Ora bando alle ciance! Vi lascio alla prima parte di questa mini - davvero mooolto mini - storia.
BUONA LETTURA!
Canzone che ha ispirato questa FlashFic: E penso a te - Mina Version.
E
PENSO A TE
Io
lavoro, e penso a te.
Torno a casa, e penso a te.
Gli telefono e intanto penso a te.
Come stai? E penso a te.
Dove andiamo? E penso a te.
Gli sorrido, abbasso gli occhi e penso a te.
Isabella
Mi
alzai, svegliata dall’assordante sveglia. Erano le otto in
punto, la libreria –
come ogni mattina – apriva le sue porte alle nove e mezza. Mi
diressi in bagno,
controvoglia. Alzarmi presto era sempre stata la mia croce, ma si sa:
nella
vita devi affrontare i compromessi. Il mondo non aspetta te, mai.
La
doccia fresca ravvivò la mia pelle, svegliandomi –
finalmente. Afferrai i
vestiti, nulla di eccessivo: jeans scuri stretti, una camicetta a
maniche corte
a scacchi lilla e bianca, un paio di ballerine basse bianche. Feci una
rapida
colazione e afferrai le chiavi della macchina.
Il
mio appartamento si trovava in periferia, mentre il negozio, dove
lavoravo, era
in pieno centro città. Solitamente – traffico
permettendo – ci mettevo sempre
una buona mezzora. Accesi il motore, facendo in modo di riscaldare un
po’
l’auto, inserii il Cd della mattina e digitai il PIN sul
cellulare. Come di
consueto trovai un SMS dei miei genitori. Renèe, mia madre,
abitava a
Jacksonville – Florida – da quando si era risposata
con Phil, ora un affermato
e importante giocatore di baseball. Mio padre, Charlie, viveva a Forks.
Era una
piccola cittadina dello Stato di Washington, coperta da uno strato
perenne di
nuvole e pioggia. Le temperature annuali erano sempre piuttosto basse,
ma tutto
sommato non era affatto male. Ci ho vissuto per tutti gli anni del
liceo, per
lasciare a mia madre e Phil un po’ di privacy. Inoltre, era
arrivato il momento
di passare un po’ di tempo con mio padre.
Mi
ero trasferita a Los Angeles da qualche anno. Proprio qui frequentavo
il
college per diventare giornalista. Per pagare le spese
dell’affitto e della
retta – non volevo pesare ai miei genitori – avevo
trovato questo lavoretto
part-time e la cosa non mi dispiaceva per niente.
Lavoravo
alla libreria “Rose of Angels” da circa due anni.
Ricordo ancora quando trovai
il volantino giallo appeso alla bacheca degli annunci del Campus. Era
stato un
colpo di fortuna.
Nonostante
non fossi più una novellina della grande city, vedere tutti
quei grattaceli,
quelle strade affollate, la metropolita e tutte le splendide altre
cose, per
me, Los Angeles, era ancora tutta da scoprire.
Arrivata
davanti al negozio notai Julian – il mio migliore amico, qui,
ma anche
proprietario del “Rose of Angels” –
inserire le chiavi e aprire la porticina
del negozio. Suonai il clacson, facendolo spaventare, e parcheggiai
proprio
davanti al locale.
―
Puntuale come sempre, Bella ― disse Julian, sorridendomi.
― Ovvio, capo ― risposi, prendendolo un po’ in giro. Spensi
il motore dell’auto
e lo raggiunsi.
Julian
Butler, venticinque anni, è sempre stato un ragazzo molto
attraente. Alto, più
o meno, un metro e ottanta. Capelli castano scuro, occhi azzurri, pelle
naturalmente abbronzata. Si è trasferito dal New Mexico
– insieme alla sua
famiglia – dieci anni fa. Concluse qui gli studi e si
iscrisse al college. Il
padre, sapendo la sua grande passione per la lettura, per ricompensarlo
della
sua mente geniale e del suo comportamento da studente e figlio
impeccabile, gli
aprì questa splendida libreria, la quale divenne –
nel giro di pochi mesi – la
più famosa e frequentata della città.
