Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel
Segui la storia  |       
Autore: unleashedliebe    23/08/2011    10 recensioni
2008, il tour dei Tokio Hotel viene interrotto a causa dei problemi alla gola del cantante Bill Kaulitz.
“-Tu sei musica- sussurrai guardandolo negli occhi, mentre il suo viso si apriva in un sorriso innamorato.
-Sembri un’illusione- sussurrai. -Sono qua, al tuo fianco- mormorò caldo, rabbrividì.
-Sei bello, troppo. È normale domandarsi se esisti veramente, sai? Tanta perfezione in una persona non è ammessa. Tu, tu sei l’eccezione alla regola Bill-"

L’amore colpisce all’improvviso, non si è padroni di scegliere la persona di cui ci si innamora, succede e basta. Questo Bill e Mel lo sanno bene.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

ADL

CAPITOLO II (I)




Era da qualche giorno che alla Kölner Klinick c'era un po' d'agitazione, probabilmente sarebbe arrivato qualche nuovo personaggio famoso, magari con problemi di alcool o anoressia, come le ultime stars finite in quei reparti. Io non mi capacitavo di tanto nervosismo: erano pur sempre persone coi loro problemi e se erano disposti a pagare migliaia di euro forse volevano essere lasciati in pace, senza vedersi stendere davanti tappeti rossi o ricevere trattamenti di favore. Non era dato sapere il nome dei nuovi pazienti, ma giravano voci fosse un cantante di una band abbastanza famosa in Europa: secondo Martha, una ragazza malata di anoressia, era il leader dei Tokio Hotel.

-Ho sentito dire da Adele, la ragazza della 135, che dovrebbe trattarsi di Bill Kaulitz- mi informò con voce complice.

-Bill che?- fu la mia brillante risposta, mai sentito.

-Non conosci il mitico BK? Neanche il suo gruppo? Da due anni a questa parte spopolano in televisione!- era sorpresa. Capì come mai non ne avevo mai sentito parlare, mi trovavo in quella clinica dal 2005 - a causa della mia malattia - e non ne ero ancora uscita, quindi i contatti col mondo esterno erano scarni. Feci spallucce, l'argomento mi lasciava indifferente.

-E' incredibile non sappia chi è! Dovresti proprio vederlo, è bellissimo!- Esclamò scuotendo i lunghi capelli biondi, quasi con la bava alla bocca -Ma dove vivi?- Quella che doveva essere una battuta, mi scalfì più del dovuto e se ne accorse, lanciandomi un'occhiata di scusa.

-Non ti preoccupare- feci noncurante io, -Ora esco un po', ci vediamo più tardi-

Mi recai nella camera che occupavo da tre anni, ormai la ritenevo mia. Indossai un paio di jeans e un maglioncino, mettendo poi un berretto per coprire i segni che la malattia aveva lasciato su di me. Mi guardai velocemente allo specchio, che rimandò l'immagine di una ragazza diciassettenne, dall'aspetto troppo magro e pallido, occhi grandi e azzurri ma senza particolare luce, capelli? Erano castano scuri, ricci. Prima. Sbuffai insoddisfatta di me e di quello che mi stava attorno. Scossi la testa, ormai mi ero arresa alla realtà, e salì verso il tetto della struttura: era il luogo che preferivo soprattutto perché non c'andava mai nessuno.

Mi appropriai della solita panchina di legno e rimasi lì a fissare un punto indefinito davanti a me; era appena iniziato marzo, stava per finire l’inverno, l’aria era ancora fresca e mi solleticava le guance, facendole arrossire. Non c’era un gran che da guardare, la struttura si trovava in una zona poco abitata per garantire discrezione agli ospiti; odiavo quel posto, pieno di gente viziata e quasi simile a una prigione di lusso. I miei genitori erano ricchi, entrambi attori di teatro – ciò spiegava il mio nome particolare, giravano il mondo tutto l’anno e avere una figlia come me era stata, oltre che una fonte di tristezza, anche delusione: sognavano di crescere una cantante, magari un’attrice, invece si ritrovarono una ragazza fragile, malata, senza particolare interesse per il mondo dello spettacolo, a cui piaceva soltanto scrivere.

