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Autore: BebaTaylor    24/08/2011    0 recensioni
Ronnie ha quasi ventisei anni, e due migliori amici, Sam e James. Ronnie un giorno d'estate ha un incidente. Fra ricordi, ammissioni e decisioni l'attesa del risveglio della ragazza.
Attenzione! Ho aggiunto il terzo capitolo più l'epilogo!
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Time In Your Life
Capitolo Uno

Ronnie, nome completo Veronica Clapton, si fermò di colpo alla vista di quello che, fino a un paio di mesi prima era uno dei suoi migliori amici, Sam. Il ragazzo, fermo davanti alla gelateria, scherzava con la sua ragazza Sharon. Ronnie respirò profondamente, cercando di farsi coraggio e riprese a camminare.
«Ehi, stai attento!» sbottò Sam, che facendo un passo indietro, non si era accorto di essere andato a sbattere contro qualcuno. «Veronica.» esclamò Sam voltandosi e guardando la ragazza di fronte a lui. Veronica abbassò il viso.
«Non ti avevo detto di sparire dalla mia vista?» domandò sarcastico Sam.
Ronnie sentiva le lacrime pungergli gli occhi e non disse nulla.
«Allora?» incalzò Sam.
«Me ne vado.» mormorò Ronnie. Sam sorrise e si scostò per farla passare, poi si avvicinò a Sharon e l'abbracciò.
Ronnie si asciugò velocemente le lacrime che le erano scese sulle guance. Schiacciò il pulsante per chiamare il verde del semaforo pedonale e si voltò verso la gelateria. Non sopportava il fatto che Sam la trattasse così, dopo quasi vent'anni di amicizia. Non sopportava il fatto che, a causa di Sharon tutte le sue certezze fossero crollate.
Il verde scattò e incominciò ad attraversare la strada.
Sam la guardò e scosse la testa. Non aveva più nulla in comune con lei, solo James e Kristin. Sharon lo chiamò e lui le dedicò la sua attenzione.
Un tonfo, delle urla e una macchina che ripartiva a folle velocità.
Sam e le altre persone ferme alla gelateria si chiesero cosa fosse successo.
Un capannello di persone era fermo sulla strada.
«Chiamate un'ambulanza, Presto!» urlò un uomo.
Sam insieme a Sharon si avvicinò per capire cosa fosse successo.
«No...» mormorò incredulo Sam. «No, cazzo no!» urlò avvicinandosi al corpo steso sull'asfalto.
Si fece spazio fra la gente e si inginocchiò accanto a Ronnie.
«Ronnie, rispondimi...» le disse mentre iniziava a piangere.
«La conosci?» gli domandò l'uomo che prima aveva urlato di chiamare l'ambulanza. Sam annuì.
«È la mia migliore amica.» rispose. Con un nodo in gola la guancia destra sporca di sangue. La gamba destra gli sembrò piegata in una posizione innaturale. In lontananza si udirono le sirene dell'ambulanza.
Sam afferrò il cellulare e compose velocemente un numero.
«James? James Ronnie ha avuto un incidente.» esclamò.
«Cosa? Dove?» domandò agitato l'amico.
L'ambulanza si fermò e scesero i paramedici. Dietro di lei posteggiò l'auto della polizia locale.
«Davanti all'Ice Cream Passion.» rispose Sam mentre veniva allontanato dalla sua amica. «È mia amica! James vedo se riesco a salire in ambulanza con lei.» continuò.
«Tu cosa vuoi fare?» sbottò Sharon. Sam non la guardò neppure, cercò di avvicinarsi ai paramedici che caricavano Ronnie nell'ambulanza.
«Non puoi salire.» lo fermò il paramedico più anziano.
«È la mia migliore amica!» tentò, invano, di protestare. «Dove la portate?» domandò.
«Al Marie Grace.» gli rispose quello di prima prima di chiudere il portello.
In quel momento James fermò la moto e chiamò l'amico. Sam si avvicinò quasi correndo.
«È appena partita verso il Marie Grace.» disse riferendosi all'ambulanza. James annuì e allungò il casco che si era portato per l'amico.
«Perché vuoi andare da lei?» chiese Sharon. Sam non rispose, si allacciò il casco e salì dietro James che partì diretto all'ospedale.

