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Autore: mamogirl    18/08/2011    3 recensioni
La vita non è un eterno rettilineo, all’improvviso ti ritrovi a dover affrontare una curva senza sapere che cosa ti aspetta al di là.
“Nick. Questi siamo noi. – disse Brian, appoggiando il mento sulla spalla di Nick mentre cingeva le braccia attorno alla sua vita. – Quello che abbiamo passato, tutto ciò che abbiamo dovuto superare... tutto questo ci ha portato ad essere quelli che siamo oggi. Più sicuri di noi, più sicuri del nostro amore. Non cambierei nulla...”
Nick voltò lo sguardo e lo guardò accigliato.
“Okay, forse omettiamo tutta la parte di me in ospedale. Effettivamente, ne potrei anche fare a meno! - commentò Brian, avendo intuito che cosa quello sguardo voleva significare. – Ma non possiamo lasciare che il passato ci definisca. Abbiamo un futuro splendido davanti a noi, non roviniamolo restando ancorati ai vecchi errori. Impariamo da essi, invece che lasciare che questi definiscano chi siamo.”
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: AJ McLean, Brian Littrell, Howie Dorough, Kevin Richardson, Nick Carter
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Prologo

 

 

 

 

 

Era una limpida giornata di fine agosto, il cielo azzurro era così limpido da sembrare un’infinita distesa di acqua cristallina, nemmeno una nuvola bianca osava far capolino e l’unica punta di colore differente era il giallo del sole, splendente e radioso.
Lexington, Kentucky, era una tipica città del Sud degli Stati Uniti: gli immensi campi di grano, intervallati dalle fattorie e cascine, circondavano il centro vero e proprio, moderno con i suoi alti grattacieli e con i quartieri graziosamente abbelliti con casette dagli steccati bianchi e giardini perfettamente curati attorno.
La jeep nera percorreva la strada sterrata che costeggiava uno dei tanti appezzamenti di terra coltivata ed il suono di musica rock che usciva dallo stereo contrastava fortemente con l’atmosfera tipicamente country; nonostante ormai considerasse quelle terre una seconda casa natale per lui, il ragazzo che guidava l’auto non si sarebbe mai trasformato in un perfetto campagnolo, jeans sbiaditi ed una camicia a quadretti rossi come capi abitudinali. Sul suo volto si dipinse un’espressione disgustata al solo pensiero mentre, alzando un immenso polverone di terra, svoltava in una stradina privata.
La sua destinazione era quasi giunta, ancora qualche metro e poi avrebbe raggiunto la casa nella quale avrebbe trascorso i giorni seguenti.
Alexander McLean, meglio conosciuto come semplicemente Aj, adorava ritornare in quell’angolo quasi dimenticato dalla modernità, era quasi una seconda casa per lui e l’atmosfera che si respirava era davvero un toccasana per la sua sempre fremente necessità di normalità. Cresciuto solamente con la madre, un padre che lo aveva abbandonato quando era troppo piccolo per capire quello che stava succedendo, A.J. aveva sempre invidiato la perfetta armonia della famiglia Littrell.
Ma il motivo della sua presenza non era una semplice vacanza, anche se Aj lo avrebbe desiderato più di qualsiasi altra cosa.
Il gruppo aveva ufficialmente preso un “periodo di pausa”, così la loro addetta stampa aveva scritto sul comunicato stampa inviato a tutti i canali mediatici per informare le fans, in modo da permettere ad ognuno di coltivare piccoli progetti per conto proprio.  
La decisione non era stata presa così a malincuore, ultimamente stavano andando avanti solamente per inerzia e cantare ed esibirsi sembrava essere diventato solamente un obbligo da compiere e non più un divertimento come avrebbe dovuto sempre essere.
Nessuno sapeva il reale motivo dietro a quella decisione, però.
O, meglio, qualcuno aveva incominciato ad insinuare che l’improvvisa carriera solista di Nick avesse a che fare con la loro pausa ma pochi avrebbero potuto supporre il cataclisma che quella decisione aveva creato.
A volte, pensò Aj mentre finalmente giungeva di fronte al portico della casa, avrebbe voluto prendere a calci il biondino per come si era comportato.
E di certo, non stava parlando dell’album fine a se stesso! Fosse stata proposta anche lui quell’offerta, l’avrebbe accettata senza tanti complimenti.
No, stava parlando di come Nick aveva fatto saper loro di quel progetto.
Registrare un album in fretta e furia e senza poter contare sull’appoggio dei suoi amici, nascondere loro quel progetto per poi lanciare la bomba nella prima riunione in cui avrebbero dovuto affrontare il discorso sul prossimo album del gruppo.
Certo, non era quello il motivo per cui metà gruppo ce l’aveva con Nick. Forse, l’unico che era rimasto semplicemente deluso era Howie ma questo anche perché lui era il diplomatico del gruppo, non prendeva mai le parti di qualcuno.
Kevin era furioso e la rabbia nascondeva alla perfezione quanto si fosse sentito tradito, soprattutto nella fiducia che aveva riposto nel più giovane. Il peggior crimine ai suoi occhi era infrangere una promessa, a maggior ragione se questa coinvolgeva la famiglia.
Lui?
Lui si sentiva preso tra l’incudine ed il martello: da una parte, si sentiva anche lui tradito, più che altro perché per il nuovo album del gruppo aveva già in mente due o tre progetti che, adesso, sarebbero andati nel dimenticatoio. Dall’altra, invece, non voleva prendere parti, nonostante dalla sua riabilitazione, lui e Brian si fossero legati in un’amicizia che, solo ora, capiva quanto fosse preziosa.
Già, perché ciò che i media ed i fans non sapevano era che Brian e Nick erano una coppia... o, meglio, lo erano stati fino a qualche mese prima.
Quando quei due avevano confessato la loro relazione, nessuno di loro si era sentito sorpreso o particolarmente shockato. Sembrava un passaggio naturale per un’amicizia che era sempre apparsa molto più profonda di quanto lo fosse realmente. Forse sì, i primi tempi era stato un po’ strano vederli più affettuosi del solito, scambiarsi gesti come carezze e baci, per non parlare di tutte le volte che qualcuno li sorprendeva in atteggiamenti che andavano oltre al casto e puro bacio.
Ma erano durati tanto, quasi tre anni, prima che un tifone si abbattesse su di loro, un tifone di nome Carter.
Ed esattamente come quando uno reale attraversava una città lasciando dietro solo cumuli di distruzione e detriti, il tornado Carter aveva lasciato un cuore spezzato.
Ecco il motivo per cui Aj era lì a Lexington.
Dopo l’ennesima telefonata andata a vuoto, lui, Kevin e Howie avevano deciso che era ora di rimettere un po’ di buon senso nella testa di Brian e di spingerlo fuori dalla tana di dolore in cui si era rinchiuso da mesi. Sarebbe stata un’impresa titanica, su questo non erano stati sollevati dubbi, visto l’alto livello di testardaggine ed ostinazione che aveva sempre contraddistinto Brian.
A mali estremi, estremi rimedi.

