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Autore: Madtora    18/08/2011    4 recensioni
Il mio nome è Grattastinchi, e come potete ben vedere sono un esemplare di gatto persiano dal pelo rosso, lungo e soffice come ce ne sono pochi al mondo (....)E se non ci credete, statemi un po' a sentire, anche se le vostre misere orecchie non sono degne di ascoltare la storia della grande banshee Aibhil O' Brien e del suo gatto.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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Mamma mia, che noia.

Ogni giorno lo stesso pensiero, ogni giorno le stesse cose. Mi sveglio, mi danno da mangiare, mi riposo, osservo la gente, mi danno da mangiare, mi riposo, e così via. Un secolo. E' già passato un secolo. E questa è solo la mia seconda vita. Quanto invidio i cani in questo momento, almeno loro hanno una vita sola. Ma a pensarci bene no, non li invidio i cani...troppo servizievoli.

Ah, scusate, non mi sono ancora presentato. Il mio nome è Grattastinchi, e come potete ben vedere sono un esemplare di gatto persiano dal pelo rosso, lungo e soffice come ce ne sono pochi al mondo. E sì, ho un musetto adorabile, non come ha detto quella bambina l'altro giorno...”muso schiacciato”...bah, le uniche cose che aveva schiacciate lei poi sono state le sue dita, dopo che sono finite tra i miei denti.

Rinchiuso in questo negozio di animali, la gente si avvicina e mi guarda, per capire se potrò diventare l'animaletto magico di compagnia dei loro sogni. Bah. Come se mi meritassero. Non sono mica un gatto magico qualunque io. Come denota il colore del mio pelo, ho origini irlandesi, esattamente come la mia padrona. La mia unica padrona. E non provate a dire che mi ha abbandonato. Come se si potesse abbandonare un gatto, pfui. Ci siamo separati, è vero. Ma eravamo d'accordo. Su tutto. E se non ci credete, statemi un po' a sentire, anche se le vostre misere orecchie non sono degne di ascoltare la storia della grande banshee Aibhil O' Brien e del suo gatto.

Ero ancora un misero batuffolo rosso. La prima cosa che ricordo sono degli occhi viola, contornati da cerchi rossi, che mi guardavano, e che mi imploravano di non morire. Era una bambina piccola, avrà avuto circa dieci anni. Era vestita con una stoffa verde che la copriva a malapena, e i suoi capelli, rossi come il fuoco, erano uguali al mio pelo, e a quello della mia mamma. Mi appoggiai su quei capelli morbidi, e mi addormentai. Quando riaprii gli occhi, mi ritrovai dentro una casa dall'aspetto rurale, e mi misi a piangere perché cercavo la mia mamma. Sentii degli urli, e io piangei più forte, finchè non vidi entrare la bambina vestita di verde, con gli occhi gonfi e il viso tumefatto, ma con un sorriso sulle labbra. “Ho vinto la guerra, e posso tenerti. Da oggi io sarò la tua mamma, e noi staremo sempre insieme. Il mio nome è Abihil O'Brien, il tuo lo scopriremo.”. Da questo discorso capii solamente Abihil e mamma. E questo mi bastò.

Era la figlia del capo villaggio, ma era nata sotto una cattiva stella, poiché era nata senza versare una lacrima. La strega del villaggio la osservò, e capì il motivo di tale silenzio. Abihil avrebbe versato lacrime solo per la morte. Era una Banshee. Era nata così perché sua madre, mentre era di lei gravida, si era spinta ad un laghetto, attirata da un canto bellissimo. Era il canto di una Banshee di passaggio, che non ebbe ripercussioni sulla donna, ma incantò il feto, lo impregnò con le sue noti dissonanti, e trasformarono la bimba. Quelle note le plasmarono lo spirito e le modificarono le fattezze. Tutto questo lo scoprii mano a mano, vivendo con lei. Tutti nel villaggio la guardavano con timore, temevano il suo pianto, ma anche la sua voce. Una volta sola Abihil aveva cantato, e il suo canto aveva richiamato lo spirito della Morte, che era venuto a prendersi sua madre. In seguito la bimba scoppiò in lacrime, e tutti giurarono di vedere la falce della morte cadere sul cuore del padre. Rimase in vita, ma il suo cuore morì. E Abihil rimase da sola. Finchè non mi salvò dall'annegamento.