Ronnie era in sala operatoria. I suoi genitori erano stati avvertiti, ma dato che si trovavano in vacanza a duemila chilometri di distanza, sarebbero arrivati solo il giorno dopo.
James e Sam erano seduti in sala d'attesa.
«È colpa mia.» mormorò Sam mordicchiandosi le nocche della mano destra.
«Non dire così.» cercò di consolarlo James.
«Sì invece. Sono stato io a dirle di sparire dalla mia vita, a dirle di sparire dalla mia vista... Anche prima dell'incidente gliel'ho detto. È colpa mia.»
«Non è colpa tua. La colpa è di quello che l'ha investita. Se solo mi capitasse fra le mani...» disse James infuriato.
«Io mi sento in colpa. L'ultima cosa che le ho detto era di sparire.» Sam si coprì il viso con le mani e iniziò a piangere. James non sapeva cosa fare, non aveva mai visto il suo amico così abbattuto, quindi si limitò ad abbracciarlo.
«Vedrai che ce la farà. Ronnie è forte.» mormorò James. «Ronnie è forte.» mormorò ancora. «Cosa ci è successo James? Perché siamo arrivati a questo punto?» domando Sam fra le lacrime.
James scosse la testa e si alzò dalla scomoda sedia in plastica, «Non lo so Sam.» disse dopo un attimo di silenzio.
«È colpa mia.» ripeté per l'ennesima volta Sam.
«Come sta andando?» domandò Kristin vestita con la divisa da infermiera. La ragazza lavorava in quell'ospedale nel reparto di neonatologia.
«Non ci dicono nulla.» rispose Sam. Kristin accarezzò il braccio del ragazzo e fece una carezza al suo fidanzato James.
«Non siamo suoi parenti. Ci hanno detto questo. Non siamo suoi parenti. Ci conosciamo da vent'anni e non vogliono dirci come sta.» continuò arrabbiato Sam alzandosi in piedi.
«Provo a vedere se riesco a farmi dire qualcosa.» disse dolcemente Kristin sistemandosi il badge con scritto il suo nome, salutò i due e scompari dietro una porta.
«È colpa mia.» disse ancora Sam scostandosi i capelli castano chiaro dal viso.
«La finisci?» sbottò James sedendosi di nuovo.
Sam sospirò e si sedette anche lui.
«Ti ricordi come ci siamo conosciuti?» domandò con un leggero sorriso James.
Sam annuì, «Certo che me lo ricordo.» rispose.

Era una caldo pomeriggio di luglio e il parco cittadino era pieno di avventori venuti lì per ripararsi dal caldo estivo all'ombra degli alberi.
Una bambina con i lunghi capelli biondi raccolti in due trecce che le scendevano oltre le spalle, passeggiava con la madre.
«Mamma perché dobbiamo stare qui? Io voglio tornare a casa!» piagnucolò la bambina
. «Veronica, te l'abbiamo già spiegato tante volte. Ci siamo trasferiti qui perché papà ha cambiato lavoro.» rispose dolcemente la madre.
«Ma io voglio tornare dai miei amici.» protestò la piccola.
«Anche qui ti farai degli amici. A settembre inizi la scuola.» disse la madre mentre si avvicinavano al laghetto presente al centro del parco.
«Le paperelle!» trillò allegramente Veronica. «Le paperelle! Mamma ci sono le paperelle!» continuò la piccola staccandosi dalla madre e correndo verso la ringhiera che circondava parte dello specchio d'acqua.
«Le ho viste. Stai attenta a non cadere.» esclamò la madre leggermente sollevata. Non le piaceva vedere la figlia triste.
«Mamma voglio dare da mangiare alle paperelle!» esclamò Veronica incrociando le braccia e guardando seriamente la madre.
«Non del pane con me. Torniamo domani.» disse la donna.
«Ma io voglio dare il pane alle papere adesso.» pronunciò la bambina che stava per scoppiare a piangere. «Veronica... Non fare così. Ti ho detto che veniamo domani.» la donna fece una carezza sulla nuca della figlia. «Ma io... le paperelle...» piagnucolò la bambina.
«Ciao io ho del pane in più.» si intromise un bambino allungando un pezzo di pane a Veronica che sorrise e afferrò il pezzo di pane.
«Io sono Veronica.» esclamò la bambina asciugandosi le lacrime con il dorso della mano.
«Io mi chiamo Sam.» si presentò il bambino. Veronica lo guardò e sorrise, posi staccò un pezzo di pane e lo lanciò in acqua, e osservò le papere litigarsi il cibo.
“Forse la mamma ha ragione. Forse mi farò dei nuovi amici anche qui.”

