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Autore: Icegirl46    23/08/2011    6 recensioni
[...]Gli era capitato fra le mani quasi casualmente, quel nastro; era di un gruppo di Seattle che aveva bisogno di un nuovo cantante, aveva saputo poi, dopo la morte per overdose di quello precedente. Glielo aveva fatto avere il suo amico Jack, compagno di tante partite di basket durante le quali Eddie Vedder, quasi ventiseienne ormai, diventava per tutti Crazy Eddie, Eddie il Pazzo, soprannome affettuoso e azzeccatissimo che si era guadagnato durante un folle weekend al campeggio, lasciando da parte per un momento il suo nome, quello vero, quello legale.[...]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~ Pearl Jam ~

The Outsider on Vocals

 

5:00 a.m.
L’orologio del cruscotto di quell’auto vecchia e dalla vernice scrostata segnava l’ora giusta, ed era gia` qualcosa. Forse sarebbero riusciti ad arrivare all’aeroporto senza perdere il volo, dopotutto.

Forse.

 

Eddie aspettava Mike sulla strada gia` da parecchi minuti, non sapeva nemmeno quanti di preciso, e ormai temeva che non sarebbe piu` arrivato, che il chitarrista si fosse dimenticato di avergli offerto uno strappo, la sera prima: lui avrebbe perso l’aereo, Beth si sarebbe arrabbiata per i soldi del biglietto andati sprecati e il suo capo lo avrebbe licenziato per avere saltato il suo turno a quella stramaledetta stazione di benzina dove lavorava ogni notte da alcuni mesi, ormai. E lui aspettava, fermo sul marciapiede poco illuminato, al freddo.

Beh, almeno non pioveva.

 

Strano ma vero, proprio il giorno della sua partenza il cielo sembrava essere un po’ meno arrabbiato, c’erano un sacco di nuvoloni scuri e cupi sulla sua testa, li poteva distinguere nonostante la luce ancora fioca, ma almeno per il momento non lo stavano annaffiando d’acqua facendogli incollare addosso vestiti e capelli.

Che non stesse molto simpatico a quella citta`?

 

Poi, dopo piu` di un quarto d’ora di attesa, con i muscoli delle braccia stanchi dopo quella settimana di follia che gli tremavano mentre reggeva il suo logoro borsone, ecco spuntare i fari di un’auto da una stradina laterale. Anzi, il faro. Uno solo. Questa era la conferma che si trattasse di Mike. Si era accostato con una manovra un po’ brusca al marciapiede davanti alla Galleria, facendogli segno di salire su quel catorcio color giallo ocra. Aveva aggirato l’auto, aperto lo sportello dal lato del passeggero e si era seduto, gettando a terra il borsone e constatando felicemente che il chitarrista aveva acceso il riscaldamento.

Per fortuna.

 

- Ciao Mike –
 
- Hey Eddie! –
 
Erano partiti, diretti all’aeroporto dove Eddie avrebbe preso il volo diretto che lo avrebbe riportato alle sue spiagge chiare, al sole bruciante, al surf e logicamente al secondo amore della sua vita, Beth.

Il primo era la musica, ma quello lo sapeva anche Beth ormai.

 

Il viaggio procedeva silenzioso, erano entrambi un po’ sfasati a causa dell’essersi alzati insolitamente presto quella mattina, per i loro standard; la radio trasmetteva una vecchia canzone dal ritmo lento, dolce. Mike guidava per le strade ancora deserte dei quartieri periferici della citta`, fermandosi ogni tanto a qualche semaforo o incrocio. I palazzi si susseguivano, tutti uguali, tetri e grigi; le finestre chiuse, le tende tirate, le luci spente, non un’anima a muoversi dietro i vetri: Seattle sembrava una citta` fantasma quella mattina.
 
La guida stranamente tranquilla di Mike, che Eddie non si sentiva davvero di definire propriamente un buon guidatore,  e quella melodia cosi` cadenzata, unite al silenzio generale e alla monotonia del paesaggio, gli stavano appesantendo gli occhi. Sentiva le palpebre chiudersi lentamente mentre, con uno sforzo, si era costretto a appoggiare la fronte al finestrino. Cercava di tenere gli occhi aperti, ma comunque non vedeva cio` che c’era fuori da quello stretto abitacolo.

