Fanfic su artisti musicali > MultiBand/Crossover
Ricorda la storia  |      
Autore: nightswimming    23/08/2011    4 recensioni
Rivorrebbe tutto, rivorrebbe ogni cosa. Anche la fine. Anche il cattivo gusto di certi loro momenti. Anche la violenza verbale cui non aveva mai corrisposto una violenza fisica.
Magari sarebbe stato meglio, pensa Matt tormentandosi l’orlo della maglia.
Perché se Brian gli avesse tirato uno schiaffo, o un pugno, o l’avesse spintonato e preso a male parole, forse si sarebbe sfogato. Forse si sarebbe calmato, forse avrebbe saputo riflettere e considerare meglio la cosa.
Forse non se ne sarebbe andato.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Brian.M/Matthew.B
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Note dell’autrice: chi li conosce? Chi intende diffamarli, o peggio, ricavare soldi da tale riprovevole diffamazione?
Io no, eh. Sia mai.
 
Dedicata a genderblender, con affetto, perché va bene il Molsdal però insomma ti dovevo di diritto almeno una Mollamy :D
Grazie del betaggio e di tutto il resto - e spero che ti piaccia come è saltata fuori alla fine <3
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Tell me
When did the light die?
 
 
 
 
 
 
I capelli della lunghezza che preferiva.
Gli occhi truccati nel modo che lui adorava.
I vestiti che gli piaceva vedergli addosso.
Le sue parole, intelligenti o meno, fredde o meno, cortesi o meno, che amava ascoltare.
Matt guarda e riguarda video, foto e interviste da giorni ormai, cercando di scegliere un’immagine di Brian che non gli piaccia – una versione di lui che gli sembri poco desiderabile, uno sguardo che trovi arrogante, una risata che consideri fastidiosa, un gesto che giudichi lezioso o di maniera.
E’ difficile confessare a sé stesso che non ci riesce. Rivorrebbe tutto, rivorrebbe ogni cosa.
Anche la fine. Anche il cattivo gusto di certi loro momenti. Anche la violenza verbale cui non aveva mai corrisposto una violenza fisica. Magari sarebbe stato meglio, pensa Matt tormentandosi l’orlo della maglia.
Perché se Brian gli avesse tirato uno schiaffo, o un pugno, o l’avesse spintonato e preso a male parole, forse si sarebbe sfogato. Forse si sarebbe calmato, forse avrebbe saputo riflettere e considerare meglio la cosa.

Forse non se ne sarebbe andato, senza concedergli nemmeno una scenata.
La sua intervista più recente lo raffigura esattamente com’era nel momento in cui l’aveva visto per l’ultima volta. Gli stessi vestiti neri (avrà avuto il tempo di lavarli e rimetterli, si dice Matt, leggermente sorpreso, è passato un mese), gli stessi occhiali da sole, gli stessi capelli a mezza lunghezza.
Matt non riesce a vedergli gli occhi – non c’era riuscito neanche trenta giorni prima. Brian non gli aveva voluto dare tutta quella confidenza, lasciandolo, così come non la vuole dare ora all’intervistatrice. Dietro alle lenti scure non si intravede nulla, e così Matt non capisce se sorride sinceramente quando la giornalista lo saluta, perché non riesce a interpretare la sua bocca soltanto.
 
Sei felice?
 
Matt avvicina la sedia alla scrivania, piegandosi sullo schermo del computer. Brian scambia qualche convenevole a voce bassa e la donna ride nel microfono.
 
Sei più felice adesso?
 
Si prende le tempie fra le mani.
Gli bruciano gli occhi. Negli ultimi giorni dorme poco e male, e si sente sempre molto stanco. Gli sembra di trascinarsi e di provare fatica ogni volta che deve fare qualcosa, anche la più banale – mangiare, suonare, farsi una doccia, andare in bagno, rispondere al telefono.
 
Dimmi che ne è valsa la pena.
 
La voce di Brian e della giornalista si amalgamano nelle sue orecchie in uno sciabordìo che sembra lontanissimo. Vorrebbe addormentarsi con la fronte sui polsi, lì, davanti al computer, cullato da quel rumore di fondo che gli ricorda a un tempo tutta un’esistenza fatta di interviste in giro per il mondo e la presenza di Brian accanto a sé.
 
Dimmi che sei più felice ora di quanto lo eri prima.
 
Ma la schiena gli fa male. Il sedile è troppo rigido, e il tessuto ruvido di cui è ricoperto lo irrita persino attraverso la camicia.
Pensa apaticamente a cosa fare, se andare in camera da letto o sdraiarsi sul divano che è lì a pochi metri.
 
Dimmi che sei più felice di quanto lo eri con me.
 