Veronica osservò, nascosta dalle tendine lilla della finestra di camera sua, un uomo che portava alcune grosse valige all'interno della casa affianco alla sua.
Dietro l'uomo una donna trascinava un trolley rosso, mentre un bambino di circa dieci anni, che giocava con un videogame, chiudeva la fila.
«James! La smetti di giocare per un momento?» sbottò la donna guardando il bambino.
Veronica ridacchiò alla vista di quella scena, si allontanò dalla finestra e scese al piano di sotto.
«Mamma hai visto che i nuovi vicini sono arrivati?» disse entrando in cucina dove la madre stava preparando il pollo ripieno.
«Sì li ho visti.» rispose la madre rompendo alcune uova in una insalatiera.
Veronica guardò un attimo la madre e poi tornò in camera sua, voleva spiare ancora un po' i vicini.

Veronica era in cortile, e cercava, invano di saltare la corda.
«Uffa!» sbuffò quando, per l'ennesima volta, i suoi piedi inciamparono nella corda.
Veronica sentì qualcuno ridere e si voltò. Era il bambino che un paio di settimane prima si era trasferito nella casa accanto.
«Perché mi prendi in giro?» mormorò con il faccino dai lineamenti delicati contratto in un tenero broncio.
«Non sei capace!» la prese in giro il bambino.
Veronica lo guardò male e poi provò a saltare ancora. Ma ancora una volta i suoi piedi presero dentro nella corda viola.
«Uffa!» sbuffò ancora la piccola. Tutte le sue amiche, quelle che abitavano nella città in cui era nata e cresciuta prima del trasferimento, riuscivano a saltare le corda.
«Non sei capace!» la canzonò nuovamente il bambino.
«Sei cattivo! Non puoi prendermi in giro!» strillò Veronica.
«E perché?» replicò il bambino sedendosi a cavalcioni sul basso muretto che divideva i due giardini.
«Perché sono una bambina» Veronica si morsicò le labbra mentre fissava contrariata il vicino.
«Appunto perché sei una bambina che ti prendo in giro.» replicò lui. La bambina si voltò e cercò di saltare ancora la corda. Le veniva da piangere ma non voleva dar soddisfazione al bambino.
«Comunque io mi chiamo James.» disse il bambino scendendo dal muretto e dirigendosi verso Veronica.
«Cosa fai?» domandò lei dubbiosa.
«Ti faccio vedere come si fa.» esclamò James prendendo la corda dalle mani della piccola vicina. Veronica sorrise.

Era la penultima settimana d'agosto e Veronica era nel parco con sua madre e suo fratello Nick, di sei anni più grande.
«Mamma tu lo vedi?» domandò la bambina.
«No, tesoro. Non lo vedo.» rispose la donna, mentre Nick sbuffava sonoramente. Aveva trovato dei ragazzini della sua età che andavano in skateboard e voleva passare il pomeriggio con loro, non con sua madre e la sua sorellina.
«Eccolo lì, tesoro. Lo vedi? È vicino alla gabbia.» esclamò la madre indicando la zona giochi del parco. La bambina annuì felice, e con la sua busta verde mela corse dove le aveva indicato la madre.
«Sam!» trillò la bambina. Il bambino scese con un balzo dalla gabbia in ferro e si avvicinò a Veronica.
«Settimana prossima è il mio compleanno e voglio invitarti.» mormorò timidamente Veronica allungando la busta a Sam che la prese con un sorriso.

