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Autore: NeverThink    19/08/2011    16 recensioni
Rifiuto, rabbia, patteggiamento, depressione, accettazione.
Il dolore arriva per tutti, in momenti e in modi diversi, ma arriva… per tutti. Arriva per tutti, quella dannata ora e tu non puoi fare altro che continuare a vivere la tua vita anche senza quella persona cara, anche se ti sembra impossibile… ma quello che non sai è che dopo c’è speranza… una nuova vita, un’altra possibilità di essere felice.
Io, ora, lo so.
(..) «Sei come la forza di gravità.»
Non dissi nulla, mi limitai a chiudere gli occhi e godermi la sensazione delle sue dita sul mio viso, del suo naso contro il mio collo. Mi venne la pelle d’oca e tremai appena.
«Vorrei baciarti.» mormorò a poca distanza dal mio viso.
«Potrei non ricordare come si fa.» (..)
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un giorno lo sapremo

 

And that's why i know that I can say,
I'm lucky today,
and that's how I know that it's time…
to be brave.

 

Elisabeth Kübler-Ross. Per alcuni questo nome potrebbe non significare niente, ma di certo ognuno di noi nella propria vita è passato, o passerà, attraverso quelle cinque fasi che, quarantuno anni fa, la donna ha elaborato.
Cinque fasi, cinque difficili ed insopportabili fasi che fanno parte di un pezzo di vita che spesso ci cambia irrimediabilmente.
Passiamo attraverso le cinque fasi del dolore, senza nemmeno saperlo.
Rifiuto: una perdita tanto impensabile, tanto assurda che non ci sembra possa essere vera. Ci rifiutiamo di credere di poter vivere senza quella persona. Un mondo senza essa non può esistere.
Rabbia: la rabbia ci investe, ci travolge. Ci arrabbiamo con tutti, ognuno diventa colpevole.
Patteggiamento: riusciamo a riprendere un po’ di controllo sulla vita, quel che basta per andare avanti. Un giorno un più. Ecco cosa vorremmo. Saremmo disposti a donare un organo, la nostra stessa anima per un giorno un più.
Depressione: prendiamo consapevolezza della perdita subita. Negazione e rabbia sono sostituite dal senso di sconfitta. Capiamo che abbiamo fatto tutto ciò che ci è stato possibile fare.
Accettazione: è l’ultima fase. Ci si abbandona e si accetta la perdita.
Il dolore arriva per tutti, in momenti e in modi diversi, ma arriva… per tutti.
Il mondo va avanti, la terra continua a girare. E tu non puoi fare altro che guardare avanti. Mettere un piede davanti all’altro ed alzare lo sguardo, alzare la testa al cielo.
Arriva per tutti, quella dannata ora e tu non puoi fare altro che continuare a vivere la tua vita anche senza quella persona cara, anche se ti sembra impossibile… ma quello che non sai è che dopo c’è speranza… una nuova vita, un’altra possibilità di essere felice.
Io, ora, lo so.