Boccia subito la prima possibilità: la camera da letto gli sembra troppo lontana, e il letto rifatto ad arte dalla domestica lo accoglierebbe troppo freddamente.
Il divano sarebbe la scelta più comoda, ma Matt non lo tocca da settimane.
L’ultima volta che hanno fatto l’amore è stato lì: avevano troppa fretta per trasferirsi da qualche altra parte.
Matt si ricorda distintamente che Brian non aveva smesso di sorridere un solo minuto.
Che lui lo stringeva, mentre Brian lo abbracciava.
Che lui lo spingeva contro la stoffa ruvida bloccandogli un polso, mentre Brian lo accoglieva sopra di sé come se quello che stavano facendo fosse la cosa più naturale e istintiva del mondo.
Ora che è ad occhi chiusi riesce persino a rievocare la sensazione di calore che aveva provato mentre lui gli era vicino, mentre lo toccava, mentre gli era dentro. Adesso che non vede nient’altro, se non i ricordi, riesce a distinguere le percezioni di ogni singolo senso e amplificarle al massimo per torturarsi ancora un po’.
Rivede la sua mano stritolargli il polso, mentre viene. Risente i suoi sospiri pieni e soddisfatti, non appena viene anche lui. Riavverte quelle dita deboli e tremanti sfiorargli i capelli con una carezza affettuosa, mentre lui gli pesa addosso con il torace premuto sul suo e la fronte schiacciata contro il bracciolo.
Matt…
Apre gli occhi di scatto. Brian sta raccontando qualche aneddoto divertente, gesticolando con fervore; Matt se ne accorge prima della giornalista che gli indica la mano sinistra incuriosita.
Una fitta gli stringe il cuore, un dolore che è rimorso, nostalgia e vergogna. Non riesce a staccare gli occhi da quel livido, non vuole e non può distogliere lo sguardo da quel rigonfiamento violaceo che spicca vistoso sulla pelle chiara.
 
Perché non mi hai mai avvertito quando ti facevo male?
 
Brian fa il gesto di chi vuole scacciare una mosca fastidiosa. Matt lo ascolta inventarsi una storia riguardo a una caduta in bicicletta.
Preso da uno stupido impulso, vorrebbe contattare la giornalista e dirle la verità. Rivendicare la paternità di quel dolore – è mio, gliel’ho inflitto io, e non me ne è fregato nulla perché in quel momento stavo avendo uno degli orgasmi migliori della mia vita – descrivere dettagliatamente il modo in cui gliel’aveva provocato, sbandierare quel suo egoismo che a Brian all’inizio piaceva.
 
Perché non ti sei incazzato, quando ero ancora in tempo?
 
L’intervista finisce così, con quella bugia, e Matt vorrebbe solo dormire.
Rivolge uno sguardo assente al divano. No.
Non ce la farà neanche stanotte.
 
Perché, se non ti andava bene?
Perché non hai mai voluto dire nulla?
Perché non ti ho mai sentito soffrire, lamentarti, stare male quando eri con me?
Perché quando litigavamo poi eri sempre tu ad abbracciarmi per primo?
Perché hai passato tutto sotto silenzio?
Perché te ne sei andato con un sorriso benedicente?
Perché non sei più tornato?
 
*
 
You will rise.
 
 
 
