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Autore: FRC Coazze    12/08/2011    11 recensioni
La pioggia cade sul castello di Hogwarts. Una figura nera si appoggia stancamente ad una finestra osservando le gelide gocce danzare all'esterno.
-Gli angeli... sua madre gli raccontava spesso degli angeli...
"Sono esseri buoni, bambino mio.- Ella soleva dire- Sono creature pietose che portano consolazione agli uomini... a chi ha bisogno d'amore, a chi ha bisogno di qualcuno accanto. Loro sono sempre lì, vicino a noi"-
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me, ma a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling, la trama di questa storia ed i personaggi originali presenti in essa sono invece di mia proprietà e pertanto occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.



 

 

PIOGGIA E ANGELI
 

Pioggia.

Aveva sempre amato la pioggia: quelle lacrime di cristallo che scorrevano giù da guance di piombo; quelle schegge di nuvola che si precipitavano lungo pareti d’aria come silfi bisbiglianti in una corsa folle verso la terra.

Chi mai poteva inviarli? A chi appartenevano quelle lacrime fresche? Si chiese.

Di certo non al cielo.

L’uomo sogghignò, appoggiato alla grande finestra mentre osservava quelle grigie schiere infrangersi sulle mura di quel triste paesaggio.

Perché mai il cielo, nella sua purezza, nella sua indifferenza…  lassù in alto dove dicevano dimorassero gli angeli…  perché egli avvolto nelle sue vesti caste ove aleggiavano i sospiri dei venti, le melodie della luna, i canti possenti del sole, avrebbe dovuto inviare i suoi messaggeri quaggiù, nell’infido mondo dei mortali? Perché gli angeli versavano le loro coppe su questo mondo indegno?
Proprio al cielo appartenevano quei singhiozzi taglienti? Erano davvero gli angeli a dimorare lassù?

Gli angeli… sua madre gli raccontava spesso degli angeli…

“Sono esseri buoni, bambino mio.- ella soleva dire- Sono creature pietose che portano consolazione agli uomini… a chi ha bisogno di amore, a chi ha bisogno di qualcuno accanto. Loro sono sempre lì, vicino a noi.”

“Sono invisibili?” Aveva chiesto una volta a sua madre.

Lei gli aveva fatto una carezza, passandogli le dita sottili sulla sua guancia di bambino. Aveva rabbrividito: quelle mani erano sempre così fredde, espressione di un’anima ferita, turbata da gelidi venti di dolore.

“Non tutti, piccolo mio.- Gli aveva risposto la donna con le lacrime agli occhi- Non tutti.”

Si era alzata, dunque, avviandosi verso la porta scura, ma mentre stava per abbassare la maniglia d’ottone una voce cristallina la bloccò: “Tu ne hai mai visto uno, mamma?”

La giovane donna sospirò. Si voltò lentamente verso il bambino che, seduto sul letto con le gambe incrociate, la guardava con occhi pieni di aspettativa… occhi come i suoi, neri e profondi come i suoi…

Osservò il viso del suo bambino, così pallido e ossuto, segnato da esperienze che mai avrebbero dovuto toccare la pelle delicata di un bimbo di sei anni. Eppure quei segni erano lì, e penetravano sempre più affondo nelle sue iridi scure e sui loro vessilli non v’erano parole di consolazione, non v’erano parole di speranza, ma solo schizzi sbiaditi di incomprensione, lampi sfolgoranti di dolore e semi d’odio già pronti a germinare in quel cuoricino ancora puro.

Eppure la donna non vedeva altro che il suo bambino. Non le importavano le fiere sibilanti in agguato attorno a lui, non le importava di quel livido violaceo sulla guancia sinistra… lei vedeva il cuore e l’anima di quella creaturina un poco impaurita, e sapeva che erano ancora freschi, seppur assediati dalle ombre, erano ancora luminosi… e non si sarebbero mai spenti.

“Solo uno.- Disse la donna con un sorriso- Ed è qui davanti a me.”

Il bambino sorrise e si infilò svelto sotto alle coperte, appagato dall’aver ricevuto una risposta, senza riflettere veramente su cosa significasse quella risposta. Si voltò su un lato accoccolandosi nel calore del suo corpo magro, chiuse gli occhi sentendosi al sicuro tra le braccia tiepide e protettive della notte: una seconda madre… una madrina che lo prendeva in consegna ogni sera cullandolo dolcemente.

La donna sorrise nuovamente: “Buonanotte, Severus.” Disse in un sussurro mentre richiudeva la porta, che aveva aperto silenziosamente poco prima, dietro di sé.