 

______________________________________________

 


Brian non sapeva che giorno fosse, non sapeva nemmeno se fosse mattina, pomeriggio o sera. La prima cosa che aveva fatto non appena tornato a casa, era stato tirare tutte le tende affinché la luce del sole non entrasse. Lo sentiva come un affronto, che bisogno c’era di stare lì tutto sorridente quando il suo mondo era appena entrato in un eclissi perenne?
Era stanco, stanco di essere puntualmente ferito ogni qualvolta lasciava cadere le sue difese.
Che idiota era stato a pensare che tra lui e Nick potesse esserci qualcosa di più duraturo che una semplice e passeggera cottarella.
Ed ora, mentre il ragazzo che aveva amato si trovava dall’altra parte dell’oceano, magari impegnato a divertirsi con ragazze e ragazzi che si offrivano in cambio di cinque minuti di fama, lui era lì, rinchiuso in una camera a cercare di trovare il primo pezzo per rimettere insieme il suo cuore.
Ironico era il pensiero che era riuscito a sopravvivere per più di venticinque anni con un soffio al cuore – no, due per la precisione – ma non riusciva a trovare la forza per ricominciare dopo essere stato tradito in quel modo.
Stringendosi ancora di più nella coperta, Brian non era sorpreso che il freddo che sentiva dentro si stesse lentamente trasferendo anche alle altre parti del suo corpo.
Continuava a chiedersi dove avesse sbagliato, forse era stato troppo protettivo nei confronti di Nick?
Ma lui era il maggiore, era suo il compito di guidarlo e di mostrargli la strada giusta da prendere, era suo il dovere di proteggerlo da chiunque volesse approfittarsi di lui. E, nel mondo dello spettacolo, gli squali erano molto bravi a nascondersi dietro la maschera di amici e Nick... Nick era davvero ingenuo, si fidava delle persone senza fermarsi a chiedersi se ci fosse qualcosa sotto.
Era lì che aveva sbagliato?
Era per quel motivo che Nick si era sentito obbligato a mentirgli e fare tutto di nascosto?
Le lacrime, che aveva pensato ormai si fossero esaurite, ricominciarono a bruciare dentro gli occhi.
Anche se aveva esagerato, anche ammesso che avrebbe dovuto trattare Nick più come il suo partner e non come un bambino, non meritava quello che aveva dovuto subire in quei mesi: nottate trascorse a chiedersi dove andasse e che cosa facesse, dubbi che poi si trasformavano nella paura che gli fosse successo qualcosa e che nessuno poteva aiutarlo.
Quante volte gli aveva chiesto dove andasse?
Quante volte lo aveva pregato, supplicato, di dirgli che cosa stava succedendo, che cosa gli stava succedendo, ma aveva ricevuto come risposte solamente bugie.
E tutto per cosa?
Per un album solista?
Aveva davvero buttato via ciò che avevano costruito solamente per un album?
Valeva così poco?
Glielo aveva anche spedito, era stato Kevin a portargli quel semplice cd, chiedendogli di almeno dargli una possibilità.
Ma quel cd era rimasto sul suo comodino, ancora impacchettato, mentre lui pensava a come disfarsene: lanciarlo dal tetto? Saltarci sopra? Metterlo nel microonde? Passarci sopra con la macchina?
Ma non era mai riuscito a sbarazzarsene, dicendosi che un giorno avrebbe dovuto ascoltarlo perché lì dentro, in quelle canzoni, fra note e melodie, c’era il suo Nick, c’era la spiegazione di quelle notti in cui non erano insieme, quelle ore di cui lui non sapeva nulla.
Pensieri, desideri, speranze e rimorsi erano racchiusi tutti in quelle canzoni e, quando la rabbia non lo consumava fino a farlo tremare, Brian era tentato di aprirlo e, se non ascoltarlo, almeno leggere i testi.
Almeno leggere la piccola nota allegata.
Nemmeno quella era riuscito ancora a leggere, ogni lettera scritta in quella calligrafia che conosceva fin troppo bene riportava a galla il dolore e la nostalgia.
Perché sotto tutta quella matassa ingarbugliata di sentimenti, Brian sentiva la mancanza di Nick.
Prima di essere diventati amanti, prima di essere diventati l’uno il compagno dell’altro, loro due erano migliori amici ed ora, più di tutto, Brian aveva bisogno di quella.
Aveva bisogno della loro amicizia.
Non riusciva a concepire il fatto che non si sentissero da più di due mesi o che, per la prima volta, Brian non sapesse che cosa Nick stesse facendo in quel momento.
Dov’era?
Era impegnato in un’intervista, si stava esibendo o stava semplicemente cercando di recuperare energie per il prossimo concerto?
Stava pensando a lui? O lo aveva già dimenticato, come aveva fatto con tutte le persone che aveva escluso dalla sua vita?
Tutto quel turbinio di pensieri, così contrastanti tra loro, lo stavano facendo impazzire, aumentando la dolorosa pressione sulle sue tempie.
Come si metteva in pausa il cervello?
Nemmeno quando era addormentato, sembrava esserci sollievo per la sua anima tormentata. Continuava a rivivere tutte quelle notti ed a immaginarsi tutto ciò che avrebbe potuto fare per non arrivare fino a quel punto, ad essere miserabilmente solitari l’uno lontano dall’altro.
