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Autore: Mia Swatt    20/08/2011    9 recensioni
Questa piccola FanFiction è divisa in due soli capitoli. Essa narra di due persone lontane, eppure accomunate da un destino infausto. Isabella Swan, ha ventuno anni e vive Los Angeles. Lavora e studia per diventare giornalista. Edward Cullen, ventiquattro anni vive a New York. Si sta specializzando per diventare pediatra. Due persone completamente diverse cos'hanno in comune? Una FlashFic ispirata alla canzone di Battisiti e/o Mina: E penso a te.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Buon Sabato pomeriggio a tutti! Come state? Il fandom mi mancava, così nell'attesa di pubblicare la mia nuova storia su Twilight - visto che ora sto portando avanti la mia Originale/Fantasy - eccomi qui con questa FlashFic. Agli inizi era stata pensata per essere una One-Shot, ma poi ho cominciato a scrivere e mi è venuta lunghissima. Ho deciso, quindi, di suddividerla in DUE PUBBLICAZIONI. La prima sarà dal punto di vista di Isabella, la seconda da quello di Edward. Non è la classica storiella con vampiri o creaute sovrannaturali, non si svolge a Forks e nonavrà un lieto fine. Dipende tutto dai punti di vista, insomma. Detto questo, voglio solo ricordarvi una piccola cosa che mi riguarda - o per meglio dire, riguarda le mie store: mai nulla è come sembra!
Ora bando alle ciance! Vi lascio alla prima parte di questa mini - davvero mooolto mini - storia.
BUONA LETTURA!




Canzone che ha ispirato questa FlashFic: E penso a te - Mina Version.

E PENSO A TE

Io lavoro, e penso a te.
Torno a casa, e penso a te.
Gli telefono e intanto penso a te.
Come stai? E penso a te.
Dove andiamo? E penso a te.
Gli sorrido, abbasso gli occhi e penso a te.

Isabella

27 Giugno 2011, Los Angeles.

Mi alzai, svegliata dall’assordante sveglia. Erano le otto in punto, la libreria – come ogni mattina – apriva le sue porte alle nove e mezza. Mi diressi in bagno, controvoglia. Alzarmi presto era sempre stata la mia croce, ma si sa: nella vita devi affrontare i compromessi. Il mondo non aspetta te, mai.
La doccia fresca ravvivò la mia pelle, svegliandomi – finalmente. Afferrai i vestiti, nulla di eccessivo: jeans scuri stretti, una camicetta a maniche corte a scacchi lilla e bianca, un paio di ballerine basse bianche. Feci una rapida colazione e afferrai le chiavi della macchina.
Il mio appartamento si trovava in periferia, mentre il negozio, dove lavoravo, era in pieno centro città. Solitamente – traffico permettendo – ci mettevo sempre una buona mezzora. Accesi il motore, facendo in modo di riscaldare un po’ l’auto, inserii il Cd della mattina e digitai il PIN sul cellulare. Come di consueto trovai un SMS dei miei genitori. Renèe, mia madre, abitava a Jacksonville – Florida – da quando si era risposata con Phil, ora un affermato e importante giocatore di baseball. Mio padre, Charlie, viveva a Forks. Era una piccola cittadina dello Stato di Washington, coperta da uno strato perenne di nuvole e pioggia. Le temperature annuali erano sempre piuttosto basse, ma tutto sommato non era affatto male. Ci ho vissuto per tutti gli anni del liceo, per lasciare a mia madre e Phil un po’ di privacy. Inoltre, era arrivato il momento di passare un po’ di tempo con mio padre.
Mi ero trasferita a Los Angeles da qualche anno. Proprio qui frequentavo il college per diventare giornalista. Per pagare le spese dell’affitto e della retta – non volevo pesare ai miei genitori – avevo trovato questo lavoretto part-time e la cosa non mi dispiaceva per niente.
Lavoravo alla libreria “Rose of Angels” da circa due anni. Ricordo ancora quando trovai il volantino giallo appeso alla bacheca degli annunci del Campus. Era stato un colpo di fortuna.
Nonostante non fossi più una novellina della grande city, vedere tutti quei grattaceli, quelle strade affollate, la metropolita e tutte le splendide altre cose, per me, Los Angeles, era ancora tutta da scoprire.
Arrivata davanti al negozio notai Julian – il mio migliore amico, qui, ma anche proprietario del “Rose of Angels” – inserire le chiavi e aprire la porticina del negozio. Suonai il clacson, facendolo spaventare, e parcheggiai proprio davanti al locale.
― Puntuale come sempre, Bella ― disse Julian, sorridendomi.
― Ovvio, capo ― risposi, prendendolo un po’ in giro. Spensi il motore dell’auto e lo raggiunsi.
Julian Butler, venticinque anni, è sempre stato un ragazzo molto attraente. Alto, più o meno, un metro e ottanta. Capelli castano scuro, occhi azzurri, pelle naturalmente abbronzata. Si è trasferito dal New Mexico – insieme alla sua famiglia – dieci anni fa. Concluse qui gli studi e si iscrisse al college. Il padre, sapendo la sua grande passione per la lettura, per ricompensarlo della sua mente geniale e del suo comportamento da studente e figlio impeccabile, gli aprì questa splendida libreria, la quale divenne – nel giro di pochi mesi – la più famosa e frequentata della città.
― Come sta Jacob?
― Bene, è andato a trovare suo padre a Forks. ― risposi ― Dovrebbe rientrare domani in giornata.
― Oh, quindi sei stata sola tutto il week end? ― domandò, con un sopracciglio alzato. Annuii, sapendo già cosa avrebbe detto di lì a poco, così lo anticipai.
― Lo so, avrei potuto chiamarti. Oppure chiamare Claire. Ammetto di non averci pensato. ― dissi, appoggiando la borsa nel retro. Claire era la fidanzata – nonché futura moglie – di Julian. Era molto carina: capelli castano chiaro, occhi castano/verdi e un carattere stupendo. Insieme erano una coppia splendida.
― Esatto! ― disse lui, aprendo la cassa – Ma come al solito parlare con te o col muro è uguale, Bella. ― sorrisi sfacciata e andai a catalogare gli ultimi arrivi. Aprii gli scatoloni pieni zeppi di volumi e ne rimasi meravigliata. C’era di tutto! Dai classici, come Orgoglio e Pregiudizio, oppure il mio preferito Cime Tempestose, a saggi più voluminosi. Best seller horror, fantasy… oppure commedie romantiche. Adoravo lavorare per Julian. Come lui, anche io amavo quel mondo fatto di carta.
Pulimmo e sistemammo tutto nel giro di un’ora, giusto in tempo per servire la prima cliente della mattinata.