 
Matt si sveglia con gli occhi sbarrati alle tre del mattino.
L’aria è buia, densa, soffocante, e il caldo incombe come una nuvola di piombo sopra la sua testa.
Si stropiccia il viso con una mano, appoggiandosi il braccio sulla fronte e rimanendo a respirare lentamente con la testa appoggiata alla poltrona.
La spia del cordless lampeggia regolare di fronte  a lui, irradiando il tavolino di una sinistra luce rossa.
Matt non ha mai provato a chiamarlo.
Si era reso conto che il dolore l’aveva stordito e confuso, oltre che preso alle spalle, e non voleva fargli pena, rovesciandogli addosso discorsi insensati e piagnucolosi. Lo rivoleva soltanto indietro.
Non pensa molto quando si alza e prende in mano il telefono. Pensa ancora meno quando digita il suo numero, che fino al mese scorso non sapeva neanche a memoria.
Comincia a realizzare che sta per sentire di nuovo la sua voce quando il telefono comincia a squillare a vuoto.
Matt torna a sedersi sulla poltrona e si apre il primo bottone della camicia. Il caldo lo soffoca, il nervosismo non aiuta.
Slaccia anche il secondo, pensando a quanto avrebbe voglia di appoggiarsi qualcosa di gelido sul cuore.
Ha già le dita sul terzo quando sente il click famigliare del ricevitore rimbombargli nelle orecchie.
- Pronto… -
Matt rimane immobile. La sua voce è impregnata di sonno, roca, lentissima, stanca. Ha accompagnato quella parola con un sospiro, uno di quei sospiri pigri che fa quando si rigira fra le coperte. Quante volte l’aveva sentito, quel suono…
Riesce quasi a vederlo davanti a sé, impigliato nelle lenzuola di un letto che spera essere vuoto a parte lui - e l’immagine è così vivida e famigliare che non sa più cosa dire.
- Pronto?... – chiede Brian, alzando di un filo il tono della voce. Ora è seccato: comincia a temere di essere stato svegliato senza motivo.
Matt chiude gli occhi. Non hanno mai smesso di bruciare.
Si prende la radice del naso fra pollice e indice e tira un lungo respiro, coprendo la cornetta.
- Ti fa male? – chiede poi, e la voce è talmente fievole che dubita persino lui stesso di averla sentita.
Lo sente fare un lungo sospiro, identico al proprio di pochi secondi prima.
Si chiede se la camera da letto di Brian sia afosa come il suo salotto. Si chiede se abbia fatto fatica ad addormentarsi, con quell’aria irrespirabile e le membra appesantite dal sudore.
Si chiede se lui sia riuscito a dormire tranquillamente in quell’ultimo mese, come non è mai riuscito a fare lui.
- Cosa? – risponde, la voce impastata dal sonno e da qualcosa che non riesce a decifrare.
Matt deglutisce.
- Quel… livido. – scandisce a fatica.
Quel livido orrendo.
- No. – risponde subito Brian. Matt si tira su sulla poltrona, speranzoso. – No, è… me ne sono fatti mille così. – Rimane in silenzio, un silenzio che sembra gonfio di mille parole non dette. – Passerà in fretta. –
Matt stringe più forte la cornetta.
- Non è vero. – sussurra, la voce rotta. – Non è vero! Ti fa male, e non ne hai mai avuto un altro simile, non uno solo! –
La faccia scotta. I capelli sono tutti sudati, lo sente nel momento in cui ci passa una mano attraverso senza alcun riguardo. Il collo è bagnato, la camicia è attaccata alla pelle, la testa gli gira.
- E non passerà in fretta. – sussurra, arrabbiato, quasi minaccioso. – Resterà il segno! E tu non potrai farci niente… –
 
 
You’ll return.
 
 
- Matt… -
- Torna. – La saliva gli va di traverso, la gola è troppo secca. – Torna da me. Ti ho reso felice una volta, due volte, tre volte, posso farlo ancora. Torna. Torna da me. –
Brian respira piano nel ricevitore. Quando parla, la sua voce sembra consumata dal suo stesso fiato.
- Metto giù. –
Matt spalanca gli occhi nel buio.
- Torna. Torna per spiegarmi. Torna. –
Matt sente qualcosa che potrebbe essere un ultimo respiro faticoso, un saluto disarticolato o un singhiozzo, poi soltanto un breve click.
 
 
 
The phoenix from the flames.
 
 
*
 
- Com’è stato? –
Matt aveva accavallato e disaccavallato le gambe, a disagio, tormentandosi le mani.
- Brian, per favore… -
- E’ solo semplice curiosità. – Il suo tono era disteso, diplomatico, quasi accademico. Quando aveva rialzato lo sguardo su di lui aveva incrociato il suo – e gli era sembrato il più disponibile del mondo, quasi come se stessero concludendo un buon affare. – Com’è stato? Meglio, peggio, uguale… -
- No. – Matt aveva separato le mani, stringendo forte il tessuto ruvido del divano fra le dita, e si era irrigidito d’improvviso. – Uguale no. –
Brian aveva esibito un’espressione stupita, quasi impressionata.
- Aaaah. Meglio, allora? –
Si era alzato, gli era venuto incontro lentamente, silenziosamente. Si era chinato su di lui, appoggiandosi allo schienale del divano con studiato languore, le braccia tremanti per lo sforzo e la stoffa tesa allo spasimo sui gomiti.
- Matt… E’ stato meglio?... – gli aveva soffiato sulle labbra, scandendo le parole come fossero una formula magica.
Matt aveva reagito d’istinto. L’aveva baciato, succhiandogli le labbra, e l’aveva attratto a sé con foga spasmodica. Non aveva mai provato sino a quel momento la paura di perderlo – la sensazione era spaventosa, orribile, soffocante.
Più forte lo stringeva, più gli sembrava che volesse sgusciare via. Solo quando fu dentro di lui si sentì tranquillo, al sicuro, protetto dal fantasma di quel dolore.
Brian teneva gli occhi chiusi, sussurrava il suo nome. Il pavimento era duro e Matt si chiese se gli stesse facendo male; ma non rallentò le spinte, non soffocò i gemiti, non fece nulla. Brian lo stava stringendo in maniera inequivocabile – lo sentì chiamarlo un’ultima volta e venne, sentendosi i suoi occhi addosso, la sua voce addosso, le sue mani addosso, senza riuscire a pensare a niente, senza voler pensare a niente.
Lo fece venire pochi istanti dopo, e lo strinse a sé con una dolcezza pura, che non aveva più niente del desiderio.
Brian calmò il respiro e lo guardò con aria testarda.
- Ti amo. – gli sussurrò Matt sulla pelle, la voce roca e sicura.
L’altro lo fissò a lungo prima di rispondergli. E lui sapeva cosa volevano dirgli quegli occhi brillanti.
 “Matt… E’ stato meglio?...”
- Ti amo. -
 
 
*
 
Hai detto di amarmi solo dopo avermi tradito.
Volevi essere sicuro che non ci fosse niente di meglio?
Volevi accertarti che il gioco valesse la candela?
Volevi un colpo di vita?
Volevi qualcosa di meglio?
Che cosa volevi, Matt?
 