James era nel suo giardino e stava giocando con un pallone giallo e nero.
«James! Vieni qui!» ordinò la piccola Veronica. Il bambino si avvicinò al muretto divisorio scocciato per essere stato interrotto dal suo gioco.
«Cosa vuoi Veronica?» domandò.
«Tieni.» disse la piccola porgendogli una busta verde mela.

La casa e il giardino della famiglia Clapton erano addobbati con palloncini e festoni di svariati colori. Sam, che avrebbe compiuto nove anni ad ottobre, entrò nel giardino accompagnato da sua padre Frank.
Veronica correva dietro alla sua cuginetta Sarah ma si fermò di colpo quando vide il bambino. «Sam! Sei arrivato!» esclamò felice. James era già lì e stava giocando a calcio con Nick.
Il momento di scartare i regali era arrivato.
Dopo aver aperto i regali delle sue cugine, Veronica scartò quello di James.
«Oh, è bellissimo!» trillò la bambina guardando il piccolo unicorno che il bambino le aveva regalato.
Poi venne il turno del regalo di Sam. Un pupazzo a forma di coniglio, bianco, con la maglietta e i pantaloncini blu. Sulla maglietta, scritto con grandi caratteri bianchi, c'era stampato il nome “Ronnie”.
«Grazie! Mi piace molto Ronnie. Sì lo chiamo Ronnie!» esclamò gioiosamente Veronica.

Il dottore uscì da dietro una porta bianca a doppio battente. James si alzò in piedi. «Come sta?» domandò ansioso.
«Posso solo dirvi che ora la stiamo portando in terapia intensiva.» il medico si passò una mano sul volto segnato dalle rughe e dalla stanchezza della giornata, «Andate a casa adesso.» continuò allontanandosi.
James si voltò verso Sam «Andiamo, ti riporto a casa.» esclamò.
«No, voglio stare qui.» rispose lui.
«Sam non possiamo fare nulla qui, non ce la faranno mai vedere. Torniamo qui domani mattina.» disse James. Sam sospirò e si alzò per poi seguire l'amico fuori dall'ospedale.

«Dove sei stato?» gridò Janice a suo figlio Sam quando quest'ultimo entrò in casa. Sam la guardò sorpreso, e si stupì di vedere Sharon sul divano del salotto. Si era dimenticata di lei.
«Ero in ospedale da Ronnie. Ha avuto un incidente.» rispose il ragazzo.
«Pensavo che avessi litigato con quella.» esclamò la madre sedendosi accanto a Sharon che piangeva sommessamente.
«È la mia migliore amica.» disse lui bruscamente facendo vagare lo sguardo lungo il salotto.
«Ma quella è roba mia! Perché è nel camino?» domandò avvicinandosi al camino in pietra. Tirò fuori la scatola in cartone nero e guardò sua madre.
«Allora?» chiese alzando la voce. Sapeva quello che c'era dentro quella scatola.
Foto, oggetti e altri ricordi che lo legavano a Ronnie e James. «Stai insieme con Sharon, non puoi essere ancora amico di quella Veronica. È ora che ti liberi di quella roba.» rispose la donna. Sam si alzò in piedi e in silenzio si diresse in camera sua.
Lasciò cadere la scatola sul letto e da un armadio tirò fuori un trolley blu scuro. Aprì i cassetti svuotandoli dal loro contenuto per poi gettarlo con poca grazia nel trolley.
«Cosa stai facendo?» tuonò la madre entrando come una furia nella camera del figlio seguita da Sharon.
«Me ne vado.» rispose Sam chiudendo la cerniera del trolley. «Se non te ne fossi accorta, hai cercato di dare fuoco a una cosa che non è tua.» continuò prendendo il notebook e infilandolo nella custodia.
«Sam... mi hai lasciato lì come una scema! Mi hai fatto vergognare davanti hai nostri amici! Sei il mio fidanzato dovresti dimenticarti di quella sgualdrina!» urlò Sharon.
Sam tirò giù dal letto il trolley, si mise a tracolla la borsa con il notebook, e infilò in tasca il carica batterie del cellulare.
«Sai Sharon, tu sbagli.» disse prendendo la scatola.
«Cosa?» fece la ragazza sorpresa.
«Io e te non stiamo più insieme. E io vado da papà.» rispose Sam uscendo dalla sua camera.