La giornata passò in fretta, come sempre. Per quel Lunedì – non avendo lezione al college – feci tutto il giorno, mentre Julian andò a sostenere uno degli ultimi esami che lo dividevano dalla laurea. Mangiammo un panino farcito, al volo, a mezzogiorno e poi ognuno di noi tornò alle proprie mansioni. Non potevo, però, lamentarmi di aver passato una giornata stancante o noiosa, in quanto in torno alle quattro del pomeriggio venne a farmi compagnia Claire.
Mi trovavo a casa, adesso. Più precisamente nella vasca da bagno. Il mio appartamento non era piccolo, ma neppure tanto grande. Un monolocale in periferia, composto da sala da pranzo, cucina, stanza da letto e bagno. Quest’ultimo era dotato di una vasca da bagno gigantesca. Il mio sogno. A Forks, Charlie, aveva solo una piccola doccia da condividere.
Immersa in quel gradevole tepore i ricordi della mia infanzia tornarono alla mia mente. Prepotenti. I giorni di scuola, le mie pazze amiche – che purtroppo non sentivo né vedevo più – le discussioni con mio padre, i brutti voti e quelli belli… e quegli occhi. I suoi smeraldi, che mi hanno riscaldato il cuore per anni in quella fredda città, la quale oramai, era solo un dolce ma lontano ricordo.
Avevo ventuno anni adesso. Non ero più una ragazzina. Ero al terzo anno di college, a un passo per diventare quello che sono sempre voluta divenire: una giornalista di successo. Un sorriso amaro si formò sulle mie labbra. Alla fin fine non ti penti di nulla, pensai. Ed è la verità. Di ciò che ho fatto nella mia vita non mi sono mai pentita. Non ho rimpianti per ciò che ho fatto, per ciò che ho scelto. Forse uno solo… ma ormai è troppo tardi per tornare indietro.
Lo squillo del telefono mi fece sobbalzare. Presi l’asciugamani e me lo avvolsi attorno al corpo, correndo a prendere il piccolo cordless nero.
― Pronto?
― Bella, tesoro! ― sorrido, riconoscendo la voce del mio ragazzo dall’altro lato del telefono.
― Ciao Jake.
― Com’è andata la giornata? ― chiede, evidentemente interessato e preoccupato ― E il fine settimana? Lo hai passato bene?
― Sì, Jake. ― risposi, facendo un sorriso tirato ― Com’è andata a Forks? Tuo padre come sta? Hai visto anche Charlie, per caso?
― Ovvio! ― rispose, sghignazzando ― Charlie mi ha chiesto di te per tutto il tempo, mi ha perfino dato delle cose per la sua bambina.
Scoppiai a ridere a quelle parole. Mio padre non cambia mai, pensai.
Mentre Jacob mi spiegava di aver rivisto tutti i suoi amici di La Push, non riuscii a trattenermi dallo sprofondare nei miei ricordi.
Stavo con Jacob Black – una volta mio migliore amico – da quasi un anno, ormai. Jake, era più piccolo di me di un anno, anche se la differenza di età non si è mai né sentita né vista. Era indubbiamente più alto di me, più muscoloso, più prestante e innegabilmente più maturo. Questo poteva dipendere moltissimo dal fatto che perse la mamma quando era solo un bambino. Si trasferì a Los Angeles, per caso – o almeno, questo è ciò che ha sempre detto – quasi due anni fa. Aveva cominciato a frequentare l’università a Forks, ma a detta sua, gli insegnanti e le lezioni erano insoddisfacenti. Fu così che ci mettemmo insieme, circa un anno dopo il suo trasferimento qui.
― Bella? ― sentii la voce di Jacob e trasalii ― Ci sei ancora?
― Sì, sì. ― risposi in fretta, anche se non avevo udito neanche una parola ― Sono qui. Ti stavo ascoltando!
― Sei stanca? ― domandò dolcemente, fino a farmi sciogliere il cuore. Era sempre così buono e comprensivo con me.
― Sì, credo sia un po’ di stanchezza.
― Allora vai a dormire, amore mio. ― disse e riuscii quasi a percepire una sua debole e dolce carezza ― Io arriverò domani in serata.
― D’accordo. Allora buona notte, Jake.
― Buona notte, amore mio. A domani! Ti amo.