Certe notti – o mattine, non se n’era mai reso conto – digitava il suo numero ma riattaccava appena dopo uno squillo.
Codardamente, aveva paura se Nick avesse risposto.
O, forse, era il suo orgoglio che parlava, che gli urlava che era Nick a doverlo cercare.
E, sotto quelle urla, c’era la voce sibillina che gli sussurrava che non l’avrebbe mai fatto perché per lui era stato solamente un gioco.
“Oh santissimo, sei per caso diventato un vampiro?”
Stancamente, Brian alzò la testa oltre la coperta e fu sorpreso di intravedere, nel buio, la figura più che riconoscibile di Aj.
Come se non avesse importanza, Brian si voltò dall’altra parte.
“Oh, quanto siamo maturi.”
Brian bofonchiò qualcosa ma Aj non lo ascoltò minimamente, dirigendosi verso la finestra e spalancando le tende. L’oscurità venne spazzata via dalla luce del sole che finalmente poté entrare in quella stanza in tutta la sua maestosità.
“Il sole è alto nel cielo, gli uccelli cinguettano felici.”
Brian si nascose ancora di più sotto le coperte.
Aj non si scompose e, dopo aver aperto completamente le finestre, si voltò e, dopo essersi avvicinato al letto, prese il piumone – solo Brian poteva usare il piumone in piena estate! – e lo gettò per terra, scoprendo l’amico.
“Almeno ti sei fatto la doccia.” Commentò ironico sedendosi sul bordo.
“Che diavolo ci fai qui?” domandò seccamente Brian, sempre tenendo la schiena voltata. Era stupido, lo sapeva, ma non voleva che Aj notasse quanto gonfi e rossi fossero i suoi occhi. Probabilmente, già lo sospettava ma Brian voleva mantenere un minimo i dignità.
“Nessuno aveva più tue notizie.”
“Forse perché non volevo parlare con nessuno.”
“O forse perché volevi semplicemente annegare nella tua malinconia?”
Quel commento accese qualcosa in Brian, qualcosa differente dalla lenta apatia che lo aveva avvolto in quei giorni. “Ed anche se fosse? – ribatté accigliato. – Siamo in pausa, posso fare ciò che voglio.”
“Ciò non ci impedisce di preoccuparci.”
“Sto bene.” mentì Brian, utilizzando quella difesa che aveva perfezionato ad arte durante gli anni.
“Palle. Se saresti bene, non ci sarebbero pile di giornali davanti alla tua porta d’ingresso o il desolante deserto nel tuo frigorifero.”
Brian aprì la bocca per ribattere, sulla punta della lingua parole piccate su come i primi giorni si fosse dato da fare, tutto pur di non pensare e riflettere e dar voce al suo cuore spezzato: non appena arrivato, aveva incominciato a pulire tutta casa, complice anche il fatto che non ci veniva quasi mai; e, quando ogni superficie aveva iniziato a brillare e luccicare, era passato a mettere in ordine il giardino, estirpando erbacce e piantando nuovi fiori e piante. Ma poi, trascorsa una sola settimana, si era ritrovato con l’aver fatto già tutto il possibile ed immaginabile e non aveva più niente che potesse tener a bada la sua mente. Perché quando sei completamente esausto, quando hai dato fondo a tutte le tue energie, tutto ciò che ti importa è dormire e recuperare energie, mettendo a tacere le vocine della tua mente.
Ritrovandosi senza nessun appiglio, senza nessuna coperta in cui nascondersi, la realizzazione di ciò che lo aveva portato lì aveva colpito Brian come un’onda che all’improvviso si abbatte sulla spiaggia e distrugge tutto ciò che incontra sulla sua strada.
E, esattamente come un castello di sabbia, lui era crollato.
“Brian, capisco che quello che ti ha fatto Nick è difficile da superare ma rinchiuderti come un eremita non ti aiuterà ad andare avanti.”
Brian alzò gli occhi al cielo, un’espressione insofferente sul volto. Ecco perché era fuggito via, ecco perché si era nascosto lontano da tutti e da tutto.
Come potevano altre persone capire ciò che gli era successo?
Loro non c’erano stati quelle notti in cui aveva lasciato solchi sul pavimento mentre aspettava una chiamata o un messaggio e l’ansia attanagliante che potesse essere successo qualcosa.
Loro non avevano convissuto con la paura di chiedere se ci fosse qualcun altro o se fosse lui il terzo incomodo.
Che cosa ne potevano sapere, quindi?
“Tu non sai proprio niente.”
Il rumore delle lenzuola che si spostavano avvertirono dell’avvicinamento di Aj ancor prima di sentire una mano posarsi sulla sua spalla.
“E’ vero. – ammise Aj in un sospiro, il tono di voce aveva perso qualsiasi punta di sarcasmo. – Non so proprio niente. Quindi, perché non mi racconti come stanno le cose?”
“A che serve? Non puoi cambiare ciò che è successo.”
“Ma può aiutare te.”
“Oh, davvero? Non ho bisogno di aiuto.”
