Scritta per il
TVG!Fest
con prompt adult!Elena/adult!Jeremy -
"Happiness is like the old man told me/Look for it, but you'll never find
it all/Let it go, live your life and leave it/Then one day, wake up and she'll
be home"
Chapter
3 [Jeremy, Xander & Oliver]
[Istruzioni per l’uso: 1.
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di ricerca 3. ascoltare la
canzone durante la lettura u_ù]
Il
bambino che inseguiva le stelle cadenti.
Happiness is like the old
man told me
Look for it, but you’ll never find it all
But let it go, live your life and leave it
Then one day, wake up and she’ll be home
Happiness. The Fray
C’era qualcosa
nell’atmosfera placida e intorpidita delle serate agosto, che aveva sempre
affascinato Jeremy.
Il ronzio monotono dei
televisori accesi aveva un che di piacevole e rilassante, così come il frinire
dei grilli che avvertiva talvolta, mescolato al chiacchiericcio concitato di
qualche vicino.
L’abitudine di
sgusciare in giardino non appena intravedeva le prime stelle fare capolino era
qualcosa che si portava dietro fin da bambino, quando ancora faticava a restare
in una stanza per più di una manciata d’ore al massimo.
In preda
all’iperattività e al desiderio di avvertire l’aria fresca a contatto con la
sua pelle, il bimbetto era solito rifugiarsi sui gradini d’ingresso di Casa
Gilbert pronto a improvvisare una partita a baseball con qualche avversario
invisibile o, se proprio era fortunato, a inseguire le lucciole che
rischiaravano a intermittenza piccole zone erbose del cortile.
Una volta cresciuto,
Jeremy aveva continuato volentieri a trascorrere le tiepide serate estive
all’aperto. Accoccolato sull’erba fresca, il ragazzo impiegava ore nel
tentativo di catturare su fogli di carta ogni elemento del paesaggio che colpiva
la sua attenzione.
Le luci dei lampioni
diventavano così sottili filamenti gialli e l’oscurità era simile a un mantello
intarsiato di minuscoli puntini d’oro.
Intrappolato
nell’atmosfera tenue e delicata di quei momenti, Jeremy traduceva rumori e
sensazioni in immagini e stravolgeva la notte trasformandola in un tripudio di
luci e ombre, dove i colori facevano a pugni con il nero: e molto spesso,
vincevano.
A coronare quei
quadretti, le stelle ravvivavano la porzione scura di cielo, guadagnandosi in
ogni occasione il ruolo di protagoniste indiscusse.
“E questa?” Caroline indicò con l’indice l’unica striatura gialla che spiccava nel cielo del
disegno.
“è una stella cadente.” Le labbra
di Jeremy si incresparono a formare un sorrisetto
sghembo.
“La stessa stella che ci è passata
sopra la testa poco fa.”
“Che cosa? Un’altra?” La ragazza si affrettò a scrutare la volta celeste alla
ricerca di filamenti di luce.
“Sei sicuro?”
“Sicurissimo.”
Jeremy si sfilò la matita da dietro
l’orecchio e proseguì con il suo disegno.
“Perché sei sempre tu ad avvistarle
per primo?” Domandò allora Caroline mettendo su un broncio infantile.
“Cos’è, hai qualche potere
speciale?”
“Le inseguo e basta Caroline.”
Jeremy diede una scrollata di
spalle. D’estate, quando non c’erano nuvole, era ancora più piacevole starsene
sdraiati sotto quel tappeto intarsiato di sprazzi luminosi.
“Le inseguo e basta.”
Quando Jeremy era
piccolo, le stelle erano una delle poche cose che riuscivano a mantenerlo
tranquillo abbastanza a lungo, se non si contavano pastelli e matite colorate.