«Avanti, Ginevra, faremo tardi!»
«Arrivo!» urlai chinandomi sul pavimento, cercando sotto il divano i sandali per il viaggio.
«Perderemo l’aereo!» urlò ancora Cristina, una mia compagna di viaggio.
«Sì, un secondo!» urali in ansia, alzandomi dal pavimento, non avendo trovato ciò che cercavo. «Mamma,» urlai ancora, «non li trovo!»
«Tesoro, non so più dove cercare!» rispose lei dalla cucina.
«Gin, se entro trenta secondi non trovi quei sandali giuro che ti molliamo qui!»
Fu allora, che ricordai. Corsi in bagno ed aprii la portella del mobile sotto il lavandino, dove riponevo l’asciugacapelli.
«Trovati!» esclamai correndo in soggiorno. Afferrai la valigia, mi portai la borsa alla spalla.
«Ti chiamo mamma, non dar fuoco alla casa.» dissi baciandole velocemente una guancia.
«E tu non annegare.»
«Impossibile, nuoto meglio di un pesce.» risposi facendole l’occhiolino e dirigendomi per le scale.
Correvo trascinando la grande valigia e tenendo i sandali in mano. «Potrei almeno mettermi questi malefici sandali ai piedi?» chiesi a Cristina.
«No, no che non puoi. Siamo in ritardo.» rispose correndo.
«Ehi, non correre così veloce altrimenti…» mentre dicevo questo, sì, accadde l’inevitabile: rotolai per l’ultima rampa di scale, seguita dalla valigia.
Ci fu un momento di silenzio, più che altro di terrore, e non era per paura che mi fossi fatta male rompendomi un qualche osso o slogandomi una caviglia o un polso, ma di perdere l’aereo.
Alzai lo sguardo su Cristina che mi fissava con occhi sgranati. Mi portai le mani all’altezza del petto, con i palmi rivolti verso lei: «Sto bene!»
«Andiamo!» esclamò lei recuperando la mia valigia e trascinandola verso l’auto dove, Valentina, al posto di guida, non faceva che suonare il clacson.
«Sveglierà tutti l’isolato.» sibilai.
Gettai la valigia nel bagagliaio e mi fiondai in auto. Appena chiudemmo le portiere Valentina partì.
«Ma che diavolo è successo? Perché sei a piedi nudi?» mi chiese guardandomi dallo specchietto retrovisore.
A rispondere però fu Cristina, che mi batté sul tempo. «Si è addormentata. Si è addormentata!» disse voltandosi e fulminandomi con lo sguardo.
«Oh, scusami, tanto se la sveglia non ha suonato.»
sbuffai allacciandomi i sandali.
«L’avevo detto che era una pessima idea partire all’alba.» ci canzonò Valentina.
Sbuffai e mi allacciai l’altro sandalo.
Avevamo organizzato quel viaggio a Marzo, ed eravamo a Luglio. Ci era sembrata un’ottima idea partire presto… ovviamente ci sbagliavamo.
Stavamo partendo per la solita vacanza estiva, ma per me era il viaggio post laurea. Ad Aprile avevo infatti conseguito la laurea in psicologia.
Sia Cristina (laureata in ingegneria) che Valentina (che si sarebbe laureata in medicina veterinaria l’anno successivo) era non più grandi di me di un anno, ed io ne avevo venticinque. Sarei già dovuta essere laureata, fanatica dello studio quale ero, aspiranti ricercatrice di comunicazione non verbale… ma la vita, non sempre ci permette di realizzare in nostri piani a tempo debito.
Voltai il capo verso il finestrino, guardando il sole sorgere… alla fine, ero andata avanti… o quasi.
«Non mi hai ancora risposto.»
Guardai Valentina. «Uhm?»
«Perché eri a piedi nudi?»
«Oh,» mi grattai la nuca, «beh, ecco… avevo preso il phon e… ho messo i sandali nel mobile del bagno.»
Cristina di voltò verso Valentina, Valentina verso Cristina, prima che scoppiassero in una fragorosa risata.
«Certo, certo… ridete di me, burlatevi di me! Belle amiche che siete!»
Scossi il capo prima di sprofondare nel sedile e inclinare il capo all’indietro. Davanti mi si prospettava una giornata davvero lunga.

Come previsto il viaggio fu molto lungo. Da Roma (città in cui sono nata e in cui vivo tutt’ora) prendemmo un aereo che ci portò a Madrid, da Madrid attendemmo l’aereo che ci avrebbe portate a Tenerife. Sì, Tenerife, isola dell’arcipelago delle Canarie, era la nostra destinazione. Risparmiavo da un anno per quel viaggio, evitando qualsiasi tipo di spesa inutile. Era la mia vacanza, la vacanza della vita, quella dopo la laurea, una tappa che finalmente mi introduceva nel mondo. Ma basta perdersi in queste sciocche speculazioni.
Una volta arrivate sull’isole, nel tardo pomeriggio, un autobus ci condusse in un villaggio sulla costa, meta turistica.
Camminare fino alla nostra camera affittata, molto lontano dalla costa, fu un’impresa. In particolar modo per Valentina che, come al solito, aveva la valigia più grande e pesante di tutte.
«La prossima volta cerca di portare meno roba.» disse Cristina voltandosi verso lei, rimasta indietro.
Valentina alzò il capo, per guardarla sotto l’ampia visiera del suo capello di paglia. «C’è il necessario, qui.» rispose risoluta prima di continuare a camminare trascinandosi la valigia.


Sistemate le valigie, quella sera, decidemmo di non uscire. Il viaggio, l’attesa del voli, ci aveva stremate, così, dopo una doccia decidemmo di andare a dormire, anche se non avevo molto sonno. Con mia grande sorpresa, però, appena la mia testa toccò il cuscino, caddi in un sonno profondo.
A svegliarmi, il mattino successivo, fu Cristina che spalancò gli scuri in legno blu facendo entrare la luce del sole.
«Chiudi la finestra. Ti prego, chiudila.» mugugnai mettendo la testa sotto il cuscino.
«Mi sto sciogliendo.» si lamentò Valentina coprendosi col lenzuolo bianco.
«Beh, se ti copri con questo caldo è certo che ti scioglierai.» disse. Poi afferrò il lenzuolo di Valentina (come appresi poco dopo) ed il mio cuscino, sfilandoceli via.
«Andiamo, ragazze!» esclamò, «Una spiaggia meravigliosa dalle acque cristalline ci attende!»
«Ti odio.» gemetti mettendomi a sedere sul letto.
Cristina sorrise. «Io invece ti voglio bene.»