Da tre anni vivevo lì, incontrandoli sporadicamente, in occasione delle feste e raramente per il mio compleanno; non potevo biasimarli, chi avrebbe voluto un peso del genere? Li potevo capire benissimo, stare vicino a una persona malata era particolarmente faticoso, soprattutto per loro che amavano viaggiare e la vita sotto i flash. E io, in quel mondo, non centravo nulla.

Fissai le mie vecchie converse, tutto attorno a me era statico, nessun movimento se non il frusciare delle foglie a causa del vento. A interrompere l’immobilità fu il rumore causato dalla porta del terrazzo che si apriva, mi girai per vedere chi stava arrivando, di solito sopra lì non veniva nessuno; notai la figura di un ragazzo venire verso di me, con passo leggero e insicuro. A giudicare dalla sua magrezza, il mio primo pensiero fu che fosse un nuovo arrivato nel reparto per anoressia. Non riuscì a vedere il suo viso, poiché era coperto da un paio di costosi occhiali da sole e un berretto. Mi indicò il posto affianco a me, mi spostai lasciandolo sedere; lo guardai di sottecchi, non aveva detto una parola, mi inquietava.

-Sei nuovo? Non ti ho mai visto qui- domandai con voce lieve, mi osservò a sua volta, soffermandosi un po' troppo sul cappello che avevo in testa. Rispose annuendo. Piuttosto di  sottostare a quel silenzio imbarazzante avevo optato per iniziare un minimo di conversazione.
-Perchè non parli?- alla mia domanda si indicò la gola, mi ero sbagliata quindi, non era anoressico.
-Logopedista suppongo- confermò la mia ipotesi. -Beh, io sono Mel- gli diedi la mano, rispose sorridend un poco. -Mi sento un po' stupida a parlare da sola. Aspetta..- frugai nella borsa, tirando fuori la mia agenda e la mia penna, gliele porsi. -Almeno puoi rispondere, se vuoi- Le accettò e scrisse con una bella calligrafia, dai tratti eleganti. "Tu perchè sei qui?" Non rimasi stupita dalla domanda, ero abituata mi venisse posta, ormai pensavo fosse chiaro il motivo, probabilmente me l’aveva posta per educazione.
-Leucemia linfoblastica acuta- il mio tono era neutro,  ormai parlare della mia malattia non mi faceva più effetto. Era automatico.  -Comunque, sarebbe carino se ti presentassi anche tu- Sotto le lenti vidi il suo sguardo farsi preoccupato -Mh, se non vuoi non fa nulla, capisco voglia mantenere l'anonimato- gli sorrisi tranquillizzante, ricambiò e scrisse il nome sul foglio. "Bill" Lo fissai corrucciata, allora ciò che m'aveva detto Franziska era vero!

