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Autore: Mattimeus    22/08/2011    2 recensioni
"Ecco il fonte del riso, ed ecco il rio
che mortali perigli in sé contiene.
Or qui tener a fren nostro desio
ed esser cauti molto a noi conviene:
chiudiam l'orecchie al dolce canto e rio
di queste del piacer false sirene,
cosí n'andrem fin dove il fiume vago
si spande in maggior letto e forma un lago."
Genere: Fantasy, Poesia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La fontana del riso

Antefatto e tempo dell'azione

Gli eventi narrati fanno parte di un episodio della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso, quello di Carlo ed Ubaldo alla fontana del riso (canto XV). I due cavalieri sono incaricati da Goffredo di Buglione di riportare l campo il campione fuggito Rinaldo, che alcuni credono addirittura morto. In realtà, egli è stato rapito dalla maga pagana Armida, che lo ha imprigionato in un nido d'oblio e d'amore in una delle isole Fortunate, al largo dell'Atlantico. La presenza di Rinaldo al campo di Gerusalemme è indispensabile, in quanto lui è l'unico eroe rimasto in grado di tentare di superare la selva incantata di Saron, il cui legname è indispensabile per per costruire le macchine da assedio in grado di prendere Gerusalemme. Dopo aver ricevuto le istruzioni necessarie all'impresa da un mago cristiano, Carlo e Ubaldo vengono condotti all'isola dove si trova, situato in cima ad una montagna, il rifugio di Armida. Prima di arrivare al giardino dove si trova Rinaldo, i cavalieri devono superare una fontana dalle acque limpidissime e tentatrici, che portano all'oblio e a ridere fino alla morte. Inoltre i due verranno tentati dall'amore di due ninfe al servizio di Armida. Nella Gerusalemme Liberata, i due le sdegnano, proseguendo verso le prove successive. L'azione inizia dunque con la salita dei cavalieri verso la fontana.



Io canto d'Amore l'antica Musa

che in giorni passati ispirò Torquato

E canto d'Onore la vecchia chiusa

che il tempo corrente non ha scordato,

ma non da Tasso come fu diffusa:

Di Carlo e d'Ubaldo al fonte il fato

Cambierò, e di ninfe dal bel viso.

S'apre il canto della fonte del riso.



Erano lassi, stanchi i cavalieri:

è grande il tedio di salire il monte

tanto che giunser spenti nei pensieri

all'acqua chiara e pura della fonte.

Di ridere e di folli desideri

d'oblio tanto subiron l'onte

che arduo fu resistere alla sete,

ma in mente ammonizioni ancor concrete.



Comparve loro dopo la fontana

una polla di identica chiarezza.

Stesso invito ripeteva vana,

ma ecco dallo specchio una carezza

uscire come favola lontana:

comparve ai cavalieri con dolcezza

la bella abitatrice della acque,

che del suo seno nudo non si spiacque.



Il cor d'Ubaldo prode cavaliere

venne rapito dal fertile fulgore

ed anche Carlo, fedele al suo mestiere,

cedette un poco al simbolo d'amore.

Ma subito il ricordo del dovere

frenò degli uomini il maschil calore.

Allora per ripetere l'offerta,

emerse un'altra ninfa, pur coperta.



«Timida creatura silenziosa»

disse Carlo con occhi scintillanti

«Io prego te, che sei così preziosa

dì il tuo nome a noi, vili duellanti».

Più schiva ancor si fece la graziosa

udendo la domanda senza vanti.

Si trasse a scudo l'altra più matura

che prese invece a parlare sicura:



«Noi siam le ninfe d'Armida schiave,

poste a cancello del nido gioioso,

ma non ci crediate nel petto cave:

un cuore avevamo, da incanto eroso,

stretto a far forte l'offerta soave.

Udite! Diamo con vanto penoso

l'amore che sempre fu solo sognato,

in cambio d'un cuor d'onore rubato».

   
 
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