Sam entrò in casa di suo padre che ormai erano le dieci di sera.
«Ho saputo Sam. Come sta?» domandò l'uomo.
Sam scosse la testa mentre si dirigeva nella sua stanza nella casa paterna.
«È in terapia intensiva.» rispose quasi sussurrando.
Il padre sospirò. «Io sono di sotto se hai bisogno... Io ci sono.» disse prima di chiudersi alle spalle la porta.
Sam si sedette sul letto e aprì la scatola nera. La prima cosa che il ragazzo vide fu Ronnie, il coniglietto che lui aveva regalato a Veronica per il suo sesto compleanno. Lo tirò fuori. Il primo ricordo che gli venne in mente fu quel giorno, di tre mesi prima, in cui il piccolo coniglietto tornò fra le sue mani

«Sam! Sam! Stronzo che non sei altro, dove diavolo ti sei cacciato?» urlò Veronica entrando come una furia in casa del ragazzo.
«Sono qui. Cosa vuoi?» domandò Sam apparendo da dietro la porta della cucina. «E ti sembra il modo di entrare nella casa di una persona?» continuò.
«Come diavolo ti sei permesso?» sbraitò la ragazza scostandosi una ciocca di capelli castani dal viso.
«Ma che hai?» chiese lui.
«Lo sai a cosa mi riferisco.» Ronnie incrociò le braccia al petto e lo osservò furiosa. Sam si passò una mano fra i capelli. «Non sono un indovino. Non so che cosa diavolo ti prende.» disse sedendosi sulla poltrona.
«Tu... tu... Tu sei andato a dire a quelle zoccola di Sharon che a sei anni ti ho pregato di venire alla mia festa di compleanno!» sbottò Ronnie guardando gli occhi castani di Sam.
«Io non le ho detto mica questo!» si difese il ragazzo. «Aspetta, come hai chiamato Sharon?» Veronica lo guardò rendendosi conto di come aveva appellato Sharon. Un conto era pensarlo, un altro era dirlo davanti a lui!
«Zoccola.» rispose con aria di sfida. Ormai la frittata era fatta, sarebbe stato inutile mentire. «Non chiamarla più così.» disse Sam alzandosi e avvicinandosi alla ragazza, sovrastandola di circa trenta centimetri.
«Io la chiamo come voglio!» urlò Ronnie.
«Lei non è una zoccola e tu non hai il diritto di chiamarla in questo modo.» Sam, fermo in mezzo al salotto osservò la sua migliore amica. Veronica spostò lo sguardo vero la finestra e fece un sospiro.
«Tu le vai dire che io ti ho implorato e io la chiamo zoccola. E non solo questo, le hai detto anche altre cose. Cose che sapevate solo tu e James.» Ronnie si fermò e posò il piccolo bauletto sul tavolino. «Dai, Sam, guardati. Sei diventato il suo zerbino. Le ti chiama e tu accorri qualsiasi cosa tu stia facendo.» Veronica fece un mezzo sorriso, «Ma tu non te ne rendi conto.» aggiunse.
«Non sono il suo zerbino! Non puoi pensarla così. Credevo ti fosse simpatica.» borbottò Sam.
Veronica rise. «Lei simpatica? Certo, come un'ape su per il culo.»
«Non ti capisco più Ronnie. Sei cambiata.» esclamò Sam.
«Sei tu che sei cambiato.»
«Dai te la stai prendendo solo perché ho raccontato a Sharon che anche se mi conoscevi appena, mi hai invitato al tuo sesto compleanno! E per altre sciocchezze.» ammise Sam.
«Allora lo ammetti! Hai raccontato i fatti nostri a quella stronza di Sharon! Volevi prendermi in giro!» urlò Veronica. Poi aprì il bauletto e con violenza estrasse quello che c'era dentro.
«E allora riprenditi il tuo stupido regalo! » continuò, sempre urlando, mentre lanciava il coniglietto Ronnie contro l'amico.