-Sei il cantante dei T..T.. scusa mi sfugge il nome!- Alzò un sopracciglio, annuendo. Era davvero cos famoso, considerando lo stupore capendo non sapevo chi fosse. Che imbarazzo!
-Oh, okay. Se devo essere sincera non conosco il tuo gruppo. Sono qui da tre anni e sono un po' estranea alle novità musicali- spiegai. Scosse la testa e si sfilò gli occhiali, ormai avevo capito chi era, tanto valeva togliere impedimenti. Che occhi bellissimi, fu la prima cosa che pensai. Erano di un nocciola intenso, espressivi. Percepì una certa inquietudine, ben nascosta dal suo sorriso.
"Tokio Hotel, comunque. Mai sentito una nostra canzone?- scrisse sul foglietto .
-No, è così grave?- chissà quante cose mi ero persa, da quando ero chiusa lì.
“Oh beh, sì! Scherzo, ormai sono abituato a essere riconosciuto ovunque ;) ”
-Chiedo venia! Appena torno in camera scarico qualcosa di vostro allora!- gli feci un sorriso, mi guardò leggermente allarmato e cupo, scrivendo velocemente sul blocchetto.
“Aspetta, mi sono stancato di scrivere, non sono abituato! Non vado neanche più a scuola. Prendo il cellulare e scrivo lì” Frugò sulla tasca, trovandola vuota, sbuffò allora gli porsi il mio telefono, ultimo regalo di mio padre per far perdonare la sua assenza. Ricambiò il sorriso a mo’ ringraziamento.
“Non voglio che ascolti le nostre canzoni, perché non so se riuscirò a cantare.. dopo. Quindi preferisco non ci conosca affatto, considerando fra un mese forse non potrò più salire su un palco”
Ora capivo il perché della sua tristezza, cantare era il suo sogno, lo aveva realizzato e rischiava che tutti gli sforzi fatti finora per raggiungere il suo traguardo risultassero inutili.
-Non farti tanti problemi: questa struttura ha i migliori medici, andrà tutto bene vedrai- sembrava la situazione si fosse capovolta, non avevo mai detto quella frase a nessuno, tante volte però era toccato a me sentirla prima di un’operazione importante e sempre l’avevo trovata terribilmente falsa e inutile. Io però con Bill ero stata sincera. Aveva bisogno di essere rassicurato, per capirlo era bastato uno sguardo a quegli occhi smarriti.
-Oddio, sembra una frase fatta “andrà tutto bene”, ma lo penso davvero, avere un po’ di paura è normale, ci sono passata.. e ci passo ancora-
Muoveva le dita velocemente sulla tastiera del telefono, si vede che era abituato a usarlo, al contrario io non ero per niente pratica, visto che non conoscevo nessuno con cui tenermi a contatto.
"Grazie. Così è da tanto che sei qui?”
-Tanto, troppo tempo. Da quando avevo quattordici anni, non sono quasi più uscita- risposi guardando per terra, sorridendo tristemente.
“Perché non esci?” Immaginavo l’avrebbe chiesto.
-Non ho nessun motivo per uscire- scossi le spalle, -Cavolo, mi sembra di parlare da sola così- dissi per cambiare discorso.
“Stai parlando da sola, in effetti”
-Grazie Bill, davvero! Sta zitto va!- alzò un sopracciglio all’affermazione sta zitto, uscita involontariamente. –Scusa, è scappata!- ridacchiai. –Ora devo andare, altrimenti rimango senza cena, e anche tu sai? Alle diciannove puntuale bisogna essere nelle stanze, non ti sei ancora letto il regolamento eh?-

Fece un sorriso colpevole. Armeggiò un secondo col cellulare e poi me lo ridiede.

Grazie per la chiacchierata, credevo fossero tutti antipatici qui, hanno certe facce non incoraggianti! E’ stato un piacere conoscerti Mel” trattenni un sorriso, che gentile.
-In effetti non è facile fare amicizie qui-, infatti io non conoscevo nessuno, ma evitai di dirlo, -è stato un piacere anche per me Ka..Kaki..Kau, o non me lo ricordo scusa!- borbottai imbarazzata, riprese il telefono e digitò “Kaki è carino dai! (: KAULITZ comunque! Non è così difficile, puoi farcela!” Ridacchiai.
-Allora ti chiamerò Kaki! Almeno mi distinguo dalla massa!- gli feci l’occhiolino e tornammo all’interno della clinica, inconsapevoli che, da quella chiacchierata, tante cose sarebbero cambiate..


* * *


Tornai in camera mia con un sorriso stampato in volto, la chiacchierata col cantante mi aveva lasciato addosso di leggerezza che da tanto non provavo. Quando avevamo parlato? Non molto, ma ciò era bastato per farmi stare un po’ meglio; Bill Kaulitz era indubbiamente carismatico e bellissimo, nonostante avesse il viso stanco e decisamente provato trasmetteva euforia anche senza usare le parole. Non osavo immaginare cosa riuscisse a fare con la sua voce, cantando. Ero curiosissima, appena saputo chi fosse una strana voglia di accendere il computer e scaricare la discografia dei Tokio Hotel mi aveva assalita, non potevo farlo però, l’avevo promesso. Soffermai lo sguardo sul mio cellulare, maneggiato da lui, tante ragazze sarebbero impazzite al pensiero, io no: ero diversa, strana. Il mio carattere era decisamente inusuale, ciò era dovuto a tutto quello che avevo passato, all’epopea che ero costretta a vivere da quattro anni ormai. Entrare in una clinica e non uscirne più, vedere le tue amiche sparire una dopo l’altra, i tuoi genitori venirti a trovare più raramente, lo sguardo compassionevole della gente di fronte al mio aspetto gracile, fragile. Guardandomi allo specchio vedevo una ragazza non ancora diciottenne, pallida, inconsistente; un metro e settanta e quarantacinque chili distribuiti malamente per il corpo. Un fantasma.