Non avevano più parlato degli angeli da quella sera, e, piano piano, lui aveva abbandonato quelle fantasie, le aveva rimosse dalla mente, sommerso dall’oscurità che via via era cresciuta dentro di lui. Le dita ferine di quella tenebra avevano afferrato le figure luminose e danzanti come artigli taglienti di rapaci, le avevano catturate con la rapidità e la precisione di un falco e le avevano gettate via, lacerate, mutilate… le avevano inseguite dentro di lui, giù, sempre più giù finchè della sua anima non era rimasto che un involucro annerito e gli angeli in lacrime non erano scomparsi: divorati dall’uccello di tenebra.

Si era illuso, a volte, di sentire ancora i loro canti… sciocco ingenuo, il suo spirito non era altro che una landa grigia squassata da vento caldo e cenere… chi poteva dimorarvi?

Il cielo. Il cielo era la casa degli angeli… non certo l’inferno ch’era dentro di lui. C’era il deserto nel suo spirito, non v’erano angeli né demoni laggiù: tutto era silenzio e l’angoscia… sì, l’angoscia regnava signora.

Di quelle creature di luce aveva udito i singhiozzi, però… oh sì, quelli li aveva sentiti bene… e le loro grida e le loro suppliche, ma lui non aveva fatto nulla per aiutarli: il aveva lasciati divorare dalle fiamme, ed ora ne sentiva la mancanza, anche se sapeva di non avere il diritto di desiderarli di nuovo… se alcuni erano sopravvissuti che senso aveva cercarli? Chi aveva acconsentito al loro strazio non aveva diritto di cercare gli esuli… no…

Sua madre meritava la consolazione degli angeli, lei che invece non la aveva mai ricevuta perché il suo unico angelo l’aveva tradita, non aveva fatto nulla per aiutarla e lei era morta sola, senza la consolazione di avere il figlio accanto a sé… un figlio che stava già inesorabilmente sprofondando nell’abisso.

L’uomo tirò un pugno forte contro il vetro con furia, la rabbia del dolore e del rimorso. Fantasma. Lui era un fantasma… altro che angelo!… solo un fantasma che vaga indifferente per il mondo, senza curarsi di se stesso, senza curarsi di ciò che gli sta intorno. Aveva un unico scopo, un’unica catena lo teneva stretto a sé; compiuta la sua missione sarebbe semplicemente svanito come uno sbuffo di fumo, come se non fosse mai esistito… nessuno si sarebbe ricordato di lui. Chi può ricordarsi di uno spettro? Evocato un giorno da un vecchio con una lunga barba bianca vestito in modo bizzarro. Quello stesso vecchio che aveva cercato invano di ridargli anche un corpo… folle, ingenuo mago! Non si può ridare la vita ai morti!

Il cielo fuori piangeva, ma lui sapeva di non essere degno delle sue lacrime… eppure le desiderava, desiderava sentire le lacrime di altri mischiarsi alle sue sulla sua pelle chiara. Voleva uscire… oh sì! Voleva lasciarsi toccare dalle dita della pioggia, voleva sentire il respiro degli angeli su di lui, le loro mani candide posarsi sulle sue spalle, le loro voci sussurragli parole dolci…

Rimase lì a lungo, appoggiato alla finestra, osservando le danze di creature che gli erano ormai estranee. Erano lì: le vedeva distintamente: gli sorridevano, gli facevano cenno di unirsi a loro, di raggiungerli nella loro danza, ma lui rimaneva immobile.

Una lacrima amara gli scivolò lungo la guancia, piccola astuta scintilla che era riuscita ed evadere dai suoi occhi oscuri.

Chiuse gli occhi per un attimo, trattenendo le altre perle dal seguire la sorella intraprendente, poi si voltò di scatto facendo ondeggiare il mantello nero in un movimento secco, girando le spalle alle creature grigie che lo chiamavano sussurrando il suo nome.

Pioggia.

Le lacrime degli angeli erano aride gocce di polvere sulla cenere della sua anima.

 

***

 

Ehehm... è la mia prima fanfiction, abbiate pietà di me!
E' una colossale stupidaggine, me ne rendo conto. L'ho scritta questo pomeriggio, così, di getto. Spero vi aggradi più di quanto non piaccia a me: insomma, non ha nè capo nè coda a mio avviso, però la trovo carina. Una sciocchezza carina.


Recensite, popolo! Ditemi cosa ne pensate.
 

  

  
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