pomeridiana.
Stava già pregustando quella prospettiva, decisamente migliore della precedente, che con suo sommo dispiacere avvertì un rumore alle sue spalle. Una serratura che si sbloccava, una porta che girava su cardini cigolanti. E una flebile voce che chiaramente chiamava al suo indirizzo.
"Signorina..."
Sakura si voltò, cercando di sfoggiare il sorriso più cordiale che aveva.
Una vecchina tutta raggrinzita si era affacciata sull'ingresso, e la guardava con fare circospetto.
"Per caso ha suonato?" Quella donna stava mettendo a dura prova la sua pazienza.
"Cinque volte, signora".
"Oh mi scusi, ho qualche difficoltà con l'udito... Lei deve quindi essere la baby sitter che baderà a Yukiko?"
Sakura controllò un'altra volta il nome sulla lista.
"Sì, esattamente", disse, cercando di mantenere il suo buon sorriso.
Baby sitter... baby sitter. Lei non era affatto una baby sitter.
"Bene, allora suppongo di poter partire..." l'anziana signora trascinò due grosse valigie fuori dalla porta; indossava un lungo abito da viaggio. Sakura la guardò sorpresa. Forse non era tanto debilitata come sembrava...
"Vu-vuole una mano?" Domandò incerta.
"Oh no", disse la donna con un simpatico sorriso, “so badare a me stessa. Lei pensi a Yukiko piuttosto, e cerchi di essere comprensiva. Ha un carattere molto sensibile”.
Detto questo, dopo averle rivolto un altro ghigno complice, sparì dietro l'angolo, diretta a chissà quale paese o villaggio.
Sakura sospirò, confusa, ma poi decise che era inutile perdersi in congetture. Ora, purtroppo, aveva un compito da svolgere.
Rifece i gradini fino ad arrivare sul balcone antistante l'ingresso. L'edera pendeva scomposta dal sottotetto, avvinghiata disordinatamente alle colonne; l'intonaco era scrostato, praticamente cadeva a pezzi; la porta cigolava in maniera agghiacciante.
Quella casa aveva tutta l'aria di essere molto trascurata.
"Permesso..." mormorò la ragazza, affacciandosi sospettosa nell'atrio.
L'ambiente interno era immerso nella penombra, ma almeno il marmo che rivestiva ogni cosa - pianali, gradini, davanzali, pavimenti - dava sollievo e frescura dalla calda giornata di luglio.
Non sembrava affatto una casa povera, constatò la ragazza guardando il prezioso arredamento.
Gran parte del piastrellato era coperto da tappeti di splendida fattura; sull'elegante divano campeggiavano parecchi cuscini ricamati, di morbida seta; il tavolino, così come le varie sedie, era di scuro legno massiccio, adornato di pregevoli rifiniture. E poi...
Sakura venne attirata da un mobile a vetri, all'interno del quale erano esposti diversi oggettini.
Animaletti di cristallo, colorati vasi in miniatura, pietre preziose e gioielli antichi. Tutte quelle cianfrusaglie sembravano avere un loro valore.
Ancora una volta, un rumore presumibilmente originato dal piano di sopra la richiamò alla realtà. Si era persa a fissare i preziosi della vetrina e si era dimenticata di lui, del marmocchio.
Si era dimenticata di avere un problema.
Possibile che non si facesse vedere?
"Yu...Yukiko!" Chiamò Sakura, non ricevendo risposta.
Magari era nella cameretta, al piano di sopra. Magari stava dormendo, o era immerso in chissà quali giochi o fantasie.
La ragazza decise allora di avventurarsi su per le scale, trattenendo a stento uno sbuffo.
Non poteva negare di essere davvero scocciata stavolta. Stava per chiamarlo nuovamente a gran voce, quando notò, con la coda dell'occhio, un foglio. Un foglio attaccato all'inizio del corrimano.
La curiosità prevalse, perciò scese di un paio di gradini per afferrarlo.
"Oh..."
La prima cosa che spiccava in quel pezzo di carta erano i colori, tanti colori vivaci messi assieme a formare un disegno. Un disegno che non aveva contorni o segni neri, era completamente privo delle guide.
Il colore plasmava tutte le forme e i particolari. Il viso roseo di una bambina seduta su un prato pieno di papaveri, che parevano piccoli lembi del suo ampio vestito rosso, era fisso negli occhi di una ragazza che la guardava.
Una ragazza che... assomigliava tremendamente a lei.
No, era lei.
Corpo magro e slanciato, corti capelli rosa, gambe scosciate che spuntavano sotto la gonna corta. Era indubbiamente lei.
Sotto le due figure, impegnate a studiarsi a vicenda, c'era scritto in una deliziosa calligrafia infantile: vuoi giocare con me? Sono sotto l'orologio a cucù.
Il primo impulso di Sakura fu quello di pensare a quanto fosse assurda quella situazione.
Ma d'altronde, i giochi dei bambini andavano assecondati. Anche la donna di prima gliel'aveva appena ricordato: sii comprensiva.
