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Autore: Duca di Curadore    13/08/2011    1 recensioni
A volte nei sogni si può viaggiare in ere, mondi e situazioni presenti, passate e future.Ve ne sono alcune che non trovano collocazione in alcuno di questi metri di paragone umani.
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                                                            La città siderale.

 

Oltre le stelle più lontane, oltre gli abissi più infiniti, oltre i muri dei sogni più remoti brilla Thelluron, la città siderale.
Astro sospeso su baratri cosmici, non è conosciuto dai normali sensi della vista umana. Ma a volte è possibile percepire l’austero vento che da essa soffia, trascinando con sé sogni, speranze interrotte, delusioni, paure, morte. Dietro tutto questo è però possibile sentire la bellezza di ciò che una volta quel mondo era. Anche se tale sensazione rimarrà sempre angosciosa per me. Poiché se l’armonia, la felicità, la giustizia e la vita, su quel mondo sono state interrotte è stato per colpa mia, di ciò che io ho fatto.

 

Sfiderò il dolore del rimorso che alberga nel mio cuore e con la mente tornerò indietro per raccontare come tutto ciò avvenne.

 

A volte nei sogni si può viaggiare in ere, mondi e situazioni presenti, passate e future. Ve ne sono alcune che non trovano collocazione in alcuno di questi metri di paragone umani.

Una notte stelle lontane cominciarono ad entrare nei miei sogni. Non so se ero io a cercare quei mondi o se fossero loro a cercare me. E fu così che la luce glaciale di Thelluron si aprì a me. Un’immensa città di marmo e ghiaccio mostrava la sua magnificenza su un astro splendente di luce propria.Io la osservavo dal vuoto; come facevo essere è fatto da me ignorato. Fatto sta che non avevo un corpo, ma ero essenza, percepivo la vita della città dinanzi a me e la vita dei suoi abitanti, in cui sentivo una felicità che mascherava tedio e desiderio di conoscere ciò di cui non si può avere conoscenza.

 

Col pensiero bramai di avvicinarmi ancora di più a quel paradosso cosmico, volevo sentire sempre di più quelle essenze, capirle, vedere la città al suo interno e provare la vita dei suoi abitanti.

La mia anima cominciava ad incarnarsi sempre più e cominciavo a sentire il respiro del mio nuovo corpo in quel mondo, e così il mio ardito desiderio venne esaudito. Piombavo però in un sonno che aumentava man mano che il mio essere diveniva materiale, tale che ad un certo punto temetti di perdere il contatto con quel luogo. Ma ciò non avvenne perché entro breve una voce di quel mondo mi chiamò al risveglio.

 

-Lo straniero si è svegliato!- Disse una voce che non aveva nulla di alieno.

Aprii gli occhi e vidi delle figure umane dinanzi a me. Avevano caratteristiche fisiche simili alle mie, questo mi diede sollievo e mi spinse a parlare con loro e a conoscere sempre più ciò che mi circondava. Così seppi chi fu il mio primo interlocutore in quel mondo: Sihas. Costui aveva un posto famoso nella loro società e mi divenne amico; mi spiegò la loro vita, i loro usi, la loro giustizia e il loro sapere.

 

 

La città era strutturata in modo concentrico con edifici chiari di marmo o di ghiaccio, l’aria era fresca, non si conosceva notte, ma quel mondo era perennemente illuminato dalla luce bluastra della stella che li ospitava. Tutto era così ordinato, nelle costruzioni, nella vita, nelle occupazioni.

Gli abitanti di Thelluron non conoscevano morte, fame ingiustizie e malattie. La sapienza era patrimonio comune, e non v’erano individui ignoranti o istruiti, ma tutti partecipavano alla vita sociale. Si potrebbe dire che fosse una terra composta interamente da sapienti. Per alcuni del nostro mondo forse sarebbe stata la città ideale e giusta tanto ipotizzata. Al centro dell’abitato circolare vi era un’altissima torre, senza nome, nessuno era mai entrato, né in alcun tempo loro conosciuto era salito sulla sommità, il contenuto della torre era ignoto e sconosciuto.Dalla notte dei tempi, per motivi inspiegabili l’accesso ne era proibito. La chiave per entrarvi era posseduta solo da un gruppo di persone che facevano giuramento di custodirla fino alla fine. Chi gliela avesse consegnata non era più cosa conosciuta. Nonostante ciò alcuni Thelluriani premevano perché la torre venisse aperta, spinti da una brama di conoscenza proibita e dalle leggende che circolavano attorno a essa.

Si diceva che all’interno vi fosse addirittura il segreto del potere universale. Questi movimenti a favore o contro l’apertura della torre costituivano dunque l’unico vivace movimento sociale nella vita di Thelluron.

 

Sihas, colui che mi aveva accolto, era uno dei custodi della chiave. Egli era una persona generosa e socievole. Come atto d’amicizia e fiducia verso di me, mi fece entrare fra i custodi della chiave. E io giurai fedeltà eterna di non consegnarla a nessuno o di non adoperarla io stesso per lo scopo proibito.

