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Autore: V a l y    21/08/2011    5 recensioni
“Sei cresciuto,” disse, e lui si accorse che anche lei era cresciuta. Ora era una donna vera, meno sfrontata di quand'era ragazza, ma lo stesso provocante.
Un desiderio adulto, fisico, mai provato prima, gli intaccò la mente razionale e distaccata, e lo sconcertò.
{ Scritta per l'iniziativa di Fanworld "Un prompt al giorno" }
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ino Yamanaka, Sai | Coppie: Shikamaru/Temari
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Uh, questa è davvero strana, diversissima dalle ultime due scritte su questa coppia. Un po' più adulta come i personaggi, che qui, anche se non è stato detto, hanno più di vent'anni. E credo sia anche più maschile delle altre. Dunno, ditemi voi che ne pensate.
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Love is like a sin my love
For the one that feels it the most

Paradise circus – Massive Attack




Era stata una bottiglia di sake di troppo, una serata tra amici sbagliata. Faceva caldo. Ino indossava un abito di raso viola, la gonna ampia, fin sotto il ginocchio. Aveva i tacchi dello stesso colore, con la punta arrotondata. Un abitino da principessa, come lei. Shikamaru era vestito senza troppe eleganze e troppe appariscenze. Un jeans e una maglietta. Semplice, come lui.
Le gambe affusolate di Ino cedettero e incespicarono. Lui la sorresse per aiutarla, la sentì emettere una risata che odorava d'alcol. Gli cinse il collo con le braccia e lo baciò. Lui non pensò di scostarsi, né di ricambiare, non pensò a nulla e le cose accaddero.
Però non stava baciando Ino. Non era lei che aveva davanti, ma il volto offuscato di un amore che non aveva ancora conosciuto. Non era la camera di Ino, quella in cui erano entrati, grande e rosa e piena di chincaglierie. Non era la sua pelle, non erano i suoi seni.
Il mattino dopo si svegliarono spaventati e sconvolti. Lui aveva quel senso di nausea da dopo sbronza e di chi ha commesso un'azione riprovevole per sé e per la persona che l'ha subìta. Voleva dirglielo, dirle che erano amici d'infanzia e lui non provava nulla, come lei, che ha sempre straveduto per un altro.
Ma fu lei la prima a parlare, con un mezzo sorriso e un'incertezza insolita nella voce: “Ho sempre avuto una mezza cotta per te, sai?”
Lui si aggiustò i capelli in silenzio, per trovarsi un attimo per pensare. Ora non poteva più confessarle niente, o la loro amicizia si sarebbe rovinata. Non poteva abbandonarla dicendole di fingere che non fosse successo nulla. Doveva pagare le conseguenze di ciò che aveva fatto.
Accettò di impegnarsi con lei per queste ragioni.




Gli cingeva il braccio mentre chiacchierava animatamente con le amiche, stringendolo a sé come un trofeo, con lo stesso vanto con cui mostrava una tinta di capelli diversa, un paio di scarpe nuove, un vestito appena comprato. Lui, con la scusa di una sigaretta, scappò da quel chiacchiericcio femminile e petulante.
Era una festa a cui non aveva mai avuto voglia di partecipare. Era stata Ino a insistere di accompagnarla. Lui acconsentì solo per adempiere ai doveri di un fidanzato.
Arrivato al balcone, sfilò la sigaretta dal pacchetto e la mise in bocca. Non si accorse subito dell'altra. Notò la sua silhouette morbida e dolce in prossimità della ringhiera opposta, nel buio della sera, illuminata da qualche luce sporadica dei lampioni sottostanti. Era girata di schiena. Si voltò, lo notò anche lei. Sorrise. Era un sorriso beffardo, ma, in uno strano modo, femminile.
“Nara,” disse, solamente. Shikamaru la conosceva, ma non ricordava il nome.
“È da un sacco che non ci vediamo,” continuò lei, mettendosi a braccia conserte. Indossava un abito lungo, senza scollature e maniche, col collo alto, scuro. Un tessuto comune, niente di troppo sofisticato. Ma si adagiava sul suo corpo come una seconda pelle. Accentuava le sue forme, le sfiorava, le ridisegnava. “La festa è proprio uno spasso, vero?”
Lui sorrise. Sarcasmo sottile. Era la prima volta che l'aveva visto sulle labbra di una donna. “È così spassosa che per contenere il mio troppo entusiasmo sono uscito a fumarmi una sigaretta.”
“Io le ho finite. Peccato,” disse soltanto lei, girandosi a guardare la strada.
“Ne vuoi una?”
“No, grazie. Non accetto sigarette dagli sconosciuti.”
“Ma tu mi conosci.”
“Però tu non conosci me,” spiegò Temari appoggiandosi alla ringhiera con le braccia. Inarcò la schiena. Poteva vederle la curva flessuosa delle cosce. “Non ricordi come mi chiamo, vero?”
Non lo ricordava. Ma al suo volto associò le giornate estive passate in campeggio. Lei aveva quattro codini come adesso, un fratello dispettoso e uno taciturno. Era prepotente e sfrontata. Diceva solo verità che spesso risultavano antipatiche. Erano ragazzini l'ultima volta che si erano visti.
“Temari,” rammentò lui, e lei si girò di nuovo per guardarlo negli occhi, scrutargli il viso, per un po'.
“Sei cresciuto,” disse, e lui si accorse che anche lei era cresciuta. Ora era una donna vera, meno sfrontata di quand'era ragazza, ma lo stesso provocante.
Un desiderio adulto, fisico, mai provato prima, gli intaccò la mente razionale e distaccata, e lo sconcertò.
Temari gli rubò la sigaretta dalle labbra e ispirò una boccata.
“Ora ci conosciamo.”