“Ho usato anch’io questa frase e ti dico per certo che è un’emerita cavolata. -  Ribatté Aj. - Allora ascoltami. Non so come ci si senta nei tuoi panni ma so come si sente Nick in questo preciso momento. Ho combinato tanti di quei casini nelle mie relazioni che sono ormai diventato un esperto. – Aj si interruppe, lanciando un’occhiata a Brian per vedere se almeno quelle parole lo avevano colpito ed avevano catturato la sua attenzione. Non era difficile intuire ciò che aveva ferito maggiormente il ragazzo e che cosa ancora lo faceva soffrire ed il fatto che lui sapesse come si sarebbe comportato Nick dall’altra parte dello stato lo metteva nella posizione di aiutare l’amico. Brian non si era ancora voltato ma la rigida posizione delle spalle gli faceva intuire che lo stava ascoltando e che stava aspettando che lui continuasse. – So come ci si sente ad avere il peso della consapevolezza di aver rovinato tutto, di aver tradito la fiducia dell’unica persona che si fidava di te così ciecamente da non aver mai posto limiti o confini. Probabilmente, ogni minuto libero lo passa fissando il telefono e combattendo l’istinto di chiamarti, pregarti di perdonarlo e di riprenderti nella sua vita. Ma si vergogna. Si vergogna di averti ferito così profondamente per uno stupido album, di aver avuto paura nel parlartene e di averti fatto credere che ti stava tradendo. Ed è arrabbiato. Arrabbiato con se stesso, perché vorrebbe essere qui a lenire le tue ferite ma... beh, l’orgoglio è una brutta bestia da combattere.”
All’inizio, Brian rimase in silenzio.
Lentamente, poi, si voltò. In quegli occhi azzurri c’era così tanta sofferenza che Aj si sentì fisicamente male per lui. Poche persone si rendevano conto di quanto fosse facile ferire il cuore di Brian, perché una volta che il ragazzo lasciava cadere le sue difese, dava tutto se stesso ed anche oltre, se era necessario. E con Nick... beh, con Nick, non si era tirato indietro ed aveva messo in gioco ogni minima parte del suo cuore.
Solo qualche mese prima del fattaccio, Brian gli aveva confidato che stava seriamente pensando di parlare con i suoi della sua sessualità e del suo rapporto con Nick. Quel semplice fatto dimostrava quanto credesse in quella relazione.
E Nick... Nick era cresciuto, era maturato. Almeno fin quel maledettissimo giorno. Eppure, anche in quella decisione scriteriata, si poteva leggere una maturazione, una voglia di trovare una propria strada senza la guida dei suoi fratelli maggiori. La voglia di dimostrare, a se stesso ed all’uomo che amava, che era pronto per prendersi responsabilità e parte del peso dei problemi sulle sue spalle.
Ed aveva appena imparato la prima e più importante lezione: ogni azione ha la sua conseguenza e bisogna accettarla, positiva o negativa che fosse.
La voce di Brian si fece strada tra i pensieri di Aj. “Perché lo ha fatto? Perché mi ha mentito? Pensava davvero che gli avrei impedito di registrare? – Lacrime di rabbia incominciarono a scendere mentre la forza di quei sentimenti si riversava nelle sue guance, un netto contrasto con quel colorito bianco che sapeva solo di malattia. - Mio Dio, sono orgoglioso di lui! Sono orgoglioso del fatto che abbia voluto provare a volare con le sue ali ed avrei voluto essere lì, a congratularmi con lui ogni volta che terminava una canzone o semplicemente rassicurarlo.”
Aj si ritrovò spaesato da quelle parole.
Oh, certo che non erano quelle che si era aspettato di sentire ma, dentro di sé, avrebbe dovuto aspettarselo.
“Aveva così poca fiducia in me? Che cosa sono? Un mostro che lo avrebbe rinchiuso in camera perché invidioso del suo successo? E’ vero, a volte sono troppo protettivo nei suoi confronti ma voglio solo difenderlo! E’ un crimine?”
“No, Brian, no.”
“E allora perché lo ha fatto?” mormorò Brian, stringendo le ginocchia al petto ed appoggiandovi sopra il mento.
“Tu lo ami ancora?”
Non ci fu bisogno di attese o minuti per riflettere.
Nonostante tutto, il suo cuore continuava a battere per Nick.
Lo sguardo si alzò ed in quegli occhi, improvvisamente più lucidi e non a causa delle lacrime, Aj ebbe la sua risposta ancor prima di sentire quella semplice sillaba pronunciata con tanta determinazione.
“Sì.”
Aj ne era certo, come era anche certo che, se qualcuno avesse fatto la stessa domanda a Nick, anche lui avrebbe risposto allo stesso modo.
L’unico modo per rimettere insieme un cuore spezzato era ricongiungerlo con la sua parte mancante. Insieme, si sarebbero guariti a vicenda.
E Brian era molto più facile da convincere, forse perché perdonare qualcuno che ami è più semplice che perdonare se stessi.
“Ed allora, invece di annegare nei tuoi dolori, perché non fai l’uomo maturo e lo perdoni?”