 

Non passò molto tempo che un predicatore si fece vedere al centro della città siderale, egli era a favore dell’apertura della torre e riuscì a portare dalla sua una buona parte di Thelluriani:

  • “I custodi ci hanno ingannato! Vogliono tenere per loro segreti e poteri che dovrebbero essere patrimonio della comunità. Essi inoltre rimangono chiusi nella loro ottusa convinzione dogmatica e non svelano ciò che vi è veramente all’interno della torre, poiché lo sanno. Pensate che nessuno di loro l’abbia mai aperta?Perché mantenere questo segreto? Cosa hanno da nascondere?”

 

Queste parole, pronunciate da Ghofis, attiravano molte persone, e anch’io rimasi affascinato dal suo discorso. Sebbene Sihas mi avesse ammonito di non ascoltare questi individui da lui considerati millantatori, io però in cuor mio cominciavo a bramare i segreti e la conoscenza proibita della torre.

Ma rimasi per quel momento fedele a Sihas e ai custodi, data la fiducia e l’amicizia da loro dimostratami.

 

Inevitabilmente però la curiosità, la sete di conoscenza segreta e di potere crescevano inesorabilmente in me, non riuscivo a pensare ad altro. Dovevo capire i segreti di quel mondo completamente.Fu proprio in quel tempo che venni contattato da Ghofis nella città:

 

-“Tu sei uno straniero e non sarai certo assuefatto da queste arcaiche convinzioni, dato che dimostri secondo me di essere una persona assai arguta e razionale. Non fidarti di Sihas e degli altri custodi, come tu hai già udito da me essi ti ingannano e tengono la vera conoscenza e il potere segreto solo per loro. Aiutami ad avere la chiave della torre ed insieme conosceremo un potere mai visto prima nel cosmo.”-

 

Dentro di me il timore per il proibito e la lealtà a Sihas e a gli altri si dissolsero brevemente.

Le parole di Ghofis mi convinsero e non ebbi molte riflessioni prima di compiere il gesto richiesto.

Ero un custode della chiave, prenderne possesso non presentava alcuna difficoltà per me; una volta sottratta la portai immediatamente a Ghofis, e decidemmo subito di adoperarla.

 

 

La porta della torre si aprì immediatamente, ma una volta entrati un aria tetra ci diede l’ultimo sussulto di timore prima di metterci a salire nelle lunghissime scale. Si poteva percepire il messaggio che quell’aria voleva trasmetterci: non fatelo.

 

Non demmo conto a ciò che allora pareva solo suggestione ed emozione, quindi proseguimmo; ma durante la salita una cupidigia sempre più sfrenata unita ad un’inarrestabile impazienza, cresceva dentro me e Ghofis.

 

Le scale parevano interminabili, in più un freddo vento cominciava a ostacolarci la buia salita, illuminata solo dalla fiamma della nostra torcia, che stranamente non accennava a spegnersi. La nostra brama di potere, segreti, conoscenza aveva ormai raggiunto livelli bestiali tali da sfogare quasi nell’ira.

 

Finalmente, quando il vento era al massimo della sua forza e la torcia si spense lasciandoci nell’oscurità più totale, arrivammo all’ingresso, percepibile nonostante il buio della torre, poiché la stanza sulla sommità emanava una tenue luce propria che ci permise di riconoscere ed aprire l’ultima porta marmorea.Il vento era sparito. Non ricordo più le sensazioni che provammo quando vedemmo il contenuto di quell’ultima stanza.

 

Un bambino in piedi era al centro di essa. Non v’erano finestre, né aperture, ma tutto era illuminato.

La stanza era vuota, il bambino, biondo con dei riccioli dorati e grandi occhi color ghiaccio, ci fissava con un’espressione neutra.Nessuna emozione o sentimento lasciava dedurre il suo sguardo. Né rispondeva alle nostre parole.

 

Avevamo infranto la più assoluta ed eterna regola di Thelluron, sfidato la salita nell’ignota torre, preso enormi rischi, tutto per niente. La nostra delusione e sete di potere e conoscenza degenerò in rabbia, che si riversò contro l’immobile bambino. Raggiungemmo allora il livello delle bestie e in preda all’ira lo massacrammo. L’intera stanza divenne l’effige di quell’orrido delitto prendendo i connotati di un mattatoio.

 

Ma dal sangue che colava a terra si levò un atroce urlo sotto forma di vento freddo. No, non come quello che avevamo conosciuto prima, ma qualcosa di più forte, che cominciò a trascinare via non solo noi, ma anche la torre e tutta la città.Compresi i suoi abitanti.Un mare di orrore e disperazione sommerse tutto, e ormai sentivo che, io con loro non ero più sulla città siderale.

Un’innocenza ed un candore da sempre esistito svanirono in pochi attimi, trascinando gli abitanti di Thulleron in una realtà che prima di allora non avrebbero mai immaginato potesse esistere. Da quel momento essi conobbero morte, fame, malattie, ingiustizie, e l’odio cominciò a serpeggiare fra loro.

Io persi le mie spoglie materiali in quel mondo e ripiombai nella confusione di sogni da cui ero venuto. Non cancellerò mai il rimorso e il pentimento per ciò che ho loro arrecato. Poiché se essi non hanno e non avranno mai più vita, bellezza e giustizia è stato per colpa mia.  E dall’orrido astro su cui sono ora posti sospirano nel dolore e guardano nel cielo in alto fra le stelle, sperando di cogliere la visione di una magnificenza perduta per mano altrui.

  
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