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Autore: Electra_Gaunt    19/08/2011    8 recensioni
Nelle notti estive ed afose della California, rinchiuso in una lussuosa camera d’albergo, l'unica cosa a cui riesco a pensare sono i tuoi occhi. Vorrei non essere così lontano da te, dal tuo volto bellissimo ed innocente.
Vorrei essere a casa e non andarmene più.
Mai più.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '≈ Lovers ≈'
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Another summer day
has come and gone away
[…]
Maybe surrounded by
a million people I
still feel all alone
I just wanna go home
I miss you, you know
 
Home -  Michael Bublé

 

 

 
Nelle notti estive ed afose della California, rinchiuso in una lussuosa camera d’albergo, l’ unica cosa a cui riesco a pensare sono i tuoi occhi. Vorrei non essere così lontano da te, dal tuo volto bellissimo ed innocente. Vorrei essere a casa e non andarmene più.
Mai più.
La mente si divide in due parti, quella razionale e quella contagiata dall’amore. La prima, mi ricorda il motivo di tanta lontananza: il lavoro, l’azienda da portare avanti, l’enorme responsabilità che la mia famiglia ha sempre sostenuto sulle proprie spalle. Possedere il 50% delle azioni di una grande società non è poco e, da questo, ne conseguono innumerevoli problematiche. Per un lungo periodo della mia vita ho cercato di sviare ai miei doveri, opprimenti e asfissianti. Ma ora, a 26 anni, mi rendo conto che sin dall’inizio non v’era scampo. Quando ero giovane era infinitamente più semplice, davvero. Fare ciò che volevo, vedere chi volevo (e non businessman, ogni santo dì). Incontrare te, casualmente, all’università.
Ripensandoci mi viene da sorridere come un cretino. Al nostro primo incontro, la tua voce mi parve pacata e leggermente diffidente, quasi avessi paura di parlarmi e rispondere alle mie frequenti domande che, se non altro, erano uno stupido tentativo di attaccar bottone. Tutti questi nostri ricordi che, pian piano, riemergono dai cassetti della memoria, mi fanno desiderare di compiere la sconsiderata azione di prendere un dannatissimo aereo e venire da te. Vorrei capissi quanto potere hai di influenzarmi, di modificare ogni mio pensiero ed ogni mia volontà razionale.
Ma ora sei lontano, chilometri e chilometri da me, ed io non posso far niente per impedirlo. Potrei telefonarti e scriverti e guardare le foto delle nostre vacanze sul PC ma, ne sono certo, dopo mi sentirei peggio. Molto peggio.
Vorrei abbracciarti, baciarti in questa bellissima notte d’estate, coccolarti come solo io posso fare da due anni a questa parte. Sfortunatamente non mi è concesso.
La tua mancanza mi uccide, deteriora il mio cuore e disintegra la logica. A volte mi pare di soffocare ed annegare in un mare di incertezze infondate, legate unicamente al non poterti scrutare in viso. Il tuo sorriso, quello splendido sorriso luminoso ed abbagliante, mi lascia senza fiato ogni giorno di più. È acqua per me, assiderato in mezzo al deserto.
La frenesia mi scorre sottopelle, un terribile morbo da cui non posso scampare. Vorrei che il tempo passasse più in fretta (che volasse) ma sono consapevole che, questo, non è affatto possibile.
Mi alzo dal giaciglio sopra cui sono steso ed il respiro si fa più veloce.
Non riuscirò a resistere per altri 15 giorni, non ce la farò, nonostante sia già passata una settimana. Ogni minuto sembra così lungo ed ogni giorno si spegne in un banale momento di splendore. Sono certo che, se tu fossi con me, sarebbe tutto diverso.
Le mattine scorrerebbero più serenamente e le notti diverrebbero piacevoli.
Ma tu non sei voluto venire, questa volta. I tuoi studi hanno risentito troppo della mia ascendenza. Sono stato fin troppo egoista a farti vivere questa vita frenetica anche solo per un anno. Il tuo sogno (diventare un dottore, magari cardiochirurgo) sarebbe dovuto essere più importante dei miei obiettivi, per poterti finalmente vedere felice e realizzato.
Stupido, sono stato sfacciato a non accorgermi del tuo disagio. E, dopo tanto (troppo) tempo, sei stato tu a prendere una decisione drastica. Sei rimasto a casa, mi hai lasciato solo in questo viaggio. Ovviamente c’è molto di più sotto. Qualcosa che prima non riuscivo a scorgere chiaramente, troppo preso a guardare fogli e documenti di lavoro. Non eri sereno.
Mi terrorizza saperti angosciato, quasi quanto non saperti mio.
Quando ci siano divisi all’aeroporto, io con la valigia e tu con il tuo adorato libro di chimica in mano, mi guardasti con occhi insicuri e spenti, affranti ma consapevoli al contempo. Lì compresi realmente, con più certezza di prima, perché io ti amassi tanto. Lo sogno tuttora quello sguardo, sai? Non smetto di pensarci un attimo.
Nonostante sappia che hai ragione tu, non posso fare a meno di sentirmi perso senza te.
Hai tentato di parlarmi: hai inviato mail, messaggi, hai chiamato la mia segretaria miliardi di volte ed il mio cellulare scoppia di telefonate a cui io non ho mai risposto. Non ho avuto il coraggio di risponderti ed ammettere che sei tu, solamente tu, ad aver ragione su tutto. Le parole non sono il mio forte e il mio orgoglio sta divenendo un muro, tra noi.
Vorrei che fossi con me, ora.
Vorrei svegliarmi con te, accanto.
Vorrei potermi spiegare bene come fai tu, che modifichi le parole e le distribuisci a tuo piacimento. Sei sempre stato più sveglio di me, in queste cose.
Non credere che non ci abbia provato, a scriverti intendo, ma le parole sono uscite storpiate dal rimorso. L’unica azione che posso compiere è pensarti, tanto intensamente che mi ostino a illudermi che tu mi possa sentire, oltreoceano.
Con uno scatto repentino incomincio a vestirmi (giacca e cravatta sono le prime cose che afferro), per poi prendere lo zainetto con tutti le carte di credito ed i documenti personali. Non so cosa sto facendo ma, sinceramente, non posso fare a meno d’essere finalmente felice e sereno come un bambino.