Brian guardò l’amico mentre pensieri contrastanti convergevano fra loro: da una parte, avrebbe voluto continuare a rimanere chiuso lì, con la certezza sì della sofferenza ma con la speranza che Nick potesse ritornare da un momento all’altro. Se fosse andato da lui e Nick lo avrebbe rifiutato? Poteva sopportare quella vergogna? Ma dall’altra... dall’altra sentiva di impazzire, voleva solo ritornare in quelle braccia che, molto più spesso di quanto si potesse immaginare, lo avevano sorretto e gli avevano offerto un nascondiglio. Sentiva la mancanza di tutto, del corpo di Nick allacciato al suo, il confortante silenzio mentre lui leggeva un libro e Nick dormiva con la testa appoggiata sul suo stomaco...
Perdonare.
Sorpreso, Brian si accorse che era qualcosa di cui non doveva nemmeno perdere tempo ed energie per rifletterci sopra.  
“L’ho già fatto. - Ammise ad alta voce, un timido sorriso sul suo volto. – Non significa che tutto è dimenticato ma... non lo odio.”
Il solito sorriso sornione di Aj bastò come risposta. “Bene, allora che ne dici di farti una bella doccia mentre io vedo di recuperare qualcosa da mangiare e scoprire in che città si trova ora Nick?”
“E se non vuole vedermi?” chiese Brian incerto.
Con una scrollata di spalle, Aj cancellò quel pensiero. “Peggio per lui, no? – scherzò prima di tornare serio. – Lo hai visto in qualche intervista?”
Brian scosse la testa: aveva provato ma non appena il ragazzo era apparso sullo schermo, la stretta attorno al suo cuore si era fatta più forte ed aveva dovuto spegnere.
“Ha la tua stessa espressione, gli occhi di chi ha perso la cosa più importante nel suo mondo e sta cercando di cavarsela come meglio può. Forse... soffre più di te perché ha il peso di aver rovinato tutto, di aver causato la tua sofferenza.”
“Non è tutta colpa sua. – ammise Brian. – Ci sono tante cose che avrei potuto fare o dire senza arrivare a quel punto. Quel giorno... quel giorno, avevamo accumulato troppa tensione, troppe frasi non dette e siamo scoppiati. Abbiamo reagito con il nostro orgoglio ferito e l’unica cosa che avevamo in mente era far soffrire l’altro.”
Con la punta dell’indice, incominciò a seguire le linee disegnate sulla coperta. Ricordava ancora il giorno in cui l’aveva vista in un negozietto e di come aveva mormorato ad alta voce che con quella coperta di lana avrebbe sofferto meno il freddo. Qualche giorno dopo, tornato a casa, si era ritrovato sul portico una scatola con un semplice biglietto: “per tutte quelle notti in cui non potrò scaldarti.”
“E’ giunto il momento di chiarirvi. E non succederà se tu rimani chiuso in casa.”
Brian ascoltò il chiacchierio dell’amico mentre vagava da una parte all’altra della camera raccogliendo vestiti e fazzoletti di carta usati. Aj che metteva in ordine era un evento così raro ed unico che sembrava, in quel momento, la cosa più divertente del mondo.
Per la prima volta da giorni, oh così tanti giorni, una risata incominciò a solleticargli la gola ed era una sensazione così differente dai groppi brucianti colmi di singhiozzi e dolore. Alzandosi, si lasciò per un attimo scaldare il viso dal sole che entrava dalla finestra, sorpreso di come ora gli sembrasse così naturale che splendesse.
Fu in quel momento che Brian avvertì la prima fitta.
All’inizio, non ci diede molta attenzione, era abituato ad avere qualche dolorino soprattutto quando era sotto stress.
Ma quando una seconda seguì la prima, lievemente più dolorosa, Brian capì immediatamente che qualcosa non andava.
“Jay.”  Richiamò l’amico mentre la mano sinistra, istintivamente e come d’abitudine, andò a massaggiare la cicatrice sul petto.
Ma Aj non lo sentì la prima volta, impegnato in chissà quale faccenda in bagno.
Brian chiuse gli occhi, cercando di prendere lunghi respiri tra una fitta e l’altra. Sapeva che non era un infarto ma questa consapevolezza portava una serie di domande e di incertezze che aumentavano il suo panico.
“Jay.” Provò a richiamare una seconda volta, con tono più alto.
“Non posso credere che il tuo shampoo sia alla vaniglia e... – Aj si bloccò a metà strada, la bottiglia di shampoo che teneva in mano scivolò dalla sua stretta. Annullò con pochi ma lunghi passi la distanza fra loro due, il suo cuore che batteva più velocemente nel vedere Brian, pallido, e con un respiro che non preannunciava nulla di buono.
“Ehi, ehi... che cosa hai?” gli domandò, appoggiando il palmo della mano sulla guancia: scottava ed era anche sudata, quel sudaticcio tipico di quando sei malato.
Quali erano i sintomi di un infarto? Dolore al petto, okay. Ma poi?
“Ti fa male il braccio?”
Brian riaprì gli occhi. “No, non è un infarto.”
“Okay. Prossima domanda: devo chiamare un’ambulanza?”
Brian scosse la testa. Per un attimo, pensò che stesse semplicemente esagerando. Non dormiva decentemente da giorni e poteva a malapena mettere insieme un pasto decente con quel poco che aveva mangiucchiato in quel periodo, forse era per quello che non si sentiva bene.
“Devo chiamare qualcuno? Perché, lasciatelo dire, non hai una bella cera.”
Abbozzò un debole sorriso. “Sempre gentile nei complimenti, vero?”
