Libri > Percy Jackson
Ricorda la storia  |       
Autore: effewrites    21/08/2011    19 recensioni
[COMPLETA!]
Dopo la disfatta di Crono, al Campo Mezzosangue sembra essere tornata la pace. Scott Walker ha quindici anni ed è un semidio, figlio di Apollo. Passa ogni estate al Campo, insieme ai suoi migliori amici Leighton e Alec. Fin'ora tutto sembra essere andato per il meglio, ma quando strane tenebre e agghiaccianti mostri iniziano ad attaccare, Chirone avverte i semidei che qualcosa di estremamente pericoloso si è risvegliato. E vuole vendetta.
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gli Dèi, Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Cronache del Campo Mezzosangue'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

La mia estate inizia nel peggiore dei modi

 

Se vi dicessi che sono un semidio, voi ci credereste?
Mi chiamo Scott, ho quindici anni e sono figlio di Apollo. Sì, il dio. Sapete, quello che porta il carro del sole, patrono della musica e della medicina e cose del genere. È mio padre.
No, non sono pazzo. E no, non vi sto prendendo per il sedere.
Gli dei dell’Olimpo esistono, fatevene una ragione. Dominano sulla civiltà occidentale – la nostra – dopo aver vissuto in Grecia, a Roma e chissà dove. L’Olimpo, il sacro monte degli dei? Domandate del seicentesimo piano dell’Empire State Building. E vivete a Los Angeles? Siete finiti letteralmente nella bocca dell’Inferno.
A volte gli dei si annoiano, nello splendore della loro eterna immortalità, e scendono sulla terra per figliare. Ora, ci sono alcune regole, a quanto mi è stato detto. Se sei uno dei Tre Pezzi Grossi, altrimenti detti Zeus, Poseidone e Ade, sei stato tanto intelligente dal giurare sul fiume Stige che non avresti più avuto bambini. E non è di certo un giuramento al pari del giurin giurello che facevamo noi da bambini!
È roba seria, quella.
Se invece fai parte del resto della comune plebaglia di dei e dee, hai via libera nell’accalappiarti l’uomo o la donna che più ti aggrada.
Mia madre si chiama Molly Walker, e posso capire perché il dio del sole si sia innamorato di lei.
È una bella donna nel fiore degli anni, con soffici capelli biondo paglia che le cadono sulle spalle e occhi color nocciola che riescono sempre e comunque a farti tirar fuori il meglio di te… e questo è parecchio irritante, a volte. Soprattutto dopo aver scoperto che l’aspetto caramelloso di Molly Walker non corrisponde al suo vero essere.
In realtà, mia madre somiglia terribilmente a un’arpia.
Non fraintendetemi, non è che non mi voglia bene – è palese che me ne voglia. Andiamo, è mia madre!
Il punto è che secondo lei somiglio troppo a mio padre. Ci soffre, nel rendersene conto.
Se un dio ti si presenta davanti concedendoti l’opportunità di vivere una smielata e fantastica storia d’amore da romanzi rosa, tu accetti. Non credo che ci sia qualcuno che possa iniziare sul serio a sperare in un finale felice dove i due amati vivono per sempre insieme.
Be’, signore e signori, mia madre lo fece.
Ci rimase parecchio male, per dirlo in termini delicati, quando Apollo la mollò con un pargolo biondo tra le braccia per tornare sul suo trono dorato, irraggiungibile.
E quando il pargolo biondo iniziò a diventare grande, con gli stessi occhi e lo stesso sorriso del papà fedifrago, la povera donna dovette fare appello ai suoi nervi d’acciaio. Ancora mi domando come sia possibile che sia arrivato sano e salvo al mio quindicesimo anno d’età.
Probabilmente la risposta risiede nell’unico posto in questo mondo dove posso dire di sentirmi realmente ‘a casa’.
Il Campo Mezzosangue, Long Island, New York, è il luogo in cui tutti i semidei come me possono trascorrere un’estate ogni anno senza dover fingere di essere chi non sono: semplici e comuni mortali.