Gli chiese di abbassarle la cerniera dietro la schiena, coprendosi i ciuffi sopra la nuca che uscivano dai codini. Shikamaru le sfiorò il dorso della mano senza volerlo, prese la cerniera tra le dita, la slacciò. Lei si voltò, il vestito si sfilò da solo. Le sentì il fiato sulle proprie labbra.
Temari si buttò sul letto, trascinando il ragazzo con sé. Lo racchiuse tra le sue gambe nude. Lui affondò dentro di lei.
Shikamaru aprì gli occhi. Non era rimasto nulla, oltre un frammento sbiadito dei seni di Temari nella mente, l'immagine fantasticata di un amplesso che non c'era mai stato.
Si alzò col busto, guardandosi la mano sporca di seme.




Scoprì da Sai, il vicino di casa, che Temari lavorava a un bar della strada principale. Decise di andarci ogni mattina, prima del lavoro. Un risveglio anticipato, mezzo chilometro in più in macchina. Per spiegare a Temari la sua presenza, mentì dicendole che il bar si trovava vicino al suo ufficio.
La vedeva sciacquare i bicchieri,voltata di schiena, mentre girava il cucchiaino nel cappuccino. Finiva di berlo che era già freddo.
“Perché ti svegli così presto, ultimamente?” chiese curiosamente Ino una mattina, pettinandosi con indosso una vestaglia scollata e sottile come i suoi capelli biondi e sciolti. Lui si aggiustò la cravatta, prese la ventiquattrore da terra.
“Le strade sono molto trafficate, se non mi avvio presto arrivo tardi a lavoro.”
Mentiva sempre, a tutt'e due le donne. Ma a parte questo, si convinse, non faceva nulla di male.




Era una serata piovigginosa, faceva freddo. Ino era uscita dicendo che non sarebbe tornata a casa prima di mezzanotte. Shikamaru andò al bar dove lavorava Temari senza mentire o dare spiegazioni. Prese un cocktail e aspettò la chiusura per avere una scusa per accompagnarla a casa. Si era portato un ombrello. Sapeva che lei non li aveva mai.
Uscirono dal bar stretti l'uno all'altra per non bagnarsi. Shikamaru ritenne che poteva concedersi di cingerle le spalle per farla stare meglio sotto l'ombrello. Corsero fino al portone di lei. Lui non correva mai, solo se costretto, ma non c'era nessun motivo effettivo che li inseguisse, gli piaceva stringerla così, strusciarle la spalla con la propria, affondare il viso nei suoi codini impregnati tra un passo svelto e malfermo e l'altro. Lei si appiattì al muro, sotto la tettoia esigua, e si strinse attorno al proprio giubbotto di lino. Aveva freddo. Gocce sulla fronte e sulle guance. Lui gliele asciugò con la mano asciutta, senza pensarci. Si chinò su di lei, poi si bloccò.
“Ho una ragazza,” le disse. Temari si scostò da lui, indifferente alla pioggia che adesso la bagnava. Era troppo fiera per diventare l'amante di qualcuno, e lui troppo codardo per lasciare Ino.
“Torna a casa, Nara,” disse lei sotto l'uscio del portone aperto. Chiuse l'anta.
Lui non la vide più, fino a quel giorno.