Così Sakura decise di stare al gioco. Tenne in mano il primo disegno, e cercò di localizzare qualcosa che assomigliasse a un orologio a cucù.
Beh, almeno aveva scelto un oggetto abbastanza appariscente...
Inizialmente venne ingannata da un ticchettio che proveniva dalla cucina. Si trovò davanti un semplice orologio squadrato, sprovvisto di casetta e pendoli. Scosse la testa; quanti orologi potevano esserci in una casa così grande? Ne trovò un altro sopra al caminetto, uno nel bagno e uno persino nello sgabuzzino, rotto.
Dato che al pianterreno sembrava non esserci traccia di cucù, la ragazza si decise ad esplorare il piano superiore. Salì le scale con una certa soggezione, sentendo i propri passi rimbombare in quella casa - apparentemente - deserta.
Ma almeno nel silenzio avrebbe localizzato meglio il rumore di un orologio.
E si ritrovò, ancora una volta, delusa.
Non c'erano ticchettii di sorta in quel piano, si sentiva solo il vago eco di quelli sottostanti.
Sospirò, dirigendosi verso l'ultimo piano, la soffitta.
Individuò una traballante scala a pioli, nascosta dietro un'improbabile porta. Cominciò a salire poco fiduciosa, finché non sbatté la testa contro una botola, che per l'urto si alzò di dieci buoni centimetri. Trattenendo a stento un'imprecazione e portando una mano a massaggiare la parte dolorante, sollevò il pannello di legno ed entrò in soffitta. O meglio, in un buco polveroso.
L'aria era pesante e satura di polvere, la luce che filtrava dagli abbaini rendeva quel posto rovente.
Il classico luogo troppo caldo d'estate e troppo freddo d'inverno.
Sakura si guardò intorno, cercando di prestare fede all'udito.
Poi lo vide. Gettato in un angolo, rotto e abbandonato. Non emetteva alcun rumore.
La molla dell'uccellino pendeva macabra e arrugginita fuori dalla piccola finestra, il legno del supporto era pieno di crepe e schegge.
La ragazza provò un insensato senso di malinconia guardando quello strumento.
Una malinconia del tutto infondata: non era niente di più che uno stupido orologio.
Solo in quel momento si accorse che del bambino non c'era traccia, e che al suo posto c'era invece un altro disegno.
Vi era raffigurato quello stesso orologio, ma molto più giovane e splendente di quello attuale.
Abbracciata a quest'ultimo c'era quella stessa bambina, che rivolgeva all'osservatore un ampio sorriso. E ancora, sul fondo, una scritta recitava: io sono lì, ma vorrei che ci portassi anche lui.
Sakura si accigliò un attimo, pensando al significato di quelle parole.
Poi, improvvisamente, notò lo sfondo che circondava l'orologio e la bambina: un angolo verde, o meglio, il ritaglio di un angusto cortile, piccolo quanto bello e colorato.
L'erba spuntava rigogliosa tra il cemento, una vasca piena d'acqua zampillante e pesci rossi appariva come una macchia solare sul verde delle sterpaglie, e infine la luce inebriante del sole soffocava ogni cosa, annegando dolcemente il tutto nei suoi raggi dorati.
La ragazza soffiò divertita, trattenendo una risata. Naruto non ci sarebbe mai arrivato.
Era nel cortile sul retro, e voleva che lei portasse lì quel vecchio orologio. Il motivo lo ignorava, ma d'altronde stava sempre parlando delle fantasie di un bambino.
Per lei quello non fu assolutamente un compito difficile. La pendola non era pesante da portare, l'unica difficoltà era stare attenta che non si rompesse del tutto.
Una volta arrivata al pianterreno, individuò la porta che dava sul giardino retrostante la casa.
La aprì e... aveva visto giusto.
Il piccolo cortile sul quale si era affacciata corrispondeva al paesaggio raffigurato nel disegno.
Solo... era un po' meno fiabesco e rigoglioso. A lei pareva piuttosto un angolo malandato, lasciato andare al tempo e alle intemperie insidiose. Ma si sa, i bambini avevano una capacità d'immaginazione straordinaria, e per quanto agli occhi degli adulti un luogo potesse sembrare spoglio, squallido e quant'altro, per un bambino poteva diventare un regno delle fate, un anfratto fantasioso ed irreale.
Sakura, dopo aver appoggiato l'orologio a terra, esplorò meglio quei pochi metri quadri di selciato bollente, e si ritrovò davanti la vasca dei pesci. O meglio, quella che avrebbe dovuto esserlo.
Il recipiente di pietra era vuoto, dell'acqua rimanevano soltanto secche tracce di alghe e calcare, e sul fondo... un foglio. L'ennesimo disegno.
