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Autore: EtErNaL_DrEaMEr    21/08/2011    8 recensioni
[Concorso One Shot dell'estate]
Penelope aveva tessuto e ritessuto la sua tela per vent'anni, aspettando fiduciosa ed innamorata il suo Ulisse: valoroso combattente, coraggioso, impavido.
Io ho aspettato per cinque anni il mio deficiente: un essere mitologico dal corpo di scimmia e la testa di caz... cavolo. Un disgraziato che si racconta la storia del coniglietto per allacciarsi le scarpe, che crede che la sua scassatissima bicicletta sia come la Nimbus 2000 e che aspetta da un momento all'altro l'apparizione del maestro Yoda, che lo consacrerà guerriero Jedi.
Tutte informazioni raccolte senza che lui sapesse della mia esistenza, ovviamente!
Oh, ma io lo adoro!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'ultima fermata

 

 

Prima superiore.

E' stato all'inizio del mio primo anno al liceo scientifico che i miei occhi hanno disgraziatamente incontrato la figura di quel ragazzo. Presa dall'ideale di incontrare il mio primo amore, il mio primo vero ragazzo... ho incontrato lui.

L'avevo visto arrivare, avvolto nel suo giubbottino in pelle, maglietta dei The Clash, jeans chiari, capelli castano chiaro ribelli e occhi verdi. Aria scazzata che rasentava l'impensabile. Tracolla che sbatteva continuamente contro le sue ginocchia. E due bastoncini di legno infilati nella tasca posteriore dei jeans... che solo dopo ho capito essere bacchette per la batteria.

Travolta da un colpo di fulmine senza precedenti, e grazie a delle invidiabili doti da stalker in carriera, nel giro di poche settimane ero venuta a conoscenza di: nome, cognome, luogo e data di nascita, età, amici, residenza (con tanto di via e numero civico, per questioni di completezza), gusti musicali, film preferiti, passatempi, media scolastica, tragitto fermata autobus-scuola e scuola-fermata autobus, orario di arrivo a scuola e di uscita, orario partenza autobus... Sapere il suo codice fiscale sarebbe stata solo questione di tempo.

Così, mi ero ritrovata nella scomodissima e odiosissima situazione di sapere ogni cosa, ogni virgola del ragazzo che mi piaceva, mentre lui – chiaramente – non sapeva nemmeno della mia esistenza.

Mondo crudele!

A peggiorare la cosa, si era aggiunta la scoperta che il suddetto disgraziato era molto amico di un mio compagno di classe, nonché amico. Praticamente lo conoscevano tutti... tranne me.

Ora, una dichiarazione diretta era fuori discussione, più che altro perché la mia timidezza cronica e la mia autostima non pervenuta erano degli ostacoli non trascurabili, e anche tentare un approccio largo, chiedendo informazioni a questo amico in comune mi sembrava troppo rischioso.

Così, nel giro di cinque anni avevo raccolto una serie non indifferente di figure di merda. Andavo da quelle inevitabili, come tutte le volte in cui lui mi aveva beccato mentre gli stavo spudoratamente facendo una radiografia. Era inevitabile per me fissarlo. Poi c'erano quelle figuracce evitabili, come i miei appostamenti all'uscita da scuola praticamente a un centinaio di metri dalla fermata dall'autobus. Avrei dovuto essere un po' più discreta, forse. E infine c'erano quelle figure di cacca che succedevano e basta, come quella volta in cui passeggiavo tranquilla e me lo ero ritrovato davanti, con mio conseguente stordimento e semi-svenimento. Il tutto sotto la sua espressione interrogativa.

Più e più volte mi era stato detto che dovevo cambiare mira, che dovevo trovare qualcun altro, che quel ragazzo era troppo sulle sue e strano... E secondo voi il mio cervello da rottamare ha ascoltato tutti questi preziosi e saggi consigli?

Non vi rispondo neanche, meglio conservare un minimo di apparente dignità.