 
 
Il volo è stato lento ed estenuante.
Quando arrivo a destinazione è già notte, proprio come quando sono partito. Milano è caotica come la ricordavo, bella e piena zeppa di misteri. Come ho fatto a lasciarti qui, solo? Non lo so neppure io.
Il taxi sfreccia tra le viuzze con un’agilità fragile e spavalda, cosa che non succederebbe se fosse giorno inoltrato. Ma è notte, profondamente notte. Le immagini della mia città natale mi scorrono innanzi senza che io ne rimanga ammaliato. L’unica cosa a cui penso sei tu. Unicamente tu. L’ansia mi scorre nelle vene come fosse veleno mortale. Magari non vuoi parlarmi, magari non mi vuoi più e basta. Ti sarai stancato di aspettare il mio ritorno alquanto prevedibile (mi sono illuso di poter resistere senza te anche solo per un attimo?).
Forse … forse non mi ami più.
La macchina si ferma e sento che è giunto il momento di affrontare tutto questo. Scendo dal taxi e pago l’uomo alla guida della vettura. Attraverso con passo lento e cadenzato il vialetto di casa, riassaporando l’odore dei fiori che ti diletti a far sbocciare. Possiedono lo stesso buon profumo di sempre. Rivedo il tuo sorriso nella loro bellezza, pura e semplice. Il venticello estivo mi scompiglia i capelli biondo cenere e, come in un sogno mi sento rinascere dentro. È, comunque, bello tornare a casa.
Busso alla porta con mani tremanti e incomincio a suonare insistentemente al campanello. Sento dei passi frettolosi farsi più vicini e mi sorprendo a sperare che tu sia ancora sveglio, nonostante l’ora tarda.
Apri l’uscio e ti strofini gli occhi con fare stanco. Le pupille sono arrossate di pianto, come mai le avevo viste. Alzi il viso verso di me e, d’improvviso, allarghi lo sguardo sconvolto. Non dici niente, troppo sorpreso e felice.
Di riflesso, io mi beo della tua immagine.
“Mi dispiace.” Sussurro al vento mentre scorgo le tue lacrime scorrere sulle guance nivee. “Non dovevo farti questo. Tu non lo meriti, affatto. Vorrei renderti sempre felice e sereno. Vorrei esaudire ogni tuo sogno, ogni tuo più piccolo desiderio. Eppure non ne sono stato capace. Non ho risposto ai tuoi messaggi né alle tue chiamate, terrorizzato dall’ammettere che hai ragione tu, Alex, hai sempre avuto ragione tu. Sono uno stupido verme strisciante che si è illuso di poterti avere e possedere, come fossi un oggetto da mostra. Ma tu e la tua vita, la tua sola essenza, vale più di tutto ciò che io, sin d’ora, ho amato.” Proruppi, tutto d’un fiato. Le fattezze del suo volto si ammorbidirono. Gli occhi color cielo si puntarono su di me, facendomi sentire in pace col mondo.
“Vorrei essere bravo come te, con le parole, ma … beh, non ne sono mai stato capace. Potrai perdonarmi?”
Non rispose nulla. Alzò unicamente la mano destra e la poggiò sulla mia guancia, in una carezza delicata agognata per troppo tempo.
“Hai fatto tutta questa strada solo per me, Davide? Per dirmi questo?” Sorrise leggermente “Potevi anche telefonarmi, sai? Con quei piccoli aggeggi che chiamano cellulari. Cosa diranno i tuoi soci in affari, domani?”
Proruppi in una risata leggera.
“Gli dirò che avevo qualcosa di più prezioso da non perdere.”
“Pensavo di star sognando, sai?” Disse singhiozzando un poco. Presi il suo viso tra le mani e mi prodigai a raccogliere le sue lacrime con i polpastrelli.
“Quando? Perché?”
“Appena ho aperto la porta. Non puoi essere davvero qui. Non per me, non valgo tanto.”
“Sei la cosa che amo di più al mondo, non potrebbe essere altrimenti.”
Alex scoppiò a piangere ed a ridere al contempo, buttandosi tra le mie braccia. Mi era mancato il suo odore muschiato e la consistenza dei suoi capelli d’ebano. Ma, sopra ogni cosa, mi erano mancate le sue labbra. Il bacio fu lento e dolce, casto e puro, quasi volessi godermi quei momenti per poi imprimerli nella mente.
“Bentornato a casa, amore mio.”
 
 
 
 
Fine






Note dell'autrice:
Questa storia mi è venuta in mente ascoltando Home di Michael Bublé. E' una delle canzoni che più mi ha colpito del suo vasto repertorio. Quella che amo. Il tutto si svolge in una sola notte che, forse, cambierà le vite dei personaggi. Ancora non lo so^^
Commentate e fatemi sapere se vi piace!
Saluti

_Electra_
  
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