“Ordinaria amministrazione. Dovresti esserci abituato. – ribatté Aj, ricambiando il sorriso. – Seriamente, vuoi che chiamo Kevin?”
“No, non potrebbe comunque fare nulla. Oltre a farmi una predica su quanto poco mi sia preso cura di me stesso.”
“Oh, su questo non ci sono dubbi!” scherzò Aj, anche se entrambi sapevano che non era molto lontano dalla verità quell’affermazione.
Tra una fitta e l’altra, Brian rifletté sul da farsi: qualche anno prima, avrebbe sicuramente ignorato quei sintomi e fatto finta di niente ma... no, dopo aver rischiato la vita, preferiva dover visitare uno di quegli orribili ospedali piuttosto che andarci su una barella, come qualche volta era successo.
“Credo sia meglio se mi accompagni in ospedale. Giusto per stare tranquilli, probabilmente mi rimanderanno indietro con qualche raccomandazione idiota.”
“Lasciamolo dire a loro, okay? – rispose Aj. – Ti serve una mano ad alzarti?”
Sulle prime, Brian rifiutò, orgogliosamente voleva usare quelle poche energie rimaste per poter andare in macchina con un minimo di dignità. Ma quando lo fece e si accorse che le sue gambe lo avrebbero retto per meno di pochi secondi, accettò volentieri la mano che Aj gli stava offrendo senza dire parola.
Il tempo sembrava muoversi alla velocità della luce mentre loro due scendevano lentamente le scale. Aj aveva la sensazione che il suo cuore, da un momento all’altro, potesse esplodere fuori dal tanto che batteva furiosamente e tutto ciò che avrebbe voluto fare era prendere in braccio Brian e portarlo direttamente in macchina.
Ma l’amico non gliel’avrebbe permesso, nemmeno se fosse stato in punto di morte.
“Posso sentire i tuoi pensieri. – lo interruppe Brian. – Non sto per morire.”
“Beh, scusami se mi preoccupo quando continui a tenere una mano sul petto e fai fatica a respirare.” Ribatté sarcastico Aj.
“E’ solo stress.”
“Da quando sei un medico?” domandò Aj, inarcando il sopracciglio.
“Oh, non sai che ho una laurea in medicina?” scherzò Brian.
“Bri, sapere a memoria ogni singolo episodio di ER non equivale ad essere degli esperti!”
Brian si lasciò sfuggire une debole risata ma che si trasformò quasi immediatamente in tosse, lasciandolo ancora di più senza fiato. Aj accelerò il passo, ormai erano quasi vicini alla macchina. Sempre sostenendo il peso – seppur leggero – di Brian, Aj cercò le chiavi della macchina, maledicendosi per la sua abitudine di chiuderla sempre anche quando era impossibile che potesse venir rubata.
Finalmente, dopo averle fatte cadere, Aj recuperò le chiavi ed aprì la portiera del passeggero, aiutando Brian ad entrare. Brian appoggiò una mano sulla portiera per sostenersi e staccò l’altra dall’amico.
“Jay, calma. – gli disse guardandolo negli occhi. – Non è niente di grave quindi stai tranquillo.”
Aj sorrise nervosamente, liberando un respiro che non sapeva nemmeno che aveva trattenuto.
“Non dovresti essere tu quello in preda al panico ed io quello che ti deve rassicurare?”
Gli angoli ai lati della bocca di Brian si curvarono in un sorriso, debole ma forte nella convinzione che tutto sarebbe andato per il meglio. “Forse in un’altra vita, Jay.”
Aj mormorò qualcosa di incomprensibile, più probabilmente una delle tante imprecazione in spagnolo che Howie gli aveva insegnato, e chiuse la portiera dopo essersi assicurato che Brian fosse comodo.
Maledizione, perché era successo quando c’era solo lui e non quando sarebbe giunto anche Kevin?
Di certo, il maggiore era molto più qualificato nell’affrontare situazioni d’emergenza come quella mentre lui si sentiva come se stesse sull’orlo di una crisi di panico.
Calmarsi sembrava così miracolosamente irraggiungibile ma doveva provarci.
Si sedette davanti al volante e accese il motore.
“Jay, mi dai una mano? Non riesco ad allacciarla da solo.”
Aj si voltò e vide Brian cercare di allacciarsi la cintura di sicurezza.
“Stai scherzando, vero?”
Brian inclinò la testa, lo sguardo serio faceva netto contrasto con il pallore.
“Non stai scherzando. - Mormorò Aj sbalordito. – Fai fatica a respirare e ti preoccupi per la cintura?”
Aggiunse mentre lo aiutava nell’intento.
“I poliziotti qui sono abbastanza  ligi nei loro doveri e... beh, vorrei arrivare in ospedale tutt’intero.”
“Divertente.” 
Solo quando aveva già ingranato la marcia, Aj si ricordò che non sapeva esattamente dove fosse l’ospedale centrale di Lexington.
“Non è difficile. – gli disse Brian, intuendo la ragione per cui si era bloccato a metà strada del vialetto – L’ospedale è fuori dal centro cittadino e...” non riuscì a terminare la frase, una fitta, più forte di quelle precedenti, bloccò l’accesso e l’uscita dell’aria.
Dio, Dio, faceva maledettamente male!
Chiuse fortemente gli occhi, le mani si strinsero in un pugno così serrato che le unghie si conficcarono nella pelle nonostante la loro cortezza, un doloroso palliativo dalle fitte che continuavano incessanti a colpire il suo petto.