Aprì gli occhi. La stretta del sogno gli sciolse pian piano il petto, e lui poté tornare a respirare.
Ma Brian stava fuggendo da sotto le sue palpebre.
 
Brian…
Ti volevo vicino.
Ti volevo vicino e tu non c’eri, perché eri in un altro continente, a suonare su un altro palco, in un’altra band.
Ti volevo vicino e non riuscivo a trovarti.
Nient’altro.
Ci credi che è stato solo per questo?
Ci credi?
 
 
*
 
You will learn.
 
 
 
 
Credeva che fosse stato il sole a picco sui suoi occhi a svegliarlo; invece, quando socchiuse le palpebre e registrò distrattamente il fatto di essersi tolto la camicia durante la notte, capì che un rumore di fondo gli stava perforando le orecchie.
Ci mise alcuni istanti per accorgersi che quel rumore di fondo era il campanello, e che il bip della segreteria telefonica stava andando avanti da chissà quante ore.
Guardò la porta. Da fuori, il baccano filtrava attutito, ma chi stava suonando teneva il dito pigiato con ostinazione e quel trillo fastidioso si spandeva nell’aria con facilità.
Matt ignorò la camicia buttata a terra e si avviò ad aprire.
Lui gli cadde quasi addosso.
- Ah!... –
Brian gli rivolse una minuscola, luminosa occhiata piena di sollievo, che si trasformò immediatamente in uno sguardo infuriato.
Matt si accorse che le sue mani tremavano, e che stavano a una curiosa distanza intermedia fra il proprio corpo e il suo. Come se si stessero trattenendo furiosamente dallo scattare in avanti.
– Cristo! Perché non rispondi? Ti ho chiamato ovunque, sto suonando da mezz’ora, la portinaia ha detto che ieri non sei mai uscito e avevo paura che ti fosse successo qualcosa. Temevo che… -
Si interruppe di botto. Matt non gli toglieva gli occhi di dosso. Non sapeva cosa fare, se crederci, sperare, o tentare di rallentare i battiti del proprio cuore.
 
You will rise.
 
- Temevi che avessi rischiato un’overdose, o che stessi meditando di tagliarmi le vene? – chiese, ironico. Voleva provocarlo, voleva prenderlo in giro: pensava davvero che fosse così disperato?
Cosa credeva? Che solo perché lui non c’era più, allora…
Brian digrignò i denti sotto le labbra diventate sottilissime.
- Non provarci nemmeno a scherzare su queste cose. –
Matt vide che era indeciso se andarsene o no, ora che la preoccupazione stava scemando e la rabbia prendeva il suo posto. E si spaventò.
- Vuoi entrare? – gli chiese, sforzando di tenere un tono calmo.
Non era facile. Tutto quel che voleva era tirarlo a sé e impedirgli di fuggire, e convincerlo a restare per sempre.
Brian lo guardava fisso. Sembrava combattuto, intimidito persino.
Matt si passò nervosamente una mano sul petto e notò che lui la seguiva involontariamente con lo sguardo.
- Scusa… Scusa se sono venuto ad aprire in questo stato. – Brian spalancò gli occhi, stupito. – E’ che… Si muore dal caldo, in casa. E io ormai dormo così. –
Brian mormorò qualcosa a mezza voce.
- Cosa? – domandò Matt, avvicinandoglisi più di quanto fosse adatto alle circostanze. Credeva che Brian si sarebbe allontanato di scatto – invece lui rimase immobile, e lo guardò da sotto in su attraverso le ciglia.
- Lo so. – disse, piano.
- Sai cosa? –
Brian emise un verso a metà fra lo spazientito e il riluttante e Matt sentì un calore famigliare avvolgergli lo stomaco.
- Lo so com’é casa tua. E so che dormi così. – Sorrise debolmente. - Lo fai sempre… Quando senti troppo caldo. –
Matt si chiese cosa sarebbe successo se l’avesse baciato, ora, sullo stipite della porta. Si chiese cosa sarebbe successo se lui l’avesse ricambiato, si chiese se avesse ancora lo stesso profumo, si chiese se fare l’amore con lui potesse essere ancora più bello di come lo ricordava.
Se lo chiese, e forse proprio perché perse tempo a chiederselo non fece nulla.
- Vuoi entrare? Ti… Ti preparo un caffè. – propose, abbassando lo sguardo. Non sarebbe stato in grado di reggere un eventuale rifiuto guardandolo negli occhi. Forse sarebbe crollato in ogni caso.
- Matt… Sono venuto per… -
La sua voce senza corpo lo raggiunse violenta come uno schiaffo. Rialzò gli occhi: sembrava turbato, o peggio ancora, sembrava impietosito.
- Lasciami fare almeno una doccia. – chiese, la voce tremante. Ricacciò indietro un singhiozzo e provò a sorridere. – Lasciami almeno essere gentile con te. –
Brian rimase titubante per un secondo ancora, poi gli passò oltre abbassando lo sguardo ed entrò in casa.
 