Dieci minuti dopo, mi ritrovai in bagno, davanti allo specchio. Quando guardai la mia immagine riflessa, sobbalzai.
«Oddio…» sussurrai passandomi una mano fra il groviglio di capelli rossi che avevo in testa. Cercai di pettinarli con le dita, lisciandoli fin sotto lo spalle, per tutta la loro lunghezza. Aprii il rubinetto dell’acqua e mi bagnai il viso. Gli occhi mi parvero essere molto gonfi e rossi, tanto che il grigio delle iridi risaltava più del solito, in netto contrasto con la pelle diafana. Le labbra piene erano arricciate in una smorfia. Sì, l’immagine che vidi non mi piacque e diedi colpa alla luce sopra allo specchio.
Sospirai e, scuotendo il capo, mi legai i capelli. Rimasi a guardarmi allo specchio, in attesa che arrivasse, esattamente come ogni mattina. Aspettai che arrivasse quell’ondata di sofferenza e dolore che mi abbandonava nel momento in cui uscivo di casa, respirando aria fresca. Aspettai, chiudendo gli occhi, poi, sentii la sua voce. Ogni volta era così chiara da apparirmi vera, reale, mi echeggiava nella mente, tuonando all’inizio, cullando alla fine.
Aprii gli occhi e lo vidi, riflesso nello specchio.
Non sorrisi, non potevo farlo. Quell’ondata di nostalgia e dolore era talmente tanto forte da togliermi addirittura il fiato, da farmi dolermi il petto come avessi ricevuto una pugnalata.
Per un attimo osservai i corti capelli biondi, la labbra distese in un sorriso, il viso ovale, gli occhi piccoli, incavati negli alti zigomi.
«Ciao, Ginevra.» disse, ma sapevo che era solo frutto della mia mente, né la sua immagine, né la sua voce era reali.
«Ciao, Claudio.» sussurrai.
«Sei bellissima.» non dissi nulla, sentii la gola bruciarmi. Erano le parole che mi ripeteva ogni volta che mi vedeva.
«Mi manchi.» mormorai.
«Ti amo.» disse con voce della stessa consistenza del miele.
«Ti amo anch’io, sempre.» chiusi gli occhi e mi voltai. Gli riaprii, la sua immagine non c’era più.


Quando uscii dal bagno, ero sempre io, Ginevra. Mi ero lavata, ricomposta, vestita.
Avevo fatto colazione, ero scesa in spiaggia, ed ora, distesa su un telo da mare, prendevo il sole sperando che colorasse la mia palle quasi bianca.
Intorno a noi le persone di muovevano caoticamente, giocando a palla, altri passeggiavano sollevando sabbia. Ero da poco uscita dal mare ed avevo i capelli umidi e la pelle impregnata di crema solare e salsedine. Mi era mancata quella sensazione.
Alla mia destra c’era Cristina, alla mia sinistra Valentina. La prima parlò: «Io e il sole ci stiamo amando.»
Risi. «Sei disgustosa.»
«No, è una bugiarda. Sei una bugiarda, Cris. Il sole sta amando me.» ribatté Valentina.
Scossi il capo. «Rettifico: siete disgustose.»
«E’ nella natura umana, Gin. Dovresti amare più spesso anche tu. E’ da quando Cl-»
«Vale…» sibilò Cristina.
Deglutii. Non ebbi il coraggio di aprire gli occhi. Il ricordo della mia ultima notte d’amore, tre anni prima, quasi mi fece rabbrividire. Ci volle tutta la mia concentrazione  e la mia forza di volontà per scacciare quel ricordo e richiuderlo nel cassetto del mio cuore. Non mi permettevo di ricordare, di pensare che un giorno Amore potesse nuovamente bussare alla mia porta.
«E’ tutto okay.» mormorai, sforzandomi di sorridere.
Sì, l’avevo accettato… ma… ma mi mancava terribilmente, e questo non sarebbe mai cambiato.