Trascorreva intere
mezzore accoccolato sull’erba, gli occhietti vispi a scandagliare il cielo
nella speranza di riuscire a individuare una stella cadente. Per qualche strana
ragione era sempre il primo a scovarle indicandole svelto con l’indice per poi
chiudere gli occhi al fine di esprimere un desiderio.
E ci riusciva sempre,
rapido com’era.
Eppure, non era mai
sicuro di cosa dovesse chiedere alle stelle. A cinque o sei anni è difficile andare
più in là di un pacchetto di caramelle e un giocattolo nuovo di zecca. E Jeremy
si stufò ben presto di sprecare il potere speciale degli astri con quel genere
di richieste.
Fu Miranda a suggerire
al bambino come sfruttare al meglio i propri desideri.
“Devi sempre pensare a
quello che ti rende felice.”
Gli sussurrò una sera
in un orecchio prima di accarezzargli il capo con tenerezza.
“ Se sei felice, tutto
funzionerà sempre per il meglio. Devi chiedere questo alla
tua stella.”
La felicità.
Per un bambino dell’età
di Jeremy, la felicità aveva lo stesso odore delle gomme da masticare e le
sembianze di un pallone da calcio ancora completamente intatto.
La incontrava spesso:
durante i giochi in giardino, nell’andatura buffa e irrequieta di un
millepiedi, in sella alla sua bicicletta preferita.
E tra le stelle: già,
le stelle erano zeppe di felicità.
Era stato crescendo,
che Jeremy aveva incominciato a perderla di vista. Era accaduto e un po’ come
capita spesso con gli amici di infanzia: all’inizio si
è inseparabili, ma prima o poi si
finisce per vedersi sempre meno.
A Jeremy mancava la sua
vecchia amica: la cercò a lungo, ovunque gli capitasse di frugare; in un album
da disegno; fra le pagine ingiallite di un vecchio diario; nello sguardo di
qualche ragazza.
Continuò a scandagliare
il cielo alla ricerca delle stelle cadenti, e ne individuò a manciate, ma i
suoi desideri di raro venivano esauditi.
E alla fine, proprio
nel momento in cui aveva ormai perso la voglia di cercarla, la felicità era
tornata da lui.
Ripensandoci a qualche
anno di distanza, Jeremy non faticò a comprendere come mai avesse impiegato così tanto a individuarla: la felicità era veloce. Talmente
veloce che ancora faticava ad acchiapparla qualche volta.
Come in quel momento,
per esempio.
“Torna subito qui
birbantello che non sei altro!”
Il mondo era una
cascata di colori quella sera. Jeremy si guardò le mani; chiazze di tempera
gialla gli decoravano le nocche così come il collo e gran parte del viso.
“Ti ho colorato! Ti ho colorato!”
Grida infantili
aggiungevano altrettanta brillantezza al quadretto incorniciato dal muretto che
costeggiava casa Gilbert.
Un piccoletto dai
capelli neri sfrecciò di gran carriera fino alla fine del cortile prima di
buttarsi a terra in preda a un portentoso attacco di ridarella. Le manine erano
impregnate di tempera, così come la T-Shirt sformata che gli arrivava alle
ginocchia.
“Aspetta di vedere come
ti colora papà ora, Xander bello.”
Jeremy afferrò un
barattolo di colore dal tavolino e si affrettò a raggiungere il bimbetto.
Accoccolato sui
gradini, il piccolo Oliver lo osservava con un sorriso divertito battendo di
tanto in tanto le manine.
“Dai papà!”
Fece il tifo per lui
prima di tornare al suo disegno.
Era una tiepida sera
d’agosto. Una domenica. La maggior parte degli uomini di Mystic Falls in quel
momento era probabilmente incollata al televisore con una lattina di birra in
mano e una manciata di cuscini sprimacciati dietro la
schiena.
Non Jeremy.
Per lui la telecronaca
della partita di football era solo un vago ronzio di sottofondo. Ciò che
contava veramente era quella manina sporca aggrappata ai suoi jeans, la manina
di un bambino deciso a farlo cadere a terra.