Sam sospirò cercando di mantenersi calmo.
«Se la pensi così, allora non abbiamo più nulla da dirci.» disse raccogliendo il pupazzo. «Non voglio avere un'amica che offende la donna che amo.» continuò.
Veronica lo osservò sorpresa, era la prima volta che sentiva quelle parole uscire dalla bocca del suo amico.
«Però vuoi una donna che ha offeso e che continua ad offendere la tua migliore amica.» mormorò avviandosi alla porta.
Sam getto il coniglietto sul divano e seguì l'amica.
«Lei non ti ha mai offeso.» esclamò il giovane.
«Sì. Sì che l’ha fatto. Più e più volte. E tu non le hai mai detto nulla. Ha offeso anche James e Kristin. Le ha dato della stupida cretina solo perché si fida di me e James.» Veronica sospirò e fisso il porta ombrelli vicino alla porta.
«Ronnie piantala di fare la vittima.» Sam si passò una mano sul viso. «Non ti ricordi come ti comportavi all’inizio della tua storia con Trent? “Trent di qui, Trent di lì” parlavi sempre di lui.»
Veronica aprì la bocca. «Lo so, mi ricordo. Però lui abita a duecento e passa chilometri da qui. Sharon la puoi vedere tutti i giorni. Mi avevi fatto una promessa e non l’hai mantenuta. Lo hai fatto troppe volte ultimamente.» le ultime parole furono poco più di un sussurro.
«E basta con questa storia. Lo sai come la pensa. Lo sai che lei non si fida e non vuole che esca con te, anche se c’è James.» Sam fissò duramente la ragazza.
«È la prima volta che ti comporti in questo modo.» gridò lei.
«Perché forse ho capito chi sei! Guarda che lo so che l’altra sera in discoteca ti avvinghiata a quel tipo! Neppure tu ti sei mai comportata in questo modo.» urlò Sam.
Ronnie si passò una mano sul volto rigato dalle lacrime. «Tu non sai nulla! Nulla! Ti sei mai chiesto perché io e Trent abbiamo rotto? Te lo sei mai chiesto?»
Sam scrollò le spalle..
Veronica scosse la testa. «L’amore per quella zoccola ti ha rincitrullito a tal punto che non vedi neppure le cose!»
«Perché sei una zoccola. Sharon ha ragione, non ci si può fidare di te.» disse Sam con cattiveria.
«Co… Cosa? Tu pensi questo di me?» la voce di Veronica era rotta delle lacrima. Sam annuì
«Sì, ora lo penso sul serio.»
Ronnie si avvicinò a lui e prima che Sam potesse dire o fare qualcosa, lei gli diede uno schiaffo. «Sei uno stronzo. Ti auguro di essere felice con quella stronza puttana della tua donna.»
«Vattene Veronica. Sparisci dalla mia vita.» disse Sam massaggiandosi la guancia dolorante Veronica annuì debolmente ed uscì da quella casa.

Sam passò l'indice sinistro sul muso del coniglietto seguendone i contorni. Si sentì uno stupido per aver dato ascolto a Sharon. Improvvisamente si rese conto che Ronnie aveva ragione. Sharon lo aveva allontanato dalla famiglia, dagli amici, da James e Kristin. Ma in particolare da lei. Da Veronica. L’aveva offesa, insultata, aveva lasciato che lo facesse Sharon. Le aveva fatto delle promesse e non le aveva mantenute. E tutto per uno stupidissimo motivo.
Avvicinò al viso il coniglietto e respirò il profumo dolce e fruttato che l'animale di pezza emanava. Il suo profumo. Quello di Ronnie. Un singhiozzo sfuggì dalle labbra di Sam mentre si raggomitolava sul letto. Tenendo vicino al viso quell'unica cosa che ora lo legava a Ronnie scoppiò a piangere.