«Il tuo costume è orribile.» mi voltai verso Cristina che mi guardava attraverso le scure lenti degli occhiali da sole.
Spalancai la bocca. « Non è vero!» ribattei guardandomi il costume blu a piccoli pois bianchi.
«Potevi scegliere una fantasia decente, un qualcosa di più elaborato.»
«Ehi, a me piace. Il tuo è orribile. Cashmere viola e giallo? Andiamo!»
«E quei laccetti sui fianchi? Sono gialli.»
«Malefica.» sibilai portandomi gli occhiali da sole sul naso e sistemandomi il grande cappello di paglia.
Cristina rise, prima di tirarmi un pizzicotto.
«Dite che c’è una spiaggia per nudisti, qui?»
Entrambe ci voltammo verso Valentina, scioccate. «Cosa?»
Lei sbatté più volte le palpebre. «Scherzavo.»
Scossi il capo e tornai a guardare dinanzi a me, stesa, poggiata sui gomiti. I raggi del sole del mattino si riflettevano sull’acqua e sembrava che la luce si rincorresse sulle increspature. Fu allora che qualcosa attirò la mia attenzione. A pensarci, ora, non riesco a reprimere le risate.
Avete presente quando in Baywatch Pamela Anderson correva a rallentatore sulla spiaggia? Ecco, in quel momento successo un qualcosa di analogo. Osservando il mare cristallino notai un paio di ragazzi uscire dall’acqua. Alti, statuari e ricoperti di perle salate. Sorridevano e ridevano fra loro. Il più alto dei due si passò una mano fra i capelli scuri, facendo volare goccioline d’acqua. Istintivamente dischiusi le labbra e mi sfilai i grandi occhiali da sole per guardare meglio.
«Oh, mio, dio…» sentii mormorare alla mia destra.
«Cris… mi sono innamorata.» mormorò Valentina alla mia destra.
I due, di fronte a noi, sulla battigia, alzarono lo sguardo e fecero un risolino, divertiti probabilmente dalle nostre facce sconcertate.
Quello più alto mi sorrise. Sentii il sangue affluire alle guance e quel repentino aumento di pressione sanguigna mi ridestò da quella specie di trans in cui ero caduta. Chiusi di scatto la bocca e mi misi a sedere, voltandomi prima verso Cristina, poi verso Valentina.
«State sbavando.» dissi tirando una scappellotto ad entrambe, mentre i due ragazzi si dirigevamo ad una decina di metri da noi, dove avevano lasciato la loro roba.
Le due li seguirono con lo sguardo ed io, mio malgrado, mi ritrovai a fare lo stesso.
«Come abbiamo fatto a non vederli prima?» chiese Cristina.
«Non lo so. Dove sei stato fino ad’ora, padre dei miei figli?»
Le guardai, scuotendo il capo. «Vado a farmi un bagno.»
«Sì, brava, vai… placa i bollenti spiriti!» esclamò divertita Valentina.
Mi voltai e la fulminai con lo sguardo, poi sospirai e mi diressi in acqua, gettando di tanto in tanto fugaci occhiate ai due ragazzi che, portatisi gli zaini in spalla sparirono fra la moltitudine delle persone, dirigendosi verso il villaggio.