―
Come sta Jacob?
―
Bene, è andato a trovare suo padre a Forks. ― risposi ―
Dovrebbe rientrare
domani in giornata.
―
Oh, quindi sei stata sola tutto il week end? ― domandò, con
un sopracciglio
alzato. Annuii, sapendo già cosa avrebbe detto di
lì a poco, così lo anticipai.
―
Lo so, avrei potuto chiamarti. Oppure chiamare Claire. Ammetto di non
averci
pensato. ― dissi, appoggiando la borsa nel retro. Claire era la
fidanzata –
nonché futura moglie – di Julian. Era molto
carina: capelli castano chiaro,
occhi castano/verdi e un carattere stupendo. Insieme erano una coppia
splendida.
―
Esatto! ― disse lui, aprendo la cassa – Ma come al solito
parlare con te o col
muro è uguale, Bella. ― sorrisi sfacciata e andai a
catalogare gli ultimi
arrivi. Aprii gli scatoloni pieni zeppi di volumi e ne rimasi
meravigliata.
C’era di tutto! Dai classici, come Orgoglio
e Pregiudizio, oppure il mio preferito Cime
Tempestose, a saggi più voluminosi. Best seller
horror, fantasy… oppure
commedie romantiche. Adoravo lavorare per Julian. Come lui, anche io
amavo quel
mondo fatto di carta.
Pulimmo
e sistemammo tutto nel giro di un’ora, giusto in tempo per
servire la prima
cliente della mattinata.
Mi
trovavo a casa, adesso. Più precisamente nella vasca da
bagno. Il mio
appartamento non era piccolo, ma neppure tanto grande. Un monolocale in
periferia, composto da sala da pranzo, cucina, stanza da letto e bagno.
Quest’ultimo era dotato di una vasca da bagno gigantesca. Il
mio sogno. A
Forks, Charlie, aveva solo una piccola doccia da condividere.
Immersa
in quel gradevole tepore i ricordi della mia infanzia tornarono alla
mia mente.
Prepotenti. I giorni di scuola, le mie pazze amiche – che
purtroppo non sentivo
né vedevo più – le discussioni con mio
padre, i brutti voti e quelli belli… e
quegli occhi. I suoi smeraldi, che
mi
hanno riscaldato il cuore per anni in quella fredda città,
la quale oramai, era
solo un dolce ma lontano ricordo.
Avevo
ventuno anni adesso. Non ero più una ragazzina. Ero al terzo
anno di college, a
un passo per diventare quello che sono sempre voluta divenire: una
giornalista
di successo. Un sorriso amaro si formò sulle mie labbra. Alla fin fine non ti penti di nulla,
pensai. Ed è la verità. Di ciò
che ho fatto nella mia vita non mi sono mai pentita. Non ho rimpianti
per ciò
che ho fatto, per ciò che ho scelto. Forse uno
solo… ma ormai è troppo tardi
per tornare indietro.
Lo
squillo del telefono mi fece sobbalzare. Presi l’asciugamani
e me lo avvolsi
attorno al corpo, correndo a prendere il piccolo cordless nero.
―
Pronto?
―
Bella, tesoro! ― sorrido, riconoscendo la voce del mio ragazzo
dall’altro lato
del telefono.
―
Ciao Jake.
―
Com’è andata la giornata? ― chiede, evidentemente
interessato e preoccupato ― E
il fine settimana? Lo hai passato bene?
―
Sì, Jake. ― risposi, facendo un sorriso tirato ―
Com’è andata a Forks? Tuo
padre come sta? Hai visto anche Charlie, per caso?
―
Ovvio! ― rispose, sghignazzando ― Charlie mi ha chiesto di te per tutto
il
tempo, mi ha perfino dato delle cose per la sua bambina.
Scoppiai
a ridere a quelle parole. Mio padre non
cambia mai, pensai.