― Ti amo anche io, Jake. ― risposi, riattaccando. Ed era vero. Amavo Jacob Black. Forse, però, non di quell’amore viscerale che ti consuma dentro. Era amore, quello sì, lo sapevo. Lo sentivo. Ma non sarei riuscita più ad amare in quel modo… nel modo di molti anni fa. L’amore che provavo per Jacob non era neanche lontanamente paragonabile a quello che provai – e forse, provavo ancora – per lui.
Erano passati anni, più o meno due – più o meno, un anno dopo il mio trasferimento a Los Angeles – da quel giorno.
Mi trovavo in centro, era Natale e fioccava. La neve, a differenza di Forks, era soffice e meno gelida. Ero a Hollenbeck Park, seduta su una panchina davanti al ruscello che passava in mezzo al parco. Avevo con me il mio bicchiere di frappuccino e il mio libro preferito. Attendevo. Aspettavo che lui arrivasse. Per ore attesi, sotto il freddo e sotto la neve. Ma lui non venne mai. L’ennesima promessa non mantenuta. A tarda ora, col cuore gonfio di dispiacere e un magone a gravarmi sul petto, tornai a casa. Non lo sentivo da parecchie settimane. Il problema non era che non mi amasse o mi amasse troppo poco – o almeno, così credevo – avevo totale fiducia in lui. Il guaio erano gli orari, gli impegni. Tante piccole cose che, a lungo andare, possono rovinare una relazione anche troppo stabile. Lui si trovava a New York. Era partito poco dopo di me. Aveva ventuno anni all’epoca, e i tre anni di college a Forks erano finiti. Avrebbe dovuto specializzarsi, così – sotto consiglio di suo padre – decise di concludere gli anni di studio a New York City. Comunemente conosciuta come la Grande Mela. Ne ha compiuti poco tempo fa ventiquattro, pensai. Sospirai pesantemente e la rabbia si rimpossessò di me. Come aveva fatto a dimenticarmi così in fretta? Come aveva fatto a lasciarmi con un messaggio e poi, senza neppure avvisarmi, cambiarmi numero? Come aveva potuto distruggermi in quel modo?
Ero andata a New York, qualche mese più tardi. Non rispondeva alle mie chiamate, né ai messaggi. Presi, così, la decisione di andare a trovarlo. Comprai il biglietto aereo con gli ultimi risparmi che avevo e volai dritta a New York. Conoscevo il suo indirizzo, me lo aveva dato appena riuscì a stabilirsi. Ma non avevo avuto ancora modo di andarci. Solitamente veniva lui da me, per evitare che il viaggio mi pesasse. Arrivata in aeroporto chiamai un taxi e mi diressi alla Fifth Avenue di Manhattan. Da quello che ne sapevo, era il borgo più ricco e di cultura di New York.
Quando arrivai dinanzi all’enorme casa bianca il cuore cominciò a battermi furioso nel petto, ma quella sensazione durò poco. Pagai il taxista e quando mi voltai, pronta a scendere le mie gambe si immobilizzarono. Davanti a me, bello come sempre, c’era il mio fidanzato che abbracciava una ragazza. I capelli di lei erano biondo/rossicci. Era alta, sicuramente più di me, corpo snello e perfetto.
― Grazie per questa notte. Ne avevo davvero bisogno. ― disse, baciandogli la guancia.
― Quando vuoi, Tanya. ― rispose lui, sfacciato ― Per te ci sono sempre.
Non volli sentire altro. Chiesi al taxista di riportarmi subito all’aeroporto e così fece. Lui non mi vide, ma io capii tante cose. Il motivo per cui non venne quel giorno da me, perché aveva cambiato numero e non volle rispondere più alle mie chiamate. Era un maschio e come tale non potevo aspettarmi troppo. Avevo creduto nel suo amore, però. Nella nostra storia, nel nostro futuro insieme. Tutte bugie, mi dissi. Erano state solo bugie.
Quella fu l’ultima volta che lo vidi. L’ultima volta che osservai i suoi capelli bronzei, scompigliati dal vento. L’ultima volta che vidi il suo sorriso o i suoi incredibili occhi verdi. L’ultima volta che il mio cuore batté all’impazzata per un amore vero. Ceco, dilaniante. Eterno.