Quella sera decidemmo di uscire, cercare un locale carino dove cenare e poi andare a bere qualcosa sulla spiaggia, in un pub che avevamo visto nel pomeriggio, mentre tornavamo a casa.
Indossai una maglietta a manica corta, scollata dietro quanto davanti, un paio di pantaloncini di jeans e sandali dai mille corallini colorati. Avevo la pelle accaldata, leggermente arrossata per via del sole, che combinato all’acqua salata, aveva permesso ai miei capelli di asciugarsi in morbide e leggere onde.
Non mi truccai, non mi piaceva farlo. Con riluttanza lasciai che Cristina mi allungasse le ciglia con del mascara.
Mangiammo una pizza e bevemmo una birra, poi andammo in un locale, uno dei più frequentati del villaggio, vicino al mare.
Quando entrammo fummo quasi sopraffatte dalla calca.
«Bene, ho bisogno di qualcosa da bere!» urlai mentre ci dirigevamo verso il bar. Presi un Mojito, il mio preferito e mi sedetti al bancone.
«Ho voglia di ballare!» esclamò su di giri Valentina.
«Andiamo, andiamo!» gridò Cris.
«Io vi aspetto qui!»
«Sei una rompiscatole!» sbuffò Cristina scuotendo il capo mentre Valentina la trascinava in pista, nella calca.
Presi la cannuccia fra i denti e bevvi un sorso, mentre mi guardavo intorno.
Il locale era illuminato da diverse luci colorate e la musica non faceva che tuonarmi nella testa, dopo un po’ cominciò a dolermi, tanto che fui costretta ad uscire dal locale con una smorfia di dolore sul viso.
Mi feci spazio fra la calca, cercando di non far cadere il contenuto del mio bicchiere. Quando uscii mi parve di riprendere a respirare come se avessi trattenuto il fiato troppo a lungo. Mi avvicinai al muretto che circondava il locale, dove altre persone chiacchieravano e altri si perdevano in effusioni d’amore. Quella vista mi destabilizzò per un attimo. Mi sedetti, guardando la luna riflettersi sul mare lasciare una scia argentea sul manto nero sottostante.
L’aria era calda e un po’ umida, tanto che sentii i capelli incollarli fastidiosamente alla nuca.
«I remeber you.» nell’udire quella voce calda e bassa, sobbalzai.
«Come?» chiesi istintivamente, voltandomi, ma, quando capii chi aveva parlato, spalancai gli occhi.
Sorrise. «Mi ricordo di te.» ripeté alla fioca luce di un lampione.
Deglutii guardandolo negli occhi scuri. «Anche io.»
Fece un risolino porgendomi una mano. «Andrea.»
«Ginevra.»
«Come Ginevra di Camelot.»
«Sì, come lei.» balbettai.
«Aspetti le tue amiche? Il tuo ragazzo?» chiese portandosi la bottiglia di birra alle labbra.
«Non ho il ragazzo. Loro, sono dentro. Sono venuta fuori da sola.»
«Troppo caos?» chiese inclinando il capo, sorrise mostrando una schiera di denti perfettamente dritti e bianchi, in contrasto con la pelle scurita da sole, e abbassando leggermente la mandibola.
Inclinai il capo e le parole che mi uscirono di bocca furono tanto spontanee che non riuscii a fermarle. «Sorriso a mandibola abbassata. Usati per generare reazioni piacevoli ed ottenere consensi.»
Corrugò la fronte, confuso. «Prego?»
Fu allora che mi accorsi di ciò che avevo appena detto. Sentii il sangue fluire alle guance e  mi morsi immediatamente la lingua, portandomi una ano sulla fronte. «Perdonami. Scusa, non volevo.» cercai di scusarmi.
Sorrise, sincero.
«Sono un’appassionata di comunicazione non verbale.»
«Oh, ora è tutto chiaro.» annuì. «Suppongo tu sia quindi una studente.»
«Ora no. Ora posso felicemente dire che mi sono laureata.» sorrisi.
«Qualcosa mi fa supporre che sia una laurea in psicologia.»
Sorrisi, sollevando un angolo della bocca verso l’altro. Feci spallucce. «Esatto.»
«Quindi suppongo tu abbia un’ètà intorno ai… ventiquattro o ventisei anni.»
«Venticinque.»
«Venticinque.» ripete guadandomi negli occhi.
«Mentre tu…» esordì.
«Andrea Baldi, nato e vissuto a Firenze, laureato in Architettura, residente da due anni a Roma. Ventinove anni.»
Spalancai appena gli occhi. «Roma.»
Fece un cenno col capo. «Roma.»
Sorrisi. «Ginevra De Santis, nata e vissuta a Roma, laureata in psicologia, residente a Roma.»
«Roma.»
«Roma.»
«Ehi, Andrea, andiamo!» una voce richiamò la sua attenzione, lui si voltò.
«Arrivo.»
«E’ stato un piacere, Ginevra.»
«Piacere mio, Andrea.»
Per alcuni istanti i suoi occhi chiari rimasero nei miei, poi sorrise e si avvicinò. Quell’improvviso vicinanza mi fece balzare il cuore il gola e affluire il sangue al viso.
«Hai… un ciglio…» mormorò premendo delicatamente l’indice sul mio zigomo sinistro.
Deglutii a fatica. «Oh.» soffiai senza staccare il mio sguardo dal suo.
«Esprimi un desiderio.» mormorò a poche spanne dal mio viso.
Aspettai un paio di secondi, poi soffiai sul suo dito.
«Ci vediamo, Ginevra.» disse con voce calda, avvolgente.
Sentii il resto del corpo scollegarsi piano dal cervello. Parlai nuovamente senza pensare.
«Come?»
Un sorriso sghembo gli colorò il viso dai forti lineamenti mascolini. «Semplice, ti troverò.» poi si voltò allontanandosi.
Presi nuovamente la cannuccia fra i denti e sorrisi, inclinando il capo in avanti. Lui mi fece un occhiolino.
Sorriso con lo sguardo di traverso:  amato dagli uomini di tutto il mondo, perché, quando una donna lo abbozza risveglia in loro sentimenti paterni e protettivi; usato per toccare il cuore delle persone.
Mi misi eretta di scatto, scioccata, resami conto del sorriso appena fattogli.
Ma cosa…?


«Ti troverà lui? Oh, andiamo, che idiozia è questa?» sbuffò Cristina lasciandosi cadere sul letto.
«Dai, lasciala sognare!» ribatté Valentina lasciandosi cadere sul suo letto.
«Ehi, io sono qui!» esclamai slacciandomi i sandali.
Cristina alzò il capo, inarcando un sopracciglio. «Era sincero?»
«A me è parso di sì. E poi non m’interessa,» tagliai corto.
«Oh, ti ci vuole un flirt, Gin! Diamine, hai venticinque anni e non vai a letto con un ragazzo da-»
Ad interrompere Cristina, fu Valentina, le diede una gomitata.
«No, ora basta! Sono stanca! Sono passati tre anni! Tre anni! Il tuo lutto l’hai elaborato tesoro…»
Mi voltai dandole le spalle, no, non potevo sentire altro. Avvertii la mano di Cristina sulla schiena, mi strinse le spalle parlandomi all’orecchio con voce dolce.
«L’hai accettato. Sono passati tre anni, è ora di guardare il futuro, è ora di provarci ancora, Ginevra. Vivi e buttati tesoro, fallo perché solo così potrei essere finalmente, del tutto, libera da te stessa.»
«Mi manca, mi manca sempre.» mormorai con voce incrinata.
«Lo so, tesoro… lo so. Ma sono certa che lui non avrebbe voluto vederti così. Avrebbe voluto vederti vivere.»
«Non so come si fa.», sentivo le gambe molli; chiusi gli occhi.
Lei sospirò. «Oh, Ginevra… nessuno lo sa. Si va avanti e si cerca di fare del proprio meglio per essere felici.»
Sospirai. «Vado a farmi una doccia.»
E mi diressi in bagno, chiudendo a chiave.