La ragazza lo guardò, ritrovandosi a fissare lei stessa. Quasi lo lasciò sfuggire di mano, dalla nuova sorpresa. Stava versando dell'acqua in quella vasca andata in rovina, sotto lo sguardo sorridente della bambina. Quella bambina vestita di rosso, di quel vestito che la abbelliva come un fiore di campo. Come un piccolo papavero reciso.
Sapeva cosa doveva fare.
Le gambe le si mossero autonomamente, la portarono in cucina, verso la fonte d'acqua più vicina.
Riempì una bottiglia di plastica che aveva trovato vuota. Pose l'imboccatura sotto il rubinetto, in modo che raccogliesse l'acqua che ne usciva, piacevolmente fresca e pura, priva dell'odore sintetico di cloro. Una volta riempita, si affrettò a tornare al piccolo giardino sul retro.
Forzò la maniglia arrugginita, impiegando più del necessario a sbloccarla, con una mano impegnata a reggere la bottiglia. Decise di appoggiarla ed aprire la porta con entrambe le mani, e quando lo fece, si accorse che... era già aperta.
La oltrepassò cauta, e vide lei, in mezzo a quel lago di luce. Un piccolo corpicino stretto in una spumosa stoffa rossa che la guardava timido, accennando un sorriso insicuro, adornato di due gote imporporate. In mano teneva un sacchetto trasparente gonfio d'acqua, e all'interno di esso guizzavano, come petali sfuggiti dal suo fiore, veloci codine dorate.
"T-tu sei..."
Le venne quasi da dire, tu sei la bambina del disegno, tant'era immedesimata in quell'atmosfera fiabesca. Era evidente che era Yukiko. Allora era una bambina, non un bambino.
"Grazie di avermi ridato il mio giardino..." sussurrò lei, invitando Sakura a versare l'acqua nella vasca. La ragazza allora svuotò la bottiglia nel recipiente di pietra, e subito le bestiole furono liberate nella loro linfa vitale, liete di respirare il mondo naturale.
Un uccellino si posò zampettando sul bordo, chinandosi a bagnare il becco. Poi, spaventato, volò via rifugiandosi proprio in quel vecchio orologio, il quale ora emetteva un suono ben diverso dal consueto ticchettio meccanico. Un lieve cinguettio, seguito da un tremolante pigolare.
Sakura sorrise, capendo in quell'attimo il motivo per cui Yukiko aveva voluto quella pendola nel suo colorato quadretto.
La bambina recuperò tra l'erba un blocco da disegno, che aveva momentaneamente abbandonato.
Si sedette accovacciata tra l'erba, spargendo l'ampio raggio del vestito tra i ciuffi verdi e le vecchie piastrelle di palladiana. Strappò l'ultimo foglio rimasto, e lo sistemò sul sostegno di cartone per avere maggiore stabilità nel disegno.
La ragazza le si avvicinò, incuriosita.
"Li hai fatti tutti tu quei bei disegni, vero?” Chiese alla bambina.
Lei annuì, senza distogliere gli occhi da quello che stava facendo.
"Ho usato tantissimi fogli prima di riuscirne a fare di belli".
In effetti Yukiko non sembrava avere proprio quello che si diceva un talento naturale, constatò Sakura notando i vari tentativi sul foglio di disegnare il paesaggio che le circondava.
Ormai quel pezzo di carta era logoro e stropicciato dalle troppe cancellature, e per i continui fallimenti gli occhi castani della piccola avevano iniziato ad inumidirsi, come se una pioggia leggera fosse scesa a bagnarli.
Sakura, impietositasi, le porse gentilmente un fazzoletto. Yukiko lo prese, timida, forzando un sorriso che di veritiero non aveva proprio nulla. Ma invece di asciugarsi gli occhi, il che avrebbe significato ammettere di averli bagnati, lo usò per pulire le sbavature nere di graffite che aveva fatto trascinando il polso sul foglio.
Sakura osservò sorpresa quel particolare comportamento.
Quella bambina faceva di tutto pur di nascondere la sua malinconia, faceva di tutto pur di celarsi dietro quei sorrisi che simulavano serenità, faceva di tutto pur di continuare a fingere, e non lo faceva neanche bene.
"Perché lo prendi tanto sul serio?" Le domandò, cercando di essere più cauta possibile.
E, rassicurata da quel sorriso benevolente e da quella mano calda poggiata sulla sua spalla, Yukiko si decise a donare alla ragazza una fetta di sé.
"Perché disegnare... è un modo per avere uno spazio tutto mio..." gli occhi di quella fragile bimba erano tornati ad ospitare un'ondata di lacrime. Sakura le sorrise pacata, intenerita. Era davvero l'esemplare infantile più sensibile e fragile in cui si fosse mai imbattuta.
"Ora preparo il the e facciamo merenda, e se avrai voglia di parlare lo farai allora, con calma, d'accordo?" Yukiko annuì, sorridendo e tirando su con il naso.
Sakura allora si diresse verso la cucina e si diede da fare.
In ogni modo, non avrebbe rinunciato al suo the pomeridiano.