― Bella! ― urlò Jake, abbracciandomi e facendomi volteggiare tra le sue braccia, in mezzo all’aeroporto di Los Angeles.
― Ehi! ― urlai, ridendo ― Ma cosa fai! Sei pazzo!
― Sì, solamente di te. ― disse e mi baciò. Il contatto fu lento, dolce e anche passionale. Jacob era caldo, in qualsiasi cosa facesse. Ci metteva il cuore.
― Mi sei mancata.
― Anche tu, moltissimo.
Afferrò il suo bagaglio e prese la mia mano, dirigendoci verso la mia macchina. Salimmo, notando che il suo sguardo non si era staccato un attimo da me.
― Come stai? ― domandò, dopo che mi ero messa sulla carreggiata. Direzione: il nostro appartamento. O così credeva lui.

Come una persona orribile, che invece di pensare al suo ragazzo ha passato quasi tutto il fine settimana a pensare ad un altro uomo. Qualcuno che ora non c’è, che mai più ci sarà. Qualcuno che dovrebbe restare nel passato, pensai. Ma risposi diversamente.
― Bene, grazie. E tu?
― Ora che sono qui, con te, molto meglio! ― arrossii, non mi ero mai abituata alla sua dolcezza disarmante.
― Dove stiamo andando? ― chiese, notando che non era la strada di casa. In effetti, era una sorpresa per lui. Qualche tempo prima che partisse per Forks aveva tentato di insegnarmi ad andare in moto ma, purtroppo, quello non era di certo il mio talento. Andai a sbattere. Fortunatamente non mi feci nulla, ma la moto si danneggiò parecchio. Jacob non la portò mai ad aggiustare, ritenendola troppo pericolosa per me. Sapevo, però, quanto ci teneva.
― È una sorpresa. ― risposi, guardandolo con la coda dell’occhio. Sembrava un bambino in quel momento. I capelli neri, corti. Gli occhi castani, così profondi… la pelle scura, i muscoli in bella mostra. Era così diverso da…
― Bella, attenta! ― urlò Jake, notando che stavo finendo fuori strada.
― Scusami! ― dissi ― Mi sono distratta!
― A guardare me. ― disse, sghignazzando ― So di essere bellissimo, ma tieni gli occhi sulla strada.
Sorrisi, scacciando il pensiero che mi martellava in testa: non stavo solo guardando. Io stavo paragonando.
― Dimenticherai mai quella mia frase? ― domandai, cercando di restare lucida.
― No, mi dispiace. ― rispose, scoppiando a ridere ― Quella volta sei stata buffissima! ― sbuffai, facendomi travolgere dalla sua ilarità. Nonostante tutto.
― Siamo arrivati. ― gli riferii, parcheggiando accanto all’officina “Da James”. Ne uscì subito un uomo sulla trentina, alto. Capelli biondi e occhi chiari. Completamente ricoperto di tatuaggi.
― Ehi, Isabella. Ciao!
― Ciao James. È pronta quella cosa che ti ho chiesto?
― Certamente. Venite. ― disse e lo seguimmo.
― Cosa ci facciamo qui? ― sussurrò Jacob, al mio orecchio. Gli chiesi di fare silenzio, mimando un “adesso lo scopri, non essere impaziente”.
― Eccola qui. ― parlò James, dinanzi una moto nera tirata a lucido.
― Oh mio Dio! ― urlò Jacob, in preda all’eccitazione ― Non ci credo. L’hai fatta sistemare per me? ― mi domandò ed io annuii. Mi avvolse in un abbraccio, posandomi sulle labbra un bacio per niente casto.
― Dio quanto ti amo, Isabella Swan!
Gli sorrisi, abbassando lo sguardo, mentre lo vidi avvicinarsi al mezzo e scambiare due parole con James.
Cosa ne sarebbe stata della mia vita se non avessi avuto Jacob? Ringrazio ancora Dio che lo ha mandato da me. Lui c’è sempre stato. Anche quel giorno a Hollenbeck Park. Ero sola, quasi in lacrime. Ma lui c’era. Mi porse una mano, invitandomi a seguirlo dentro un bar per riscaldarmi, ma rifiutai. Si sedette così accanto a me, per un po’. Poi mi diede un bacio sulla guancia e andò via.
Come sarebbe stata, invece, la mia vita se lui non mi avesse tradita? Forse saremmo insieme, adesso. Ero sempre stata convinta che il nostro amore fosse stato scritto nelle stelle, nel destino. Ero ingenua, è vero. Ma ci credevo. Credevo in lui, in noi. Nel nostro amore, che superò – almeno ai tempi del liceo – ogni cosa. Poco importava se io fossi più piccola. Poco importava che io fossi la migliore amica di sua sorella. Poco importava che lui fosse più ricco di me, più bello o intelligente. L’unica cosa che ci importava era il nostro amore che, purtroppo, poi si è sciolto come neve al sole. Sono passati anni eppure ti penso ancora, Edward. Ma la vita va avanti. Essa va sempre avanti.