Mentre
Jacob mi spiegava di aver rivisto tutti i suoi amici di
Stavo
con Jacob Black – una volta mio migliore amico – da
quasi un anno, ormai. Jake,
era più piccolo di me di un anno,
anche
se la differenza di età non si è mai
né sentita né vista. Era indubbiamente
più
alto di me, più muscoloso, più prestante e
innegabilmente più maturo. Questo
poteva dipendere moltissimo dal fatto che perse la mamma quando era
solo un
bambino. Si trasferì a Los Angeles, per caso – o
almeno, questo è ciò che ha
sempre detto – quasi due anni fa. Aveva cominciato a
frequentare l’università a
Forks, ma a detta sua, gli insegnanti e le lezioni erano
insoddisfacenti. Fu
così che ci mettemmo insieme, circa un anno dopo il suo
trasferimento qui.
―
Bella? ― sentii la voce di Jacob e trasalii ― Ci sei ancora?
―
Sì, sì. ― risposi in fretta, anche se non avevo
udito neanche una parola ― Sono
qui. Ti stavo ascoltando!
―
Sei stanca? ― domandò dolcemente, fino a farmi sciogliere il
cuore. Era sempre
così buono e comprensivo con me.
―
Sì, credo sia un po’ di stanchezza.
―
Allora vai a dormire, amore mio. ― disse e riuscii quasi a percepire
una sua
debole e dolce carezza ― Io arriverò domani in serata.
―
D’accordo. Allora buona notte, Jake.
―
Buona notte, amore mio. A domani! Ti amo.
―
Ti amo anche io, Jake. ― risposi, riattaccando. Ed era vero. Amavo
Jacob Black.
Forse, però, non di quell’amore viscerale che ti
consuma dentro. Era amore,
quello sì, lo sapevo. Lo sentivo. Ma non sarei riuscita
più ad amare in quel
modo… nel modo di molti anni fa. L’amore
che provavo per Jacob non era neanche lontanamente paragonabile a
quello che
provai – e forse, provavo ancora – per lui.
Erano
passati anni, più o meno due – più o
meno, un anno dopo il mio trasferimento a
Los Angeles – da quel giorno.
Mi
trovavo in centro, era Natale e fioccava. La neve, a differenza di
Forks, era
soffice e meno gelida. Ero a Hollenbeck Park, seduta su una panchina
davanti al
ruscello che passava in mezzo al parco. Avevo con me il mio bicchiere
di
frappuccino e il mio libro preferito. Attendevo. Aspettavo che lui
arrivasse.
Per ore attesi, sotto il freddo e sotto la neve. Ma lui non venne mai.
L’ennesima promessa non mantenuta. A tarda ora, col cuore
gonfio di dispiacere
e un magone a gravarmi sul petto, tornai a casa. Non lo sentivo da
parecchie
settimane. Il problema non era che non mi amasse o mi amasse troppo
poco – o
almeno, così credevo – avevo totale fiducia in
lui. Il guaio erano gli orari,
gli impegni. Tante piccole cose che, a lungo andare, possono rovinare
una
relazione anche troppo stabile. Lui si trovava a New
York. Era partito poco dopo di me. Aveva ventuno anni
all’epoca, e i tre anni di college a Forks erano finiti.
Avrebbe dovuto
specializzarsi, così – sotto consiglio di suo
padre – decise di concludere gli
anni di studio a New York City. Comunemente conosciuta come
Ero
andata a New York, qualche mese più tardi. Non rispondeva
alle mie chiamate, né
ai messaggi. Presi, così, la decisione di andare a trovarlo.
Comprai il
biglietto aereo con gli ultimi risparmi che avevo e volai dritta a New
York.
Conoscevo il suo indirizzo, me lo aveva dato appena riuscì a
stabilirsi. Ma non
avevo avuto ancora modo di andarci. Solitamente veniva lui da me, per
evitare
che il viaggio mi pesasse. Arrivata in aeroporto chiamai un taxi e mi
diressi
alla Fifth Avenue di Manhattan. Da
quello che ne sapevo, era il borgo più ricco e di cultura di
New York.