L’indomani mi ritrovai di nuovo in bagno, come ogni volta, i capelli erano arruffati, gli occhi leggermente gonfi… e la sua immagine era lì.
«Ciao, Ginevra.»
«Ciao, Claudio.»
«Sei bellissima.»
«Mi manchi.»
«Ti amo.»
«Ti amo, sempre.»
Mi voltai e sparì.


In spiaggia non facevo che guardarmi intorno. Non facevo che cercare con lo sguardo Andrea, sperando che gli occhiali da sole potessero ripararmi dagli sguardi indagatori di Cristina e Valentina.
«Da quando siamo in spiaggia non ti sei ancora stesa. Sei sempre seduta e non fai che guardarti intorno. Qualcosa mi dice che cerchi il tuo principe azzurro.»
«Non cerco nessuno, idiota. Guardo solo la baia. Mi godo il paesaggio.» sospirai passandomi una mano fra i capelli rossi.
«Certo, il paesaggio.» sospirò Valentina. «Uh, eccolo!» esclamò mettendosi a sedere, di scatto di voltai per individuarlo.
«Ah, ci sei cascata! Visto?»
«Ah-ah. Vado in acqua. Vi odio.»
«Ti vogliamo bene!» esclamarono in coro mentre correvo verso la battigia.
«E il tuo costume è orrendo!» gridò Cristina.
Mi voltai e le feci la linguaccia.
Entrai lentamente in acqua che, fredda, mi fece venire la pelle d’oca. Mi godei la sensazione della sabbia sotto i piedi, morbida e sottile, il sole bruciarmi quasi la pelle chiara, i capelli bagnarsi e fluttuare. Nuotai per diversi metri lungo la costa. Nuotai sott’acqua ad occhi aperti per evitare eventuali persone, ma quando intravidi una sagoma dinanzi a me, nuotare verso me, mi spaventai e istintivamente cacciai un urlo, senza contare che ero in acqua, così bevvi una sorsata d’acqua e cercai di annaspare in superficie. Avrei voluto tanto darmi una spinta con i piedi, ma non toccavo. Sentii una mano afferrarmi per il braccio e portarmi a galla. Una volta fuori dall’acqua tossii tanto che la gola cominciò a bruciarmi, seccata inoltre dalla forte acqua salata dell’oceano.
«Ehi, ehi. Piano. Respira. Ti reggo io.» ridacchiò una voce.
Immediatamente la riconobbi e mi voltai a guardare l’individuo in volto. «Andrea.» gracchiai.
«Già.» sorrise. «Andrea. Ma se vuoi chiamarmi Salvatore, fallo pure.»
«Non c’è nulla di divertente in tutto questo. Sarei potuta affogare, sai? Ed è colpa tua.»
«Beh, non è di certo colpa mia se sei una pessima nuotatrice.»
La mia gamba sfiorò la sua e il mio cuore accelerò i batti.
Tossi ancora. Lui si portò una mia mano sulla spalla, in modo tale che potessi prendere fiato a modo.
«Ehi, ma tu tocchi il fondale.»
Rise. «Sono alto un metro e novanta. Tu sei uno scricciolo. Sembri Nemo.»
«Nemo?»
«Sì, Nemo di Alla Ricerca di Nemo. E’ il film d’animazione preferito di mia nipote.»
«Non è vero.»
«Quando sei alta? Un metro e sessanta?»
«Quattro. Un metro e sessanta quattro. Quattro centimetri fanno la differenza, sai?» sorrisi, e solo allora mi resi conto di quanto il suo viso fosse vicino al mio.
«Probabile.»
I suoi occhi illuminati dal sole erano nocciola, tanto liquidi da apparire mille volte più seducenti e, nonostante il sole le sue pupille non erano in condizione di miosi, erano normali.
Quando un individuo si trova in uno stato di eccitazione le pupille possono dilatarsi anche quattro volte più del normale.
Sorrisi inebetita guardando i suoi occhi.
«Tutto okay?» chiese lui arricciando le labbra in un sorriso, come a reprimerlo.
Annuii, «Sì, tutto okay. Siamo destinati a incontrarci per caso.»
Scosse il capo. «Ti ho trovata, Ginevra.»
La sua voce era grave, le spalle leggermente sollevate, lo sguardo fisso nel mio.
Sì, lui mi aveva trovata.