Voglio dire, al campo si combatte con le spade, si fa pratica di tiro con l’arco, si organizzano falò dove si raccontano le leggende e i vari miti, ci si prende cura dei pegasi – sì, esatto, i cavalli alati.
Credo sia il posto che preferisco di più al mondo.
Trascorro al campo ogni estate da quando avevo dodici anni, ed è esattamente lì che mia madre mi stava portando anche quest’anno.
«Sicuro di aver preso tutto, Scott?» mi domandò, senza staccare gli occhi dalla strada, illuminata dagli ultimi raggi di sole prima del tramonto. Annuii, senza prendermi il disturbo di togliere gli auricolari dell’iPod.
«E tu, invece?»
Lei sorrise, e per un istante sembrò giovane quasi quanto me.
«Sarà un’estate meravigliosa, tesoro. Anche se avrei voluto venissi anche tu» disse con un sospiro, stringendo le nocche sul volante. Avrei potuto giurare che stesse già pregustando le settimane di mare, piscina e divertimento che l’albergo a cinque stelle in cui aveva prenotato avrebbero offerto a una bella mamma single e in cerca.
«Dai ma’, una vacanza con il figlio dietro? Ti meriti in po’ di relax, in nome degli dei!» la punzecchiai ridacchiando.
Mi lanciò un’occhiata in tralice, che ignorai.
«Mi chiamerai, vero?»
«Con l’iPhone, come sempre»
Le sue labbra piccole e sottili si arricciarono, e aggrottò le sopracciglia biondicce. «L’iPhone di Iride, eh?»
Alzai gli occhi al cielo, passandomi una mano fra i capelli. A mia madre non andava proprio a genio il fatto che potessi comparirle davanti come un ologramma nei momenti che meno avrebbe preferito – ad esempio, mentre si trovava in compagnia di un mio probabile futuro padre, come chiamava lei le sue numerose conquiste.
Passai il resto del viaggio a tentare di spiegarle che se voleva avere mie notizie avrebbe potuto parlare con me solo grazie all’iPhone, dal momento che per noi semidei avere cellulari era più o meno come farci piazzare in testa una freccia gigante e luminosa con su scritto: “Ehi, avviso per i mostri, qui c’è un semidio!”.
Poi, finalmente, mamma fermò la macchina e mi invitò a scendere. Si scusò di non potermi accompagnare più avanti di così, perché il suo aereo sarebbe partito di lì a poco e lei doveva ancora guidare fino all’aeroporto. La rassicurai, abbracciandola, e dicendole di divertirsi anche per me. Poi ripartì.
Il bello di mia madre è che non si comporta da mamma. O mi vede come una sorta di piccolo Ercole invincibile, supereroe moderno, o è talmente ingenua (scusami, mamma) da non preoccuparsi di ciò che potrebbe capitare a un ragazzo di quindici anni lasciato da solo lungo una strada di campagna.
Di lì a poco, i fatti avrebbero dimostrato che la seconda opzione era quella giusta.
 
Mi accorsi che qualcosa non andava quando già ero quasi arrivato sulla cresta della collina.
Le prime cose che sentii furono uno strano ruggito, poi il rumore di un albero che veniva schiantato a terra. Stringendomi nelle spalle, mi dissi che probabilmente erano i figli di Ares che ci stavano dando un po’ troppo dentro con l’allenamento con le spade. Non sarebbe stato affatto strano.
Ma quando iniziai a intravedere il campo a valle, mi resi conto che avevamo un problema decisamente più grosso di qualche rissoso figlio del dio della guerra.
Erano in due, grandi quanto cinque uomini in piedi l’uno sull’altro e grossi come due giocatori di sumo. Vestivano come due boscaioli, ma evidentemente i vestiti che avevano addosso erano gli stessi da decenni, considerato il puzzo asfissiante che emanavano. I capelli erano due untuose cascate di spaghetti scuri, della forma di due scodelle capovolte. Non avevo mai immaginato che i giganti avessero avuto questo aspetto.