Quando
arrivai dinanzi all’enorme casa bianca il cuore
cominciò a battermi furioso nel
petto, ma quella sensazione durò poco. Pagai il taxista e
quando mi voltai,
pronta a scendere le mie gambe si immobilizzarono. Davanti a me, bello
come
sempre, c’era il mio
fidanzato che
abbracciava una ragazza. I capelli di lei erano biondo/rossicci. Era
alta,
sicuramente più di me, corpo snello e perfetto.
―
Grazie per questa notte. Ne avevo davvero bisogno. ― disse, baciandogli
la
guancia.
―
Quando vuoi, Tanya. ― rispose lui, sfacciato ― Per te ci sono sempre.
Non
volli sentire altro. Chiesi al taxista di riportarmi subito
all’aeroporto e
così fece. Lui non mi vide, ma io capii tante cose. Il
motivo per cui non venne
quel giorno da me, perché aveva cambiato numero e non volle
rispondere più alle
mie chiamate. Era un maschio e come tale non potevo aspettarmi troppo.
Avevo
creduto nel suo amore, però. Nella nostra storia, nel nostro
futuro insieme. Tutte bugie, mi
dissi. Erano state solo
bugie.
Quella
fu l’ultima volta che lo vidi. L’ultima volta che
osservai i suoi capelli
bronzei, scompigliati dal vento. L’ultima volta che vidi il
suo sorriso o i
suoi incredibili occhi verdi. L’ultima volta che il mio cuore
batté
all’impazzata per un amore vero. Ceco, dilaniante. Eterno.
―
Ehi! ― urlai, ridendo ― Ma cosa fai! Sei pazzo!
―
Sì, solamente di te. ― disse e mi baciò. Il
contatto fu lento, dolce e anche
passionale. Jacob era caldo, in qualsiasi cosa facesse. Ci metteva il
cuore.
―
Mi sei mancata.
―
Anche tu, moltissimo.
Afferrò
il suo bagaglio e prese la mia mano, dirigendoci verso la mia macchina.
Salimmo, notando che il suo sguardo non si era staccato un attimo da me.
―
Come stai? ― domandò, dopo che mi ero messa sulla
carreggiata. Direzione: il
nostro appartamento. O così credeva lui.
Come
una persona
orribile, che invece di pensare al suo ragazzo ha passato quasi tutto
il fine
settimana a pensare ad un altro uomo. Qualcuno che ora non
c’è, che mai più ci
sarà. Qualcuno che dovrebbe restare nel passato, pensai. Ma risposi
diversamente.
―
Bene, grazie. E tu?
―
Ora che sono qui, con te, molto meglio! ― arrossii, non mi ero mai
abituata
alla sua dolcezza disarmante.
―
Dove stiamo andando? ― chiese, notando che non era la strada di casa.
In
effetti, era una sorpresa per lui. Qualche tempo prima che partisse per
Forks
aveva tentato di insegnarmi ad andare in moto ma, purtroppo, quello non
era di
certo il mio talento. Andai a sbattere. Fortunatamente non mi feci
nulla, ma la
moto si danneggiò parecchio. Jacob non la portò
mai ad aggiustare, ritenendola
troppo pericolosa per me. Sapevo, però, quanto ci teneva.
―
È una sorpresa. ― risposi, guardandolo con la coda
dell’occhio. Sembrava un
bambino in quel momento. I capelli neri, corti. Gli occhi castani,
così
profondi… la pelle scura, i muscoli in bella mostra. Era
così diverso da…
―
Bella, attenta! ― urlò Jake, notando che stavo finendo fuori
strada.
―
Scusami! ― dissi ― Mi sono distratta!
―
A guardare me. ― disse, sghignazzando ― So di essere bellissimo, ma
tieni gli
occhi sulla strada.
Sorrisi,
scacciando il pensiero che mi martellava in testa: non stavo solo guardando. Io stavo paragonando.
―
Dimenticherai mai quella mia frase? ― domandai, cercando di restare
lucida.
―
No, mi dispiace. ― rispose, scoppiando a ridere ― Quella volta sei
stata
buffissima! ― sbuffai, facendomi travolgere dalla sua
ilarità. Nonostante
tutto.
