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Autore: Roxanne Potter    13/08/2011    6 recensioni
Di Merope Gaunt, si sa che viveva con il padre e con il fratello. Nessuno si è mai chiesto chi fosse sua madre, come si chiamasse, come morì?
[Questa storia ha partecipato al Five Days Contest indetto da Erica Weasley sul forum di Efp, classificandosi quarta e vincendo il premio Lacrima e il premio Giuria.]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Merope Gaunt, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Destinata ad arrancare nel buio.

- La mamma guarirà?
Orvoloson le rispose con uno sguardo brusco, freddo.
- Non perdere tempo in sciocchi piagnistei e pulisci quei piatti. Ora.
Prima di alzarsi, lo sguardo di Merope cadde sulla porta in fondo alla cucina. Chiusa da giorni, da quando sua madre era diventata d'un tratto pallida ed era caduta a terra, facendola urlare di spavento.
- Posso portarle qualcosa da mangiare? - mormorò, fissando Orvoloson con quel poco di coraggio che aveva.

- No. Stasera.
Annuì, senza osare ribattere, senza ricambiare le occhiate indifferenti di suo fratello Orfin.
Prese dal tavolo i piatti vuoti, scheggiati e pieni di macchioline, pronta a lavarli, pronta a una nuova giornata di quei servizi faticosi che le toccavano sempre, da quando sua madre s'era ammalata.

La rincuorò il pensiero che, quella sera, avrebbe dovuto portarle la cena in camera, poiché lei era troppo debole per alzarsi.
L'avrebbe rivista.

- Mamma...
Merope spalancò del tutto la porta; si trovò sulla soglia di una stanza con le tende delle finestre tirate, il buio squarciato dalle fiammelle di due candele poste sui davanzali e da una brillante lanterna, che gettava luce sul pavimento polveroso e sui muri scrostati.
Camminò verso il letto addossato alla parete e per poco non inciampò in un lembo troppo lungo della gonna. Poi, stringendo tra le mani un piatto con del formaggio e una pagnotta di pane, si bloccò davanti all'informe masso di coperte.
- Mamma? - disse ancora, in un sussurro.
La coperta si scostò. Merope quasi sussultò nel vedere quella donna pallidissima che si metteva a sedere sul letto, muovendosi lenta, e che la scrutava con i suoi occhi di un nero profondo. La pelle del viso era tirata e cerea, i capelli bruni aggrovigliati e secchi ricadevano sulle spalle sottili. Il corpo magro era coperto da una vestaglia grigia e stropicciata.
- Merope...
Le labbra della donna si stesero in un sorriso.
- La cena. - disse la bambina, e riuscì a sorridere a sua volta. Le piccole labbra di Merope non si erano mai increspate in un sorriso per qualsiasi cosa non riguardasse sua madre.
- Grazie...
Le mani della donna corsero alla pagnotta, che addentò con fervore. Merope rimase silenziosa, in piedi, ancora per qualche secondo. Quando vide che sua madre aveva terminato di mangiare il pane, si chinò per poggiare il piatto ai piedi del letto, accanto a una brocca riempita d'acqua per metà.
- Ma che cos'hai? - chiese in tono timido. - Perché stai così?
- Te l'ho detto, è una febbre passeggera. Non devi preoccuparti.
Sheila Gaunt scosse la testa, ma nei suoi occhi non c'era molta convinzione. Il suo sguardo era colmo di un dolore rassegnato, ma questo Merope non riusciva a capirlo del tutto.
- Ora stai bene?
- Sì, ho solo un po' di freddo... ma vedrai che mi rimetterò.
- Quando? - insistette. Si sentiva divorare dall'angoscia.
- Presto.
Merope annuì, gli occhi tristi. Capiva benissimo che sua madre non voleva dirle qualcosa. Forse stava per morire? Le appariva così chiaro, che quella donna stesse male, che si trattasse di qualcosa di più grave di una semplice febbre.
Aveva paura che morisse.
Il pensiero le fece spuntare una lacrima, che scivolò lungo la sua guancia.
- Non piangere. - esclamò sua madre, e tese una mano fredda per accarezzarle il viso.
- Ma tu stai male, non voglio che tu vada via... e se muori? - disse Merope, per poi deglutire, nel tentativo di sciogliere il magone in gola. Nuove lacrime sgorgarono dai suoi occhi e le inumidirono il volto.
- Non sto per andarmene, non lo pensare affatto. - disse Sheila, in tono dolce. - Mi sono solo ammalata, è una cosa normale. Tra un paio di giorni starò bene come prima.
Merope singhiozzò, si lasciò andare all'abbraccio della donna. Sua madre, in quel momento, era fresca e viva, il sangue scorreva regolarmente nelle sue vene, il cuore batteva, i sensi funzionavano.
Il pensiero che tutto ciò potesse svanire, che Sheila potesse diventare un corpo vuoto e privo di coscienza, la inorridiva, la spaventava. Così Merope piangeva, stringendosi alla madre, e le sue lacrime esprimevano tutto l'orrore che provava al pensiero di perdere l'unica persona che, nei suoi sei anni di vita, le era stata vicina.
Alla fine i singhiozzi si placarono. Merope si asciugò gli occhi e si staccò, lentamente. Sheila la fissava con quel viso stanco, le occhiaie, lo sguardo perso. Ma conservava ancora un barlume di vitalità, nel profondo degli occhi.
- Va tutto bene. Adesso puoi andare. - disse, mentre le accarezzava una mano.
- Sì.
Merope tirò su col naso.
- Tornerò domani.
Si voltò, attraversò la stanza, solo in parte sollevata dalle parole di Sheila. Mentre richiudeva la porta, scorse per l'ultima volta sua madre, distesa nel letto, che la fissava.
Davanti a quel volto turbato e attraversato da un'evidente malinconia, Merope si sentì il cuore in gola.