Non che il paesaggio fosse poi cosi` spettacolare: sempre gli stessi palazzi, sempre lo stesso grigiore, sempre le stesse nuvole scure.

 
E intanto, la sua mente annebbiata tornava a ripercorrere quei giorni incredibilmente intensi, quella settimana, quello che la aveva preceduta.

 
 
 


Gli era capitato fra le mani quasi casualmente, quel nastro; era di un gruppo di Seattle che aveva bisogno di un nuovo cantante, aveva saputo poi, dopo la morte per overdose di quello precedente. Glielo aveva fatto avere il suo amico Jack, compagno di tante partite di basket durante le quali Eddie Vedder, quasi ventiseienne ormai, diventava per tutti Crazy Eddie, Eddie il Pazzo, soprannome affettuoso e azzeccatissimo che si era guadagnato durante un folle weekend al campeggio, lasciando da parte per un momento il suo nome, quello vero, quello legale.

Il suo terzo nome da quando era nato, e, sperava, anche l’ultimo.

 

Il Gossaman Project, cosi` si chiamava il demo, conteneva alcune registrazioni di canzoni che, ancora lui non lo sapeva e nemmeno quel gruppo dal nome buffo e del tutto improbabile, sarebbero diventate non solo dei successi, ma delle vere icone per un’intera generazione. Una generazione arrabbiata, demotivata, ma soprattutto sottovalutata, con tanta rabbia dentro pronta ad esplodere. Una generazione molto simile a lui, insomma, che non a caso l’avrebbe rappresentata magistralmente. Suo malgrado.

Non era un’icona quello che voleva diventare, ma il destino a volte e` crudele, lui questo gia` lo sapeva bene prima di “diventare qualcuno”.

 

Aveva ascoltato il contenuto del nastro quella sera stessa, alla stazione di benzina in cui lavorava di notte. Aveva schiacciato “play” e “rewind” decine di volte quella notte, fino alla fine del turno. Una melodia in particolare lo aveva colpito, una poderosa chitarra iniziale a introdurre una musica che a lui evocava rabbia, dolore, disperazione. Ma non trovava le parole per esprimere tutto questo. Non ancora almeno.

Le avrebbe trovate un paio di giorni dopo, quasi come una folgorazione improvvisa.

 

Era sulla sua tavola da surf, un’amica fidata per lui. Era mattina presto, il sole era ancora basso, la luce chiara si rifletteva sull’infinito specchio d’acqua infrangendosi in mille riflessi e giochi di luce. Un paesaggio cosi` affascinante, suggestivo, che lo colpiva sempre, anche se dal mare si levava ancora la foschia ed era difficile mantenere l’equilibrio sulle onde, proprio come quel giorno. E proprio mentre provava a non cadere per l’ennesima volta, stanco dopo tanti giorni insonni suo malgrado, aveva canticchiato di nuovo quel pezzo, e aveva trovato le parole, aveva capito cosa scrivere.

Cosa raccontare, perche` quella sarebbe stata una piccola storia. La sua piccola storia.

 
Corso alla casa che abitava con Beth, poco lontana dalla spiaggia, si era messo a scrivere su dei foglietti di block notes trovati in un angolo, aveva fatto ripartire la musica, ci aveva cantato sopra ancora e ancora, e poi aveva registrato la sua piccola storia, la sua tortura, il suo grido di dolore e disperazione e tormento, che pero` sarebbe stato scambiato per un inno alla speranza e sopravvivenza da molti, ma per fortuna non da tutti. Non ci aveva pensato piu` di tanto, aveva seguito l’istinto.

Il resto, era venuto da se`.

 
Aveva ricevuto una telefonata, alcuni giorni dopo. Un certo Jeff Ament, accento del nord e voce simpatica, si era presentato come il bassista dei Mookie Blaylock. Avevano parlato, si erano annusati a vicenda per poi scoprire che si stavano simpatici, reciprocamente. A Eddie piaceva il modo di pensare di quel ragazzo,  e quel ragazzo era rimasto subito colpito dai suoi testi e dalla sua voce, ne era a dir poco entusiasta.