«Magari di troverà anche questa sera.» disse Cristina portandosi una caramella in bocca.
«Sì, ti troverà ancora… e tu farai ciò che fanno le venticinquenni in vacanza.»
Sospirai. Eravamo lungo il mare, camminavano fra il mercatino di conchiglie, mangiando gelatine alla frutta da un sacchetto di carta bianca.
«Oh, smettetela.» sbuffai, masticando.
«Non sai divertirti.» disse Valentina, prima di allontanarsi per guardare borse in paglia intrecciata.
«So divertirmi invece!» esclamai mentre Cristina la raggiungeva, invece io rimasi a guardare i bracciali di coralli e conchiglie.
Un braccialetto di cuoio intrecciato attirò la mia attenzione, lo presi e me lo portai sul polso nudo.
Qualcuno schioccò la lingua. Mi voltai e alla mia destra, lui, sorrise.
Il mio cuore sobbalzò.
«Non ti piace?» chiesi corrugando la fronte.
Fece una smorfia di disapprovazione. «Prova questo.» mormorò afferrando un braccialetto in corallo e legandomelo al polso.
«E’ bellissimo.» soffiai girando il polso. Alzai gli occhi sul suo viso.
Le labbra piene di distesero in un sorriso. «Lo so.»
Mi morsi l’interno della guancia. «Uhm.»
«Sì, lo prendo.» sorrisi guardando il braccialetto, poi ancora lui. Feci per prendere il portafoglio dalla borsa in pelle, ma Andrea mi batté sul, tempo.
«Cosa fai?» chiesi corrugando la fronte e stringendogli il braccio. Un movimento naturale, inconscio e quando me ne resi conto ritrassi subito la mano.
«Un regalo, semplice.»
Feci un risolino. «Grazie.»
«Prego.»
Per alcuni istanti rimanemmo a guardaci negli occhi, annuendo piano col capo.
«Voglio farti vedere una cosa.»
«Posso fidarmi?» lo stuzzicai.
«Sì. Al massimo cercherò di tagliarti la gola.» disse cercando di reprimere un sorriso.
«Non se lo faccio prima io.»
Rise. «Bella risposta.»
Mi voltai verso Cristina e Valentina che intanto sollevano i pollici verso l’altro e saltellando mi indicavano di andare con lui. Andrea si voltò, seguendo il mio sguardo. Nell’esatto momento in cui i loro sguardi si incontrarono le due si bloccarono, si grattarono la nuca e fecero finta di osservare le borse.
«Le conosci?» chiese lui divertito.
«Uhm… non ho idea di che siano quelle due pazze.»
Rise ancora prima di stringermi la mano e trascinandomi altrove.


«Allora, Ginevra, da quanto sei qui?» mi chiese Andrea bevendo un sorso di birra.
«Solo un paio di giorni. Tu?»
«Quattro giorni. Sono qui con mio fratello. Ha appena divorziato, gli serviva una distrazione.»
«Mi dispiace.»
Corrugò la fronte. «Perché?»
«Beh, non deve essere facile divorziare da qualcuno… credo.»
Sorrise. «Sì, non è lo è.»
«Sembra che tu ne sappia qualcosa.» dissi bevendo anche io un sorso di birra.
«Come fai a dirlo?»
Stavamo camminando su un molo lungo la spiaggia, ad un tratto scese un paio saltò su una duna, scendendo un spiaggia. Mi porse una mano per aiutarmi. La mia pelle parve prendere fuoco. Lo seguii senza chiedere dove stessimo andando. Anche perché, come mi aveva già riferito, non mi avrebbe detto la destinazione.
«Fanatica di comunicazione non verbale. La studio da un po’. Ho una specie di talento innato. E mi sembra che tu stia dicendo la verità.»
«Perciò… pensi che sia un uomo sincero?»
Annuii, sorridendo flebilmente.
«A sedici anni ho avuto una ragazza. Mi ha lasciato a ventisei anni. E’ stata dura. Non è la stessa cosa, ma… quando qualcuno che ami ti lascia, ti abbandona senza una parola, sparendo nel nulla… beh, non è di certo facile. Non credi?»
«Già, non lo è.» mormorai guardando il mare. Per un istante i miei pensieri si posarono su Claudio.
«Sembra che tu ne sappia qualcosa.»
Deglutii. «No, non lo so.» mi limitai a mormorare, ma la mia voce non era affatto convincente.