Nel corso della giornata Yukiko raccontò, a suo modo, quello che erano stati i suoi sette anni di vita. Un inferno.
Un inferno fortunatamente trascorso, i cui residui parevano quasi risiedere in quel suo vestito rosso.
Un inferno che lei astutamente celava anche dietro le parole del suo racconto.
Ma che un adulto come Sakura, dalla mente più maliziosa e meno semplice, l'aveva percepito immediatamente, anche solo guardando quell'ombra timorosa che oscurava i suoi occhi quando nominava suo padre.
Quel padre morto l'anno prima, in battaglia, neanche venticinquenne.
Quel padre da cui aveva cercato disperatamente rifugio, un angolo vuoto, che fosse solo per sé.
Quel padre che sembrava aver perso ogni contatto con la vita reale, da quando quella bambina si era portata via la donna che amava.
Quella bambina maledetta, che non aveva colpe, a parte quella di essere nata. Per sbaglio.
Un errore, un attimo di buio, qualcosa che era andato storto.
Tutti sapevano che la madre non poteva avere figli, a causa di un incidente subito sul campo di combattimento quando era ancora tredicenne. Eppure lei era rimasta incinta, e quella era stata la loro maledizione. La loro sventura.
E da quella sventura era uscita Yukiko, incolume.
Incolume come una tuffatrice riemersa dall'acqua, che infrange la superficie del liquido amniotico con la testa, e torna a respirare l'aria del mondo.
Il padre avrebbe dovuto considerarla un miracolo, e invece la considerò una macchia sporca, un residuo del suo amore passato da cancellare del tutto.
Una parodia, una parodia della madre, tale era la somiglianza con lei.
Come se il destino avesse voluto prendersi gioco di lui, ridonandogli una seconda donna uguale in tutto e per tutto alla ragazza che si era portata via il suo cuore.
Mossi capelli castani e occhi grandi e belli, dello stesso colore, timidi, insicuri, sognanti.
E la stessa passione per i fogli di carta, e per i colori che li trasformavano in disegni bellissimi.
"Allora è per questo che disegni sempre? Per ricordare la mamma?" Domandò Sakura, appoggiando la tazza di the freddo sul tavolino, e portandosi un tovagliolo alla bocca.
La bimba scosse la testa, alzando un momento gli occhi dal dipinto che stava maldestramente creando.
"No", replicò Yukiko, con il suo tono delicato "un foglio bianco è il solo spazio che sono riuscita a ritagliare, per me".
Sakura le ricambiò uno sguardo perplesso, allora lei si impegnò a spiegarsi meglio.
"Puoi avere una stanza, puoi avere un giardino, puoi avere una vasca di pesci rossi, ma non saranno mai come dei pezzi di carta. Se io ho un block notes, pieno zeppo di fogli da riempire, allora quella sarà l'unica cosa veramente mia, perché il disegno che si formerà non dipenderà da nessun altro, se non dalla mia mente".
Vedendo che la ragazza aveva ancora un'aria pensierosa, Yukiko fece velocemente uno schizzo sul foglio.
"Mio padre mi picchiava".
Sakura si trattenne dal portarsi una mano alla bocca. Le sue ginocchia urtarono così violentemente il tavolo che rischiò di mandare in frantumi la tazza di the.
La bevanda tremò uscendo parzialmente dai bordi, e andando a bagnare un poco la sottostante superficie lucida.
"C-come?"
La bimba alzò appena le spalle, sfoggiando il suo solito sorriso colmo di falsità.
"La sera, al ritorno dagli incarichi giornalieri, diventava un'altra persona, e sfogava la sua rabbia su di me. Non potevo nascondermi in camera, in giardino, in soffitta. Lui aveva le chiavi di tutte le porte, e in un modo o nell'altro mi trovava sempre".
Sakura ascoltò quell'ennesima confessione, inorridita e affranta. E intanto si chiedeva come una bambina potesse reggere un simile passato violento e ostile.
Solo in quel momento si accorse di quanto Yukiko fosse forte, di come mostrasse una forza incredibile e angelica solo nel piegare le labbra all'insù, ogni volta che incrociava lo sguardo di qualcuno.