Era salito su un aereo diretto a Seattle pochi giorni dopo.

 


 
 
Un improvviso fastidioso dolore alla testa gli aveva fatto riaprire di scatto gli occhi, allontanandolo dai pensieri che si riversavano impetuosi nella sua mente, un flusso continuo e inarrestabile, per farlo concentrare sulla realta` che lo circondava. Mike, che ora stava mostrando tutta la sua spericolata abilita` nella guida sfrecciando nelle strade deserte che univano la citta` all’aeroporto, aveva preso una buca a tutta velocita`, e la fronte di Eddie era cozzata contro il finestrino. Ecco spiegata la botta che aveva preso.
 
Si guardo` un attimo intorno, cercando di ricordare il viaggio che aveva fatto all’andata e capire dove si trovava. Era piu` o meno a meta` del percorso, a giudicare dal verde lussureggiante che ormai li circondava del tutto, intenso, quasi concreto, materiale. Come se la massa grigia dietro le loro spalle non esistesse.

Non a caso, ormai dieci anni prima, Seattle era stata soprannominata “Citta` Smeraldo”.

 

- Ti stavi addormentando, Ed? –
 
- Non proprio… -

Avrebbe dovuto spiegargli che la sua mente aveva iniziato a viaggiare senza freni?

 
- Beh, ci vogliono almeno altri venti minuti prima di arrivare in aeroporto, se vuoi approfittarne… -
 
Non si sentiva del tutto sicuro a viaggiare in macchina con un aspirante pilota di Formula Uno, a dirla tutta, ma sapeva che, non essendo alla guida, non avrebbe potuto controllare la situazione comunque. E poi la parte piu` razionale della sua mente sembrava decisa a rimanere nel suo piacevole dormiveglia…

 
 


 

Aveva seguito le indicazioni che aveva annotato su un foglietto quel giorno al telefono, ed era arrivato in una strada periferica, come tante altre che aveva percorso appena atterrato nella “Citta` della Pioggia”, che proprio in quel momento gli stava facendo, suo malgrado, una vera e propria doccia, a dimostrazione di quanto quell’appellativo fosse indovinato. Cercava “la Galleria”, cosi` aveva chiamato Jeff il posto che il gruppo (si rifiutava di chiamarlo con quel nome, quello di un fottutissimo giocatore di basket) usava per provare. Ed in effetti proprio di una galleria d’arte si trattava. O meglio, del suo seminterrato, ma in fondo per uno come lui non faceva poi tanta differenza.

La differenza l’avrebbe fatta quell’incontro, ne era certo.

Aveva suonato al citofono, e subito la porta era stata aperta; i ragazzi lo stavano aspettando, lo sapeva. Aveva detto loro di non voler sprecare nemmeno un secondo di quella settimana che avrebbe passato li` a Seattle, a suonare insieme; si erano accordati per iniziare a provare subito, il giorno stesso del suo arrivo, solo poche ore dopo l’atterraggio. Aveva preso un respiro profondo, pensando a cio` che quell’incontro avrebbe portato, perche` era certo che qualcosa avrebbe portato, ed era entrato trascinandosi dietro il suo borsone.

E aveva conosciuto i suoi nuovi compagni di gruppo, o almeno aveva fatto del suo meglio.

 

C’era Mike, chitarra solista; Dave, il batterista; e poi ovviamente Stone, a cui Jeff aveva gia` accennato durante la loro telefonata. Ora che lo conosceva di persona, ora che lo vedeva suonare, con un trasporto che era impressionante, Eddie poteva dire con certezza che molte delle idee di quei demo venivano proprio dalla mente e dalle mani del chitarrista; lo vedeva dal suo atteggiamento, dalla serieta` con cui prendeva quella prima prova – non che gli altri scherzassero, poi – , dal modo con in cui lo aveva soppesato per bene prima di salutarlo. Non si erano dilungati troppo in chiacchiere superflue o convenevoli, anche perche` parlare con Eddie non era stato semplice, quei primissimi giorni, per nessuno di loro. Era un tipo piuttosto timido, in fondo, un po’ insicuro, e si era visto subito.