 
 
You’ll return.
 
*
 
Richiuse piano la porta e rimase fermo a guardarlo. Brian gli dava le spalle, e gettava sguardi incerti ai mobili, ai muri, a tutto quello che lo circondava.
Matt in quel momento voleva abbracciarlo. Soltanto abbracciarlo, perché per la prima volta da che lo conosceva, gli sembrava completamente sperduto.
- Vieni. – disse, sorridendogli con dolcezza. Gli prudevano le mani dalla voglia di toccarlo – ma non lo fece. Si limitò a mostrargli con un gesto la strada per la cucina, dove preparò la moka con i suoi occhi piantati nella schiena.
- Tra poco è pronto. – Si girò a fronteggiarlo: come immaginava, lo stava guardando fisso, sul viso un’espressione rigida. – Ci metto un attimo… Faccio una doccia e arrivo, sono impresentabile così. –
Brian si alzò con lentezza, gli si fece accanto e prese a rigirarsi una tazza fra le mani, annuendo impercettibilmente.
Matt aveva l’impressione che l’aria si fosse trasformata in qualcosa di viscoso e semi-solido. Muoversi sembrava un’impresa, camminare una fatica mai provata.
Allontanarsi da Brian, con la paura che lui potesse non esserci al suo ritorno bloccata in gola come un proiettile inesploso, una tortura.
Entrato in bagno si guardò timidamente allo specchio. Aveva i capelli spettinati e sudati, il petto pieno di macchie rosse a causa di quel maledetto tessuto urticante, e gli occhi pesti di sonno circondati da vistose occhiaie.
Si disse angosciato che aveva un’aria malsana. Sembrava contaminato da una qualche strana malattia e il caldo non aiutava a dargli un colorito decente – aveva la faccia paonazza e l’incarnato di gambe, braccia e torso di un colore latteo, pieno di irritazioni scarlatte.
Accese l’acqua, si bagnò una mano, rimase fermo a guardare le gocce dissolversi insieme ad altre gocce sul fondo di ceramica bianca.
Brian nell’altra stanza voltò la testa in direzione del bagno. Matt aveva girato il rubinetto – faceva sempre così, prima girava il rubinetto e poi cominciava a spogliarsi – ora si stava slacciando la cintura, si stava togliendo i pantaloni, le calze, i boxer, abbandonandoli sul pavimento senza nessuna cura, restando nudo di fronte allo specchio, di sicuro dimenticandosi, come al solito, di avvicinare l’accappatoio alla doccia, per poi lamentarsi una volta uscito come un bambino…
Per un attimo  l’impulso di raggiungerlo, di appoggiargli un asciugamano sul lavandino e di osservarlo sventolare una mano da dietro il vetro opaco per ringraziarlo non gli parve così folle.
Ma poi avvertì lo schiocco delle pareti scorrevoli e capì che Matt era sotto l’acqua.
E avvicinarglisi non gli parve più una buona idea.-
 
 
Being what you are.
 