Eccomi qui, lo so abbassate i forconi per favore! Chi mi conosce sa che una cosa del genere - cioè Bella e Jacob - da me non lo aspetta. Eppure... Questa piccola storia mi è venuta in mente ieri mattina. Quindi abbiate pietà, sarà il caldo! Cosa ne pensate? Isabella è una persona autonoma, indipendente rispetto a quella della Meyer. Studia, lavora, vive per conto suo lontana da casa. Lontana da Forks. Aveva un amore - che lei considerava vero - ma le viene sgretolato sotto gli occhi. Sono cose orribili, eppure accadono. Edward non va da lei Hollenbeck Park, così lei lo raggiunge a New York e cosa vede? Il suo ragazzo che saluta una ragazza, che lo ringrazia per la nottata passata insieme. Forse molte di voi, di noi, sarebbero scese e lo avrebbero preso a schiaffi, ma mettiamoci anche nei panni di Isabella o delle persone come Isabella. Non sai cosa succede col tuo fidanzato, le cose vanno male, lui non si presenta ad un appuntamento, vai a cercarlo e lo trovi con un'altra! Vale la pena parlare? Forse sì, ma non tutti hanno il coraggio di sprecare parole quando la verità è lì, davanti ai tuoi occhi.
La seconda parte di questa FlashFic verrà pubblicata Mercoledì 24 Agosto, per dare il tempo a chi vuole recensire di farlo e per chi vuole leggerla con calma. Mio Dio quanto ho scritto! Tolgo il disturbo, dai!

A Mercoledì! Un abbraccio a tutti :)

  
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