Non era riuscito a sollevare gli occhi da terra, aveva solo cantato, urlato e sussurrato e mormorato la sua piccola storia in quel microfono vecchio in uno scantinato altrettanto vecchio.

 
Quando non aveva piu` dovuto cantare e le prove erano finite, si era seduto in disparte, silenzioso, le mani poggiate sulle ginocchia. Lo sguardo basso, sembrava non ci fosse nemmeno in quella stanza in cui tutti, dopo quelle ore corse veloci di duro lavoro, si rilassavano e, anche se lui non lo notava, lo osservavano incuriositi: la statura piuttosto bassa, il fisico asciutto, i capelli lunghi ma dallo strano taglio, gli occhi grigi, le vecchie Doc Martens ai piedi e quella maglia dei Butthole Surfers. E soprattutto, le oscure parole di quelle canzoni che di sicuro rappresentavano qualcosa per lui, qualcosa di importante, di profondo – si vedeva da come le interpretava, dal trasporto e dal sentimento – , anche se nessuno dei ragazzi sapeva cosa.

In effetti non era proprio un tipo comune, lui.

 
Era rimasto alla Galleria anche i giorni seguenti, per tutta la settimana. I ragazzi gli avevano detto che poteva tranquillamente dormire sul divanetto della sala prove, e li` aveva passato le sue notti, ma non a dormire.

C’era troppo da fare per poter pensare di perdere tempo poltrendo.

 

Aveva composto, scritto tutta la notte, tutte le notti, nessuna esclusa. Frasi che sarebbero diventate famose, altre che nessuno avrebbe conosciuto, bozze di testi successivi, o semplici pagine del suo quaderno per appunti, o diario come lo avrebbe chiamato Stone, che dir si voglia. Ogni giorno i ragazzi arrivavano e provavano qualcosa di nuovo, qualcosa uscito dalla mente e dal cuore di Eddie la sera precedente; ogni giorno il loro affiatamento migliorava; ogni giorno si sentivano un gruppo vero un po’ di piu`. E poco importava se ormai la stanza era invasa di bottiglie di vetro, vuote di birra ma piene di urina che nessuno di loro aveva voglia di andare a fare al bagno, sorbendosi ogni volta due piani di scale attraverso stanze piene di opere d’arte e dell’odore della segatura. Ogni giorno, i Mookie Blaylock, band di quattro ragazzi di Seattle senza un cantante, si sentivano un po’ piu` Pearl Jam, band di Seattle con un cantante della California.

E andava benissimo cosi`, perche` ogni cosa stava procedendo alla grande, ancor meglio delle aspettative di tutti.

 

Aveva anche incontrato alcuni amici del gruppo, in quei sette giorni: innanzitutto Chris Cornell, l’altissimo cantante dei Soundgarden amico di Jeff, Stone e, soprattutto, Andy, e che subito si era dimostrato entusiasta di conoscere la voce che tanto lo aveva impressionato quando aveva sentito i demo del gruppo, e gli aveva stretto la mano, gesto di grande importanza per Eddie; poi tutti gli altri membri dei Soundgarden, che avevano una sala prove comune con i Mookie. Una settimana lunghissima, a dir poco.

E non era ancora finita.

 

Gia`, perche` dopo avere inciso molti dei loro neonati pezzi a formare il primo vero demo insieme, di tutti quanti, avevano deciso di provare ad esibirsi, sentendo ormai un feeling profondo, nonostante le angosce e le ansie di tutti. All’Off Ramp avevano tenuto il loro primo concerto insieme, nel freddo autunno di quel 1990. Solo 36 ore prima della sua partenza, solo cinque giorni dopo essersi conosciuti.

E lui si era sentito abbastanza spaesato, e soppesato.

 

Il pubblico era accorso. Per quanto si trattasse si una semplice band del posto, si parlava comunque di ragazzi gia` conosciuti, che avevano gia` inciso un album sebbene non ancora uscito, e che avevano perso uno di loro a causa di quella droga infame chiamata eroina. E poi, a dirla proprio tutta, c’era anche un certo interesse, una vivace curiosita` per quel cantante che veniva dalle assolate spiagge californiane e non dal grigiore della Rain City. Tutti erano ansiosi di vederlo, di sentirlo: “il successore di Andy”… sarebbe stato all’altezza del ruolo che avrebbe occupato? E perche` un californiano, e non uno del posto?