“Tuo fratello mi ha detto che stai partendo,” le disse. Temari se lo trovò improvvisamente davanti alla porta aperta dell'appartamento. Ne rimase sorpresa, ma lo nascose. Chiuse l'ultimo scatolone e lo diede in mano al facchino dei traslochi.
“Torno alla mia città natale, mi hanno offerto un lavoro più redditizio,” spiegò a Shikamaru.
“Quale città?”
“Inabe. È a otto ore di viaggio da qui.”
Lui parve perplesso, oltre che incredulo. “Perché non me l'hai detto? Non volevi salutarmi?”
“Ci stiamo salutando ora,” ritenne Temari, sorridendo a metà. “Buona fortuna col lavoro e la vita,” soggiunse, uscendo in corridoio. Lui l'afferrò per il braccio, ma lei si discostò subito.
“È troppo tardi.”
La vide andarsene, senza fare nulla.
Non aveva mai fatto nulla.




Il corpo esile di Ino, le braccia filiformi, scoperte, si allacciarono a quel collo, più bianco della sua pelle. Rise e sussurrò qualcosa che lui non poté sentire. E rise anche l'altro. Non l'aveva mai visto neppure sorridere.
I torsi che si accostarono, s'incontrarono. Lei lo baciò. Un ciuffo biondo cadde dietro la spalla. Ino si girò casualmente, per aggiustarsi l'acconciatura, e notò Shikamaru. Sgranò gli occhi.
“Che sta succedendo?” chiese lui sconcertato.
Sai guardò in basso, colpevole, senza riuscire a dire niente.




“È che... era un po' che mi trascuravi,” spiegò Ino, tornati a casa. “E... mi sentivo sola, e Sai è molto gentile, si preoccupava per me, e...”
Scoppiò a piangere. Shikamaru avvertì la colpa e la vergogna nelle parole della ragazza. Rifletté che sarebbe stato tutto più facile se la verità fosse stata svelata subito. Si coprì il viso cercando di contenere un sorriso sollevato, poi cominciò a ridere, sempre più forte.
Ino lo guardò sbigottita.
“Sai non è male, penso che starai bene con lui.”
“È tutto quello che hai da dire?!”
“Cos'altro dovrei dire? Eravamo troppo amici per recitare la parte degli innamorati.”




Stavolta Temari non riuscì a nascondere la propria sorpresa. Lo vide sotto casa sua, appoggiato allo stipite della porta. Ai suoi piedi, erano sparse cinque sigarette finite.
“Che ci fai qui?”
Shikamaru sorrise. “Io e Ino ci siamo lasciati.”
Le parole svanirono nell'aria. Non ce ne fu più bisogno.
Shikamaru addossò Temari al muro, per finire ciò che non era mai stato cominciato. Ma fu lei la prima a baciarlo.




La guardò in faccia, ancora una volta, prima di unirsi a lei. Voleva guardarla ancora, rossa e sudata, guardare il volto dell'amore. Era lei, forse lo era sempre stata, anche quand'erano ragazzini.
Temari piegò le gambe. Sentì il bacino del ragazzo accostarsi al proprio, il suo calore invaderla ancora di più. Si aggrappò alle sue spalle. Il ventre venne gremito da una scarica di piacere, prima con lei, poi con lui. L'ultimo gemito venne soffocato da un bacio.
Shikamaru rotolò sul fianco destro, sdraiandosi accanto a lei a pancia in su.
“Hai un posto per dormire?”
Temari lo guardò interrogativa.
“Non ho prenotato nessun albergo,” spiegò lui, grattandosi la testa. “Sono venuto da te appena ho potuto, senza pensare.”
“Questo non è da te,” ritenne lei, piegando un braccio e poggiando il mento sul palmo della mano.
Non lo era. Niente di tutto ciò che aveva fatto, che provava, era da lui. Ciononostante, si sentì più felice che spaventato.
Temari si alzò dal futon, ancora nuda, e aprì le finestre. Faceva caldo, di nuovo.
  
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