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Autore: roxy92    13/08/2011    3 recensioni
Dal prologo "Un oggetto pesante cadde in acqua. Lo udì sbattere con un tonfo sordo ai piedi del fiume. Un mugolare sommesso gli permise di identificare qualcosa di vivo. Ne avvertì l’aura e non era umana. Sospirò seccato volando nella giusta direzione. Era sicuro solo di una cosa a quel punto: rogne."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Piccolo, Un po' tutti
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Aprì lentamente un occhio, disturbato nella sua meditazione notturna. Sopra di lui, le stelle brillavano silenti e guardinghe come al loro solito. Piccolo aveva avvertito una strana vibrazione, l’annuncio di qualcosa che stava per accadere. Non avrebbe saputo dire se in bene o in male ed era inquieto.

Un oggetto pesante cadde in acqua. Lo udì sbattere con un tonfo sordo ai piedi del fiume. Un mugolare sommesso gli permise di identificare qualcosa di vivo. Ne avvertì l’aura e non era umana. Sospirò seccato volando nella giusta direzione. Era sicuro solo di una cosa a quel punto: rogne.

Camminò sospettoso fino alla figura che emergeva solo parzialmente dall’acqua. La trovò più piccola di quanto si era immaginato.

“Ehi, tu! Chi sei e che ci fai qui?”

Non otteneva risposta. L’udito fine gli permetteva di sentire un soffio flebile, irregolare, più simile al ringhio soffuso di un animale che al respiro di una persona.

Di chiunque si trattasse, ne dedusse che non sarebbe sopravvissuto a lungo. Anche perché, pur non avendo una vista acuta quanto l’udito, gli pareva di vedere l’acqua più scura sotto quella creatura, di un preoccupante rosso vivo.

“Sei ferito, amico?”

Sbuffando, rendendosi conto che gli sarebbe capitato l’ingrato ruolo del buon samaritano, si avvicinò di più. Lunghe ciocche di un improponibile verde smeraldo, bagnate, aderivano perfettamente a un viso magro e pallido.

“Se non ti decidi a rispondere posso benissimo lasciarti li a morire.”

Il ferito strizzò le palpebre. A fatica alzò gli occhi scuri ai suoi piedi e non lo degnò di altra attenzione. Semplicemente, richiuse le palpebre e smise di respirare.

Ancora più seccato, il namecciano allungò le dita verso il suo collo, con l’intenzione di percepire il battito cardiaco.

Il suo urlo squarciò l’aria. C’era andato calmo, certo d’aver avanti qualcuno con un piede nella fossa. Mai si sarebbe immaginato che quel piccolo bastardo lo avrebbe morso.

“Razza di…!”

Se lo scrollò di dosso con uno schiaffo e stava per tirargli un pugno, quando il suo avversario, cadendo supino sullo stesso argine del fiume fino a poco prima era riverso, si rivelò essere una femmina, non sapeva di quale razza.

Piccolo se ne accorse dalle forme inconfondibili del corpo e del viso delicato. Se non le tirò davvero il colpo già pronto, fu perché lesse la disperazione in faccia e capì che, con quell’unico assalto, era del tutto priva di energia e incapace di muoversi. Provò disgusto quando notò quel rivolo viola colare dalle labbra pallide di quella creatura e sanò la propria mano ferita. Quella straniera aveva vere e proprie zanne al posto dei denti e l’anima svuotata di chi non ha più nulla da perdere.

Forse fu per quello che provò pena per lei. Cauto, le porse la propria borraccia e offrì la stessa acqua che era il suo nutrimento.

“Grazie.”

La straniera aveva impiegato un certo sforzo per parlare e aveva una strana voce, diversa da quella chiara e decisa del namecciano.

“Chi sei?”

“Leara.”

Piccolo ripose la borraccia e si alzò in piedi.

“Bena… Leara.”

Pronunciò con un po’ d’incertezza quel nome.

“Ascoltami bene: attaccami un’altra volta come prima e giuro che ti uccido. Ci siamo capiti?”

La giovane riuscì ad annuire appena. Non sembrava troppo intimorita dal cipiglio del guerriero.

“Come ti senti?”

“Male.”

Provò ad alzare la testa, ma fallì miseramente.

“Molto…male. Non riesco muovermi.”

“Perfetto. Giusto quello che volevo sentire.”

Piccolo non ebbe alcun dubbio a fidarsi, visto come era ridotta. La prese in braccio e spiccò il volo in fretta.

“Dove mi stai portando?”

La guardò di traverso. Per un attimo trattenne l’istinto di lasciarla cadere.

“Dove ti potranno curare e intendo andarci il più in fretta possibile. Non ho intenzione di avere niente a che fare con un animale selvatico come te.”

La vide ridere.

“Non è colpa mia se sei così lento da farti fregare da una moribonda.”

“Mi hai solo preso alla sprovvista!”

Urlò inferocito, facendola ridere di più.

“Non ti arrabbiare. Anzi, guarda, ti chiedo anche scusa. La prossima volta, prima di morderti, chiederò il permesso.”

Non rispose. In realtà era rimasto colpito dalla velocità di quella ragazza.

“Sei stata rapidissima, lo ammetto.”

Si stupì di vedere spento il sorriso beffardo di poco prima. Di sicuro, pensò, evocava i ricordi degli eventi appena trascorsi.

“Merito del mio maestro. Me lo disse fin dal primo giorno che non sarei stata abbastanza forte. Per sopravvivere, posso essere solo molto veloce. Solo, non lo sono stata abbastanza.”

La ragazza aveva serrato gli occhi con forza per impedirsi di piangere. Non ce l’aveva fatta e le lacrime, anche se poco, erano uscite comunque.

“Al diavolo!”

Il namecciano ignorò quell’imprecazione che rivolse contro se stessa. Rispose solo ad un’altra domanda.

“Dove mi stai portando?”

“Da Balzar. Quel gattaccio ha qualcosa che ti rimetterà subito in sesto.”

“Grazie. Davvero.”

Dopo quelle parole ci fu solo silenzio. Piccolo ne sentiva il respiro più regolare e profondo, di chi è scivolato in un sonno ristoratore, anche se popolato da brutti sogni. Di li a poco, giunsero in vista dell’obelisco.

Era mattina.

Non mi picchiate per l’idea balorda! Ammetto che è la prima volta che scrivo e che Piccolo è un personaggio che mi fa sognare. Però se proprio vi fa schifo questa fic fatelo sapere. Se invece la apprezzate un grazie appassionato. Ciao! ;)

  
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