“Vinco io!”
Annunciò Xander facendo
le boccacce al padre prima di afferrarlo per un braccio e di trascinarlo verso
il basso.
Jeremy attirò il
piccolo a sé e incominciò a imbrattargli la faccia di piccoli baffi di colore,
evitando per un soffio i dentini da latte di Alexander.
“Papà perde! Xander vince!”
Continuò a sostenere il
bimbetto in preda a un secondo attacco di ridarella. Mentre il padre lo
sollevava con facilità, Xander puntò i piedi a terra tentando di fargli perdere
l’equilibrio.
“Xander non vince,
perché papà è più forte.”
Lo rimbeccò l’uomo
spingendogli la testa verso il basso. Xander prese a ciondolare a testa in giù,
stirandosi per allungare le manine fino a terra.
Si dondolò per un po’,
ma alla fine riuscì nel suo intento.
“Ehi Olive! Olive guardami, cammino con le mani!”
Annunciò allegramente
aggrappandosi ai fili d’erba per mantenersi in bilico.
Oliver gli corse
incontro ridendo.
“E tu che cosa nascondi
là dietro, tesoro?”
Domandò un insospettito
Jeremy notando che Oliver aveva le manine intrecciate dietro la schiena.
Probabilmente si
trattava di un disegno. O di un pastello. Oliver era la creatura più docile e
mite che avesse mai conosciuto.
La felicità aveva due
nomi: Alexander e Oliver.
E se Xander incarnava
la rapidità con cui essa si muoveva, Oliver era la dolcezza con cui alla fine
poi lei gli aveva sorriso.
“Quetto!”
Annunciò infine il
bambino mettendo in bella mostra due manine completamente intrise di tempera.
“Xander perde!”
Annunciò con un sorriso
incredibilmente innocente spiaccicando i palmi sulle guance del fratello
maggiore.
“No!”
Xander si lamentò
cercando di allontanare Oliver, ma il bimbetto non si lasciò intimidire e
continuò a impiastricciare faccia e vestiti del maggiore con le manine sporche.
Jeremy scoppiò a
ridere, sorpreso dall’atto di monelleria del figlio minore. Si riprese quasi
subito, nel notare che per via dei frenetici movimenti di Alexander, il piccolo
stava per scivolargli di mano.
“Chi sta vincendo qui?”
Oltre la staccionata
che delimitava il giardino dei Gilbert, un uomo e una donna osservavano divertiti
l’allegro quadretto familiare.
“Vinco io zio!”
Xander si liberò dalla
presa del padre e, scivolando a terra con un tonfo, gattonò fino alla
recinzione per raggiungere i due coniugi Donovan.
“Io vinco sempre!”
Annunciò tendendo le
braccia verso lo zio Matt che si sporse per prenderlo in braccio.
“Non proprio sempre,
però.”
Oliver annuì con aria
seria appoggiandosi sul fianco del padre e stropicciandosi un occhietto,
insonnolito.
Jeremy gli accarezzò il
capo.
“Oliver ha ragione.”
Elena si intromise nel discorso, sorridendo al nipotino più
piccolo.
“Qual è il fratellino
Gilbert che vede sempre per primo le stelle cadenti, per esempio?”
Sia Oliver, sia Jeremy alzarono la mano.
“Io e
te papà!”
Dichiarò Oliver con
aria soddisfatta lasciandosi prendere in braccio.
“Noi le seguiamo! Vero?”
Jeremy annuì.
“Le inseguiamo e poi
esprimiamo un desiderio.”
Confermò l’uomo
stringendo a sé il piccolo Oliver.
“Ma
però, io quando sono grande però vi batto tutti.”
Annunciò Alexander
fiero giocherellando con il colletto della camicia dello zio.
“Divento astronauta e
vado a rubare tutte le stelle. E poi le metto in camera mia, così le vedo
sempre per primo!”