Cercò freneticamente la levetta per abbassare il sedile, forse alleviando un po’ di pressione sarebbe riuscito a respirare... ma la mano non riusciva a trovarla, era come se fallisse ogni qualvolta trovava qualcosa che assomigliava ad una leva ma che poi risultava essere tutt’altro. O non essere niente.
Nelle orecchie, sentiva solamente il battere sempre più velocemente; sapeva quello che stava succedendo, il suo cuore pompava il sangue il più velocemente possibile per sopperire alla mancanza di ossigeno.
Che cosa gli stava succedendo? Si era sentito bene fino a quella mattina, non aveva avuto più nessun problema dal giorno dell’operazione, perché stava tornando tutto adesso?
Lacrime di frustrazione e rabbia si mischiarono a quelle colme di sofferenza fisica ed a quelle che cercavano di far uscire tutta la paura.
“Brian, Brian!”   
La voce che lo stava chiamando assomigliava a quella di Nick, era come una sirena che lo allietava con la promessa che, se lo avesse seguito, avrebbe trovato ad attenderlo solamente il nulla. Niente sofferenza, niente dolore, niente sensazione di stare per affogare, anche se non c’era acqua che riempiva i suoi polmoni.
Voleva seguirla ma c’era un’altra voce, molto più ferma, che cercava di strapparlo da quella soave tentazione.
Cercò di appigliarsi a quella richiesta, per riemergere da quel mare di oscurità nel quale stava scomparendo.
“Brian! Maledizione! – stava urlando Aj mentre il suo piede spingeva sempre di più sul pedale dell’acceleratore. – Non farmi questi scherzi!” Erano trascorsi pochi minuti da quando erano saliti in macchina e, improvvisamente, la situazione si era capovolta, ruzzolando verso il peggio: Brian era impallidito, più di quanto non lo fosse già prima di partire. Ora assomigliava ad uno di quelle comparse nel video di Thriller, solo che non era cerone.
Era tutto maledettamente reale.
Ma Aj poteva tenere testa a tutto, ignorare quel respiro affannato o quanto era forte la stretta della mano di Brian attorno alla sua maglietta, ma non... non se Brian avesse perso conoscenza.
Lì era sicuro che avrebbe perso quel poco controllo che gli era rimasto.
“Nick.”
Il sussurro era quasi inudibile tra il rumore del traffico ed i clacson ma Aj lo udì perfettamente. Spostando l’attenzione dalla strada davanti a lui, voltò lo sguardo verso l’amico. Brian lo stava guardando, negli occhi una lucidità che lo metteva a disagio.
Come era quel detto?
Ah sì, la calma prima della tempesta.
“Alex. – lo richiamò Brian, usando quel nomignolo che raramente Aj accettava. Solo lui poteva usarlo e solo quando la situazione era davvero importante. – Per favore, chiama Nick.”
Per poco Aj non andò contro la macchina alla sua sinistra.
Non era stata la richiesta in sé a sconvolgerlo così tanto, soprattutto dopo che Brian aveva confessato di amare ancora Nick. No, era stato il tono, privo di qualsiasi affanno, deciso e determinato nonostante fosse un flebile sussurro, a lasciargli una brutta sensazione nello stomaco.
Sembrava l’ultima richiesta prima di soccombere, gesto così poco incline ad una persona che non si era mai arresa davanti agli ostacoli.
“Ehi, potrai chiamarlo una volta che ti diranno che è solamente stress.”
Il silenzio era come un intruso fra i due ragazzi. Nervoso, Aj lanciò un altro sguardo a Brian, alternando l’attenzione tra lui e la strada. Brian non aveva abbassato lo sguardo, anche se si vedeva che stava lottando con tutte le sue forze rimaste per non lasciarsi andare nel mare di oscurità che lo aspettava.
Ma la sofferenza era là, rendeva lucide le iridi diventate improvvisamente grigie. Era una nuvola bianca che stava oscurando tutto l’azzurro, esattamente come in quelle belle giornate estive dove all’improvviso scoppia il temporale.
“Per favore. – lo pregò Brian. – Chiamalo.”
La mano che Aj teneva sul cambio si spostò e coprì quella di Brian.
Per un lungo momento, le dita di Brian strinsero quelle di Aj, una stretta forte in cui aveva cercato di trasmettere all’amico parole di conforto, di rassicurazione su quello che stava per succedere e che non poteva più combattere.
“Andrà tutto bene.” sussurrò Aj, la voce bloccata da un groppo alla gola.
Brian gli sorrise ed Aj si illuse che le sue parole fossero vere, che tutto sarebbe andato per il meglio.
Erano anche quasi arrivati all’ospedale, se il cartello che aveva appena sorpassato era esatto.
Ma la stretta di Brian divenne sempre debole fin quando non cessò del tutto e l’unica cosa che li teneva ancora legati erano le dita di Aj strette attorno alle sue.
Aj focalizzò tutta la sua attenzione sulla guida, aumentando al massimo la velocità e superando chiunque gli fosse davanti.
E, per la prima volta da tempo immemore, si ritrovò a pregare.