Distolsi lo sguardo dalla mia immagine riflessa, sentendo la pesantezza tornare a invadermi. La mia vita mi appariva inutile, non avevo prospettive, sognavo, quello si;  personalità pratica, preferivo perciò non fare troppi castelli, sapendo che sarebbero crollati uno dopo l’altro, facendomi soffrire, come sempre.

Ormai, ero abituata.

Poggiai una mano sulla fronte, rabbrividì al contatto, ero sempre fredda. Morta. Mi posizionai stancamente sotto le coperte, dopo aver levato i vestiti e indossato la vestaglia fornita dalla clinica. Tirai il lenzuolo fino alla vita e mi appoggiai alla spalliera del letto, prendendo il quadernetto dalla borsa, cercando di scrivere qualcosa. Scrivere, ecco la mia passione. Fogli su fogli, inchiostro su cellulosa, emozioni impresse. Lo aprì su una pagina vuota, coprendola con la mia calligrafia lieve.


“Oggi ho conosciuto un cantante, triste.
L’ho capito guardandolo negli occhi, nonostante tentasse di sorridere.
Ha paura di perdere la voce, e ora che ci ho ‘parlato’, ho paura anche io per lui.
Deve essere terribile vedere il proprio sogno infrangersi, io probabilmente non potrò capire.
Perché io, un sogno vero e proprio, non l’ho più.
Perciò mi aggrappo al suo, sperando che a lui vada meglio.
Ha gli occhi nocciola, un colore banale insomma. Ma così bello su quel viso pallido,
circondato da lisci capelli neri. E le sue mani? Così delicate, nate per sfiorare, cullare.
Residui di smalto nero, ho visto. Chissà com’è quando si esibisce su un palco.
Penso un mostro.
Ha cambiato la mia giornata in dieci minuti, scommetto che con un’esibizione
di un’ora cambi la vita di migliaia di ragazze.
Mi sento stupida, quel ragazzo mi ha davvero colpita.
Ho voglia di incontrarlo. Perché?
Mel


Interruppi la scrittura dopo aver guardato l’orologio, erano da poco passate le diciannove, quindi la cena stava per essere servita; due minuti dopo l’infermiera fece il suo ingresso nella stanza.

-Buonasera Mel, come stai?- mi sorrise Rossella, era lei che si occupava dei miei pasti da quando ero arrivata nella clinica; era una bella donna di trent'anni, occhi castani e lunghi capelli rossicci.
-Ciao Rossella! Tutto bene, sono un po' stanca- le sorrisi, sistemandomi meglio sul letto.
-Capisco, poi da stamattina tutti erano agitati per l’arrivo della nuova star!-
-Oh si, l’ho conosciuto!- si fece attenta, fissandomi accigliata.
-Davvero? Quando? Come? Perché? Dimmi tutto!- si sedette di fianco a me, mentre la fissai accigliata.
-Non dovresti lavorare tu?- mi guardò con sufficienza.
-Tu sei l’ultima del giro cara Mel! Quindi posso permettermi un po’ di gossip!- strizzò l’occhio.
-Non pensare chissà cosa, l’ho incontrato nel tetto, e abbiamo ehm, “parlato” un po’- mimai sulla parola parlato, non era il termine più appropriato.
-E’ un bel ragazzo vero? Ho visto delle sue foto su una rivista di mia nipote, ha uno stile molto particolare-
La guardai un attimo confusa, a me sembrava ordinario, se non per lo smalto e gli abiti stretti.
-Aspetta, tu hai mai visto una foto della band prima?- domandò, io negai. –Ah, adesso si spiega tutto! Quando vedrai capirai, sono contenta ti sia fatto un amico!-
-Oddio.. amico mi sembra esagerato, abbiamo solamente conversato, non lo conosco bene. Dieci minuti di conversazione non bastano per conoscere qualcuno-
-Starà qui per un mese, avrai tutto il tempo!- mi lasciò un’occhiata maliziosa, prima di salutarmi e andarsene.
Sbuffai, la donna era simpatica ma quando si comportava così non la sopportavo proprio! Scossi la testa, dedicandomi al piatto di fronte a me, una bellissima minestra da uno strano e inquietante color verdognolo, arricciai il naso involontariamente: già ero magra per colpa della malattia, se poi mi davano da mangiare delle schifezze del genere tanto valeva trasferirmi nel reparto delle anoressiche! Cercando di trattenere la repulsione, portai il cucchiaio alla bocca, scottandomi un poco e maledicendo i cuochi mentalmente. La clinica costava un occhio della testa, poteva anche cucinare qualcosa di meglio!