Una porta che sbatteva.
Merope sgranò gli occhi. Era distesa sul suo letto, sotto una coperta leggerissima. Davanti a lei, solo un pastoso buio. Il freddo di quella notte autunnale la stava facendo rabbrividire.
Aveva sentito certamente sbattere quella porta. Che cosa poteva essere successo?
Mamma...
Pensò a lei e desiderò che fosse lì a rassicurarla e dissipare la paura.
La bambina si sollevò e scivolò giù dal letto, i piedi si posarono sul pavimento freddo. Su di lei era calato un presentimento cupo, un'angoscia, un timore che fosse successo qualcosa di grave. Quel timore irrazionale l'aveva spinta a muoversi, adesso le stava urlando di uscire dalla camera per controllare... non sapeva bene neanche lei cosa.
Ma ne avrebbe avuto il coraggio?
Pensò nuovamente a sua madre. Si disse che non ci sarebbe stato niente di male ad andare da lei, solo per ricevere un suo sguardo che l'avrebbe istantaneamente tranquillizzata.
I suoi occhi si erano abituati al buio, distingueva abbastanza bene il pavimento e le pareti. Avanzò senza problemi fino alla porta, in fondo il tragitto era breve, ma tremò nel ritrovarsi nel buio del corridoio.
Si appoggiò a una parete e fece un passo, poi un altro, gli occhi serrati. Quella parete era il suo unico appiglio alla concretezza, l'unico rifugio in mezzo a tutto quel nero.
Urtò contro la porta che dava sulla cucina e si immobilizzò.
L'era sembrato di udire una voce flebile, ma adesso che si concentrava non sentiva più nulla. Forse era stato un soffio di vento, o la sua immaginazione. Doveva andare avanti.
Serrò la mano sulla maniglia, aprì la porta.
Anche la cucina era vuota, le tende dell'unica finestra tirate, il tutto immerso in un silenzio quasi vibrante. Eppure, la porta in fondo era spalancata e dal corridoio proveniva la debole luce di... una candela?
Merope avvertì una morsa al cuore. Perché la porta, rigorosamente chiusa tutte le notti, adesso era aperta? Qual era la fonte di quella luce?
Poi, sentì una voce maschile provenire dal corridoio. Deglutì, poggiò una mano sulla parete e serrò nuovamente gli occhi, tentando comunque di concentrarsi sulla voce.
Non capiva cosa diceva, era troppo bassa e sibilante. Doveva essere suo padre, o forse suo fratello Orfin... ma che ci facevano loro in quella parte della casa?
Riaprì gli occhi, tirò un profondo respiro. E la morbosa curiosità prese il sopravvento su tutto, nonostante la paura la facesse gelare.
Attraversò la cucina ed entrò nel corridoio. C'era una candela accesa poggiata a terra, poco lontana da lei, la fiammella viva e scoppiettante. La porta della stanza di sua madre, proprio a metà del corridoio, era aperta.
Il suo cuore accelerò i battiti, la paura si impossessò dei suoi sensi. Due voci maschili e distinte, sibilanti, provenivano dalla camera.
Erano Orvoloson e Orfin. Cosa ci facevano lì? E se era successo qualcosa a sua madre?
Azzardò qualche passo in avanti, mentre il tono delle voci aumentava. Eppure, non parlavano una lingua umana e comprensibile. Arrivò finalmente accanto alla porta, con il cuore che sembrava esploderle nel petto.
Avrebbe solo sbirciato, decise, prima di tornare a letto. Se Orvoloson l'avesse vista in piedi, a quell'ora della notte, l'avrebbe punita. Il pensiero la faceva tremare.
Si avvicinò di un ultimo passo alla porta e sporse la testa per guardare all'interno della stanza.
Era completamente illuminata da candele e lanterne. Il letto in fondo era perfettamente visibile; sopra vi giaceva sua madre, distesa sotto la coperta, i capelli scompigliati intorno al viso di un pallore terribile e quasi sovrannaturale.
I suoi occhi erano chiusi, le braccia incrociate sul petto. Sembrava rigida come una statua, e le bastò guardarla una sola volta per capire la verità: era morta.
Lo shock le impedì di muoversi o dire qualcosa. Era come se qualcuno le avesse poggiato un macigno sul petto e la stesse schiacciando, come se dentro di lei fosse esplosa una fiamma di dolore.
Non è vero, no... mamma...
Orvoloson e Orfin erano in piedi accanto al letto, entrambi avevano espressioni calme e quasi indifferenti. Orvoloson si voltò verso quel bambino magro, dai capelli incrostati di sporco, che guardava la madre morta senza turbamento nello sguardo.
Sibilò qualcosa, in quel linguaggio che spesso utilizzavano tra di loro. Orfin annuì, poi Orvoloson gli parlò in modo normale.
- Non ci penseremo neanche a seppellirla in quel cimitero pieno di cadaveri di Babbani. La butteremo in una semplice fossa, domani mattina.
- Sì. - disse Orfin in tono tranquillo, così basso che Merope lo udì appena.