*
 
Lavare via quella stanchezza umida e godersi quel getto d’acqua bollente in grado di chiudere per pochi minuti la canicola estiva nel mondo di fuori lo rilassarono.
Certo, toccarsi – anche solo per frizionarsi col sapone – con Brian a una stanza più in là era straniante. Gli sembrava che il suo corpo fosse diventato d’un tratto ipersensibile, in ogni sua parte.
Si chiese cosa stesse facendo mentre lo aspettava.
Molto probabilmente, si disse, si stava fumando una sigaretta; forse era seduto, a passarsi l’indice della mano occupata sulle labbra, respirando il fumo, con lo sguardo chiaro fisso sulla sua camicia buttata a terra.
Forse si era versato un altro caffè. Forse camminava in giro per la cucina o per il salotto.
Forse se n’era già andato.
Uscì in fretta dalla doccia e recitò rabbiosamente una sequela di insulti a mezza voce, perché come al solito si era dimenticato l’asciugamano. Si infilò i boxer, rabbrividendo di fastidio quando questi si attaccarono alla pelle bagnata, e sgusciò silenziosamente fuori dal bagno.
Raggiunta camera sua in due passi si asciugò frettolosamente con un lenzuolo, si cambiò i boxer, infilò il primo paio di pantaloni che trovò in giro e si mise una camicia.
Quando fece per tornare in salotto si scontrò con Brian, che stava entrando in quel momento dalla porta.
- Scusami. – fece subito lui allontanandosi con un gesto cauto, come chi non vuole spaventare un animale pericoloso. – Volevo capire dove fossi finito. –
Matt lasciò la presa sul suo braccio, che aveva stretto istintivamente.
- Scusami tu, ci ho messo troppo. –
Si guardarono. Entrambi lessero negli occhi dell’altro lo stesso, urgente messaggio: dobbiamo uscire immediatamente dalla camera da letto.
Brian si spostò di lato, ma Matt nonostante tutto sembrava non volersi muovere. Continuava a guardarlo, gli occhi azzurri che risaltavano grandi e lucidi sulla pelle ancora fresca e i capelli spettinati.
- Perché sei qui, Brian? – chiese sforzandosi di rendere il proprio tono di voce udibile.
L’altro non rispose subito: mise una mano sulla maniglia della porta, la fissò a lungo, poi rialzò la testa.
- Dopo la telefonata di stanotte, ti ho richiamato. – Sporse il mento, un’espressione sfacciata e presuntuosa sul viso. – Non so cosa volevo. Forse finire di ascoltare quello che avevi da dirmi. Forse sentire la tua voce per l’ultima volta. Forse parlarti. Non lo so. – Si morse un labbro, facendo una pausa per guardarlo spavaldo. – Ti ho richiamato, e ho ringraziato Dio ad ogni squillo che rimaneva senza risposta, perché il tuo silenzio mi liberava da quello stupido capriccio. Ho messo giù e ho tentato di riaddormentarmi: non ci riuscivo. – Gli si avvicinò di un passo, stringendo i pugni.
– Ripensavo alla tua voce che mi supplicava di tornare, ripensavo al modo in cui si era rotta… La tua voce, che non si rompe mai. – Una smorfia di fastidio gli attraversò il volto e Matt arretrò istintivamente, sentendo le gambe urtare contro il letto. – Ho pensato che forse stavi soffrendo. Ma non lo potevo sapere per certo - tu non mi hai mostrato dolore, o vergogna, o disagio, o pentimento… - Il suo tono si tinse di amaro, e il suo sorriso era una vera e propria offesa. – Come potevo saperlo?... Non potevo. Ma volevo venirne a capo. Così ti ho richiamato, una volta, due volte, tre volte, e tu non hai mai risposto. E così continuavo a pensare che non sapevo com’eri fatto, quando soffrivi, se piangevi o prendevi a pugni i muri o bevevi fino alla nausea o raccattavi in giro qualche schifezza per dimenticare il dolore anche solo per un attimo. -
Matt non distolse lo sguardo dal suo. Era impietrito – non si sentiva più le braccia, né le gambe.
Brian rise acido, galvanizzato dal potere che sentiva di esercitare in quel momento. Il caldo sembrava volerli schiacciare al suolo e rallentare ogni fruscio dei loro vestiti, ogni loro parola, ogni loro pensiero.
- Mi sono accorto che di te in fondo sapevo poco e niente, a parte i modi in cui ti piace scopare. Non avevo la minima idea di come tu stessi affrontando quel momento, se nel modo sano o quello sbagliato - il mio modo.... E tu non rispondevi. Ho continuato a chiamarti per ore, pensando che potessi aver fatto qualche stronzata, sentendomi terribilmente in colpa, e maledicendomi perché non hai nessun diritto di farmi sentire in colpa – non ce l’hai. –
Avvicinò il viso al suo, aggrottando la fronte per guardarlo meglio, più a fondo che poteva.
- Capito?... –
Matt continuava non muoversi. Le labbra di Brian presero a tremare.
- Non ce l’hai. –
Matt socchiusa la bocca per parlare.
- Io non ho nessun diritto su di te. – sussurrò faticosamente, come se quelle parole gli costassero care.
Brian annuì, allargando gli occhi e annuendo esageratamente soddisfatto.
- Esatto. –
- Ma tu credevi di averne su di me. – continuò Matt, alzando la voce. – Giusto? E sei rimasto deluso, quando hai capito che non era vero. – Fece per toccarlo; Brian si scostò. – E’ questo il motivo per cui te ne sei andato? E’ per questo che ti ho ferito? –
Brian emise un verso carico di disprezzo.
- Tu non mi hai ferito. Tu mi hai nauseato. Quando mi sono reso conto che mi trattavi come una qualsiasi scopata, avendo pure il cattivo gusto di abbellire la cosa, per soddisfare il tuo egotico bisogno di artifici consolatori… Mi hai disgustato. -
Matt vide che era impallidito dalla rabbia. Gesticolava senza freno, la stoffa della camicia che gli tremava sul petto, i capelli scomposti che il caldo aveva contribuito a schiacciare sulla sua pelle.