“Ehi, ma lo sai che
anche lo zio Matt voleva fare l’astronauta quando aveva la tua età?”
Gli rivelò Elena
arruffandogli i capelli con tenerezza.
“Diceva sempre che la
prima volta che avrebbe attraversato il cielo, si sarebbe fermato per prendermi
una stella. E io sto ancora aspettando…”
Aggiunse inarcando un
sopracciglio in direzione del marito.
Matt scoppiò a ridere.
“Beh ho ancora tutto il
tempo…”
Si difese sistemandosi meglio Alexander fra le braccia e avvicinandosi alla donna.
“Nel frattempo
accontentati di questo.”
Allungò il collo per
baciarla, ma le manine rapide del nipotino si frapposero fra i due volti,
allontanandoli.
“Che schifo zii!”
Annunciò Xander con
aria disgustata e un pizzico di birbanteria nello sguardo. Jeremy rise,
avvicinandosi alla staccionata per recuperare il bambino che in cuor suo gliene
ricordava tremendamente un altro.
“Ma cosa “che schifo?” Prima o poi anche tu riempirai Caroline di bacini.”
Lo prese in giro Matt
sorridendo con aria divertita.
“Scordatelo!”
Si lamentò il ragazzino
scuotendo il capo con violenza.
“..E
comunque se non ti dispiace il mio bacio me lo prendo lo stesso…”
Aggiunse Elena coprendo
gli occhi di Alexander con una mano e avvicinandosi al marito per baciarlo,
ignorando le proteste del nipote.
Jeremy osservava tutto
questo ridendo. Il piccolo capo di Oliver era accoccolato sul suo petto e gli
occhietti del bambino incominciavano a chiudersi, stanchi e insonnoliti.
Erano loro le sue
stelle cadenti.
Era quella la felicità.
“Papà ho sonno.”
Mormorò prima di
lasciarsi sfuggire uno sbadiglio.
“Dici alle stelle se si
spengono? Così poi dormo.”
Jeremy strinse a sé con
più forza il figlioletto fra le sue braccia.
Proprio quel momento,
una stella cadente attraversò il cielo simile a una rapida pennellata di
colore.
Non penso vi stupirete
se vi dirò che quella volta Jeremy fu l’unico a non vederla.
Non ne aveva più
bisogno.
Nota dell’autrice.
*Laura fa un respiro profondo*
Jeremy.
Jeremy, Jeremy, Jeremy.
È inutile, per quanto
io ami Tyler all’inverosimile, nessun personaggio mi fa emozionare quanto
lui. Jeremy è l’unico che di tanto in
tanto mi fa versare una lacrima mentre scrivo. Accade di raro, ma se ottengo questo risultato è sempre con lui. Questa one-shot è un po’ l’emblema
di tutta la raccolta e non per altro, ho deciso di ispirarmi alla strofa della
canzone che ho inserito prima di iniziare con i capitoli.
È da quando ho
incominciato a rimuginare sul futuro dei personaggi che so, che non mi sarei
data pace fino a quando non avrei visto Jeremy effettivamente felice. Felice e
in pace con sé stesso. Dopo tutto
quello che ha passato era il minimo (un po’ come per Matt). Anche se è un po’ “cheesy” come cosa, (la questione della felicità e bla bla bla),
non mi è dispiaciuto descrivere il tutto in questa maniera. Il titolo si
riferisce sia a lui, e in un certo senso anche a Oliver.
E niente, non riesco ad
aggiungere nulla, Jeremy ha già detto tutto. Vi volevo solo ringraziare davvero
tanto tanto per i commenti che avete lasciato sia al
capitolo su Bonnie, sia alle foto sui pargoli.
Per chi non le avesse
già viste, le potete trovare tutte qui.
Grazie ancora.
Un abbraccio forte
Laura
P.S. Jeremy ha anche
una moglie eh xD Prima o poi
farà la sua comparsa.