Allora non si era sbagliata, non si trattava di una semplice febbre. Sua madre era morta, non c'era più, non l'avrebbe mai più rivista.
Quella consapevolezza, ormai definitiva, le fece tremare le ginocchia.
Un'intera vita con suo padre.
Non ci sarebbero più stati sorrisi e carezze rassicuranti da parte di Sheila, non ci sarebbero state più quelle mani dal tocco gentile ad esaminarle i lividi che le lasciavano gli schiaffi e le altre percosse, e neanche quella timida voce che le sussurrava: - Un giorno ce ne andremo di qui, Merope, te lo prometto... faremo qualcosa. E lui non potrà più trattarci così.
Era stata perduta. Per sempre.
Finalmente arrivò il bisogno di piangere: il bruciore alla gola, le lacrime traboccanti che le offuscavano la vista.
Non poteva farsi vedere da Orvoloson.
Si voltò e corse via, quasi saettando per il corridoio. La casa le sembrava una trappola, ormai, un inferno. Le appariva infernale persino il pavimento gelido, così come la porta socchiusa che spinse per poi lanciarsi di corsa nel corridoio.
La porta della stretta camera sbatté alle sue spalle. Merope si gettò sul piccolo letto e non riuscì più a trattenersi.
Scoppiò a piangere.
In un pianto molto più fragoroso di quello della sera prima, colmo di tutto il dolore che provava.
Non aveva mai pianto così, prima d'ora, i suoi singhiozzi non erano mai stati tanto intensi.
Tutto bruciava dentro di lei, le sue membra erano tremanti, attraversate dal fuoco della disperazione, e l'unico modo per sfogarlo era piangere.
Le copiose lacrime avevano macchiato tutto il suo viso minuto, contro il quale premeva una mano, e le rotolavano lungo le guance, fino al mento o al collo.
- Mamma... - riuscì a dire, con voce strozzata, l'altra mano che stringeva convulsamente un lembo della coperta.
Come poteva sopportare, quella bambina sola e maltrattata, una tragedia così grande? Come non poteva trovare inaccettabile la morte?