 

 

 



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Spazio Autrice:

Prima vi debbo delle spiegazioni. Come avrete intuito, questo é il restyling completo di "This Is Us", la mia prima storia nel mondo Backstreet e la mia prima dopo tre anni in cui mi ero bloccata. A quel tempo, non sapevo che cosa fosse lo slash e, di certo, mai avrei pensato di poterlo scrivere.
Ma, esattamente come adesso, ero delusa dal fatto che il 99% delle fictions nel fandom italiano avessero un unico schema: fan che va al concerto/soundcheck/backstage o in qualunque altro posto ed incontra uno dei ragazzi (guarda caso sempre e solo Nick) e tutta la trama era incentrata su come poter finire nelle lenzuola di Carter. Niente thriller, niente approfondimento sul legame che unisce i ragazzi, niente conflitti e, soprattutto, niente maturazione dei personaggi. =_=
Così, anche ispirata da meravigliose storie nel fandom americano, mi sono buttata in quest'avventura. 
Ed ora, eccomi qua a scrivere della meravigliosa storia d'amore fra Nick e Brian! lol
Da quella storia ne é passata di acqua sotto i ponti e, come autrice, sono migliorata davvero tanto. Quello stile non mi appartiene, quei personaggi erano semplicemente delle bozze e non avevo dato spazio alla caratterizzazione ed alle descrizioni. Quando la scrissi, volevo solamente pubblicarla prima che l'ispirazione mi abbandonasse e si nota la celerità con cui é stata scritta.  
Per cui, mi sembrava giusto dare a quella storia una nuova veste ma non me la sento di cancellarla. Perché rappresenta il mio punto di partenza e ci sono affezionata. =)
Si nota già subito quanto sia diversa anche la trama stessa: ho tenuto qualche elemento ma la narrazione sarà differente, si alternerà tra presente e passato e, anche per la fine, ho in mente qualcosa di totalmente diverso. =)
Questo prologo doveva essere più lungo ma, a man mano che scrivevo, mi sono accorta che era impossibile pubblicarlo nella sua totalità. 
Ecco perché l'ho diviso. 
Infine, voglio davvero fare un ringraziamento a tutti coloro che, esplicitamente o implicitamente, mi hanno seguito in questa mia avventura da quel lontano giorno: chi commenta ogni capitolo ed é fonte inesauribile di supporto per tutti quei momenti che vorrei abbandonare tutto; chi mette le mie storie tra i preferiti , i seguiti e da ricordare, anche senza lasciare un commento. Significa che, in qualche modo, ciò che scrivo vi ha lasciato un segno e di ciò ne sono enormemente riconoscente. O chi, semplicemente, legge in silenzio.
Grazie a tutti! Mi rendo conto di scrivere storie che escono dalla norma di questo fandom e... sì, a volte mi dispiace che le mie storie non vengano lette perché trattano slash e non una storia romantica tra la fan di turno che si fa Nick. Nulla contro chi scrive queste ma io preferisco raccontare una storia esattamente come se fosse un libro, scrivere qualcosa di originale che possa interessare ed attrarre, fare mille congetture e teorie su che cosa possa succedere o meno. E, se anche rimarrò con le mie due fedeli lettrici, beh... sarà comunque valsa la pena. <3 

   
 
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