- Io sono uno schifo con le persone spesso e volentieri, Matt, ma non sono un’ipocrita. Do alle cose il loro giusto nome e le consumo fino in fondo. Non mi attacco all’altro come un parassita auto-compiaciuto, e non lo riempio di bugie! –
Matt lo afferrò per un braccio, cercando di farlo smettere di tremare.
- Se mi sono attaccato a te – disse, frenetico, - è perché ti amo. E sei l’ultima persona al mondo che vorrei sfruttare... –
Gli prese il viso fra le mani. Brian gliele strinse fino allo spasimo, gli occhi lucidi, ma subito le coprì con le proprie e le tolse dalla propria faccia.
Matt per rabbia gli afferrò un braccio e strinse la presa attorno al polso che sapeva nascondere il livido, come un orrendo segreto.
- Anch’io sono uno schifo con le persone, Bri. – Strinse ancora di più, ma non appena sentì il suo gemito di dolore lo lasciò andare. – Specialmente con quelle a cui tengo. Perché spesso quando provo qualcosa di forte vedo solo me stesso, e tutto quello su cui so concentrarmi è la mia felicità. –
 Lo osservò mentre si accarezzava il polso ferito, le labbra pallide e sottilissime.
– Così non mi accorgo mai del male che faccio. – concluse, guardandolo pieno di vergogna.
Brian sbatté le ciglia più volte sugli occhi lucidi di lacrime. Sembrava esausto, e respirava a fatica, i polmoni compressi dall’afa e le gambe che sembravano accusare tutto il peso di quel discorso.
- Ero… Così innamorato di te – mormorò, abbassando lo sguardo come se pronunciare quelle parole gli provocasse un dolore di cui si vergognava, - che quando mi hai tradito, e me l’hai detto, volevo solo riaverti indietro. Volevo solo riconquistarti, anche solo per un attimo, anche solo per dirti addio. Credevo che non mi avresti più voluto, ma tu mi hai baciato, e abbiamo fatto l’amore, e io pensavo che dopo finalmente saresti sparito, e mi sono detto “meglio che finisca così, meglio non avere niente da rovinare”… Ma poi tu mi hai detto che mi amavi. – Inghiottì un singhiozzo, passandosi entrambi le mani dei capelli per ravviarli indietro, lo sguardo fisso sulla finestra accanto al comodino, come in cerca di un po’ d’aria e di una via di fuga. – E io volevo crederci. Volevo crederci così tanto, e allo stesso tempo volevo scappare, perché sapevo che non era vero… -
- Era vero! – si arrabbiò Matt, alzando la voce. Brian scosse la testa e una lacrima gli scivolò lungo la guancia, malgrado tutti i suoi sforzi per trattenerla.
- Era solo un rimorso della tua coscienza che non mi avresti mai esternato. Esistevi solo tu – io ero l’oggetto passivo di un sentimento che ti dava tutte le soddisfazioni che potevi desiderare. Ho cercato di accontentarmi, pur di starti vicino… Ma un giorno ho capito che non sarei più riuscito a guardarmi allo specchio. – Pianse in silenzio, asciugandosi ogni lacrima che gli attraversava il viso, man mano che veniva fuori. – Mi sono odiato come non mi capitava più di fare da tanto tempo. –
- Io ero innamorato di te. – ripeté Matt, dolorosamente testardo. Brian gli rivolse uno sguardo incolore. – Se tu mi avessi detto che eri infelice… -
- …Non avresti capito. – sussurrò Brian, stanco, voltando la testa.
Matt strinse i pugni.
- Posso capire ora. Posso ancora renderti felice. Voglio renderti felice, e nel modo che tu desideri. –
gli disse con voce vibrante, avvicinandosi a lui fino a mettergli le mani sulle spalle.
Brian tentò di scostarlo ma rinunciò subito, sconfitto, arpionando mollemente  le mani alla sua camicia.
- La felicità che mi prometti non varrà mai il dolore che ho provato. – sussurrò, stringendo febbrilmente la stoffa fra le mani. – O verrà sostituita dopo poco da altro dolore. Non ne vale più la pena… Non c’è mai stato niente da salvare. -
Matt gli accarezzò il collo con i pollici e lo forzò ad alzare il mento.
- Ripetilo, se ci credi veramente. – gli intimò, lento, rafforzando la presa sul suo viso. Gli occhi di Brian si accesero in un moto d’orgoglio di una rabbia sconsolata. – Ripetilo, e ti lascio andare, e ti do ragione su ogni cosa, e sarai libero di avere da chiunque ti sembri più adatto di me la felicità che ti meriti. –
Brian continuò a fissarlo con rancore disperato, affondandogli le unghie nella camicia.
Matt si premette contro di lui.
- Ripetilo. – gli sussurrò sulle labbra, terrorizzato che quel silenzio si rompesse da un momento all’altro.
Brian tenne gli occhi spalancati come un animale in trappola mentre Matt gli si avvicinava, un centimetro alla volta, attento a ogni sua minima reazione, a ogni suo gesto di rifiuto. Ma Brian continuò semplicemente a cercare il suo sguardo, e capì che quello di Matt non avevano un’ombra di sicurezza, e vide che lo pregava così come le sue parole. Quando lui gli sfiorò le labbra in un tocco impercettibile rimase immobile, le braccia ancora rigidamente frapposte fra di loro, e chiuse gli occhi. Matt rilasciò la presa sul suo collo e lo baciò ancora, pieno di riverenza, socchiudendo le palpebre in adorazione.
Brian ricambiò il terzo bacio con la paura che gli faceva tremare le gambe.
Faceva caldo, e a entrambi girava la testa, e a entrambi i vestiti sudati stavano scomodi.
Matt gli morse delicatamente le labbra e abbassò le mani a cingergli la schiena con delicatezza. Non voleva forzarlo in nessun modo – non lo voleva più. Lasciò che lui gli mettesse le braccia al collo con un movimento prudente e solo allora gli passò una mano fra i capelli, stringendolo piano a sé con il cuore che gli sfondava il petto.
Da lì in poi, voleva che decidesse lui.
 