«Insomma, vogliamo fare qualcosa o devo sopportare i tuoi vaneggiamenti su quello stecco ancora a lungo?»

Ah, Dio benedica le migliori amiche.

O almeno, la mia, che non faceva altro che tentare di persuadermi e riportarmi nel mondo reale, ma poi appoggiava ogni mio piano per avvicinarmi a lui.

Lo “stecco”, comunque, era il mio lui. A ragion del vero, devo ammettere che è sempre stato piuttosto magrolino, quasi gracile. Secondo me non faceva altro che aumentare il suo fascino, e poi avrei provveduto io a rimpinzarlo di cibo, una volta che si fosse accorto della mia esistenza, mi avesse fatto una dichiarazione coi fiocchi per poi vivere felici e contenti.

… Sì, prima che possa accadere tutto ciò, farà tranquillamente in tempo a morire di fame.

Misi per un secondo in pausa i miei viaggi mentali per rispondere alla mia amica.

«Sai già la risposta.»

«Sì, ma la scuola ormai è finita. Finish. Non hai più nessuna scusa per appostarti come un avvoltoio all'uscita. Mi spieghi come farai a vederlo?»

Nonostante il mio animo da innamorata non volesse ammetterlo, aveva ragione. Cinque anni di liceo se n'erano già andati, e ormai non avrei più potuto vederlo tutti i giorni: osservarlo in lontananza mentre camminava verso la scuola, con la sua aria ancora assonnata e i capelli meravigliosamente arruffati. Oppure guardarlo all'uscita, quando sembrava che la sua tracolla avesse preso dieci chili nelle ultime cinque ore da come se la trascinava addosso. O ancora guardarlo mentre rideva con qualche amico, e gli occhi verdi diventavano due fessure e la bocca si allargava e la testa gli cadeva leggermente all'indietro e mi veniva voglia di andare là a ridere con lui...

A pensare che tutto ciò non sarebbe più successo mi veniva il magone. Mi prendeva una tristezza infinita, e mi arrabbiavo – mi arrabbio – con lui, perché non si è mai accorto di come non avessi occhi che per lui, e rabbia con me stessa, perché non ho mai avuto il coraggio di dirglielo, che non ho occhi che per lui.

In segreto speravo ancora che si avverasse quella sciocca fantasia che mi vedeva ferma come ogni giorno vicino a quella maledetta fermata d'autobus: io sono lì ferma ad aspettarlo pur di vederlo solo due minuti, lui arriva e mi passa davanti, come ogni volta. Questa volta, però, mentre sto già per andarmene, lo vedo tornare sui suoi passi, correre verso di me e dirmi finalmente che l'aveva capito da un pezzo, che ero cotta di lui.

Fantasie sciocche e irrealizzabili, purtroppo.

«Non lo so...» ammisi poi mogia «ma non mi va ancora di lasciar perdere. Magari posso vederlo ancora una volta... al compleanno di Max magari!» esclamo, e mentre i miei occhi si illuminavano di una rinnovata speranza, quelli della mia migliore amica roteavano in cerca del cielo, ormai esasperati.

«Mio Dio, sei irrecuperabile!»

«Sono sicura che ci sarà anche lui, me lo sento!»

«Ti avviso, se non succede niente nemmeno questa volta, tu volti pagina. Chiaro?»

Annuii senza neanche ascoltarla, troppo occupata a ricominciare le riprese dei miei filmini mentali, in cui ormai ero prossima al matrimonio.

«Ti trovo io un ragazzo che ti meriti!» continuava convinta la mia amica, mentre i miei occhi ritornavano ad essere dei diabetici cuoricini con su stampata la faccia di quel disgraziato.

Tutto ciò accadeva un mese fa. E la situazione ora non è affatto cambiata: quei fastidiosi e allo stesso tempo stupendi cuoricini mi accompagnano giorno dopo giorno.