La porta si spalancò, sbatté contro la parete. Lei si sollevò e cacciò un grido, mentre l'alta figura di Orvoloson si muoveva verso di lei.
- Smettila di piangere, stupida!
Tentò di placare i singhiozzi, ma non ci riuscì. La vista del padre l'aveva riempita di terrore, e adesso stava tremando con violenza.
- Zitta! Tua madre è morta e noi stiamo molto meglio così.
La mano ruvida l'afferrò per i capelli e la trascinò giù dal letto.
- Mamma!
Riuscì a urlare quell'unica parola, in preda alla paura, mentre altre lacrime le rigavano il volto.

Orvoloson la schiaffeggiò, facendola barcollare e cadere di nuovo sul letto. Perché Sheila se n'era andata, lasciandola sola in quell'incubo?
- Se non taci, raggiungerai ben presto tua madre.
Merope Gaunt si zittì, tremò in silenzio.
Era solo una bambina, e aveva già conosciuto il dolore viscerale che si prova alla perdita della persona a cui più teniamo al mondo, quella persona che, a volte, può essere una calda e dorata luce che illumina il buio della nostra vita.
Per lei era già finita.
Sua madre se n'era andata, la sua luce s'era spenta. L'aveva lasciata completamente sola nel buio e nella disperazione della sua vita, in balia alla violenza e alla privazione.
Era ancora piccola, ma capiva che, per tutta la sua vita, sarebbe rimasta sola.
Che mai più avrebbe conosciuto il conforto che sua madre sapeva darle, la sua luce si era spenta per sempre.
Da quel preciso istante, Merope Gaunt avrebbe sempre arrancato nel buio. Ancora non lo sapeva, ma il suo destino era quello di affidare tutte le sue speranze a una luce ingannevole e sfuggente, che alla fine l'avrebbe nuovamente scaraventata nell'incubo.
Per poi farla morire. Da sola.

*

Ecco il giudizio della giudicia, che non smetterò mai di ringraziare.** (Naturalmente, ho corretto gli errori lessicali e stilistici.)