 
 
 
 
 
 
There’s no other Troy
For you to burn.
 
“Troy”, Sinéad O’Connor
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: immagino che si sia capito che qui da me si muore di caldo *rilegge la storia* perché mi sembra di aver inconsciamente ribadito il concetto almeno venti volte XD
In realtà, inconsciamente fino a un certo punto. Ero partita con l’intenzione di affiancare il senso di soffocamento dato dall’afa a quello più metaforico dello stato d’animo dei due protagonisti – in particolare, Matt è venuto fuori particolarmente sudaticcio e sciupato e sofferente <3 Quanto mi è piaciuto descriverlo rotolarsi nell’angoscia, all’inizio <3 *abbraccia emo!Matt*
Fondamentalmente, almeno secondo me, questa è una storia sull’incomprensione. Sul non voler capire l’altro o non riuscire a capire l’altro, perché si è troppo felici o depressi o egoisticamente innamorati per farlo. E poi c’è un’abbondante dose di rimorso e presa di consapevolezza, credo, e di volontà di miglioramento – oltre a del sano self-loathing che, si sa, è così divertente da descrivere XD
La fine in origine doveva essere happy, ma molto happy, della serie saltiamoci addosso e facciamo pace nella maniera che ci piace di più – ma visto che il rapporto sessuale a seguito del tradimento di Matt è così negativamente centrale nella storia ho finito per credere che fosse un po’ forzata, come soluzione, e decisamente non adatta. Mi sembrava tutto un po’ troppo facile, ecco è_é, e me ne sono accorta proprio mentre stavo cominciando a buttar giù il tutto: mi sono bloccata e senza neanche pensarci troppo ho cancellato un buon venti righe di quel che avevo scritto.
La fic finisce quindi con il momento subito precedente al fattaccio, e a questo punto mi sono resa conto di aver sputtanato il finale aperto perché, beh, ho detto come va a finire davvero XDDD, ma fa niente. Questa era nata per essere una storia che finiva bene – ansiogena, triste e depressa, ma a lieto fine, quindi va bene così. Il momento della riappacificazione doveva essere delicato, lento, disinteressato, pieno di paure idiote (XD) e in forse fino all’ultimo, o almeno è così che me l’ero immaginato io.
P.S. Ultima robina idiota e poi giuro che la smetto *-*
Sono particolarmente soddisfatta della parte della doccia. Non so perché, in fondo è piccola, accessoria e fondamentalmente inutile, ma mi piace un sacco <3
Mi sono invece scervellata sul passo del livido di Brian, ma non su tutte le pippe metaforiche mica metaforiche del dopo – no, proprio sul modo in cui se l’era fatto XD, perché mentre ero in fase di scrittura la cara genderblender, che gentilmente mi ha betato la storia,  mi ha fatto notare la ridicolaggine di un Brian che cadeva in bici.
Ci siamo messe in due a cercare di cavar fuori cause più plausibili, ma dopo i tappeti elastici di Cody, lo schiantarsi di Brian contro i mobili di casa sua e le cadute dagli unicorni (…?!) abbiamo desistito XDDD Bici era, bici è rimasta, e se fa ridere meglio che almeno si respira un attimo :D
P.P.S. Me ne vado, me ne vado, me ne vado!, ma prima consiglio a chiunque voglia mai sentire la canzone che dà il titolo a questo giga-dramma la stupenda versione acustica che Sinéad O’Connor ha offerto al pubblico durante  il Pinkpop del 1988. Su youtube salta fuori subito :)
 
Tanti saluti a tutti, e grazie a chiunque leggerà :***

 

   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > MultiBand/Crossover / Vai alla pagina dell'autore: nightswimming