Passa la maturità, e senza nemmeno accorgermene mi ritrovo con un diploma in mano (diploma virtuale, sia chiaro, per la copia cartacea credo che dovrò aspettare la pensione, visti i tempi della mia scuola), catapultata fuori dal liceo che mi aveva fatto da nido per cinque anni, pronta al mondo dei “grandi”.

… Pronta un fico secco! Solo l'idea dell'università, della vita fuori casa, dei cambiamenti mi manda in crisi. Odio i cambiamenti – la maggior parte delle volte – odio le decisioni, odio che il tempo passi troppo velocemente. Mi sento ancora una bambina, non so accendere la lavatrice, a volte mi dimentico il latte sul pentolino e ho sempre paura di usare il detersivo sbagliato per pulire i pavimenti. Mi spiegate come posso solo pensare di andare a vivere fuori casa?

Timori post-maturità a parte, quei cuoricini mi accompagnano anche durante la mia settimana di vacanza al mare con alcuni amici, prima vera vacanza senza genitori.

Inutile dire che, nonostante i fiotti di ragazzotti tedeschi e non che invadevano la spiaggia, e che sembravano essere alla disperata e agognata ricerca di una cosa che inizia con f e finisce con a, ma che per amor delle apparenze non ripeterò, il mio cervello e il mio cuore non riuscivano a prendere in considerazione nessun essere umano maschile respirante che avesse sembianze diverse da lui.

In conclusione, mi sembra di aver vissuto tutto quel tempo, tutti quei giorni in attesa di quel giorno.

Detta in parole povere, smanio di vederlo. Non ce la faccio più ad aspettare, e l'impazienza si mescola con l'amara sensazione che quella sarà l'ultima volta. La fine di una storia mai iniziata. Certo, la mia vastissima collezione di filmini mentali non è affatto d'accordo, ma la realtà la pensa diversamente.

Ho deciso una settimana prima cosa mettere, ho pensato a cosa dirgli (nella remota e pressoché impossibile ipotesi che mi rivolga la parola) e ho cercato di convincermi che no, non l'avrei fissato spudoratamente e incurantemente per tutta la serata.

Poi, mentre salgo nella macchina di un amico che mi dà un passaggio per la festa, realizzo che le mie sono tutte fantasie. Mi sembra comunque di essere vestita in modo inadeguato. Anche se mi rivolgesse la parola, nella migliore delle ipotesi riuscirei solo a boccheggiare come un pesce fuor d'acqua che cerca ossigeno. Lo fisserei per tutta la serata, non potrei fare a meno.

Credevo di aver toccato il fondo. Credevo che la sera del 10 agosto, in cui San Lorenzo ci fa la cortesia di mostrarci le sue lacrime perché almeno noi possiamo avere l'illusione di dar voce ai nostri desideri sarebbe stata la fine di tutto.

Invece, ora che ho messo piede a questa festa, mi rendo conto che è ancora peggio.

Mi guardo velocemente attorno, saluto degli amici e schivo con lo sguardo quelle persone che se non consumassero ossigeno in mia presenza sarebbe meglio, e poi lo vedo.

Eccolo lì. Seduto alla sua batteria, mentre suona e si diverte.

Si vede che si sta divertendo. E' tutto concentrato, ma ogni tanto gli sfugge un sorrisino compiaciuto. Succede ogni volta che agita quelle bacchette in aria e scandisce il ritmo delle canzoni che tanto ama.

Quant'è bello.

E' stupendo con gli occhi socchiusi, la testa che ciondola a tempo e tutto il suo corpo scosso dal ritmo della musica.

E' bellissimo.

E a me sembra di essere in un film, quando la musica in sottofondo è solo un ronzio, le voci si abbassano fino a scomparire e rimane solo lui. Credo che potrei andare avanti per delle ore.

Nei film, però, non c'è la migliore amica che ti strattona violentemente il gomito e ti insulta dandoti della senza speranze. E così, la musica torna a pulsare furiosa e forte, le voci tornano ad assordarmi... e lui resta.