Destinata ad arrancare nel buio di Roxanne Potter 
Totale: 42,85/45 

Grammatica e sintassi:9,95 /10
 
Solo un appunto in questo campo: nella frase “Nuove lacrime sgorgarono dai suoi occhi e le inumidirono il volto.” hai ripetuto lo spazio tra “dai” e “suoi”. 
Pt.: -0,05 per spazio ripetuto. Totale: -0,05 pt. 
Lessico e stile: 7,90/10 
Ho due espressioni lessicali che non mi sono particolarmente piaciute e che vorrei farti notale. La prima è nel periodo: “La rincuorò il pensiero che, quella sera, avrebbe dovuto portarle la cena in camera, dato che lei era troppo debole per alzarsi” dove sostituirei quel “dato che” con un “poiché” perché hai usato un’espressione tipicamente usata nel linguaggio parlato più che nello scritto. L’altra scelta lessicale su cui mi ritrovo a discutere è nella frase: “Poi, stringendo tra le mani un piatto con su del formaggio e una pagnotta di pane” dove quel “con su” non mi piace per niente. Puoi togliere direttamente il “su”. 
Per quanto concerne lo stile ho più di una frase su cui vorrei soffermarmi. Andiamo con ordine. Nelle frasi: “Camminò verso il letto addossato alla parete, per poco non inciampò in un lembo troppo lungo della gonna.” e “ Così Merope piangeva, stringendosi alla madre, le sue lacrime esprimevano tutto l'orrore che provava al pensiero di perdere l'unica persona che, nei suoi sei anni di vita, le era stata vicina.” e “ Pensò a lei, desiderò che fosse lì a rassicurarla e dissipare la paura.” aggiungerei una “e” rispettivamente prima di “per poco”, prima di “le sue lacrime” e prima di “desiderò” per rendere meglio la continuità delle azioni. 
Invece nelle frasi: “Merope singhiozzò, si lasciò andare all'abbraccio della donna.” e “Merope Gaunt si zittì, tremò in silenzio” cambierei i verbi “si lasciò” e “tremò” in un congiuntivo, per rendere più scorrevole e meno frammentaria la lettura. Ultima cosa, nel periodo: “ Merope quasi sussultò nel vedere quella donna pallidissima che si metteva a sedere sul letto, muovendosi lenta, e poi la scrutava con i suoi occhi di un nero profondo” sostituirei quel “poi” con un “che”, perché rende meglio l’idea. 
Questi sono solo consigli per limare lo stile, in ogni caso risulta comunque una lettura scorrevole e ben curata, perfettamente adatto al contesto. 
Pt.: -0,60 per lessico inappropriato; -1,50 per stile poco curato in alcune frasi. Totale: -2,10 pt. 
Caratterizzazione: 10/10 
E qui il dieci ci sta tutto. Merope è perfetta, indifesa, timida, impaurita e soggiogata in una famiglia in cui non riesce a trovare la felicità. Curata perfettamente in ogni espressione, mi è piaciuto molto il suo esitare in ogni momento e trovare sua madre come l’unica persona in grado di donarle speranza e sorriso. Al contempo, Orfin e Orvoloson sono tremendamente loro, quasi a far paura. Quando Orfin prende sua sorella per i capelli e le urla che farà la stessa fine di sua madre mi son venuti i brividi alla schiena. Caratterizzazione sputata, meravigliosamente curata, per una One-Shot IC. In tutto e per tutto. 
Originalità: 10/10 
Non ho mai letto niente di simile, non so nemmeno se possa esistere qualcosa di simile in giro. Di sicuro non mi sono mai soffermata a pensare alla madre di Merope, talmente concentrata sul resto della sua storia, ma dev’esser stata di sicuro una figura importante per lei. Mi è piaciuto che tu l’abbia ritratta come la “spalla destra” di Merope, indicandola anche come una persona che non andava comunque molto d’accordo con il marito e il figlio – questo si intuisce dalla battuta nei pensieri di Merope, dove dice che se ne sarebbero andate presto da quella casa. Questo significa che Merope non era quella sbagliata della famiglia; tutt’al più erano in due. Bellissimo questo legame, che hai fatto finire in maniera quasi brutale, ma necessaria. Una cosa mai letta, che merita tutta la mia stima. In altre parole, ti darei 11 se potessi. 
Gradimento personale: 5/5 
E concludo dicendo che mi hai quasi fatto piangere. Che non son riuscita a estraniarmi dalla storia per nemmeno un secondo, che mi hai fatto sentire viva, partecipe del dolore di Merope. Ho trattenuto le lacrime fino all’ultimo, ma poi, con l’ultima frase – “Per poi farla morire. Da sola.” – hai fatto di me una fontana. Mi è piaciuta, da morire. Non ho parole, solo, grazie di cuore per questa storia così toccante. 
   
 
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