Nelle due ore successive non facemmo che parlare, come era avvenuto quella stessa mattina, seduti sulla sabbia, i piedi nudi immersi in essa, fresca e morbida. La luna gettava luce argentea sul mare e quasi sembrava che giocasse con le increspature dell’acqua. Eravamo in un una piccolissima baia a quindici minuti dal villaggio, raggiungibile solo scendendo lungo il molo. Dietro di noi scogliera e alberi, il rumore del mare che si infrangeva dolcemente contro la roccia resa nera dalla notte.
«E’ bellissimo qui.»
«Già. L’ho scoperto la prima sera, quando sono arrivato. Camminavo solo lungo il molo e all’improvviso mi era venuta una gran voglia di camminare sulla spiaggia.»
«Solo?»
«Sì. Mi aiuta a pensare… e mi rilassa.»
«Perché mi hai portata qui?» chiesi voltandomi a guardarlo e carezzandomi lentamente le gambe nude accarezzate dalla brezza marina.
Non rispose subito. Ci pensò un attimo, guardando l’oceano, poi si voltò a guardarmi e il suo viso illuminato dalla luce argentea della luna mi mozzò il fiato. «Perché mi fa pensare a te.»
«Cosa intendi?» soffiai e solo allora mi resi conto quanto il suo viso fosse vicino al mio. La sua spalla sfiorava la mia.
«Sei bellissima.» quelle parole ebbero la forza di una tempesta. Mi scossero come un uragano fa con le abitazioni, mi travolsero come una slavina fa con uno sciatore.
«Io…»
Le sue dita mi sfiorarono il viso, lentamente, chiusi gli occhi.
Va’ vai, Claudio… lasciami libera… io ci sto provando davvero…
«Prima mi ha detto se sapevo cosa si prova ad essere abbandonati.» mormorai, ma lui non riespose, la sua mano smise di sfiorarmi. Aprii gli occhi. «E’ morto tre anni fa. E’ stato il mio unico ragazzo, l’unica persona che ho amato in tutta la mia giovane vita. E’ sempre stato l’unico. Prima e dopo di lui nessuno più mi ha sfiorata. Scapperai a gambe levate, adesso.» continuai.
Il suo sguardo rimase fisso sul mio.
«No, non voglio farlo.» sussurrò serio. «Non posso.»
«Perché?»
«Sei come la forza di gravità.»
Non dissi nulla, mi limitai a chiudere gli occhi e godermi la sensazione delle sue dita sul mio viso, del suo naso contro il mio collo. Mi venne la pelle d’ora e tremai appena.
«Vorrei baciarti.» mormorò a poca distanza dal mio viso.
«Potrei non ricordare come si fa.»
Nel suo petto tuonò una risata… e le sue labbra furono sulle mie. Fu un tocco tanto leggero che, ora, mi fa pensare ad un petalo di rosa adagiato sull’acqua. Le sue labbra si mossero piano sulle mie, plasmandosi ad esse, mentre le nostre mani prendevano confidenza con il viso dell’altro. Sentii le sue dita infiltrarsi fra i miei capelli, carezzarli, stringerli appena e tirarmi il capo all’indietro per  baciarmi dolcemente l’incavo del collo, mentre il mio respiro diventava sempre più corto. Istintivamente portai anch’io le mani fra i suoi capelli, morbidi ed incredibilmente setosi, mentre le sue labbra scesero a baciarmi fino all’incavo sei seni, prima di ritornare sulle mie labbra.
«E’ così tanto che non sono che un uomo che… oddio, mi sento così impacciata….» risi istericamente.
«Ssst… questo non è possibile, Ginevra…» mormorò ingabbiandomi il viso fra le grandi mani e guardandomi negli occhi. «Questo non è possibile.» ripeté baciandomi ripetutamente le labbra.
Mi baciò con passione facendomi adagiare sulla sabbia, mentre le sue mani mi carezzavano gambe legate ai suoi fianchi. Mi lasciai andare ai sensi, quasi potessi sciogliermi e legarmi indissolubilmente alla sabbia sottostante.
Mi carezzò il viso, i capelli. Mi guardò negli occhi, mentre il marrone delle sue iridi si mescolò al grigio delle mie. E fu lì che capii che non servivano parole… che non sarebbero mai servite.


Mi chiamo Ginevra De Santis, ho trentacinque anni e un figlio di cinque anni che dorme nella stanza accanto.
Mi guardo allo specchio, come ogni mattina per lavarmi i denti ed il viso.
Attendo che quell’immagini arrivi, quell’immagine tanto familiare da mozzarmi ancora il fiato e farmi dolere di cuore dall’emozione.
E poi eccola. I suoi occhi mi guardano, mi scrutano e mi sorridono. Mi dicono ancora quanto immensamente mi amino.
Sorrido. Mi volto e la cosa bella… è che quell’immagine è ancora lì.
«Ciao, Andrea.»
«Ciao, mia regina.»
Sorrido… perché, sì, amare ancora è possibile.

 

*
Salve, gente, eccomi qui con una one-shot. L’idea è stata improvvisa e quasi inaspettata. Mi è balenata in testa e ho sentito il bisogno di scriverci qualcosa.
Spero sia stata di vostro gradimento. :)

A presto, Panda

   
 
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