«Non ti voglio vedere in stato catatonico per tutta la serata, chiaro?» mi rimbecca sempre la mia amica, con gli occhi che sono diventati due fessure.

«Ok, ok!» le dico, alzando le mani.

Così la faccio contenta, tanto lo sappiamo tutte e due che non lo farò.

Le ore passano, e ci sono momenti in cui lo vedo che parla con i suoi amici, con altre ragazze, e allora mi sembra di sprofondare. Poi ci sono momenti in cui si avvicina a me, per caso o chissà per quale motivo, e sta lì vicino, così vicino che ci sfioriamo, e in realtà siamo più lontani che mai. Quei momenti bastano per dare un senso alla mia presenza lì.

Sono senza speranze davvero, lo so.

La festa scorre senza che nemmeno me ne accorga e poi, mentre i miei amici vanno a recuperare la macchina, io decido di aspettarli in un posto che ormai mi è estremamente familiare.

Ormai è tardi, e il cielo è buio, ma ci sono svariati lampioni che illuminano la strada quasi a giorno.

E così, eccomi di nuovo qui. Ferma ad aspettarlo.

Effettivamente – me ne rendo conto ora – è una scena abbastanza patetica. Voglio dire, sono cinque anni che continuo a piazzarmi in questo punto, davanti a quel marciapiede dove so che lui passerà. E in tutto questo tempo non ho mai, mai avuto il coraggio nemmeno di dirgli 'ciao'. Mi sono sempre limitata a guardarlo da lontano, a pensare che fosse stupendo e a credere che uno come lui in una come me non può trovarci proprio niente. A volte, quando sembrava ricambiare il mio sguardo, avevo la fugace illusione che qualcosa fosse ancora possibile... ma ora mi sembra di osservare tutto da fuori, come se mi fossi sdoppiata e potessi vedermi dall'esterno. E, come ho detto, mi sento terribilmente patetica.

Abbasso lo sguardo e quasi mi vergogno. Sono pronta ad andarmene, anche senza vederlo.

Alzo appena gli occhi rassegnata e lui arriva.

Davvero questa sera qualcuno deve avercela con me. Io sono pronta a lasciarlo perdere e lui arriva, dannazione!

Al diavolo, tanto è l'ultima volta!

Ultima volta che lo vedo avvicinarsi: mani nelle tasche e sguardo basso. Ultima volta che mi si ferma il respiro, o forse sono io che lo trattengo, e quasi mi sembra di sentire il suo, di respiro. Ultima volta che mi sfila davanti e alza gli occhi, incrociando i miei immobili e fissi su di lui.

Nonostante tutto, nonostante la mia ritrovata razionalità (si fa per dire) c'è una piccola, infinitesima e recidiva parte di me che continua a sperare. E spera ancora di più quando lui, fissandomi, sembra rallentare davanti a me, come se volesse fermarsi...

No, non si vuole fermare, evidentemente.

Dopo essersi passato una mano sulla nuca ha distolto lo sguardo, e ora lo vedo continuare la sua sfilata verso la fermata dell'autobus.

Stronzo! Grida il mio orgoglio frantumato in un ultimo moto di vita, anche se in realtà so bene che è solo colpa mia e dei miei castelli in aria.

Lo guardo svoltare la curva, poi decido che è proprio ora di andarmene. Ci manca solo che i miei amici se ne vadano lasciandomi a piedi! Sarebbe la degna conclusione di una serata di m--

No.

Non può essere.

Senza distogliere lo sguardo lancio manate in aria, cercando a tentoni qualcosa con cui darmi una botta in testa.

Continuo a tenere lo sguardo fisso. I miei occhi sono così sgranati che sembro un'esaurita.

Forse una badilata sarebbe meglio...

Poi mi arrendo all'evidenza che intorno a me non c'è nulla, e anche le mie braccia si arrendono inermi lungo i miei fianchi. Gli occhi si rimpiccioliscono a grandezza naturale.