Lasciai il piatto a metà, poggiandolo sul comodino. Ignorando la stanchezza frugai nell’armadio e recuperai una vecchia tuta, indossandola velocemente. Presi la borsa e, cercando di non farmi vedere, scesi al primo piano, destinazione macchinette. Infilai le monetine all’interno e uscì un buonissimo pacchetto di patatine. Mi girai per tornare indietro ma mi scontrai contro qualcosa, anzi, qualcuno. L’impatto non era stato violento, visto che ero andata addosso a un altro scheletro come me; mentre recuperai l’equilibrio alzai lo sguardo, fissando sorpresa colui che avevo davanti: Bill.

-Ehi Kaki! Che ci fai qui?- domandai stupidamente, non potevo aspettarmi una risposta. Stavolta né io né lui avevamo portato il cellulare, quindi la comunicazione era impossibile, ma capì lo stesso: indicò la sua pancia e poi il cibo delle macchinette, facendomi sorridere.
-Già, provato la minestra? Che schifo! Bella cena di benvenuto quindi- gli sorrisi. –Se vuoi prendere qualcosa di consiglio o patatine o barrette di cioccolata, il resto è da buttare, non ti consiglio di provare-
Mimò un grazie, andando a scegliere cioccolato. Rimanemmo in silenzio, io sgranocchiavo e lui anche.
-Beh, è meglio che vada ora, domani giornata pesante- scrollai le spalle. –Buonanotte Bill- dissi alzandomi e sorridendo, ricambiò il gesto e ci dirigemmo verso le rispettive stanze.

Con lo stomaco un po’ più pieno, tornai a scrivere, ispirata grazie all’ultimo incontro avuto.


’L’ho visto ancora. Fato? Coincidenze?
Non lo so, però è stato un incontro piacevole.
Bill è piacevole.
Mi fa sorridere il cuore,
pensavo d’aver dimenticato come si facesse.
E invece..”

Lasciai la frase sospesa, non sapendo come continuare. Tutto ciò non era da me, assolutamente. Mi infilai meglio sotto le coperte lasciandomi invadere dal calore che filtrava attraverso esse; recuperai l’ipod dal cassetto di fianco al letto, facendo partire “Mondnacht” di Schumann. L’amore per la musica classica me l’aveva trasmesso mia madre, la quale mi aveva anche insegnato a suonare il pianoforte, studio continuato per cinque anni, finché non mi fu diagnosticata la malattia, da quel momento fui costretta ad abbandonare anche quel dolce strumento dai tasti d’avorio che tanto amavo.

Lasciandomi cullare dalla melodia mi addormentai.

Fui svegliata dal suono proveniente dalla sveglia, erano le otto e io avevo decisamente sonno. Sbuffai spegnendola e alzandomi di malavoglia. Mi spogliai velocemente, facendo poi una doccia breve. Dopo aver indossato un cappellino e una tuta rigorosamente nera scesi nella stanza comune per la colazione.

