Desideri a disagio.
(perennemente combattuti
tra desiderio
di pace e bisogno di guerra)
Da quando era tornata a
Londra, non aveva fatto altro che fare le cose sbagliate.
«
Scusi, avete qualcosa che parli della Battaglia di
Hogwarts?»
La commessa l’aveva fissata, a disagio, poi l’aveva
cortesemente invitata ad uscire, sbattendo le lunghe ciglia.
«
E ti ricordi quando ho Schiantato quel Mangiamorte? È
stato l’incantesimo migliore che abbia mai fatto!»
aveva esclamato, dopo un
momento di silenzio. E il sorriso di Terry si era congelato.
« Sophy? Non ci posso
credere, come stai? È una vita
che
non ci vediamo!»
Dal muro di genitori sulla
banchina una donna della sua età le era praticamente corsa
incontro, e le
stringeva la mano. La donna sorrise di malavoglia, ricambiando la
stretta.
« Cho! Quasi non ti
riconoscevo!» mentì: la Corvonero aveva ancora gli
stessi capelli neri e
lucenti, lo stesso viso tondo e le stesse lentiggini di quando
frequentavano le
lezioni assieme.
Lei rise e si tolse una
ciocca di capelli dal viso.
« Ci sono anche i tuoi…
figli?» chiese, dopo un attimo di esitazione, cercando con lo
sguardo un tratto
famigliare tra le facce che premevano contro il vetro,
sull’Espresso.
In quel momento, due sagome
emersero dalla penombra. La più piccola saltellò
verso le due streghe, e
appoggiò la testa contro il braccio di Sophy.
« Parli del diavolo… Ariella,
questa è Cho, una mia compagna di scuola.»
spiegò lei, con una mano sulla testa
della bambina. Lei sorrise, radiosa, e cominciò a
raccontarle della sua visita
a Diagon Alley. Cho sembrava sorpresa: « Non ti somiglia!
Deve aver preso tutto
dal papà, dico bene?»
« Tranne il naso, per fortuna.
Lui ha un naso stupendo, ma su una
bambina,
proprio no!» rise; sapeva che si era illuminata, nel
sottolineare quel “lui”
con una punta di malizia, perché accadeva spesso.
Se si fosse sbrigato, sarebbe
anche riuscito ad aiutare Ariella con le valigie. La bambina le stava
mostrando
il delizioso allocco che si era comprata, poi aveva alzato lo sguardo e
aveva
aggrottato le sopracciglia.
« Mamma, è quello Harry
Potter?»
Sophy notò con la coda dell’occhio
che Cho la stava fissando a bocca aperta, ma la ignorò:
effettivamente, quello
che guidava un’intera comitiva di carrelli era proprio il
Bambino-che-è-sopravissuto, assieme a due dei Weasley e, a
quanto pareva, anche
a Hermione Granger.
« Sì, ma adesso è tardi: fa’
buon viaggio, amore, e fatti aiutare da papà!» le
gridò dietro.
« Cho, ti andrebbe di venire
da me per un thé?»
1998.
Non era rimasto niente: Londra e
l’Inghilterra erano
rinate, in tutti i sensi, e quello di tornare era stato un errore, il
peggiore
della sua vita, perché non c’era più niente
da vedere, e niente da ricordare, gli occhi dei compagni di un tempo
rifiutavano di concederle qualche antico onore, erano passati ben venti
anni e
non c’era più una traccia che ricordasse la
Seconda Guerra Magica, e dopo vent’anni
tutto si era inaridito ed era
diventato niente.
« Sophy, perché sei triste?»
Lui
non
era
perplesso, lui capiva che lei
voleva tutto, ma era meglio che ci
fosse il niente.
Così si strinse nelle spalle –
il blocco che aveva in gola non la faceva respirare – e
lasciò che la verità si
svelasse da sé.
« Sei uno Scorpione, per
questo sei sempre in bilico tra volere la guerra o la pace.»
« La guerra è finita – il mio
tempo è finito, e non voglio più tornare a
Londra.» ringhiò lei, strizzando le
palpebre. Il mondo si era inaridito, da quando Voldemort era morto, lei
ne era
stata spaventata ed era scappata.
Due giorni dopo la fine della guerra era partita per
l’Europa.
Il
campanello suonò, un
unico, nitido trillo.
Chissà perché, quello innervosì
Sophy, che tentennò prima di aprire la porta con uno
svolazzo della bacchetta. Merda. Il
campanello aveva voluto
avvertirla, perché quella che si stagliava
nell’ingresso non era Cho Chang, ma Hermione
Granger.
« Buon pomeriggio, Sophy. Posso
entrare?»
La guerra è finita, Hermione. E noi non siamo che un niente più
niente.