James se ne stava seduto sul divano del suo appartamento a bere birra, mentre la tv trasmetteva l'edizione serale del telegiornale locale. Naturalmente l'incidente accaduto a Ronnie ero lo scoop del giorno.
«Sciacalli.» borbottò mentre la giornalista riprendeva una vecchietta dai capelli grigi che piangendo raccontava “di quanto fosse dolce ed educata la piccola Veronica, che l'aiutava spesso a portare le borse della spesa”.
«Stai zitta brutta vecchia! Tu neanche la conosci! Ronnie ti sputerebbe in un occhio!» sbraitò il ragazzo agitando la bottiglia.
«Non credo che l'avrebbe fatto.» disse Kristin facendo spaventare James.
«Beh, magari hai ragione. Però Ronnie non aiuta le vecchie rimbambite a portare la spesa.» pronunciò lui mentre Kristin rannicchiava contro il suo petto.
«L'abbiamo mai ringraziata?» chiese lei guardando le immagini che scorrevano sullo schermo ma senza vederle realmente.
«Per cosa?» domandò James confuso.
«Per averci fatto conoscere.» rispose lei.

«Eccola, è lì! Non è bellissima?.» esclamò eccitato James. Nonostante avesse ventisette anni, cioè uno in più di Sam e quattro in più di Ronnie, alcune volte si comportava come un'adolescente alla prima cotta.
«Cavolo James, vai da lei e presentati!» sbuffò Sam girando il cucchiaio nella sua granita all'anice. Era la festa del paese e le strade del centro erano piene di bancarelle.
«Ma come faccio! Lei è cosi bella... Non mi vorrà mai.» replicò sconsolato l'amico.
«Se non vai da lei non lo saprai mai.» esclamò Ronnie arrivando con una coppe di gelato ricoperto da soffice panna montata.
Erano giorni che James vedeva in giro quella ragazza: alta, fisico longilineo, pelle ambrata e lunghi capelli neri. Ed erano giorni che non faceva che parlare di lei.
«Ma se poi lei mi ride in faccia? E se pensasse che sia uno stupido? E se…» borbottò James. Ronnie finì di mangiare la panna infilzò il cucchiaino nel gelato al pompelmo rosa.
«Ma se poi ti cade in testa un meteorite? E se si apre una voragine sotto ai piedi? Cosa sono tutte queste domande? Vai e buttati!» esclamò allegramente la giovane, mentre Sam annuiva alle parole dell'amica.
«Ma io... Oh, uffa.» sbuffò James. E sbuffò anche Ronnie che diede la sua coppetta a Sam e si diresse verso l'oggetto dei sogni di James, che poco più in là parlava con delle amiche,
«Cosa fai? No, aspetta!» disse James cercando di fermare l'amica. «No, non lo starà facendo sul serio? Dio, che vergogna.» continuò borbottando.
Intanto Ronnie era arrivata davanti alla ragazza.
«Ciao, io sono Ronnie. Scusa se ti disturbo, ma vedi... ecco il mio amico, quello che si vergogna come un ladro,» disse voltandosi leggermente e indicando James che si copriva il viso con le mani, «ecco, ha lui piaci un casino, ma è una testa di cazzo e non verrebbe mai qui ha presentarsi.» Ronnie si fermò.
«Io sono Kristin.» disse l'altra sorpresa dal fiume di parole di Ronnie.
«Piacere. Quindi volevo chiederti... vai da lui a dirgli qualcosa? Anche un solo ciao andrebbe bene. Così magari smette di parlarci continuamente di te.» disse Ronnie sorridendo. Anche Kristin sorrise. Insieme si diressero verso Sam e James.

«No, non l'ho mai ringraziata.» esclamò James.

   
 
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