«Oto vuole pappa. Oto vuole piccoli e gustosi semidei!» rise gutturalmente uno dei due, con un vocione che fece tremare gli alberi. Brandiva un tronco caduto, e sembrava avere intenzione di scagliarlo contro il campo. Fortunatamente doveva essere un po’ stupido, perché non calibrò il lancio e l’albero sradicato scomparve all’orizzonte.
«Oto stupido babbeo!!» esclamò l’altro gigante, battendo un piede per terra. «Ci pensa Efialte, ci pensa Efialte!»
Ora, provate per un attimo a mettervi nei miei panni: siete tutti soli su una collina mentre due colossi dal cervello minuscolo cercano di distruggere la vostra casa. Cosa fareste, una volta considerato che siete anche disarmati?
Non mi diedi il tempo di trovare una risposta: i miei piedi si stavano già muovendo a tutta velocità verso i due giganti.
«Ehi, brutti musi!» gridai tentando di attirare la loro attenzione, mentre il gigante che si chiamava Efialte sradicava un altro albero e prendeva la mira verso quella che riconobbi come la Casa Grande. Cercai di trattenere il respiro, perché più mi avvicinavo e più il fetore diventava insopportabile.
Avevo il fiatone per la corsa lungo la fiancata della collina, però, e respirare era al momento al primo posto sulla lista delle mie priorità.
Mentre cercavo di non vomitare, mi accorsi di non essere l’unico semidio che si era accorto dell’attacco dei giganti – oh, diamine, quale razza di idiota avrebbe potuto non accorgersene?! Sono giganti! Giganti!
Riconobbi alcuni ragazzi di Ares e di Efesto, i più grossi del campo, che tentavano di infilzare le gambe dei due colossi con lance, mentre i miei fratelli e sorelle della cabina di Apollo lanciavano frecce a più non posso.
Chirone, il centauro direttore delle attività del campo, coordinava i gruppi di ragazzi, e quando mi vide mi fece cenno con una mano di correre al riparo da lui.
Evidentemente i giganti babbei non erano dello stessa idea.
«Guarda, fratello: pappa!» ghignò quello dei due che riconobbi come Oto, facendomi ammirare dei denti ingialliti e puzzolenti che non avrei mai dimenticato in tutta la mia vita.
«Esatto! Pappa!» gridai per farmi sentire, colto da un’illuminazione. «Venite a prendermi!»
Ricominciai a correre, pregando che Oto ed Efialte fossero abbastanza affamati di carne mezzosangue da abbandonare l’idea del lauto banchetto che li aspettava al campo per concentrarsi sulla loro pappa fuggiasca.
Probabilmente gli dei accolsero la mia muta preghiera – ora che ci penso, non so ancora se sia stato un gesto magnanimo o estremamente crudele e sadico – perché i due giganti decisero di partire al mio inseguimento.
Per quanto potessi essere veloce, una loro falcata equivaleva a cinquanta delle mie. Non avevo armi con me per rallentarli – avrei dato qualsiasi cosa per aver portato con me il mio arco con le frecce – così dovetti arrangiarmi.
Afferrai un sasso bello grosso, e lo lanciai tentando di colpire il brutto muso di uno dei due giganti. Lo centrai in pieno in fronte, e ringraziai l’infallibile mira che caratterizzava ogni figlio di Apollo.
Purtroppo per me, un sassolino non era un granché contro due giganti. Non potevo correre all’infinito, e per quanto cercassi di zigzagare nella speranza di farli inciampare, Oto ed Efialte sembravano molto più abili nei movimenti di quanto sperassi. Di sicuro, lo erano più di me.
A furia di cambiare repentinamente direzione, fui io a cadere lungo disteso per terra.
«La pappa ha smesso di scappare» esclamò tutto contento Efialte, saltellando sul posto e facendo tremare il terreno, mentre suo fratello sradicava altri due grossi, grossissimi alberi. L’altro gigante lo imitò subito.