La sua figura invece si ingrandisce. Perché sì, lui sta tornando indietro. Sta correndo verso di me!

No! Razionalità a me!

Avrà dimenticato il portafoglio.

O il cellulare.

O qualsiasi altra cosa.

Voglio dire, di certo non può aver dimenticato me. Non sa neanche che esisto!

Corre, corre, corre... e si ferma.

Sì, si ferma davanti a me. E' quasi piegato in due, le mani sulle ginocchia e il fiato corto.

Oddio, vuoi vedere che ha davvero dimenticato me?

Una cosa simile ad una nuova speranza fa battere il mio cuore con la frequenza di un motopick impazzito, mentre io lotto perché i miei occhi mantengano una grandezza normale.

Dopo pochi istanti, quando il suo respiro è tornato più o meno regolare, si rimette dritto e, da qualche centimetro più in su di me, mi fissa negli occhi silenzioso.

Ed è in questo momento che mi rendo conto che ci sono cose che neanche con le mie doti di stalker avrei potuto scoprire. Parlo di quell'infinità di dettagli che ora posso vedere sul suo volto: gli occhi verdi che vicino all'iride sembrano quasi marroni, le ciglia che paiono spettinate, la piccola cicatrice vicino al suo orecchio sinistro, le sporadiche efelidi sparse qua e là sul suo naso e sulle sue guance, le labbra rosa leggermente screpolate, la pelle liscia del mento, pulita dalla barba... Potrei andare avanti per ore senza stancarmi.

Poi mi ricordo che lui è davvero davanti a me, in una tiepida notte d'estate, e allora sento le gambe molli.

«Ciao» mi dice.

La sua voce sta parlando con me. Lui sta parlando con me.

Non rispondo subito.

… Ok, non rispondo proprio. E' che non ci riesco: non ho più saliva in bocca, se deglutisco mi sembra di ingoiare una manciata di sale grosso da cucina e ho qualche problema a fingere di avere una respirazione regolare.

Ho qualche problema a credere che ho aspettato cinque anni un momento che non pensavo sarebbe mai arrivato e invece adesso è arrivato.

Così faccio quello che mi riesce meglio: lo guardo.

Lui è impassibile, non capisco che diavolo gli passi per la testa e, sinceramente, non credo avrei nemmeno la forza per farlo.

«Sono Leonardo» si presenta, quasi atono.

E io vorrei dirgli che lo so, che so tanto di lui, che ho passato giornate intere a pensare a lui e che vorrei saltare le presentazioni e abbracciarlo subito e basta.

Vorrei dirgli che ho aspettato questo momento per cinque anni.

Vorrei dirgli che questa sera, questa sera è il mio sogno di mezza estate, però lui è reale, e allora forse non è proprio un sogno, e il mio cervello non sa più cosa sta pensando...

Invece sorrido appena, ancora incapace di muovermi.

«Sono Eleonora» dico a mia volta.

Lui mi guarda e sorride per la prima volta. Ed è bellissimo.

Un sorriso vero. Per me.

«Lo so» afferma ancora con quel sorriso enigmatico stampato in faccia.

Lo fisso piacevolmente confusa e sorpresa.

Che sappia anche il mio codice fiscale?

 

 

 

 

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¡Hola!

Non lo so cos'ho scritto, non lo so. E' solo che fa caldo, oggi scade il concorso di EFP (e tanto vale buttarsi, no?:)), e io avevo voglia di scrivere una storiella che fosse sospesa tra realtà e finzione, a mischiare pezzi di vita vissuta e pezzi di vita che vorrei fosse stata vissuta. Comunque, mi sono divertita a farlo, a scrivere, quindi a prescindere dallo schifo che ne è venuto fuori, spero che vi siate divertiti almeno un po' anche voi a leggere questa specie di one-shot!:D

Se mi fate sapere che ne pensate, mi farebbe piacere!

 

Un saluto afoso e affettuoso=)

  
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