"Ora capisci perché è tanto importante, per me, questo block notes?"
Sakura le rimboccò le coperte, in silenzio.
Osservò Yukiko sorriderle, come sempre, dopo aver accettato di buon grado del latte caldo e dei biscotti, prima di coricarsi. La guardò sistemarsi il quaderno sulle ginocchia, intenta ad immergersi nuovamente nel suo mondo di cera e carta.
"Cosa disegni?" Chiese cortesemente, accoccolandosi un momento di fianco a lei.
Yukiko non rispose, ma il pastello grigio che teneva tra le dita formò un arco sullo sfondo opaco.
Subito un lieve colore rosso s'inerpicò attorno alle pietre che formavano la struttura, ancorandosi ai mattoni con deboli bandiere verdi.
Un insolito turchese allagò il cielo, che subito assunse i colori dell'arcobaleno in una sua piccola porzione.
Il fiero rosso, come un esile nastro del vestito che la bambina indossava mentre oltrepassava l'arco, camminando a piedi nudi su ciuffi azzurri d'erba.
L'accecante arancione, medesimo colore dei piccoli fiori di campo che spiccavano nel prato.
Il giallo pallido, che decorava di teneri boccioli gli steli e la dura sabbia.
Il forte verde, impronta delle soffici nuvole spumose che navigavano nell'ampio universo.
Lo sterile azzurro, le cui sfere di rugiada imperlavano di vita le foglie.
Il tenue indaco, che si annodava intorno ai suoi capelli castani formando un cerchietto.
Il violetto malato, linfa velenosa delle caduche foglie che abbandonavano tristemente il platano.
Un platano cresciuto in fretta e male, dal tronco storto e dai rami neri.
"Buonanotte", sussurrò dolcemente Sakura.
Il pastello era caduto dalle mani della bambina, mentre il disegno lasciato incompiuto si completava dietro i suoi occhi chiusi.
La kunoichi spense la luce, alleviando il tormento pungente che gravava anche sulle sue palpebre stanche.
La bolla del sogno era sempre la più dolce, e ora spettava anche a lei.
Ma tutto ciò che poteva sognare era la realtà, un miscuglio mostruoso di immagini vissute, ripetitive e dolorose.
Solo semplici e futili rielaborazioni di sensazioni quotidiane.
Forse, il vero sogno non si viveva da addormentati...
Forse bastava un pizzico di fantasia, e un foglio di carta da colorare.
Forse...
Lei non sapeva più sognare.