«Semidio spappolato. Un ottimo antipasto» disse, sbavando.
Ugh. Non avevo nessunissima intenzione di finire spappolato e poi divorato. Non sarebbe stato un bel modo di iniziare la mia estate.
Ero sul punto di rialzarmi e cercare una via di fuga, quando sentii una voce urlare: «Sta giù e non muoverti!». Mi guardai intorno per cercare di capire chi avesse parlato, e mi resi conto che parecchi semidei avevano inseguito i giganti che inseguivano me.
Era scesa la sera, e non riuscivo a distinguere i loro volti.
Anche i due giganti si resero conto che c’era qualcun altro oltre loro e me che assisteva al loro banchetto.
«La pappa viene da noi! La pappa viene da noi!» gongolò Oto, e sembrava talmente felice che avrebbe potuto scoppiare a piangere da un momento all’altro. Probabilmente il suo sogno più grande era proprio uno stuolo di semidei che si presentava al suo cospetto pronto per essere divorato.
«Contento, gigante?» esclamò la stessa voce di prima, una voce femminile, che risuonò nel silenzio.
«Chi ha parlato?» ringhiò Efialte.
In risposta, una figura argentea saettò tra i due, piazzandosi esattamente davanti a me. Che fosse una ragazza non c’era alcun dubbio. Aveva i capelli scuri intrecciati stretti, una corta veste argentea che riluceva come la luna e un paio di jeans attillati strappati all’altezza delle ginocchia.
«La vostra cena. Se mi prendete, potete mangiarmi!» rise sprezzante la ragazza, mentre tentavo di rimettermi in piedi. Lei se ne accorse, e mi diede una tallonata sullo stinco talmente forte da farmi cadere nuovamente a terra.
I due giganti si guardarono, ghignarono e alzarono i tronchi d’albero che tenevano tra le mani per colpire la ragazza, che si fece più avanti e gridò: «Andiamo, venite più vicino! Non riuscirete mai a colpirmi così! Potrei scappare, non vedete quanto spazio che ho a disposizione?».
A dimostrazione delle sue parole, iniziò a spostarsi da destra a sinistra, ma non sembrava avesse intenzione di fuggire. La guardavo esterrefatto; gentile da parte sua far notare ai suoi nemici le sue possibili vie di fuga!
Adesso Oto ed Efialte erano esattamente l’uno di fronte all’altro. La ragazza smise di muoversi e si piazzò tra loro. I giganti alzarono i tronchi di legno, e si prepararono a spiaccicarla come un insetto.
Allora capii.
Con un rumore assurdo si schiantarono i tronchi sulle teste, mentre la ragazza correva via. Aveva fatto in modo che entrambi si avvicinassero abbastanza per colpirsi a vicenda, stupidi com’erano. Mi diedi dello stupido per non averci pensato anche io.
I giganti si guardarono per un attimo con identiche espressioni babbee sul volto, poi rovesciarono gli occhi all’indietro e caddero al suolo, facendo sobbalzare la terra.
I semidei che avevano assistito alla scena proruppero in grida di esultanza e di gioia. La ragazza misteriosa era scomparsa.
Mi rialzai, rendendomi conto che la mia estate era finalmente cominciata.













L'angolo della Malcontenta: Dei, NON LINCIATEMI! ç________ç Non volevo pubblicarla. Ma una certa Earine ci teneva, e io volevo accontentarla. Boh, ho già il secondo capitolo pronto, ma lo posto SOLO se vedo che interessa. Se no se ne riparla tra qualche mese C:
Che dire? Storia nuova, nuovi personaggi. Ma già nel prossimo capitolo ne incontreremo di vecchi (come una ribelle Cacciatrice dai capelli scuri, vi dice niente?) 
Vorrei scrivere qualcosa in più, ma sto crollando dal sonno D:
vostra, Eff.

  
Leggi le 19 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: effewrites