Non fu lei a darmi il nome che adesso porto, ma gli abitanti del villaggio. Grattastinchi. Avevo l'abitudine di nascondermi, e appena le persone mi passavano vicino tiravo fuori le unghie e mi aggrappavo alle loro gambe. Ma non per cattiveria. Neanche per gioco. Lo facevo perché volevo portarle dalla mia mamma, che era sempre sola. Non funzionò a salvarla dalla solitudine, ma almeno così avevo un nome. E dopo un po' scoprii che stare da solo con la mia mamma non era così male. Con me lei parlava. E soprattutto cantava. Aveva una voce meravigliosa, melodica, capace di far fremere la vegetazione in fondo agli stagni, o di far vibrare le nuvole. Su di me la sua voce non aveva alcun effetto, ma non sapevo il perché. Sapevo solo che la sua voce era meravigliosa. Un giorno suo padre la sentì cantare. Era furibondo. Con un solo gesto, la scagliò lontano, e mi afferrò per la collottola. Aveva gli occhi iniettati di sangue, e io feci del mio meglio per liberarmi e difendere la mia mamma.

Bestia infernale, come tutti i gatti!! Per colpa tua...tua!!!! Di nuovo canta, quando lei non doveva più farlo!!!! Ecco perché dovevi morire, te, insieme ai tuoi fratelli e a quella inutile gatta gravida!!!! Nel fiume insieme agli altri dovevi rimanere, andarci di tua spontanea volontà come hanno fatto loro non appena hanno sentito le sue lacrime sgorgare!!! E invece no, tu hai fatto di tutto per rimanere, e ora per colpa tua lei sta di nuovo cantando!!!!”. Non capivo, le sue parole, percepivo solo il suo odio. Non so bene cosa successe, ma il mio pelo improvvisamente prese fuoco, e lui iniziò ad urlare per la rabbia e il dolore. Dai miei occhi gialli fuoriuscì un lampo, che lo mancò di poco, mentre io mi muovevo per mettermi davanti a mia madre e proteggerlo dalla furia di quell'uomo.

Maledetto!!!! E' un gatto maledetto!!! E la Banshee è con lui!!!”

Portatori di morte e eventi nefasti!”

Assassini!”.

Queste parole mi riempirono le orecchie, come lame assordanti. Sentii delle braccia familiari prendermi, e mi lasciai guidare dalla mamma verso il bosco. Lontano dalla gente stupida. Lontani da tutti. Solo lei e io.

La mia mamma faceva di tutto per non piangere. Sapeva del suo potere, e non lo voleva, non le piaceva usarlo. Mi strusciai sulle sue gambe, lei mi prese in braccio e mi guardò negli occhi. Occhi viola che risplendevano nei miei gialli. E iniziò a piangere. Dapprima lentamente, cercando di trattenersi. Poi lasciò che le lacrime fluissero. Senza pensare a nulla. Lasciandosi andare totalmente, sotto i miei occhi vigili. Osservavo il contorno dei suoi occhi farsi sempre più rosso, sempre più gonfio, osservavo il suo petto sollevarsi sempre più veloce. Osservavo le sue mani tremare, mentre mi teneva a se'. E poi sentii. La sua voce. Uscire dal suo corpo, dapprima piano, poi violentemente. Sempre più forte. Sempre più alta. La foresta risuonava del suo grido, un misto di note cacofoniche e dissonanti allo stesso tempo, un suono che faceva rabbrividire, ma che ti imponeva di ascoltarlo, ti catturava l'anima, e sembrava fartela a pezzi. Il vento cessò di soffiare, tutto sembrava immobile, spettatore di questa visione senza precedenti, spettatore di un canto senza eguali. E io ricordai. Questo suono, se pur in minima parte, lo associai alla prima volta che la vidi. E capii perché ero immune alla sua voce. Perché quel giorno, in riva al fiume avevo domano il suo canto, e ora potevo resistergli. Iniziai a fare le fusa, per cercare di calmarla.

Dopo molte ore tornammo al villaggio. Eravamo convinti che la frenesia del momento fosse passata, che la gente, presa dal lavoro autunnale nei campi, avesse messo da parte l'accaduto per non pensarci più. Entrammo nel villaggio in punta di piedi, poiché non si sentiva nessun rumore. Tutto era immobile. Entrammo in casa, ma il padre non c'era. Girammo tutte le capanne. Non c'era nessuno. Andammo allora alla Grande Capanna, quella delle riunioni. E li trovammo. Tutti gli abitanti del villaggio. Uniti in un unico abbraccio. Fermi, come tanto statue che insieme formavano un disegno perfetto. Morti. Uccisi. Per mano propria. In quella sala ogni singola persona si era tolta la vita, chi impiccandosi, chi trafiggendosi con la spada. E prima di morire si erano avvicinati. Un ode alla morte. Un ode al canto della Banshee.

Guardai Abihil. Si avvicinò ad ogni abitante. Li conosceva tutti, e mentre passava loro accanto, diceva il loro nome. Andò per ultimo da suo padre. Di lui non disse il nome. I suoi occhi per il momento non avevano più lacrime da versare, così come la sua voce, che si rifiutò di uscire.

   
 
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