Ma appena aveva iniziato a cantare, nessuno sembrava piu` ricordarsi di lui come dell’outsider
venuto a sostituire  il biondo Andy morto per overdose: c’era solo la musica, i riff, e quella voce potente.

Ed era questo, cio` che veramente contava.
Non un’esibizione perfetta, non uno show degno di nota, no:
 la musica, i Pearl Jam.

 
 


- Eddie… -
 
La mano di Mike gli strattonava decisa la spalla.
 
- Uhm? –
 
- Guarda che siamo all’aeroporto –
 
Aveva usato tutta la sua forza di volonta` per uscire da quel torpore in cui era caduto di nuovo, quasi senza accorgersene, fatto di pensieri parole ricordi emozioni sensazioni, e aprire bene gli occhi. In effetti si trovavano proprio di fronte all’imponente struttura del Sea-Tac International Airport, con le sue enormi vetrate, e lui nemmeno se n’era accorto.

Doveva sbrigarsi, se non voleva rischiare di perdere il volo. 

Afferro` il borsone, e ringrazio` frettolosamente Mike, un po’ per la paura di essere irrimediabilmente in ritardo, un po’ perche` non sapeva bene che cosa dire. Scese dalla macchina, e stava per chiudersi la portiera alle spalle, quando il suo chitarrista parlo` di nuovo.
 
- Non fare tardi! – gli disse, facendogli l’occhiolino prima di ripartire.

No, non avrebbe fatto tardi. Sarebbe tornato a San Diego e poi di nuovo a Seattle.

Solo che, questa volta, non se ne sarebbe andato mai piu`.

 
 
 
 
 




 
*** PRECISAZIONI***
 
Tutte le notizie e la tempistica qui riportate sono supportate da numerose testimonianze e interviste, citate su articoli e libri.
 
E` stato lo stesso Mike, per esempio, a dire di avere dato uno strappo a Eddie alle 5 di mattina fino all’aeroporto e a parlare della frase “Non fare tardi” detta al cantante prima che partisse, dato che Eddie sarebbe tornato al lavoro quello stesso giorno appena atterrato in California.
 
Secondo la testimonianza di Mike, Eddie si presento` proprio con l’abbigliamento ed il taglio di capelli qui descritti, mentre per altri la maglia dei Butthole Surfers fu indossata solo il giorno del concerto all’Off Ramp, appunto 5 giorni dopo l’incontro dei futuri Pearl Jam, all'epoca ancora Mookie Blaylock.
 
Dopo il primo incontro Eddie Vedder torno` a San Diego per poche settimane per sistemare alcune faccende e poi si trasferi` di nuovo a Seattle, dove fu raggiunto in seguito dalla stessa Beth, sua fidanzata storica.
 
I soprannomi usati parlando della citta` di Seattle sono tutti reali - Rainy City, Emerald City - cosi` come e` vero che Eddie Vedder era chiamato Crazy Eddie quando ancora risiedeva in California. Questo nomignolo deriva da una sua folle arrampicata durante alcuni giorni passati al campeggio con i Red Hot Chili Peppers, dove era stato portato dal Jack Irons (primissimo batterista dei RHCP e poi con gli stessi PJ dal '94 al '98), suo amico di tante partite di basket, quando ancora Eddie suonava con i Bad Radio e non era conosciuto se non come un semplice roadie… in effetti, si puo` dire che Eddie abbia una piccola passione per l’arrampicata, si vedano i numerosi stage diving durante i primi anni di vita dei Pearl Jam.
 
Per quanto riguarda la nascita di Alive, all’epoca ancora chiamata Dollar Short, il cui testo e` stato creato al termine di un periodo di insonnia, e` lo stesso Eddie che ne ha parlato piu` volte, cosi` come sono stati gli stessi componenti del gruppo ad aver scherzato sulle bottiglie di birra usate come contenitori per l’urina durante quella prima settimana nello scantinato.
 
Il Sea-Tac dista 21 km da Seattle.

 
 
  
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