*




"Allora Sakura-chan, ti sei rilassata in tutto questo tempo di permanenza a Konoha?"
"Scemo!"
O Naruto era del tutto cretino, oppure si divertiva a stuzzicarla, e in tal caso non avrebbe ottenuto da lei nessuna pietà.
Con fin troppo nervosismo, la ragazza continuò a premere degli impacchi gelidi sulle numerose contusioni che gli costellavano il corpo, stando ben attenta a fare più pressione del necessario.
"Vedo che sei stato impulsivo, come al solito", affermò con tono critico.
Naruto non reagì al suo rimprovero. Si limitò a chinare mogio la testa, in una probabile delusione delle sue aspettative.
Ma poi, riprese subito il suo insopportabile sorriso.
"E quindi ti hanno messa a fare la baby sitter? Che disonore!"
"Già..." Asserì Sakura, pensierosa.
Pensierosa come non lo era mai stata.
Ignorò gli occhi blu di Naruto che cercavano - invano - di studiarla.
Si sentiva in colpa.
Terribilmente in colpa.
Tutto ciò che era riuscita a fare per Yukiko era stato rinchiuderla nuovamente nel suo giardino, e gettare via le chiavi.




"Mi lascerai qui?"
Sakura le annodò premurosa il fiocco rosso dietro la schiena.
"Non ti preoccupare Yukiko, la nonna è già tornata".
Lei immerse un dito nell'acqua, sfiorando le squame viscide di un pesce.
Sembrava fissare le piccole onde concentriche come se potesse vederci riflesso un mondo tutto suo, invisibile per gli altri.
La ragazza le dedicò un ultimo sguardo tenero, prima di girarle le spalle e dirigersi verso la porta.
Ancora pochi passi, pochi gesti, e il sogno s'infranse.
Di lui rimanevano solo un foglio e un disegno, ma ormai sembravano non avere più valore.
Non avevano più valore.
Erano solo corteccia stropicciata e pasticcio di cera.















1° Classificata al contest A causa di... un'adozione! indetto da Malika



Grammatica e Sintassi: 15/15 
Grammatica e sintassi perfetta: complimenti! 
Forma e Stile: 14/15 
Ecco, il lessico è abbastanza appropriato, solo in un caso avresti potuto usare un vocabolo differente perché non adatto al personaggio, ma per il resto tutto a posto. Un’altra cosa che per me poteva valorizzare il tuo racconto è l’utilizzo di una punteggiatura più varia e di periodi più complessi non solo in prossimità con le descrizioni, molto ben sviluppate. 
Caratterizzazione bambino: 4,5/5 
Yukiko è come l’avevo immaginata e sono contenta che tu sia riuscita a renderla così bene, anche se forse è un po’ troppo aperta con Sakura, che è comunque un estranea; nonostante la bambina abbia la nonna a consolarla per quello che succede a casa, un legame immediato con una qualcuno che non appartiene alla famiglia mi sembra leggermente forzato. Inoltre, anche se tu hai trattato prevalentemente di Sakura, hai trasmesso le emozioni di Yukiko tramite i suoi disegni. 
IC: 3/5 
Questa non è completamente Sakura: cerca di aiutare come può Yukiko, cercando di essere paziente e di non risultare troppo oppressiva, ma si sarebbe fatta valere con Tsunade, avrebbe cercato di risolvere la situazione in qualche modo. Il pezzo con Naruto è quasi completamente OOC: lei è molto più violenta con il biondo, anche se pensierosa. 
Originalità: 10/10 
L’idea della caccia alla bambina è stata veramente fenomenale, un vero e proprio lampo di genio, anche molto ben sviluppato, dalle reazioni della rosa a quelle della bambina. 
Punti bonus: 5/5 
Utilizzati tutti e alla perfezione; mi ha fatto piacere il ruolo più che centrale dell’oggetto, inoltre. 
Gradimento personale: 5/5 
Bella storia, triste e malinconica, ma bella, capace di far capire come può sentirsi un bambino abusato. Mi è piaciuta molto. 
Totale: 57,5/60 








Note dell’autrice(2):
 
Lo dico sempre, lo so, ma stavolta sono sincera. Questo è stato un risultato veramente inatteso! Nutrivo false speranze in questa storiella pseudo-malinconica, più che altro perché non mi piaceva e continua tuttora a non piacermi. E quindi, beh... sono rimasta veramente sorpresa!
Ringrazio ancora una volta la giudice Malika, per le sue valutazioni precise e assolutamente esaurienti, e naturalmente per aver indetto questo bellissimo contest e per aver avuto questa bellissima idea!
E per il banner, beh... è stato amore a prima vista! 
Soprattutto perché è sembra l'incarnazione del mio immaginario...
Bene, chiudiamo queste inutili note finali perché ho veramente poco altro da dire... se non che d'ora in poi sarò parecchio impegnata a rispettare le scadenze dei millemila contest che mi hanno nella loro lista partecipanti.

   
 
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