―
Siamo arrivati. ― gli riferii, parcheggiando accanto
all’officina “Da James”.
Ne uscì subito un uomo sulla trentina, alto. Capelli biondi
e occhi chiari.
Completamente ricoperto di tatuaggi.
―
Ehi, Isabella. Ciao!
―
Ciao James. È pronta quella cosa che ti ho chiesto?
―
Certamente. Venite. ― disse e lo seguimmo.
―
Cosa ci facciamo qui? ― sussurrò Jacob, al mio orecchio. Gli
chiesi di fare
silenzio, mimando un “adesso lo scopri, non essere
impaziente”.
―
Eccola qui. ― parlò James, dinanzi una moto nera tirata a
lucido.
―
Oh mio Dio! ― urlò Jacob, in preda all’eccitazione
― Non ci credo. L’hai fatta
sistemare per me? ― mi domandò ed io annuii. Mi avvolse in
un abbraccio,
posandomi sulle labbra un bacio per niente casto.
―
Dio quanto ti amo, Isabella Swan!
Gli
sorrisi, abbassando lo sguardo, mentre lo vidi avvicinarsi al mezzo e
scambiare
due parole con James.
Cosa
ne sarebbe stata della mia vita se non avessi avuto Jacob? Ringrazio
ancora Dio
che lo ha mandato da me. Lui c’è sempre stato.
Anche quel giorno a Hollenbeck
Park. Ero sola, quasi in lacrime. Ma lui c’era. Mi porse una
mano, invitandomi
a seguirlo dentro un bar per riscaldarmi, ma rifiutai. Si sedette
così accanto
a me, per un po’. Poi mi diede un bacio sulla guancia e
andò via. Come
sarebbe stata, invece, la mia vita se lui
non mi avesse tradita? Forse saremmo insieme, adesso. Ero sempre stata
convinta
che il nostro amore fosse stato scritto nelle stelle, nel destino. Ero
ingenua,
è vero. Ma ci credevo. Credevo in lui, in noi. Nel nostro
amore, che superò –
almeno ai tempi del liceo – ogni cosa. Poco importava se io
fossi più piccola.
Poco importava che io fossi la migliore amica di sua sorella. Poco
importava
che lui fosse più ricco di me, più bello o
intelligente. L’unica cosa che ci
importava era il nostro amore che, purtroppo, poi si è
sciolto come neve al
sole. Sono passati anni eppure ti penso ancora, Edward. Ma la vita va avanti.
Essa va sempre avanti.
Eccomi qui, lo so abbassate i
forconi per favore! Chi mi conosce sa che una cosa del genere -
cioè Bella e Jacob - da me non lo aspetta. Eppure... Questa
piccola storia mi è venuta in mente ieri mattina. Quindi
abbiate pietà, sarà il caldo! Cosa ne pensate?
Isabella è una persona autonoma, indipendente rispetto a
quella della Meyer. Studia, lavora, vive per conto suo lontana da casa.
Lontana da Forks. Aveva un amore - che lei considerava vero - ma le
viene sgretolato sotto gli occhi. Sono cose orribili, eppure
accadono. Edward non va da lei Hollenbeck Park, così lei lo
raggiunge a New York e cosa vede? Il suo ragazzo che saluta una
ragazza, che lo ringrazia per la nottata passata insieme. Forse molte
di voi, di noi, sarebbero scese e lo avrebbero preso a schiaffi, ma
mettiamoci anche nei panni di Isabella o delle persone come Isabella.
Non sai cosa succede col tuo fidanzato, le cose vanno male, lui non si
presenta ad un appuntamento, vai a cercarlo e lo trovi con un'altra!
Vale la pena parlare? Forse sì, ma non tutti hanno il
coraggio di sprecare parole quando la verità è
lì, davanti ai tuoi occhi.
La seconda parte di questa FlashFic verrà pubblicata
Mercoledì 24 Agosto, per dare il tempo a chi vuole recensire
di farlo e per chi vuole leggerla con calma. Mio Dio quanto ho scritto!
Tolgo il disturbo, dai!
A Mercoledì! Un abbraccio a tutti :)