La clinica offriva sia la possibilità di farla in camera, sia insieme con gli altri ospiti, io avevo optato per la seconda in quanto mi piaceva osservare la gente, guardare come si comportavano: mi faceva sentire meno sola. Mi recai in un tavolo abbastanza isolato, venendo poi raggiunta da Martha e Charlotte, con dei vassoi contenenti solo due fette biscottate.
-Wow, proprio affamate- costatai, loro mi sorrisero contemporaneamente, colpevoli. Scossi la testa mentre loro osservavano scettiche il mio, contente un croissant alla marmellata, tazza di cioccolata calda e anche fette biscottate con nutella.
-Non guardatemi così, ho una giornata pesante- mi difesi io.
-Cioè?-
-Stamattina ho lezione, oggi pomeriggio terapie- annuirono.

Mangiai tutto in fretta, ogni tanto lanciavo occhiate alla porta per vedere se Bill arrivava o meno. Probabilmente morivano dalla curiosità di vederlo dal vivo, non immaginavano neanche io ne avessi avuto l’occasione, per ben due volte. Non si presentò, ammisi che mi dispiacque. Inaspettatamente sentì il mio cellulare vibrare, nessuno mi scriveva mai, perciò pensai fosse un messaggio inviatomi dall’operatore telefonico, invece rimasi piacevolmente stupita.

“Ieri ho chiamato col tuo cellulare il mio, così mi sono salvato il tuo numero, spero non ti dispiaccia! (;
Non sono sceso per la colazione, mi sono svegliato troppo tardi, non sono un tipo mattiniero! Hai qualcosa da fare oggi? Perché prevedo una giornata noiosa - Bill”

Era un modo velato per chiedermi di fare qualcosa con lui? La mia risposta sarebbe stata ovviamente positiva, purtroppo però non si poteva fare nulla, visto ciò che mi aspettava.

“Mi sento onorata ora che ho in memoria il numero di Bill Kaulitz!

Oggi mi aspetta un giorno abbastanza pesante, non vedo l’ora che finisca guarda.”

Non dovetti attendere molto per la risposta, era molto veloce.

“Sei occupata? Peccato, mi sarebbe piaciuto vederti!
Anche stasera non puoi?”

Mi si stampò un sorriso in volto, non ero l’unica ansioso di incontrarlo quindi!

“Stasera no, solamente finisco la terapia alle cinque.
Dopo rischio di addormentarmi in piedi, quindi a tuo rischio e pericolo!
Se vuoi puoi venire in camera mia, almeno se cado addormentata non dovrai faticare
per portarmi a letto!”

Rileggendo ciò che avevo inviato, mi accorsi sembrasse un po’ ambiguo, non mi feci tanti problemi, Bill mi sembrava un ragazzo troppo dolce per pensare ci fossero doppi sensi, e anche lui aveva capito che io non ero una ragazza facile o troppo aperta.

La risposta non si fece aspettare, mi rispose sarebbe venuto in camera mia alle sette, io avevo proposto di cenare insieme dopo, e lui aveva accettato.

Per la prima volta affrontai lo studio con un sorriso, grazie a lui.

* * *



NdA: Eccomi qua con il secondo capitolo di ADL, in cui compare la protagonista, Mel.  Mi scuso per non aver postato prima, ma sinceramente mi mancava la voglia per fare la formattazione del capitolo, LOL; inoltre sono messa malissimo con i compiti, non penso di riuscire a finirli ò_ò
E ora mi chiedo, c'è qualcuno che è bravo in matematica? Equazioni, disequazioni, parametri? No perché se qualcuno riuscisse a farmi gli esercizi di questa bellissima materia sarei disposta a inviargli tutta questa storia in cambio *disperazione mode on* e sono seria ò.o.
Detto questo, ringrazio chi ha recensito il capitolo scorso e chi ha messo questa storia tra le seguite/preferite/ricordate! *-*
Spero vi piaccia anche questo, un commento non fa male :D
Unleashedliebe

   
 
Leggi le 10 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel / Vai alla pagina dell'autore: unleashedliebe