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Autore: marguerite_murcielago    15/08/2011    0 recensioni
Cit/: Quando usciva di casa, così come una donna Babbana sceglieva il vestito più carino, il rossetto più acceso – rigorosamente intonato alle scarpe e alla borsetta – e si spruzzava l’ultima fragranza uscita sul mercato, per essere al top, anche lei selezionava con cura infinita le boccette da cui attingere; provava il contenuto di una, la bacchetta alzata accanto alla testa, le sopracciglia corrugate per la concentrazione, aveva un moto di disgusto e lo rimetteva a posto.
Di solito sceglieva subito la base, tre boccette di un intenso rosso vermiglio, e se le versava addosso, incauta. Poi pensava a cosa andava a fare e sceglieva la testa, tre essenze selezionate accuratamente per dare agli altri la netta impressione di essere come loro; ed infine, il centro, il cuore, estraeva le essenze più particolari, così che nessuno si dimenticasse di chi era lei.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Cho Chang, Hermione Granger, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Desideri a disagio.
(perennemente combattuti tra desiderio di pace e bisogno di guerra)

 

Da quando era tornata a Londra, non aveva fatto altro che fare le cose sbagliate.
« Scusi, avete qualcosa che parli della Battaglia di Hogwarts?»
La commessa l’aveva fissata, a disagio, poi l’aveva cortesemente invitata ad uscire, sbattendo le lunghe ciglia.

Dire le cose sbagliate.
« E ti ricordi quando ho Schiantato quel Mangiamorte? È stato l’incantesimo migliore che abbia mai fatto!» aveva esclamato, dopo un momento di silenzio. E il sorriso di Terry si era congelato.  

 Il treno sarebbe partito entro una mezz’ora, e del resto della famiglia non c’era traccia. Sola, la schiena premuta contro la parete, Sophy guardava l’Espresso su cui aveva viaggiato da bambina e adolescente e non sentiva neppure una punta di rimpianto: solo una spina, una sensazione di disagio. Non c’era più magia – ironico, davvero – in quella stazione, come non c’era più nulla là, ad Hogwarts. La sua scuola non aveva più nulla da darle.
« Sophy? Non ci posso credere, come stai? È una vita che non ci vediamo!»
Dal muro di genitori sulla banchina una donna della sua età le era praticamente corsa incontro, e le stringeva la mano. La donna sorrise di malavoglia, ricambiando la stretta.
« Cho! Quasi non ti riconoscevo!» mentì: la Corvonero aveva ancora gli stessi capelli neri e lucenti, lo stesso viso tondo e le stesse lentiggini di quando frequentavano le lezioni assieme.
Lei rise e si tolse una ciocca di capelli dal viso.
« Ci sono anche i tuoi… figli?» chiese, dopo un attimo di esitazione, cercando con lo sguardo un tratto famigliare tra le facce che premevano contro il vetro, sull’Espresso.
In quel momento, due sagome emersero dalla penombra. La più piccola saltellò verso le due streghe, e appoggiò la testa contro il braccio di Sophy.
« Parli del diavolo… Ariella, questa è Cho, una mia compagna di scuola.» spiegò lei, con una mano sulla testa della bambina. Lei sorrise, radiosa, e cominciò a raccontarle della sua visita a Diagon Alley. Cho sembrava sorpresa: « Non ti somiglia! Deve aver preso tutto dal papà, dico bene?»
« Tranne il naso, per fortuna. Lui ha un naso stupendo, ma su una bambina, proprio no!» rise; sapeva che si era illuminata, nel sottolineare quel “lui” con una punta di malizia, perché accadeva spesso.
Se si fosse sbrigato, sarebbe anche riuscito ad aiutare Ariella con le valigie. La bambina le stava mostrando il delizioso allocco che si era comprata, poi aveva alzato lo sguardo e aveva aggrottato le sopracciglia.
« Mamma, è quello Harry Potter?»
Sophy notò con la coda dell’occhio che Cho la stava fissando a bocca aperta, ma la ignorò: effettivamente, quello che guidava un’intera comitiva di carrelli era proprio il Bambino-che-è-sopravissuto, assieme a due dei Weasley e, a quanto pareva, anche a Hermione Granger.
« Sì, ma adesso è tardi: fa’ buon viaggio, amore, e fatti aiutare da papà!» le gridò dietro.
« Cho, ti andrebbe di venire da me per un thé?»

 

 

1998.
Non era rimasto niente: Londra e l’Inghilterra erano rinate, in tutti i sensi, e quello di tornare era stato un errore, il peggiore della sua vita, perché non c’era più niente da vedere, e niente da ricordare, gli occhi dei compagni di un tempo rifiutavano di concederle qualche antico onore, erano passati ben venti anni e non c’era più una traccia che ricordasse la Seconda Guerra Magica, e dopo vent’anni tutto si era inaridito ed era diventato niente.
« Sophy, perché sei triste?»

Lui non era perplesso, lui capiva che lei voleva tutto, ma era meglio che ci fosse il niente.
Così si strinse nelle spalle – il blocco che aveva in gola non la faceva respirare – e lasciò che la verità si svelasse da sé.
« Sei uno Scorpione, per questo sei sempre in bilico tra volere la guerra o la pace.»
« La guerra è finita – il mio tempo è finito, e non voglio più tornare a Londra.» ringhiò lei, strizzando le palpebre. Il mondo si era inaridito, da quando Voldemort era morto, lei ne era stata spaventata ed era scappata.

Quando il sole era sorto, Sophy si trovava nella Sala Grande, assieme a tutti gli altri. Aveva guardato il cadavere di Lord Voldemort sul pavimento, come molti altri, e le era parso che tutto sbiadisse e scivolasse via: era l’alba, in tutti i sensi, e il mondo era appena uscito dalle tenebre a favore della luce ignorante. Lei era una delle poche dagli occhi accecati, e l’ignoranza era il male, per una Corvonero.
Due giorni dopo la fine della guerra era partita per l’Europa.
 

Il campanello suonò, un unico, nitido trillo.
Chissà perché, quello innervosì Sophy, che tentennò prima di aprire la porta con uno svolazzo della bacchetta. Merda. Il campanello aveva voluto avvertirla, perché quella che si stagliava nell’ingresso non era Cho Chang, ma Hermione Granger.
« Buon pomeriggio, Sophy. Posso entrare?»

La guerra è finita, Hermione. E noi non siamo che un
niente più niente.

   
 
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